Datalogic (Bologna) – 27 marzo, sciopero contro l’intransigenza padronale
27 Marzo 2020Claudio Bellotti dal vivo ora su youtube!
27 Marzo 2020In questo articolo, pubblicato sulla rivista America Socialista del gennaio 2020, John Peterson contesta la rappresentazione degli USA come un unico blocco reazionario e ricostruisce la storia delle lotte rivoluzionarie e delle mobilitazioni operaie negli Stati Uniti, dalla rivoluzione americana contro l’Impero britannico fino ai giorni nostri.
La redazione
di John Peterson
Per i marxisti studiare la storia non è un esercizio accademico. Studiamo il passato per comprendere il presente e per prepararci alle battaglie future. Ogni nazione ha la sua storia e le sue tradizioni, i suoi metodi e ritmi particolari della lotta di classe, compresi gli Usa.
Come marxisti, siamo internazionalisti. Non abbiamo una visione ristretta, nazionalista verso la rivoluzione mondiale, né verso i lavoratori degli Stati Uniti – neanche verso le fasce più arretrate che oggi appoggiano Trump. Non accettiamo l’idea che gli Usa siano un unico blocco reazionario.
La lotta di classe si applica anche agli Usa come a qualsiasi altro paese dominato dal capitalismo: non può esistere una classe capitalista sfruttatrice se non esiste una classe lavoratrice che viene sfruttata. In realtà i lavoratori americani sono tra i più sfruttati del pianeta. Sulla base di un livello estremamente alto della produttività del lavoro, i lavoratori Usa creano un enorme quantità di ricchezza per i capitalisti e ricevono solo una piccola parte di quello che producono sotto forma di salario e altri contributi.
È certo che gli Usa sono la forza più reazionaria del pianeta. Ma dialetticamente, sono anche il paese con il maggiore potenziale rivoluzionario. Alla fine tutto si trasforma nel suo contrario.
Per esempio, gli Usa sono stati un tempo una colonia della Gran Bretagna e hanno guidato la prima rivoluzione anticoloniale vittoriosa, contro quella che all’epoca era la potenza imperialista più poderosa del mondo. In seguito si sono trasformati a loro volta nella potenza più sfruttatrice e oppressiva che il mondo abbia mai visto. Ma niente dura per sempre.
Esiste un altro esempio: la Costituzione degli Usa. È la più antica in uso e rappresenta il modello a cui si sono ispirati molti altri paesi a livello mondiale. Ma questo pezzo di carta ha i suoi limiti. Non è più in grado di contemplare i cambiamenti economici e sociali che sono intervenuti da quando è entrata in vigore nel 1789, nonostante sia stata emendata 27 volte. La crisi del regime capitalista americano si esprimerà inevitabilmente in una crisi costituzionale – e già lo stiamo vedendo con le accuse e le proposte di impeachment contro Trump.
Conoscere e spiegare il passato rivoluzionario degli Usa è importante per dimostrare che la rivoluzione non è qualcosa di “non americano”. Tutto il contrario.
Gli Usa hanno vissuto due rivoluzioni, che sono state fonte di grande ispirazione. Si tratta di esperienze ricche di lezioni per i marxisti. Ma la classe dominante è riuscita a sotterrare questa storia e a seminare confusione.
Per questo dobbiamo far rivivere queste idee e renderne coscienti i lavoratori e i giovani nel mondo, a partire dai nostri compagni. Perché se è possibile una rivoluzione vittoriosa negli Usa, è possibile una rivoluzione vittoriosa a livello mondiale.
Gli Usa quando erano una colonia
Come paese giovane, la storia degli Usa, dalla loro ascesa fino al dominio del mondo, si comprime in pochi secoli molto intensi. Il paese più ricco del mondo può giovarsi della sua posizione geografica e delle vaste risorse naturali di cui dispone. Naturalmente anche aver rubato la metà del territorio messicano contribuì non poco!
Ma soprattutto questa potenza fu costruita sulle spalle di milioni di schiavi, servi sotto contratto, agricoltori, lavoratori e artigiani nativi, africani ed europei. Approfittò di un flusso apparentemente illimitato di rifugiati politici ed economici da tutto il mondo, che erano alla ricerca del “sogno americano”.
Nonostante esistessero culture indigene molto interessanti ed estremamente avanzate, furono gli europei ad introdurre le classi sociali e un capitalismo embrionale – con alcuni residui di feudalesimo – nelle terre che sarebbero diventate territorio americano.
Lo sterminio di milioni di indigeni e la schiavizzazione di milioni di africani furono parte del processo di accumulazione primitiva del capitale in Europa e negli Usa. Però molti dei primi europei arrivati sulla costa nord-orientale del continente nord-americano, erano rivoluzionari democratico-borghesi. Fuggivano dalla persecuzione religiosa e politica dopo le sconfitte rivoluzionarie in paesi come Olanda, Inghilterra, Scandinavia.
Portavano con sé idee rivoluzionarie per l’epoca: assemblee e milizie popolari, diritti democratici e religiosi, libertà di espressione e organizzazione. Queste idee misero radici.
Già verso la fine del XVII secolo, gli inglesi avevano stabilito un controllo piuttosto netto sull’America del Nord, sconfiggendo ed emarginando olandesi, svedesi, finlandesi, tedeschi ed altri che avevano tentato di stabilirsi in questa parte del Nuovo Mondo. Col tempo, la base economica nelle colonie americane della Gran Bretagna si rafforzò.
Nei decenni precedenti alla prima rivoluzione, gli statunitensi in generale si consideravano sudditi leali alla Corona Britannica. Era possibile questo o quel disaccordo con la madre patria, ma si sentivano inglesi, specialmente rispetto ai francesi, che ancora occupavano gran parte del continente. Di fatto, ancora nel 1750, i francesi controllavano cinque volte il territorio dei britannici.
Ma le condizioni di vita dei coloni portarono fin dal principio alla formazione di istituzioni sociali, culturali, politiche, religiose e giudiziarie autonome. Con il tempo, queste si separarono sempre più dalle istituzoni della madre patria. Oltre ad essere inglesi, i futuri statunitensi si identificavano sempre più con i loro Stati di appartenenza, come uomini del Massachusetts o della Virginia, a seconda dei casi.
