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24 Marzo 2022Il 24 marzo del 1999, 23 anni fa, la Nato lanciava una campagna di bombardamenti sulla Jugoslavia. Durarono 78 giorni e provocarono oltre 2mila morti e 12mila feriti.
Ripubblichiamo ampi estratti di un articolo di Alan Woods che, scritto pochi giorni dopo l’inizio delle ostilità, conserva tutta la sua validità ed è pieno di lezioni rispetto al conflitto attuale in Ucraina.
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Secondo la Nato si tratta di una missione strettamente umanitaria per aiutare e proteggere la popolazione albanese oppressa del Kosovo. Che toccante altruismo! La Nato dispensa il suo messaggio umanitario con missili Tomahawk e Cruise lanciati da navi lontane, e da bombardieri americani, coraggiosamente assecondati dagli Harriers britannici e dai Tornado tedeschi, che lasciano cadere i loro saluti agli jugoslavi. Ma i beneficiari di questo messaggio non sembrano essere completamente convinti dei suoi intenti umanitari.
È vero, i popoli di cui stiamo parlando sono serbi quindi, dal punto di vista della Nato, non abilitati ad essere oggetto di interessi umanitari. Il bombardamento, dovete capire, era per aiutare i kosovari e salvarli dall’aggressione serba.
Da quando in qua la Nato lotta per difendere le nazioni oppresse, si oppone alle dittature e sostiene il diritto delle nazioni all’autodeterminazione? Le forze Nato sono nei Balcani per difendere gli interessi dell’imperialismo e nient’altro. Abbiamo già spiegato le radici della crisi nei Balcani – non adesso, ma sette anni fa, all’inizio stesso del conflitto. Anche allora, lasciatecelo ricordare, c’erano quelli che difendevano lo smembramento della Jugoslavia invocando il diritto all’autodeterminazione per la Croazia e la Slovenia. La distruzione della Jugoslavia è stata un atto criminale contro l’interesse di tutte le popolazioni. E oggi i risultati parlano da soli. L’incubo della pulizia etnica, il massacro di massa e la divisione del corpo vivo della Jugoslavia tra bande rivali di assassini sciovinisti, ognuno più reazionario dell’altro – può esservi una minima giustificazione per tutto questo sulle basi della cosiddetta “autodeterminazione”?
Lenin sosteneva il diritto all’autodeterminazione come un diritto democratico. Ma non lo ha mai considerato come un diritto assoluto, indipendente dal tempo e dallo spazio, ma al contrario, diceva che era subordinato agli interessi generali del proletariato e della rivoluzione mondiale. In che modo il massacro e la pulizia etnica degli ultimi sette anni fanno avanzare la causa della classe operaia e del socialismo internazionale? Lo smembramento della Jugoslavia non ha avuto nemmeno un briciolo di contenuto progressista. Scagliando un popolo contro l’altro, risvegliando tutti i vecchi demoni dell’odio nazionale, ha riportato indietro la causa del socialismo e non ha fatto altro che peggiorare drammaticamente le condizioni della classe operaia di tutti gli stati coinvolti. Invocare il nome di Lenin per giustificare un tale crimine è ridicolo e scandaloso.
Gli albanesi del Kosovo sono stati brutalmente perseguitati. Quale persona normale non sarebbe scossa e disgustata alla vista di migliaia di civili spaventati e angosciati che fuggono dalle loro case, e dai loro villaggi in fiamme. Da parte dei lavoratori tale simpatia è sincera e onesta. Da parte degli imperialisti e della loro macchina propagandistica, le sofferenze delle masse servono solamente a giocare sulle emozioni e mobilitare l’opinione pubblica. Dietro alla “necessità di un fermo intervento”, si nascondono massacri di altri uomini, la tragedia di altri profughi, il tutto in nome della pace e dell’”intervento umanitario”.
