Macron – Un altro burattino dei padroni
11 Maggio 2017Rivoluzione n° 32
11 Maggio 2017La seconda e ultima parte dello scritto del 2008 in cui Alan Woods analizza uno degli avvenimenti più importanti del dopoguerra, il grande movimento rivoluzionario che sconvolse la Francia nel Maggio del 1968.
di Alan Woods
Un intervento dell’esercito?
Gli avvenimenti erano arrivati ad un punto tale che il problema non poteva più essere risolto attraverso i soliti mezzi parlamentari. Cosa bisognava fare? L’intervento dell’ esercito era una delle opzioni prese in considerazione da De Gaulle fin dall’inizio dello sciopero generale. Nelle fasi iniziali dello sciopero, erano stati elaborati progetti per arrestare e mettere in prigione più di 20mila attivisti di sinistra nello stadio del ghiaccio, dove sarebbero andati incontro ad un destino simile a quello dei loro omologhi cileni cinque anni dopo.
Tuttavia il piano non venne mai messo in pratica. Questi progetti del governo francese sono simili a quelli di ogni classe dominante nel corso della storia, quando deve affrontare una situazione rivoluzionaria. Il governo dello zar Nicola (che veniva chiamato “il sanguinario”) non era privo di piani di emergenza prima del febbraio 1917. Ma che tali piani possano effettivamente essere messi in pratica è una questione completamente diversa, come lo zar Nicola scoprì a proprie spese. Comunque, quello che è decisivo in una rivoluzione non sono i progetti del regime ma i rapporti di forza effettivi nella società. De Gaulle era un borghese abbastanza scaltro, ed era ben consapevole di quello che stava realmente accadendo (anche se, come vedremo, in un primo momento lo aveva sottovalutato, commettendo di conseguenza un errore molto grave. Allo stesso modo di tanti altri, non si aspettava che la classe operaia francese si sarebbe mobilitata).
De Gaulle si spinse fino al limite, si sporse verso l’abisso e si tirò indietro. Spaventato dall’ampiezza del movimento, il Generale era profondamente pessimista. Era convinto che i leader comunisti avrebbero preso il potere. Numerosi testimoni confermano che De Gaulle era afflitto e demoralizzato, ed in almeno due occasioni pensò a lasciare il Paese. Suo figlio lo spingeva a scappare passando per Brest, e altre fonti affermano che prese in considerazione di rimanere in Germania Occidentale, dove era andato per incontrare il generale Masseu. De Gaulle era un politico astuto e calcolatore che non agiva mai d’impulso, e raramente perdeva le staffe. Se disse all’ambasciatore degli USA che “il gioco è finito, e tra pochi giorni i comunisti saranno al potere”, era perché ci credeva. E E questo non era solo il suo pensiero, ma anche quello della maggioranza della classe dominante.
Sulla carta De Gaulle aveva a disposizione un apparato repressivo formidabile. C’ erano circa 144mila poliziotti (armati) delle varie categorie, compresi 13mila e 500 agenti delle CRS (la celere), e circa 261mila soldati erano di stanza in Francia o nella Germania Occidentale. Se uno affronta il problema da un punto di vista meramente quantitativo, dovrebbe scartare non solo una trasformazione pacifica, ma la possibilità di una rivoluzione in generale, e non solo nella Francia del 1968. Da questo punto di vista, nessuna rivoluzione sarebbe stata vittoriosa nel corso della storia. Ma la questione non può essere posta in questo modo.
In ogni rivoluzione si levano voci che tentano di spaventare la classe oppressa con lo spettro della violenza, di spargimenti di sangue e dell’ “inevitabilità della guerra civile”. Kamenev e Zinoviev parlavano esattamente allo stesso modo alla vigilia della Rivoluzione d’ Ottobre. Heinz Dietrich e i riformisti in Venezuela usano le stesse argomentazioni nel loro tentativo di far frenare la rivoluzione venezuelana.
I nemici dell’ insurrezione nelle fila dello stesso Partito Bolscevico trovavano, comunque, terreno sufficiente per conclusioni pessimistiche. Zinoviev e Kamenev avvertivano contro la possibile sottovalutazione delle forze nemiche:
“Pietrogrado decide, ma a Pietrogrado il nemico dispone di forze considerevoli: cinquemila junkers perfettamente armati e in grado di battersi, più uno stato maggiore, più i battaglioni d’assalto, più i Cosacchi, più una notevole parte della guarnigione, più postazioni di artiglieria molto consistenti, disposte a ventaglio intorno a Pietrogrado. Inoltre, con l’aiuto del Comitato esecutivo centrale, gli avversari cercheranno quasi certamente di far giungere truppe dal fronte…”.
Trotskij rispose alle obiezioni di Kamenev e Zinoviev nel modo seguente:
“Questa elencazione è imponente, ma è solo un’elencazione. Se, in genere l’esercito è un riflesso della società, quando si verifica una scissione aperta, i due eserciti che ne derivano sono un riflesso dei due campi contrapposti. E l’esercito dei possidenti recava in sé il tarlo dell’isolamento e della disgregazione.” (L. Trotskij, Storia della Rivoluzione Russa, Ediz. Sugarco, p. 668).