Con il passare del tempo le istituzioni particolari sviluppate per adattarsi a questo nuovo mondo misero il loro marchio nel carattere del paese e della popolazione. L’”individualismo” e lo “spirito di frontiera” tipico di molti statunitensi ha le sue radici in questa epoca. Nella misura in cui c’era tanta terra disponibile, divenne sempre più difficile tenere uomini e donne libere come dipendenti a basso salario quando potevano spostarsi ad Ovest, dove c’era abbondanza di terra per stabilirvi delle proprietà, pur con tutte le difficoltà che questo implicava.
Questo condusse il sistema a una sempre maggiore dipendenza verso gli schiavi e i servi a contratto, il che a sua volta provocò tensioni sempre maggiori tra le classi nei decenni immediatamente precedenti alla prima rivoluzione.
Per esempio nel 1676, ci fu la ribellione di Bacon in Virgina, nella quale gli schiavi, i piccoli agricoltori della frontiera a Ovest e i servi a contratto si unirono per lottare contro il governo statale. Bruciarono la capitale dello Stato, Jamestown. La risposta fu quella del divide et impera, basata sul razzismo contro i neri che si indurì, con lo scopo cosciente di dividere gli sfruttati e gli oppressi su basi razziali.
La prima rivoluzione
Per secoli gli uomini ricchi della colonia avevano avuto grandi benefici dalle relazioni con l’Impero britannico. Non solo in termini economici ma anche militari, vista la minaccia così diretta da parte dei francesi. Però come in altri paesi, l’embrione di una classe dominante nativa cresceva dentro la vecchia società coloniale. Dopo la Guerra dei Sette anni, con la sconfitta francese, la borghesia emergente delle 13 colonie americane già non voleva più spartire le ricchezze con il re d’Inghilterra, che stava dall’altra parte dell’Atlantico.
Alla fine, dopo decenni di crescenti tensioni, ci fu una rottura rivoluzionaria con gli antichi governanti imperiali. Da un lato i coloni: la nascente borghesia nordamericana e la “schiavocrazia” del Sud. Dall’altro lato, la borghesia aristocratica e semi-feudale britannica e i suoi rappresentanti locali.
Molti a sinistra negano che questa sia stata una “vera” rivoluzione. Spesso viene presentata come una lotta per il potere tra due gruppi di uomini bianchi e ricchi. Secondo questa lettura, la vittoria fu degli arrivisti coloniali, che presero il potere politico ed economico e che, con qualche aggiustamento cosmetico, si stabilirono come nuova classe dominante. Alcuni a sinistra addirittura la definiscono come una “rivolta dei proprietari di schiavi”, finendo con lo schierarsi dalla parte dell’Impero britannico!
Sicuramente esiste un elemento di verità in tutto questo, però solo in superficie. Il nostro compito come materialisti storici è guardare sotto la superficie, distinguere e comprendere le contraddizioni interne, le forze fondamentali, i processi e le lotte di classe che motivarono e spinsero in avanti la rivoluzione. La caratteristica chiave per noi, nel definire una rivoluzione, è l’entrata attiva della massa dei lavoratori sulla scena della storia. Questo si verificò assolutamente nelle colonie americane.
Nel decennio del 1760, ampi settori della società coloniale si unirono gradualmente contro i britannici e volevano un cambiamento – per differenti ragioni di classe. La domanda fondamentale è la seguente: “che tipo di cambiamento e nell’interesse di chi?” I ricchi, sentendosi claustrofobici all’interno dell’impero, volevano la libertà di realizzare guadagni ancora maggiori per conto loro. La massa dei lavoratori, scontenta per le condizioni di vita, si scontrava con un nemico che sentiva sempre più come un occupante straniero.
Pertanto per un certo periodo gli interessi dei ricchi e dei poveri coincisero e la rabbia si indirizzò contro il nemico esterno. Fu questo il caso durante il movimento contro le imposte della Stamp act (Legge del bollo) nel 1765.
Ma nella misura in cui gli interessi di questi due gruppi non erano affatto gli stessi, la divisione sarebbe stata inevitabile, e questa temporanea unità venne spezzata da una crescente polarizzazione di classe nella società. Fu un esempio classico di distinzione tra riformismo o rivoluzione, tra cambio cosmetico o trasformazione profonda, tra giacobini o girondini, tra bolscevichi o menscevichi.
Inoltre le forme nelle quali le diverse classi sociali espressero la frustrazione furono molto differenti. Mentre i ricchi volevano solo negoziare migliori condizioni con i britannici, la massa dei lavoratori urbani e dei piccoli agricoltori prese sempre più la situazione nelle proprie mani.
Sebbene all’inizio i ricchi incitassero cinicamente la massa per usarla contro la Corona, le proteste assunsero un carattere sempre più indipendente, e spesso violento. I boicotaggi economici provocarono rivolte, la distruzione di proprietà commerciali, incendi agli uffici governativi e aggressioni violente a funzionari e coloni che appoggiavano la Corona.
Come in tutti i processi rivoluzionari, la coscienza delle masse si traformava rapidamente. Dal riformismo alla rivoluzione, le rivendicazioni divennero sempre più chiare e i programmi politici e i leader spinti dal movimento vennero messi alla prova dagli eventi, man mano che le masse si orientavano sempre più a sinistra. Non solo le masse nelle città – artigiani, lavoratori, avvocati e piccoli commercianti – ma anche i contadini nelle campagne.
Molti proprietari di piantagioni con schiavi nel Sud del paese, che andavano verso la rovina economica per la grande quantità di debiti accumulati, parteciparono anch’essi alla lotta. Tenendo conto che vivevano lontano dalle grandi città e governavano gli schiavi attreverso il terrore, molti proprietari di schiavi furono sorprendentemente audaci nella mobilitazione contro i britannici.
Assemblee popolari si riunivano nelle taverne, nelle mense, nelle chiese e negli spazi pubblici di qualunque natura, particolarmente nel New England, e si trasformarono in focolai di agitazione rivoluzionaria. Ci furono elementi di dualismo di potere in tutte le colonie, in quanto le masse si esprimevano direttamente attraverso queste assemblee, sfidando i governatori e le istituzioni britanniche.