Durante la guerra in Bosnia (1992-95), l’oppressione dei musulmani bosniaci era presentata come giustificazione per l’intervento imperialista. E’ vero che i musulmani bosniaci erano le principali vittime di quel conflitto (sebbene non le uniche). Ma esso era il risultato diretto dello smembramento della Yugoslavia nel quale l’imperialismo tedesco ha giocato un ruolo fatale. Secondo, nel movimento, le sabbie sleali dei conflitti nazionali possono trasformare abbastanza velocemente una nazionalità oppressa in un oppressore. E inoltre, cosa ha risolto l’intervento americano in Bosnia? Gli accordi di Dayton hanno portato a una divisione arbitraria della Bosnia che è ovviamente indifendibile. Nessuna delle parti in guerra è soddisfatta. Nel frattempo, gli americani hanno tranquillamente armato croati e musulmani. Il governo di Sarajevo è diventato un fantoccio degli americani. Ora il conflitto nel Kosovo mina i fragili accordi di Dayton, preparando una nuova fase di reciproci massacri tra popoli che in precedenza vivevano insieme in pace e armonia.
La spinta alla distruzione della Jugoslavia (lasciando da parte il ruolo disgustoso e criminale giocato dagli ex dirigenti stalinisti trasformatisi in sciovinisti serbi, croati, e sloveni) fu fornita dall’imperialismo tedesco. Dopo l’unificazione, la Germania ha riscoperto la vecchia politica del Drang nach Osten – la spinta verso est – e tenta di riprendere le vecchie colonie e sfere di influenza nell’Europa dell’est e nei Balcani, a partire dalla Slovenia e dalla Croazia.
Ma la posizione più utopistica è quella di chi chiede che sia l’Onu a risolvere il conflitto. In tutta la sua storia l’Onu non ha mai risolto alcun conflitto serio, limitandosi a dare una copertura “legale” agli interessi delle grandi potenze quando queste erano già d’accordo fra loro. Basti ricordare la guerra del Golfo e il successivo embargo criminale contro l’Iraq, che hanno causato centinaia di migliaia se non milioni di morti.
La Russia, che è la potenza che più si oppone all’espansione ad est dell’imperialismo americano, sta conducendo una politica per la ripresa delle trattative a tutti i costi. Anche la Francia, considerata la sua amicizia storica con la Serbia e suoi contrasti con gli Usa in altre parti del mondo (Medio oriente, Africa centrale), non è affatto entusiasta dell’avventura militare di Clinton. In queste condizioni il Consiglio di Sicurezza dell’Onu è ovviamente paralizzato.
Una volta di più si dimostra che i conflitti seri tra le nazioni sono sempre stati risolti con l’uso della forza. Per quanto spiacevole, è un fatto. Gli americani stanno usando gli “argomenti” più persuasivi contro Belgrado, sotto forma di missili. Questo è un fatto. Se i russi si renderanno conto che non riescono ad ottenere risultati concreti, saranno costretti a fornire ai serbi “argomenti” altrettanto convincenti – ammesso che non lo stiano già facendo. Questo avrà conseguenze molto gravi, sulle quali le Nazioni “Dis-Unite” non possono fare proprio nulla.
Le dichiarazioni pacifiste degli imperialisti americani non sono del tutto fasulle. Indubbiamente preferirebbero rimanere fuori dalla Jugoslavia – cioè, preferirebbero lasciare a qualcun’altro il compito di combattere al posto loro. Ma questo è un pio desiderio. Anche se Washington sarebbe felice di vedere i suoi alleati europei farsi carico del fardello dell’intervento in Jugoslavia (e questa è la ragione per cui ha spinto la Germania ad intervenire), sa perfettamente che dovrà fornire la maggior parte della potenza di fuoco. L’imperialismo statunitense sta cercando di terrorizzare i suoi nemici per costringerli a sottomettersi. Ma la storia dimostra che la sola potenza aerea non è mai stata sufficiente a vincere una guerra. Con i missili a lunga gittata è possibile distruggere aeroporti e campi militari. Tuttavia il problema del Kosovo è di dimensioni completamente diverse, qui non si tratta di obiettivi fissi ma di piccole unità mobili. Questo tipo di obiettivi non può essere distrutto dai mezzi messi in campo. Se la Nato è seria nelle sue affermazioni di voler difendere i kosovari contro l’esercito serbo, dovrà impegnare un numero rilevante di truppe di terra nella regione.
