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L’“anomalia napoletana” è finita. Serve costruire la sinistra di classe

De Magistris ha deposto le chiavi della città in modo rocambolesco chiedendosi chi in giunta gli abbia fatto la grazia di votare a favore di un bilancio che fa acqua da tutte le parti. Nel discorso di chiusura con cui si accommiata è evidente una forte commozione che però, più che essere dovuta alla passione a cui il sindaco ci ha abituato, ha i toni della liberazione personale di chi sa che non dovrà più sedersi su una sedia che si stava facendo davvero infuocata.

Il bilancio delle due amministrazioni De Magistris non è certo positivo. Da un punto di vista più propriamente politico le speranze che il suo progetto politico ha suscitato sono state disattese. Dieci anni fa il sindaco si è presentato alla città come quello che lottava per la democrazia diretta, per le assemblee popolari, per la lotta ai debiti ingiusti. Di ognuna delle grandi battaglie che ha ingaggiato sono rimasti però solo grandi proclami, spesso vuoti, sempre senza nessuna prospettiva di mobilitazione per ottenere degli avanzamenti. Nel 2011 dell’austerità, delle fabbriche che chiudevano, della crisi, De Magistris ottenne un plebiscito a Napoli, oltre il 65% dei voti, che lo fece conoscere a livello nazionale per essere il più radicale tra i sindaci autonomi ai partiti tradizionali. Dopo dieci anni anche la sua creatura politica, Dema, è praticamente fallita, smembrata da diverse operazioni di trasformismo che da elezione ad elezione hanno portato su nuovi lidi alcuni dei suoi esponenti storici e non è mai stata in grado di farsi promotrice di un movimento nazionale, così come era nelle intenzioni di De Magistris.

Da un punto di vista amministrativo le cose non vanno certo meglio. Il debito del comune ammonta a 2 miliardi e 700 milioni di euro, i servizi in città sono stati completamente azzerati, così come nei fatti lo sono alcuni diritti, in primis quello al trasporto. Le due principali compagnie del trasporto pubblico locale, Anm e Ctp, sono al collasso con la seconda delle due in ritardo sul pagamento degli stipendi dei propri dipendenti e in fallimento tecnico. Sul diritto al trasporto pubblico il sindaco si è prodigato in grandi annunci, l’ultimo dei quali riguarda l’inaugurazione di una stazione della metropolitana che si attendeva da vent’anni, ma tace sul fatto che sarà aperta solo nel pomeriggio per carenza strutturale di personale e che, contemporaneamente a questo, verrà chiusa una stazione della funicolare che collega la parte alta della città con quella bassa per assenza di manutenzione.

Napoli resta tra i comuni con il più basso numero di asili nido pubblici e di insegnanti a tempo pieno di tutto il paese e una delle città in cui particolarmente grave è il problema dell’edilizia scolastica. Senza perderci nelle statistiche valga su tutti un ragionamento generale. L’aumento dei tassi di abbandono scolastico registrati a Napoli nei mesi della pandemia e il peggioramento degli standard di studio dei giovani, dovuto in molti casi alle misere condizioni a cui sono stati costretti, è un macigno sull’amministrazione De Magistris, che nell’ultimo anno si è contraddistinta solo per il suo silenzio e per qualche bagarre con De Luca.

Sin dal suo primo mandato, per la grave emergenza rifiuti di quegli anni, De Magistris ha messo al centro del suo programma politico la raccolta differenziata. Il suo obiettivo, dieci anni fa, era quello di portarla al 70%, oggi la media della percentuale raggiunta è appena del 36 con alcuni quartieri che sono molto al di sotto dei valori indicati e con un netto peggioramento della raccolta negli ultimi mesi. L’approccio delle due amministrazioni De Magistris è stato quello della cura del centro della città e in modo speculare, del disinteresse delle periferie che oggi vivono una situazione di totale abbandono. Questa idea di città la si è ritrovata nel lancio dei grandi eventi, nella vendita del centro per campagne pubblicitarie appetitose solo per chi può fare profitti sfruttando la Napoli da vetrina, nella promozione del turismo, rivelatosi poi strumento incontrollato nelle mani dei padroni della città che hanno creato nuovo sfruttamento e complicato la vita a migliaia di persone per l’aumento dei prezzi degli affitti e per il peggioramento delle condizioni di lavoro, quasi sempre offerto senza contratto regolare.