La stampa e la circolazione di documenti e volantini radicali come il Senso Comune di Thomas Paine, aumentarono visibilmente, nella misura in cui la sete di idee delle masse cresceva esponenzialmente. Questo è un chiaro esempio della necessità e del ruolo della stampa rivoluzionaria, con la diffusione di idee rivoluzionarie e l’unificazione della lotta a livello nazionale.
Nonostante persone come George Washington e Thomas Jefferson svolsero un ruolo chiave e importante, la forza motrice fondamentale della storia è la lotta delle masse. E così fu anche nella rivoluzione americana. Con il passare del tempo, le richieste e le azioni delle masse diventavano sempre più coerenti e cominciarono a definirsi attorno a un programma e a una organizzazione sempre più radicale, che faceva riferimento a un certo Sam Adams di Boston.
Fu Sam Adams che organizzò il Boston Tea Party, coordinò il boicottaggio massiccio dei prodotti britannici da parte dei commercianti statunitensi e chiese la convocazione di un Congresso continentale. Adams era lo stratega e l’agitatore chiave, che agiva dietro le quinte. Adams organizzò i Figli della Libertà e i Comitati di corrispondenza, una rete di radicali che si estese dal New England, aiutando a unificare e coordinare la ribellione in tutte le colonie. Solo in Massachusettes, uno Stato che all’epoca non aveva più di 450.000 abitanti, c’erano circa 300 Comitati di corrispondenza.
Tutto questo somigliava molto a un’avanguardia, a un partito rivoluzionario. Sam Adams aveva trascorso tutta la sua vita aspettando un momento del genere. Capì la necessità di una direzione audace, con una visione del futuro, con un programma rivoluzionario e un’organizzazione disciplinata. Capì più di chiunque altro la necessità di collegare le idee rivoluzionarie con il movimento di massa, e fu incredibilmente abile in questo senso. Disse: “Il nostro compito non è spingere gli eventi, ma migliorarli saggiamente”.
Nella Rivoluzione americana, come in tutte le rivoluzioni borghesi che abbiamo visto nella storia, non furono i borghesi che portarono avanti gran parte della lotta all’ultimo sangue per gli ideali de “la vita, la libertà e la ricerca della felicità”. Fu la gente comune che formò la colonna vertebrale, la forza trainante della rivoluzione: i piccoli agricoltori, il proto-proletariato, gli schiavi, i servi a contratto e i nativi americani, anche se alla fine non ottennero quello per cui lottavano.
Il grosso dei benefici politici ed economici andarono a banchieri, mercanti, avvocati e grandi proprietari di piantagioni e schiavi. Durante i sette anni della guerra, le forze di Washington erano piene di malati, indigenti, disertori, corrotti e private di fondi e risorse dal Congresso continentale.
I soldati si ammutinarono in diverse occasioni, visto il trattamento duro che dovevano sopportare, mentre Washington e gli ufficiali passavano l’inverno in condizioni relativamente lussuose. Ciò nonostante, i coloni indipendentisti andarono avanti, con l’appoggio di settori importanti delle masse, e solo alla fine ricevettero il sostegno di migliaia di soldati delle armate francesi.
Ma non fu un processo in bianco e nero. Come tutte le guerre rivoluzionarie, questa non fu solo una guerra tra nazioni e classi dominanti antagoniste, ma fu anche una guerra civile, una guerra tra classi e settori distinti all’interno delle classi. Non si tratttava dei “buoni coloni” contro i “cattivi britannici”. Si stima che circa 400mila statunitensi servirono nelle forze armate durante il conflitto. Circa 50mila di questi erano schierati dalla parte dei britannici.
Molti coloni erano indifferenti sulla questione dell’indipendenza e semplicemente volevano la pace, la tranquillità e la stabilità. Si stima che approssimativamente un terzo dei coloni era a favore dell’indipendenza, un terzo per la corona e un terzo vacillava tra le due posizioni. Fu una lotta tra forze vive, con molti flussi e riflussi, e il risultato non era scontato.
C’erano anche altri fattori, come la cosiddetta “istituzione peculiare” della schiavitù, che introdusse molti elementi contradditori nella rivoluzione. Su una popolazione di 2,5 milioni nelle colonie, 500mila venivano dall’Africa, schiavi o liberi. Risulta che il primo martire della rivoluzione, assassinato nel massacro di Boston del 1770, fosse uno schiavo nero fuggitivo con sangue di una americana bianca nata negli Usa. Un autentico miscuglio nordamericano.
Ma alla fine la storia era dalla parte dei coloni. Il 19 ottobre 1781, a Yorktown, in Virginia, il generale Cornwallis si arrese a Washington con i suoi 8mila soldati. Era circondato da una forza combinata franco-americana di 14mila soldati e non aveva alternativa. Mentre le truppe britanniche e i mercenari tedeschi facevano atto di resa, la banda britannica suonava una canzone della rivoluzione inglese, chiamata “il mondo al contrario”.
Il mondo in effetti era sottosopra.
Come disse Lenin nella sua Lettera ai lavoratori statunitensi:
“La storia dell’America moderna, la storia dell’America civile, ha inizio con una serie di grandi guerre, realmente liberatrici e realmente rivoluzionarie, che sono molto rare tra le innumerevoli guerre di rapina, provocate, come l’odierna guerra imperialistica, da un conflitto tra i sovrani, tra i grandi proprietari terrieri e i capitalisti nella spartizione dei territori invasi o dei profitti trafugati. La guerra con cui ha avuto inizio la vostra storia è stata la guerra del popolo americano contro i briganti inglesi, che opprimevano l’America e la tenevano in stato di schiavitù coloniale, così come ancora oggi queste piovre “civili” opprimono e tengono in stato di schiavitù coloniale centinaia di milioni di uomini in India, in Egitto e in tutte le zone del mondo.”
È proprio questa la ragione per cui gli storici della classe dominante hanno spogliato la Rivoluzione americana del suo autentico contenuto di classe. Non vogliono che si ricordi che, come in tutte le rivoluzioni sociali, furono le masse che diedero impulso al processo in ogni sua fase.