Gli americani sono perfettamente coscienti del fatto che truppe di terra non possono essere impiegate in Kosovo. Questo è un classico territorio da guerriglia. Inoltre l’esercito jugoslavo, che sta combattendo quella che considera una guerra difensiva, non sarà sconfitto facilmente. Pensano di poter dare una lezione a Milosevic, non perché sia un feroce dittatore (il boss croato Tudjman non è un dittatore di minor rilievo, e si è imbarcato in una pulizia etnica di serbi e croati musulmani, ma nessuno propone di bombardarlo). La ragione dell’attacco a Milosevic è che si rifiuta di fare quello che gli si chiede e minaccia di erodere la stabilità dei Balcani, a scapito degli interessi dell’imperialismo.
Tutti gli attori coinvolti nella questione del Kosovo hanno giocato un ruolo negativo. La crisi attuale ha la sua origine – come abbiamo già spiegato – nella revoca arbitraria dell’autonomia del Kosovo da parte di Slobodan Milosevic dieci anni fa. Questo ha sconvolto i delicati equilibri costruiti da Tito per impedire che una repubblica prendesse il sopravvento sulle altre, assumendo il controllo della Jugoslavia. Dall’altra parte i combattenti del cosiddetto Esercito di Liberazione del Kosovo (Uck), stanchi della politica moderata dei nazionalisti di Rugova, hanno iniziato una campagna di terrorismo individuale che, come avevamo previsto all’epoca, ha portato conseguenze disastrose. L’attuale conflitto conferma pienamente il nostro orientamento negativo verso il nazionalismo piccolo borghese e le sue relative tattiche di terrorismo individuale e di guerriglia. Ora i dirigenti dell’Uck, dopo aver portato il loro popolo ad un’impasse disastrosa, dalla quale non c’è alcuna via d’uscita, implorano Washington per essere salvati.
Sono diventati strumento dell’imperialismo americano. Per quanto tempo questa amicizia potrà durare è un’altra questione. Gli Usa non hanno interesse a un Kosovo indipendente. In un momento dato, tradiranno i kosovari, come hanno sempre tradito le piccole nazioni che si fidano dell’imperialismo. La storia dei Balcani è piena di simili esempi.
Gli Usa e la Gran Bretagna sono completamente indifferenti rispetto al destino dei kosovari, così come erano indifferenti rispetto al destino dei bosniaci. La loro vera preoccupazione è che il conflitto in Kosovo possa estendersi alla vicina Macedonia e che coinvolga l’Albania, la Bulgaria, la Grecia e la Turchia, uno scenario che vogliono impedire a tutti i costi. Con il pretesto di proteggere gli albanesi del Kosovo, stanno tentando di imporre la loro volontà su Belgrado. Ma non ci riusciranno.
Belgrado era pronta per questi attacchi da tempo e aveva disperso le sue forze in modo che la maggior parte degli obiettivi sarebbero stati vuoti. Gli attacchi alle installazioni militari serbe in nessun modo impediranno all’esercito jugoslavo di attaccare gli albanesi in Kosovo, dove infatti sta avanzando la sua offensiva. Inoltre gli attacchi aerei hanno portato all’espulsione dei giornalisti, fatto che ha reso più vulnerabili i kosovari alla repressione serba.
L’imperialismo Usa con il suo intervento nei Balcani ha dimostrato la sua colossale stupidità. Clinton e i suoi consiglieri sono dei volgari parvenu. Hanno una comprensione della politica superficiale e provinciale. Finché devono trarre i massimi benefici dalle loro posizioni di potere dimostrano anche un certo fiuto, o almeno una certa tenacia. Ma sulla scena più ampia della politica mondiale sono completamente spiazzati. Questo si vede nel loro accanimento sulla questione del Kosovo. Non comprendono la storia, i Balcani, né la guerra in generale. Hanno seminato vento e raccolgono tempesta. Gli strateghi più intelligenti del capitale si sono dichiarati contro l’intervento in Kosovo.