E mentre Napoli entrava nei circuiti del turismo internazionale il lavoro è stato sacrificato. La Whirlpool è l’ultima vertenza scoppiata in città, altre, piccole e grandi, ce ne sono state in passato e De Magistris in nessun caso è mai andato al di là di qualche frase di vicinanza ai lavoratori o di sue brevi e colorite apparizioni.

Da questi elementi di bilancio la considerazione politica che riteniamo più importante è una: non si può essere ribelli nella fase di crisi più acuta del capitalismo. Puoi decidere di rompere con le regole e rifiutarti di pagare il debito, finanziare i servizi pubblici essenziali sforando i patti di bilancio, puoi decidere di non privatizzare o svendere il patrimonio pubblico e assumere nuovi lavoratori. Insomma puoi scegliere la strada della rottura oppure, come è il caso di De Magistris, puoi decidere al netto del rumore che fai di obbedire. De Magistris avrebbe potuto tentare la prima strada, l’unica in grado di evitare che nei prossimi anni il peso del debito ricada sulla testa dei lavoratori e dei giovani di questa città.

Nessuna delle liste maggioritarie ha un vero piano per evitare il collasso di Napoli, su cui peraltro pende per i prossimi due anni un blocco per spese diverse da quelle ordinarie e essenziali a causa dei vincoli del debito.

Il candidato della destra, Maresca, è passato dal concentrare tutti i suoi sforzi per emergere come il candidato dal profilo indipendente per non essere accostato ai pezzi criminali della città, al trovare giustificazioni per non essere scambiato per lo scemo del villaggio dopo l’esclusione di quattro delle sue liste (tra cui quella della Lega) dalla competizione elettorale.

Il centro-sinistra candida Manfredi che prima di iniziare la sua campagna elettorale si è giocato la sua carta migliore, quella di avere un filo diretto con il governo per poter trattare un piano di salvataggio del comune dalla bancarotta. Ovviamente il fatto che lui sia il candidato del Pd e del Movimento 5 Stelle e che questi due partiti stiano al governo e dunque possano fare una battaglia strappandosi le vesti per salvare le sorti di Napoli è un sillogismo che funziona solo nella testa del candidato sindaco; tra l’altro, seppur un piano potrà esserci, bisognerà capire a che costo. Va inoltre notato che a sostenere Manfredi ci sono personaggi che vengono dalla scuola dei Mastella, dei Berlusconi e altri pezzi vari di vecchia artiglieria che certo non sono rappresentativi dei settori più illuminati della città. L’ex rettore però rassicura, formerà un governo cittadino di tecnici, come se non bastasse già quello di Draghi… Dulcis in fundo, troviamo Antonio Bassolino, sostenuto da liste civiche e da Azione di Calenda, che abbiamo già conosciuto in veste di amministratore della città e della regione e il cui nome è indissolubilmente legato al disastro dell’emergenza rifiuti. Ci sono poi altre piccole liste come quella dei fuoriusciti dal Movimento 5 Stelle e quella dei no vax, ma in nessun caso si tratta di cose rilevanti.