Non vogliono neanche che si ricordino le espropriazioni massicce della proprietà privata, o gli attacchi contro il potere e i privilegi della classe dominante, che la rivoluzione scatenò.
È chiarissimo che in fondo questa fu molto più che una rivoluzione coloniale.
Le trasformazioni sociali prodotte dalla guerra rivoluzionaria e le sue conseguenze furono significative. Fu un’autentica rivoluzione sociale, non semplicemente una rivoluzione politica. I coloni americani portarono fino in fondo una rivoluzione democratico borghese, a un livello mai visto nella storia. Rispetto alle dimensioni dell’economia e della popolazione, la Rivoluzione americana fu una delle più grandi espropriazioni di proprietà privata mai vista nella storia.
Nello Stato di New York, tutta la terra e le proprietà della Corona e altri 2,5 milioni di acri di proprietà privata furono espropriati, così come le proprietà di un solo signore che possedeva terre corrispondenti ai 2/3 dello Stato del Rhode Island. In Carolina del Nord, la proprietà di Lord Granville, che comprendeva 1/3 di tutta la colonia, fu anch’essa espropriata. Situazioni simili si verificarono in Pensylvania e Virginia, dove venna espropriata la propietà Fairfax, con 6 milioni di acri.
Queste proprietà vennero divise in migliaia di piccoli appezzamenti: si trattò di una riforma agraria molto seria, che fu il collante fondamentale di una rivoluzione democratica nazionale. Questo fece sorgere una classe significativa di piccoli agricoltori indipendenti. Altre proprietà corrispondenti a un valore di milioni di dollari furono espropriate senza indennizzo.
I requisiti economici per il diritto al voto si abbassarono. Le chiese ufficiali, che esistevano in alcune colonie, vennero escluse dai fondi statali, in quanto la separazione tra Stato e chiesa divenne finalmente legge.
E anche se la schiavitù ebbe nuova vita dopo l’invenzione della sgranatrice di cotone all’inizio del secolo seguente, si abolì immediatamente la schiavitù in sei colonie e migliaia di schiavi ottennero la libertà, anche negli Stati del Sud. Inoltre il commercio di schiavi fu legalmente proibito, anche se in pratica durò ancora per decenni.
Una nuova ricchezza e una nuova classe dominante nacquero dalla sera alla mattina, quando avvocati, artigiani, commercianti e banchieri riempirono il vuoto lasciato dai funzionari britannici e dai conservatori che appoggiavano la Corona.
Si stima che almeno 100mila – e forse addirittura 200mila – conservatori scapparono dal paese, principalmente verso il Canada e alcuni persino in Gran Bretagna. Rispetto alla popolazione del paese, fu una delle emigrazioni politiche ed economiche più massicce della storia moderna: dieci volte di più di quanto successe in Francia durante il “regno del Terrore” nel 1790.
Ma non tutto fu rose e fiori per la nuova classe dominante. Una profonda crisi economica cominciò dopo la guerra, che portò a un intenso conflitto di classe all’interno del paese. In ciascuna delle 13 antiche colonie britanniche, piccoli agricoltori economicamente rovinati e veterani di guerra intrapresero la via della lotta nell’intento di stabilire una società più giusta ed equa.
Le loro parole d’ordine erano: “La proprietà degli Usa è stata protetta dalle confische britanniche per lo sforzo comune di tutti, e pertanto deve essere proprietà pubblica, bene comune di tutti, e chi cerca di opporsi a tutto questo è un nemico dell’equità e della giustizia e deve essere cacciato dalla faccia della terra.”
Il linguaggio usato ricorda molto quello di Emiliano Zapata o Manuel Palafox nella rivoluzione messicana. La ribellione di Shays, un’insurrezione di massa degli agricoltori scontenti del Massachusettes, fu il caso più emblematico. Gli shaysiti incendiarono i tribunali, liberarono i loro compagni incarcerati per debiti e avevano in programma di marciare fino a Boston e bruciarla per distruggere il potere politico degli odiati banchieri e grandi commercianti. Ma alla fine la ribellione venne sconfitta.
Ciò nonostante questa ondata di lotte contro la nuova aristocrazia economica ebbe un grande effetto sulla nuova Costituzione e sul governo che successivamente si stabilì negli Stati Uniti. Si arrivò a una Costituzione e a un sistema federale più centralizzato di quello previsto originariamente dai “padri fondatori”, che permise la creazione di un esercito permanente per fronteggiare la dissidenza interna.
Quando scoppiò la successiva Ribellione del Whiskey nella Pensylvania occidentale, tra il 1791 e il 1794, il governo federale si mosse decisamente per soffocarla, mandando 13mila soldati, con alla testa il presidente George Washington. Volevano inviare un messaggio molto chiaro: qualunque sollevazione popolare non sarebbe stata tollerata.
La giovane borghesia statunitense ora aveva il potere fermamente nelle sue mani e iniziò a dar vita a nuove istituzioni e leggi per arricchirsi e difendere i propri interessi. Utilizzò il potere dello Stato per sradicare i residui del vecchio sistema e costruire basi solide per la sua ascesa sul piano internazionale.
Si gettarono le basi per lo sviluppo delle forze produttive su larga scala, con il dominio del capitale industriale e finanziario. Con tutto un continente da occupare, conquistare e sfruttare, c’era molto spazio per espandere il paese e il sistema capitalista su cui si basava.
La sopravvivenza della schiavitù
Ma c’era un piccolo dettaglio. La schiavitù era sopravvissuta alla rivoluzione. Ad esempio la Costituzione considerava uno schiavo come i 3/5 di un essere umano al momento dei censimenti per assegnare il numero dei voti. Questo diede agli Stati schiavisti molto più potere politico nel governo federale, rispetto al numero di cittadini aventi diritto al voto presenti nel loro territorio.
Nel decennio precedente alla Guerra civile del 1861-65, le tensioni tra gli schiavisti e i capitalisti emergenti del Nord aumentarono. Una serie di compromessi tentarono di mantenere lo status quo.