Milosevic è un tiranno che opprime non solo i kosovari, ma la sua stessa gente. Tuttavia il compito di rovesciare Slobodan Milosevic è della classe operaia Jugoslavia e di nessun altro.
L’idea che gli imperialisti possano giocare un qualche tipo di ruolo progressista in Kosovo è un’aberrazione e una bugia. È stato il culmine della stupidità da parte dell’Uck immaginare che avrebbero potuto conquistare l’indipendenza con l’aiuto di Washington. In realtà l’imperialismo statunitense considera i kosovari allo stesso modo in cui considera tutte le altre piccole nazioni, come moneta di scambio da usare nei propri affari diplomatici. Alla fine tradiranno i kosovari, perché non possono permettere al Kosovo di essere indipendente più di quanto non possa farlo Belgrado. Temono che un Kosovo indipendente si unirebbe all’Albania, e che questo a sua volta porterebbe alla rottura della Macedonia. Non a caso, gli Stati Uniti avevano truppe in Macedonia fin dall’inizio, come garanzia contro le ambizioni serbe. Avrebbero dovuto teoricamente ritirarsi l’anno scorso. Adesso hanno trovato una scusa per rafforzare massicciamente la loro presenza. In questo modo Washington spera di difendere la Macedonia, perché teme che la sua disintegrazione provocherebbe una guerra balcanica disastrosa, nella quale la Grecia e la Turchia (due membri della Nato) sarebbero su fronti contrapposti.
Paradossalmente le azioni degli imperialisti, che hanno come obiettivo principale prevenire la disintegrazione della Macedonia e l’esplodere di un conflitto più ampio, potrebbero portare a un risultato opposto. Ci sono notizie di nazionalisti serbi che attaccano i kosovari, bruciano villaggi, portano avanti esecuzioni sommarie e l’ordinaria barbarie della “pulizia etnica”. Il risultato è stato un esodo di massa di profughi. Molti di loro si stanno ammassando ai confini con la Macedonia. Se entrassero, destabilizzerebbero uno Stato dove c’è una consistente minoranza albanese (40% per cento della popolazione). Già ci sono state delle rivolte contro la Nato in Macedonia e in Bosnia. Nella misura in cui il conflitto esce dai confini, questi episodi si diffonderanno a macchia d’olio.
Anche in questa prima fase si sono aperte crepe fra gli alleati della Nato. L’uso dell’Italia come base per le operazioni militari Usa contro la Jugoslavia ha provocato proteste in Italia. D’Alema ha già iniziato a lamentarsi. La sua maggioranza è appesa a un filo. L’ipocrisia del governo ha raggiunto nuove vette: gli aerei italiani hanno partecipato ai combattimenti, mentre il Parlamento votava una mozione per la fine dell’intervento. Il governo greco, che ha già abbastanza problemi per il suo ruolo nella cattura di Ocalan, è ancora più infelice. La Grecia ha di fatto una alleanza di lunga data con la Serbia. Nella misura in cui il conflitto cresce, con perdite di civili più gravi, l’opposizione crescerà. Anche in Gran Bretagna e negli Usa non c’è un entusiasmo diffuso per la guerra. Non appena inizieranno a circolare le notizie sulle perdite, il sentimento di opposizione crescerà.
Dopo la seconda ondata di bombardamenti, il New York Times ha definito l’azione della Nato “Un salto nel buio”. Questo è senza dubbio corretto. In ultima analisi la campagna di bombardamenti fallirà. Fino a quando gli americani continueranno a bombardare? Per giorni? Per settimane? Ma il bombardamento dell’Iraq è andato avanti per anni senza portare al risultato desiderato. L’unica strada per sconfiggere Milosevic è l’impiego di truppe di terra. La presenza di una consistente forza Nato in Macedonia in una situazione così esplosiva pone il pericolo che questa presenza possa essere risucchiata in un conflitto militare, dai risultati incerti. Clinton non vuole essere coinvolto in una guerra di terra ma è inciampato in un campo minato senza avere un piano chiaro né una prospettiva. Sta “scivolando verso il disastro ad occhi chiusi”. Se l’America fosse costretta a ritirarsi senza neppure una concessione di facciata, sarebbe un colpo umiliante per il suo prestigio. Anche se qualche tipo di compromesso fosse abborracciato sotto le pressioni della Russia questo non risolverebbe nulla: dopo un breve periodo, le ostilità riprenderebbero. La possibilità di una qualche forma di accordo negoziato è ancora più lontana di prima del coinvolgimento della Nato. Da entrambe le parti si sono intensificati il fanatismo e il risentimento.