A sinistra del Pd c’è una sola candidatura, quella di Alessandra Clemente (prima assessore alle politiche giovanili e poi alla polizia locale e sicurezza, lavori pubblici e patrimonio), sostenuta dalle liste di area De Magistris, dal Prc e da Potere al Popolo. La Clemente è la candidata sindaco che raccoglie i cocci di quello che resta di Dema. Sul suo nome si è rotto l’asse tra De Magistris e alcuni pezzi dei centri sociali napoletani, in primis quello con Insurgencia, entrato in giunta con assessori e presidenti di municipalità nel secondo mandato. Per amor di patria non entreremo nel dettaglio delle manovre politiche che riguardano i Disobbedienti ma si dica, en passant, che se c’era un’anomalia napoletana questa riguardava il posizionamento politico dei disobbedienti napoletani che, differentemente da quelli di altre città d’Italia, sono saliti sul carro del centro-sinistra solo quest’anno. O almeno ci hanno provato, e anche insistentemente, con alcuni appelli in cui pregavano l’entourage del Pd locale di accoglierli prima di essere definitivamente scaricati da Manfredi. Tra le liste a sostegno dell’ex rettore della Federico II ce ne sono alcune dove sono confluiti attivisti legati, più o meno indirettamente, alla galassia dei centri sociali, demagistriani della prima ora che hanno abbandonato la nave prima che affondasse.

Il programma politico della Clemente, fitto com’è di richiami generici alla città che può migliorare, è solo una pallidissima imitazione di quello che ha caratterizzato le campagne elettorali di De Magistris.

Con una propria lista ma a sostegno della Clemente come candidato sindaco c’è, come si diceva, anche Potere al Popolo. Queste elezioni sono in parte una novità anche per loro, non perché sia la prima volta che si candidano (!) ma perché decidono per la prima volta in Campania, dove hanno una base relativamente più forte che altrove, di sostenere un candidato non espressione del loro movimento, incentrando la propria campagna elettorale sull’opposizione alla restaurazione della vecchia politica. Dal nostro punto di vista la contrapposizione non è tra una vecchia politica contro una nuova, ma tra una proposta che è di classe, che guarda alle condizioni dei giovani e dei lavoratori e offre loro un’alternativa sociale, e una proposta che non lo è. Il bilancio dell’amministrazione De Magistris e la fine ingloriosa dell’anomalia napoletana dovrebbe servire anche a capire questo, ovvero che non basta mettere qualche giovane attivista in giunta o in consiglio comunale per risolvere il problema del controllo delle istituzioni.

Queste elezioni amministrative sono percepite come vuote proprio perché non tengono in debita considerazione gli sconvolgimenti sociali che si sono prodotti nell’ultimo anno e mezzo di pandemia. Non discute dell’aumento della povertà che è palese, né del futuro dei giovani a cui è stato tolto tutto. Questa desolazione ci mette di fronte ad una verità: la sinistra non esiste, e non esistono scorciatoie per crearla, meno che meno, oggi, per vie elettorali. La nostra urgenza è quella della costruzione di un partito che sia espressione delle contraddizioni che si sono aperte e che si approfondiranno anche in questa città, che sia riferimento dei lavoratori che subiscono le delocalizzazioni e le chiusure, dei giovani che lottano per il diritto allo studio, delle battaglie in difesa della sanità e del trasporto pubblico. Se De Magistris ha avuto un merito politico, anche se colmo di retorica, è quello di aver interpretato la voglia del riscatto. Ma, come abbiamo spiegato, questo merito si è dissolto nella sua incapacità di passare dalle parole ai fatti.

Con le prossime amministrative si aprirà in città una stagione diversa. La fine dell’esperienza di De Magistris ha come conseguenza diretta la rivitalizzazione del centro-sinistra, che da anni in città era in forte difficoltà. Un ritorno che avviene all’insegna del trasformismo e dell’assorbimento anche di pezzi della sinistra cittadina che erano all’ombra del sindaco. La coalizione della Clemente, con tutte le sue debolezze e contraddizioni, resiste a questa attrazione, posizionandosi al di fuori del centro sinistra. Dato il quadro, chi non vorrà votare i partiti che sostengono Draghi voterà per questa coalizione, chi vorrà esprimere un voto per una lista di sinistra lo farà attraverso Potere al Popolo. Diamo anche noi queste indicazioni, ben sapendo che mai come oggi votare non basta e proprio per questo invitiamo ad unirsi a noi nella costruzione dell’alternativa a questo sistema.

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