Ma la rivoluzione industriale avanzava molto più rapidamente nel Nord. Tanto il Sud come il Nord producevano per il mercato capitalista mondiale e interno. La schiavitù e il capitalismo erano profondamente intrecciati. Di fatto, il luogo più profittevole per il commercio di schiavi era Wall Street, a New York, sebbene la schiavitù fosse illegale in quello Stato.
Precedentemente gli interessi del Nord e del Sud erano coincisi durante la lotta contro i britannici, contro Shays e le altre ribellioni interne. Condivisero il potere nello stesso Stato nazionale per svariati decenni. Ma con il passare del tempo, nella misura in cui l’economia si sviluppava, i grandi borghesi del Nord e dell’Ovest volevano più potere politico. Come si è visto, il Sud aveva un potere politico molto maggiore di quello che avrebbero giustificato il livello della sua popolazione e lo sviluppo della sua industria. La fase in cui tutti guadagnavano si trasformò nel suo opposto. Il quadro della Costituzione raggiunse il suo limite ed esplose.
Gli schiavi erano la merce numero uno negli Stati Uniti. Valevano 3,5 miliardi di dollari – più che tutte le ferrovie, le fabbriche e le banche messe assieme. Nel 1860 gli schiavi negli Stati Uniti producevano l’80% del cotone nel mondo. La mano d’opera basata sugli schiavi rappresentava un impiego inefficiente della terra e della forza lavoro, un ostacolo per una maggiore espansione del capitale industriale e finanziario, che necessitava di operai salariati. Ma pochi si aspettavano il cataclisma che era in arrivo.
Prima della guerra civile le ribellioni degli schiavi erano abbastanza comuni, per esempio, la sollevazione di Nat Turner nel 1831. Probabilmente il più importante fu il tentativo fallito di John Brown di liberare schiavi per scatenare una guerra civile nel 1859. Questo condusse alla costituzione di milizie armate e a preparativi di guerra nel Sud.
Infine Abraham Lincoln fu eletto presidente nel 1860. Lincoln personalmente era contro la schiavitù, ma non era per la sua abolizione, essendo legale secondo la Costituzione. Voleva sempicemente evitare che si estendesse a nuovi Stati e territori. Anche questo era però troppo per gli schiavisti sudisti.
Perché per quanto valore avessero gli schiavi e il cotone, era molto chiaro che, con il passare del tempo, il Nord avrebbe dominato totalmente il governo federale come già dominava l’economia. Questa fu una minaccia mortale per il cosiddetto “stile di vita” del Sud.
Già prima che Lincoln assumesse l’incarico, la Carolina del Sud si separò. Alla fine undici Stati del Sud si separarono e cominciarono ad occupare ed attaccare proprietà federali. Al principio, il Nord tentò solo di soffocare la “ribellione” e ristabilire l’Unione sulle vecchie linee.
Ma il piano del Sud era abbandonare l’Unione e costruire un vasto impero schiavista, conquistando Cuba, il resto dei Caraibi, il Messico e parte dell’America del Sud.
La guerra divenne così l’unico modo per dirimere la contraddizione tra due concetti di libertà, lavoro e proprietà. Lavoro salariato o schiavitù? Proprietà privata di capitale e industria o proprietà di schiavi? Libertà dalla schiavitù o libertà di possedere schiavi?
La seconda rivoluzione
La Guerra civile statunitense fu uno degli esempi più drammatici di lotta di classe in tutta la storia umana. Fu la Seconda Rivoluzione americana. Essenzialmente fu una guerra rivoluzionaria tra il capitalismo del Nord, che in quel periodo era un sistema storicamente progressivo, e il sistema di piantagioni basate sugli schiavi del Sud. Come disse Lincoln: “Non mi aspetto che l’Unione si dissolva, non mi aspetto che la casa crolli, ma sì mi aspetto che smetta di dividersi. Si trasformerà tutta in una cosa o in un’altra”.
Marx, Engels e la Prima Internazionale furono sostenitori entusiasti di Abraham Lincoln e lo invitarono a scatenare una guerra spietata contro la schiavitù. Marx chiamò la repubblica statunitense “un faro di libertà per tutta l’umanità”. Chiamò anche la guerra civile nordamericana “il maggior evento dell’epoca”.
Una volta di più la guerra fu condotta da ambo le parti da semplici lavoratori, piccoli agricoltori, schiavi, ex-schiavi e immigrati. Un gran numero di lavoratori si licenziarono durante la guerra per unirsi all’esercito dell’Unione e lottare contro la schiavitù. Molti rivoluzionari provenienti dall’Europa, tra cui molti tedeschi che avevano lavorato a stretto contatto con Marx ed Engels, si unirono alla causa dell’esercito dell’Unione.
I processi rivoluzionari esprimono contraddizioni profonde e necessità storiche. Non si tratta della volontà soggettiva degli individui, anche se il ruolo scientifico dell’individuo nella storia è indiscutibile e può determinare l’esito di uno scontro in un momento cruciale.
Lincoln iniziò con un approccio legalitario, soffocando le ribellioni regionali, per fermare la secessione e difendere la proprietà federale. Ma sulla base degli avvenimenti, iniziò una guerra rivoluzionaria per distruggere ed estirpare alla radice la ragione fondamentale della rivolta del Sud: la schiavitù.
Al Sud si affermava – e si afferma ancora oggi – che si trattava di difendere i diritti democratici degli Stati e la “libertà” del Sud contro la tirannia del Nord.
Questo è un altro esempio classico di come una lotta per delle riforme minori si può trasformare in una lotta rivoluzionaria ad ogni livello. Questo fu il grande merito di Lincoln: poteva limitarsi a delle riforme cosmetiche e in quel caso avrebbe fallito.
All’inizio della guerra, Lincoln dichiarò che “non avrebbe trasceso ad una lotta rivoluzionaria violenta ed implacabile”; che non si sarebbero realizzati attacchi alla proprietà, inclusa quella degli schiavi. Ma le cose, la coscienza e le persone cambiano.
Una volta che decise di seguire il corso della storia, lo portò avanti a modo suo e lo trasformò in una lotta rivoluzionaria, per esempio armando centinaia di migliaia di schiavi. Come disse lui stesso: “Affermo che non controllo gli eventi, sono gli eventi che controllano me”.