La barbara campagna di bombardamento contro la Jugoslavia è l’ultima espressione di un nuovo periodo di convulsioni su scala mondiale. Dieci anni fa parlavano del nuovo ordine mondiale. Oggi vediamo la realtà di un nuovo Disordine Mondiale. Dopo il crollo dell’Unione sovietica gli Stati Uniti sono emersi come unica superpotenza mondiale. Mai nella storia del mondo una tale potenza militare ed economica è stata concentrata nelle mani di un singolo paese. In questo mezzo secolo l’America ha sostituito la Gran Bretagna nel ruolo di gendarme mondiale. La Gran Bretagna è riuscita ad arricchirsi come risultato del suo dominio sul mondo, mentre il ruolo mondiale dell’America, in questa epoca di decadenza del capitalismo, erode la sua ricchezza e la trascina in continui conflitti. Se gli Stati Uniti fossero costretti ad impiegare truppe di terra in Jugoslavia, si ritroverebbero intrappolati per anni, come in Vietnam. Un simile sviluppo avrebbe conseguenze esplosive, non da ultimo negli Usa stessi.
Il Kosovo non è il Ruanda. È parte dell’Europa. Si può volare lì dall’Italia in un ora. Oggi la ex-Jugoslavia è in rovina. Il suo popolo è stato schiacciato. Questa è una delle più chiare dimostrazioni dell’impossibilità di risolvere la questione nazionale sulla base del capitalismo. Questo pone una minaccia mortale a tutta l’Europa. Cento anni fa Kropotkin disse che “la guerra è la condizione normale dell’Europa”. Questo era vero. Solo durante il periodo eccezionale della crescita capitalista del 1948-1974 la minaccia della guerra sembrava essere stata ricacciata nel lontano passato. Oggi la crisi mondiale sta approdando sui lidi dell’Europa. Gli incubi del passato – guerra, odi nazionali, genocidio, campi di concentramento – sono ricomparsi, non solo in Africa centrale, ma nel mezzo di un popolo civilizzato dell’Europa. Questo è un cupo avvertimento al proletariato europeo di quello che può succedere se la classe operaia non mette fine al dominio mostruoso del capitale.
La maschera della civiltà è molto più sottile di quanto non si possa supporre. Marx aveva predetto che c’erano solo due alternative di fronte all’umanità: socialismo o barbarie. Sulla strada del nazionalismo solo la seconda alternativa è possibile. Solo combattendo capitalismo e imperialismo per la trasformazione socialista della società sarà possibile evitare questo orrore. Coloro i quali abbandonano un punto di vista di classe sulla questione nazionale inevitabilmente cadranno in una posizione reazionaria. Durante la prima guerra dei Balcani, prima del 1914, Lenin e Trotskij, non appoggiavano nessuna delle parti in guerra, nonostante, almeno nelle prime fasi si potesse sostenere che fosse presente un certo contenuto progressista nella lotta dei popoli slavi contro il dominio turco. La posizione dei marxisti era quella di battersi per la federazione democratica dei Balcani, come unica soluzione per le popolazioni balcaniche. Oggi questa politica rivoluzionaria e internazionalista conserva tutta la sua forza, con un emendamento importante. Oggi l’unica strada per risolvere i problemi dei Balcani è la federazione socialista dei Balcani, come parte importante della lotta per gli Stati Uniti Socialisti d’Europa e in ultima analisi per una federazione socialista mondiale.
30 marzo 1999