Fu la prima guerra “moderna”, non di manovre tattiche. Ci furono enormi avanzamenti tecnologici con enormi perdite da ambo le parti. Engels si riferì ad essa come “la prima grande guerra della storia contemporanea”. In ultima istanza, il Nord aveva la storia dalla sua parte, vale a dire, l’economia. Per esempio, il Nord aveva più del doppio della popolazione, 18 milioni. Il Sud aveva 9 milioni di persone, ma quasi 4 milioni di questi erano schiavi. La capacità industriale del solo Stato di New York era quattro volte maggiore di quella di tutto il Sud. Erano state costruite 24mila miglia di ferrovie al Nord e se ne costruirono altre 4mila durante la guerra. Il Sud ne aveva solo 9mila miglia a cui se ne aggiunsero solo altre 400.
All’inizio il Nord non aveva un esercito, nei fatti. L’esercito dell’Unione nel 1860 aveva solo 16mila soldati e la maggioranza dei quadri e degli ufficiali si erano schierati con la Confederazione del Sud. Ma con la sua popolazione e la base industriale più grande, mobilitò rapidamente altri 75mila soldati ed arrivò fino a contare un milione di effettivi. In un paio di anni, gli Usa avevano costituito l’esercito più grande e meglio addestrato e equipaggiato del mondo.
Un altro punto importante fu la mobilitazione degli schiavi. Centinaia di migliaia si rifiutarono di lavorare e sabotarono l’economia del Sud. 500mila si auto-espropriarono scappando verso le linee dell’Unione. All’inizio venivano trattati come merci oggetto di “contrabbando di guerra”, ma alla fine della guerra, in 180mila avevano lottato negli eserciti dell’Unione.
Ci furono più di 10mila battaglie documentate durante la Guerra civile e 237 battaglie principali. La battaglia di Gettysburg, nel luglio 1863, fu la battaglia più grande mai ingaggiata nell’emisfero occidentale. Parteciparono 160mila soldati, ci furono bombardamenti con i cannoni più grandi dell’epoca, la battaglia di cavalleria più grande, ecc. In 3 giorni di battaglia ci furono più di 50mila tra morti, feriti e dispersi.
Ci furono battaglie con un tasso di perdite tra il 10 e il 30%. Nella battaglia di Antietam, ci furono più vittime in un giorno che in tutte le guerre statunitensi combattute in precedenza. 23mila tra morti, feriti e dispersi in un solo giorno, quattro volte di più delle perdite registrate allo sbarco in Normandia nella seconda guerra mondiale. In totale durante la guerra, morirono 750mila soldati, più i civili. Centinaia di migliaia furono feriti e i mutilati. Il 2,4% della popolazione del 1860 morì. L’equivalente di 7,5 milioni di morti oggi, più o meno la popolazione dello Stato di Jalisco, in Messico, o del Paraguay.
La guerra civile americana rappresentò la seconda tappa della rivoluzione democratica-nazionale statunitense. La liberazione di 3 milioni di schiavi fu un enorme atto di espropriazione. Per questo non accettiamo che ci sia qualcosa di “antiamericano” nell’armare la popolazione e usare la forza per espropriare la ricchezza di un pugno di ricchi! Se il Nord avesse comprato tutti gli schiavi del Sud avrebbe speso la metà di quello che costò la guerra, ma il problema è che non c’erano venditori disponibili nel Sud.
Il Sud rimase povero. Finì la guerra con i 2/3 della sua ricchezza e i 2/5 dei guadagni e solo la metà dei macchinari agricoli. Tra il 1860 e il 1870, la ricchezza del Nord aumentò di un 50% e la ricchezza del Sud diminuì del 60%. Molti Stati del Sud soffrirono perdite del 25%. Un fatto sorprendente: nel 1866, un anno dopo la fine della guerra, il 20% del bilancio statale del Mississipi veniva destinato alle spese di ricostruzione.
L’epoca della ricostruzione
Una volta che l’economia schiavista fu distrutta, lo scenario era pronto per il risplendere implacabile e spietato del capitalismo in tutto il continente, cominciando dal Sud. Questa epoca è nota come la ricostruzione.
Gli antichi schiavi adesso erano “liberi” – liberi di vendere la propria forza lavoro in cambio di un salario – e “liberi” di lavorare come mezzadri (il che somigliava molto alla servitù medievale). Erano anche liberi di essere arrestati per delitti minori, come il “delitto” di non possedere una casa e una proprietà. Liberi di essere incarcerati come criminali e di lavorare come schiavi. Di fatto, fino al giorno d’oggi, il lavoro schiavistico continua ad essere legale negli Usa se sei stato condannato per un reato.
Cominciò una massiccia migrazione e milioni di ex schiavi scapparono dal Sud per evitare gli orrori del sistema Jim Crow (una forma di segregazione simile all’apartheid), il terrorismo del Ku Klux Klan e cercare lavoro nell’industria in rapida espansione nel Nord e nell’Ovest.
Ma la fine della schiavitù approfondì le linee della lotta di classe negli Stati Uniti, che divennero più chiare che mai. Si aprì uno scontro titanico tra la classe operaia in forte crescita e la classe capitalista sempre più ricca, con la classe media sempre più ai margini. Data la ferocia padronale, i lavoratori furono costretti ad organizzarsi collettivamente per difendere i propri diritti.
Nel decennio successivo alla guerra civile, il movimento operaio organizzato si rafforzò. Ad esempio nel 1877 un’ondata massiccia di scioperi nelle ferrovie si estese a tutto il paese e terminò con una Comune dei lavoratori nella città di Saint Louis, nel Missouri, con tanto di consigli dei lavoratori democraticamente eletti e una milizia che controllava la città. In città vicine come Chicago, i giornali borghesi erano terrorizzati e parlavano di una Comune di Parigi negli Stati Uniti.
Centinaia di lavoratori morirono lavorando in condizioni barbare a cavallo tra il XIX secolo e il XX secolo. Si formarono così degli enormi sindacati sull’onda di violenti scontri di classe, e ci furono molti martiri operai, come Joe Hill.
Negli anni ’30 ci furono molte lotte importanti e la nascita di un nuovo tipo di sindacalismo, il sindacalismo industriale della Cio (Congress of industrial organizations – Congresso delle organizzazioni industriali), che sostituì il vecchio sindacalismo di tipo artigianale.
Scioperi eroici dei minatori dell’Ovest, dell’abbigliamento nel Nord-Est, del tessile nel Sud, dei metalmeccanici dell’auto nel Midwest, compresi gli scioperi a Flint, nel Michigan, e naturalmente lo sciopero dei Teamsters guidato dai trotskisti di Minneapolis nel 1934. Tutte queste lotte sono piene di lezioni e vale la pena di studiarle in dettaglio.
Il dopoguerra e la situazione attuale
La seconda guerra mondiale e il boom del dopoguerra limitarono questi movimenti, anche se l’ondata di scioperi più grande nella storia degli Stati Uniti fu subito dopo la guerra. Cinque milioni di operai scioperarono nel 1946.
Negli anni ’50 e ’60 abbiamo visto il movimento dei diritti civili, la nascita di gruppi come le Pantere Nere e il movimento contro la guerra in Vietnam. Più recentemente abbiamo visto milioni di persone opporsi alle guerre in Iraq e Afghanistan, il movimento di massa per i diritti dei lavoratori migranti del 2005-2006, il movimento Occupy cominciato a Wall Street, Black Lives Matter e il movimento attorno alla candidatura di Bernie Sanders e le storiche manifestazioni contro Trump.
Per tutti questi motivi, la storia degli Stati Uniti è molto simile alla storia del resto del mondo: è una storia di lotta di classe. La tendenza nell’ultimo secolo è stata verso una concentrazione di ricchezza da una parte e una concentrazione della classe lavoratrice dall’altra. Oggi viviamo un’epoca di austerità, guerra, crisi, rivoluzione e controrivoluzione e gli Usa sono nel cuore di questo processo.
Il capitalismo è in un tunnel senza via d’uscita a livello mondiale e non è più in grado di sviluppare i mezzi di produzione, né di migliorare la qualità di vita della maggior parte della popolazione. La decadenza è evidente. Il sistema è in stagnazione, sempre più basato sul parassitismo e la speculazione, e rappresenta una minaccia per la sopravvivenza della specie umana. La base economica dell’imperialismo statunitense è sbilanciata e non ha niente a che vedere con la forza monolitica che era in passato.
La classe dominante è estremamente divisa. Come spiegò Lenin, quando la classe dominante non è più in grado di governare come in passato, è già un primo indizio che si avvicina un’epoca di rivoluzione sociale. La vittoria di Donald Trump è un chiaro sintomo di questo.
Abbiamo di fronte una generazione che conosce solo il mondo successivo alla crisi del 2008: austerità, tagli, crisi e tradimenti. C’è stato un sorprendente cambiamento nel livello di coscienza e siamo solo all’inizio.
La campagna presidenziale del 2016 di Bernie Sanders ha rappresentato una via d’uscita per la frustrazione accumulata e il crescente interesse per il socialismo. La politica degli Usa è cambiata per sempre. Ora milioni di persone si considerano socialiste.
Secondo un recente sondaggio:
- Il 70% degli statunitensi tra i 18 e i 29 anni dichiara che voterebbe per un socialista.
- Solo uno americano su dieci sostiene che il sistema bi-partitico funziona “abbastanza bene”.
- 6 americani su 10 sono a favore di un terzo grande partito politico
- Il 36% dei millennials dichiara di essere a favore del comunismo (nel 2018 erano il 28%).
- I millennials sono il 30% della popolazione degli Usa, vale a dire 75 milioni di persone, e un terzo sono a favore del comunismo e del marxismo. Questo rappresenta 25 milioni di potenziali contatti per la Tendenza Marxista Internazionale, nel cuore della bestia!
- Incredibilmente tra quelli che sono “molto favorevoli” al socialismo, circa il 47% giustifica l’azione violenta se è indirizzata contro i ricchi.
Nel paese che fu maccartista la maggior parte dei giovani oggi è a favore del socialismo! Naturalmente la maggior parte di questi non sa cos’è realmente il socialismo. Ma chi può negare l’estrema importanza di tutto questo?
La base materiale per questi cambiamenti di coscienza si trova nella situazione economica.
Negli ultimi tre decenni la ricchezza dell’1% più ricco è aumentata di 21.000 miliardi di dollari, mentre il 50% più povero ha visto calare la propria ricchezza di 900 miliardi.
I profitti aziendali lo scorso anno sono stati 2.300 miliardi di dollari, che equivalgono al doppio del Pil messicano!
Lo 0,1% più ricco possiede quanto il 90% della popolazione. 3 soli individui hanno la stessa ricchezza di 160 milioni di americani!
Il salario minimo federale è di 7,25 dollari all’ora. Un operaio con salario minimo ha bisogno di 2,5 lavori per potersi permettere una casa nella maggior parte degli Stati. Un bambino americano su 6 vive in povertà. Si tratta di 12 milioni di bambini. Questa è la situazione reale negli Usa. Sebbene la miseria non arrivi allo stesso livello di molte zone dell’America Latina, milioni di statunitensi vivono in condizioni da mondo sottosviluppato.
E questi sono i “tempi buoni”. Una crisi economica più profonda è incipiente. Tecnicamente negli ultimi 10 anni abbiamo avuto la ripresa più lunga nella storia degli Usa.
I borghesi seri vedono nella ripresa delle idee socialiste una minaccia potenzialmente decisiva per il loro sistema. Hanno ragione di preoccuparsi e lanciano ogni tipo di attacco contro queste idee. Lo stesso Trump ha dichiarato che gli Usa non saranno mai un paese socialista! Questo è un sintomo di paura e di debolezza, non certo di forza.
La decadenza capitalista si manifesta in molte forme. C’è un’epidemia nazionale di eroina e oppiacei. Le overdose di droga si sono triplicate dal 1990 e ora le overdose e i suicidi provocano più morti che gli incidenti automobilistici. Gli assassinii seriali sono diventati così comuni che la gente non ci fa più caso.
Ma c’è l’altro lato della medaglia. Il movimento giovanile contro il cambiamento climatico sta avendo uno sviluppo incredibile nel quale stiamo intervenendo energicamente. Si vede anche una ripresa del movimento operaio dopo vari decenni difficili.
Dopo aver raggiunto il 34,8% nel 1954, solo il 10,5% dei lavoratori statunitensi sono sindacalizzati oggi, di cui solo il 7,2% nel settore privato.
Negli anni ’70 ci sono stati mediamente 269 scioperi all’anno. Nel 2017 sono stati solo 7. Ma sotto la superficie la talpa ha continuato a scavare.
Apparentemente dal nulla 35mila insegnati del West Virginia hanno lanciato uno sciopero nel gennaio 2018, per un aumento salariale dell’1%. L’azione sindacale ha chiuso tutte le scuole pubbliche per una settimana fino al momento in cui hanno riconosciuto ai lavoratori un aumento del 5% del salario e benefit medici ulteriori. Questo è uno Stato tradizionalmente conservatore che ha votato in massa per Trump. Con una reazione a catena lo sciopero degli insegnanti si è esteso in Oklahoma, Arizona, California e oltre. Alla fine del 2018 il numero dei lavoratori statunitensi coinvolti in conflitti di lavoro è stato il più alto dal 1986.
Ci sono approssimativamente 130 milioni di lavoratori negli Usa e nonostante solo lo 0,3% di questi sia stato coinvolto in uno sciopero, hanno trasformato il panorama dello scontro di classe nel paese.
Non solo crescono gli scioperi ma cambia l’atteggiamento dei lavoratori e dei giovani verso il sindacato e in generale si diffonde la coscienza di appartenere a una determinata classe sociale. La pressione dal basso aumenta nell’Afl-Cio, l’organizzazione sindacale più importante, che per decenni è stata un bastione del conservatorismo e della collaborazione di classe più codarda.
L’Afl-Cio rappresenta 12,5 milioni di lavoratori attivi e pensionati in 55 sindacati nazionali e internazionali. Il potenziale di questa organizzazione per mobilitare scioperi, manifestazioni di solidarietà e persino scioperi generali è innegabile. Naturalmente questa è l’ultima cosa che vuole la direzione attuale.
Ma nel 2021 ci saranno le elezioni nell’Afl-Cio e c’è una potenziale candidata alla segreteria molto interessante: Sarah Nelson, dirigente in un settore strategio come quello degli assistenti di volo, che nel 2019 ha proposto uno sciopero generale contro il muro alla frontiera messicana voluto da Trump. Il suo appello allo sciopero dei controllori di volo ha costretto il governo a fare marcia indietro. Coma ha detto la Nelson: “Solo l’azione diretta o la minaccia della stessa, farà muovere i padroni”.
Tutto questo si svilupperà nel contesto delle elezioni presidenziali del 2020. Se la prossima crisi si manifesterà, presto le cose prenderanno una brutta piega per la classe dominante.
La lotta di classe e la polarizzazione della società statunitense può accelerare più rapidamente di quanto si possa immaginare. Gli eventi visti in Sudan, Algeria, Hong Kong, Ecuador, Cile, ecc. dimostrano che i lavoratori sono disposti a lottare in tutto il mondo e quelli statunitensi non sono da meno. Il “processo molecolare della rivoluzione” di cui parlava Trotskij influenzerà anche il cuore della bestia.
Possiamo prevedere un aumento degli scioperi, campagne di solidarietà e una tendenza militante di lotta di classe nei sindacati. E nella misura in cui le lotte economiche non sono sufficienti per fermare l’austerità e la caduta dei livelli di vita, questo fermento in un modo o nell’altro alimenterà la lotta per costruire un partito di massa dei lavoratori. L’interesse nel socialismo continuerà a crescere e si avrà una comprensione sempre maggiore del suo significato.
Gli eventi internazionali e il ciclo economico avranno anche un ruolo molto importante nella coscienza di massa. Le condizioni materiali per la trasformazione socialista della società sono più che mature negli Usa, forse più che in qualsiasi altro paese al mondo. L’esperienza di vita sotto il capitalismo sarà il miglior maestro, i lavoratori e i giovani apprendono rapidamente.
La classe lavoratrice è la maggioranza schiacciante negli Usa. Gli effetti di uno sciopero, anche di una piccola parte dei lavoratori americani, avrebbe un effetto devastante sui profitti dei capitalisti.
Ad esempio, solo 36.000 lavoratori portuali sindacalizzati caricano e scaricano tutte le navi provenienti dal Pacifico nella costa occidentale. Ogni cointaner che dall’Asia arriva negli Usa deve passare per le mani di un piccolo numero di lavoratori sindacalizzati.
Uno sciopero di un giorno dei portuali della costa occidentale provocherebbe perdite per miliardi di dollari per i capitalisti. Questo è un chiaro segnale del colossale potere che è nelle mani della classe operaia statunitense. Lo stesso si potrebbe dire per la manifattura, le comunicazioni, i trasporti, l’istruzione, i servizi medici, ecc.
Conclusioni
Come marxisti capiamo che una rivoluzione vittoriosa in qualunque parte del mondo trasformerebbe la situazione. Ma data la posizione economica e militare, ma soprattutto della classe lavoratrice, la vittoria della rivoluzione socialista statunitense significherebbe in ultima istanza la liberazione di tutta l’umanità.
Come scrisse Trotskij durante il suo breve passaggio a New York nel marzo del 1917: “Gli Usa forgeranno il destino dell’uomo”.
La Prima Rivoluzione americana fu d’ispirazione per la Rivoluzione francese, per Simon Bolivar e molti altri movimenti rivoluzionari per la liberazione nazionale e l’indipendenza. Anche la Seconda Rivoluzione americana, la Guerra civile, fu d’ispirazione per molti, tra cui Fidel Castro. La rivoluzione socialista statunitense sarà d’ispirazione per i lavoratori di tutto il mondo.
Dobbiamo avere fiducia nella classe operaia, così come abbiamo fiducia nelle idee del marxismo. Prima della guerra civile, in molti sostenevano che gli statunitensi erano un miscuglio di reazionari razzisti e schiavisti. Ma tutto, in questo mondo, si trasforma nel suo opposto.