In preda al panico, De Gaulle all’improvviso scomparve. Si recò in Germania dove fece segretamente visita al Generale Masseu, l’ uomo che comandava le truppe francesi di stanza nel Baden-Wurttenberg. Il contenuto preciso di queste conversazioni non fu mai rivelato, ma non ci vuole troppa immaginazione per capire cosa gli chiese: “Possiamo fare affidamento sull’ esercito?”. La risposta non si trova in nessun documento scritto, per ovvie ragioni. Comunque, il Times spedì un proprio corrispondente in Germania per intervistare i soldati francesi, la maggior parte dei quali erano giovani della classe operaia che adempivano al servizio di leva. Uno di quelli intervistati dal Times rispose così alla domanda se avrebbe sparato ai lavoratori: “Mai! Penso che i loro metodi possano sembrare un po’ bruschi, ma sono anch’io figlio di un lavoratore”.
Nel suo editoriale, il Times fece la domanda cruciale: “De Gaulle può usare l’esercito?” e si rispose da solo, affermando che avrebbe potuto usarlo una volta. In altre parole, un solo scontro cruento sarebbe stato sufficiente per mandare in pezzi l’ esercito. Questa era la valutazione dei più accordi strateghi del capitale internazionale all’epoca. Non c’è motivo di mettere in dubbio il loro parere.
La crisi dello Stato
Il 13 maggio una sezione del sindacato di polizia dichiarò che:
“… l’ affermazione del Primo Ministro è un riconoscimento del fatto che gli studenti avevano ragione, viene del tutto sconfessato il comportamento delle forze di polizia che il governo stesso aveva ordinato. In queste circostanze, (De Gaulle) si meraviglia che un effettivo dialogo con gli studenti non sia stato cercato prima che questi spiacevoli confronti abbiano avuto luogo” (Le Monde, 15 maggio 1968).
Se questa era la situazione all’interno della polizia, l’ effetto della rivoluzione fra le fila dell’esercito sarebbe stato ancora più grande. Nonostante la carenza di informazione, si racconta di un fermento nelle forze armate, e perfino di un ammutinamento nella Marina. L’aereo Clemenceau, che doveva andare nel Pacifico per un test nucleare, improvvisamente cambiò rotta e torno indietro a Tolone senza spiegazione. Si parlò di un ammutinamento a bordo e numerosi marinai affermano di aver completamente perso il senso dell’ orientamento. (Le canard enchainé, 19 giugno, un resoconto più completo venne pubblicato su Action del 14 giugno ma fu censurato dalle autorità).
Secondo il celebre aforismo di Mao “il potere nasce dalla canna di un fucile”. Ma i fucili devono essere usati dai soldati, ed i soldati non vivono nel vuoto, ma sono influenzati dagli stati d’ animo delle masse. In qualunque società la polizia è più arretrata dell’ esercito. Tuttavia in Francia la polizia, per citare i titoli del Times (31 maggio) “ribolliva di malumore”.
“Sono totalmente insoddisfatti per il trattamento loro riservato dal governo” recita l’ articolo “ed il settore che si occupa delle mobilitazioni studentesche ha deliberatamente privato il governo di informazioni riguardanti i leader degli studenti a fronte di una richiesta di risarcimento delle spese sostenute non corrisposta”.
“…Né la polizia è stata ben impressionata dal comportamento del governo dopo che i disordini sono cominciati. ‘Temono di perdere il loro appoggio’ ha detto un intervistato.
Tanta insoddisfazione è una delle ragioni dell’apparente inattività della polizia parigina negli ultimi giorni. La scorsa settimana uomini di servizio in diverse caserme locali si sono rifiutati di entrare svolgere la propria attività agli incroci e nelle piazze della capitale” (il Times del 31 maggio 1968).
Un volantino pubblicato dai membri del RIMECA (un reggimento di fanti meccanizzati) di stanza a Mutzig vicino Strasburgo sottolinea che settori dell’ esercito venivano influenzati dallo stato d’animo delle masse. Contiene il seguente passaggio:
“Come tutti i soldati di leva siamo costretti a stare nelle caserme. Siamo preparati per intervenire come forze della repressione. I lavoratori ed i giovani devono sapere che i soldati del (nostro, NdT) battaglione NON APRIRANNO MAI IL FUOCO CONTRO I LAVORATORI. Noi Comitati d’ Azione ci opponiamo strenuamente all’accerchiamento delle fabbriche da parte dei soldati.
Domani o dopodomani siamo chiamati a circondare una fabbrica di armi che i lavoratori vogliono occupare. DOBBIAMO FRATERNIZZARE.
Soldati del contingente, formate i vostri comitati!” (Citato in Revolutionary rehearsals, p. 26).
La produzione di un tale volantino era chiaramente un fantastico esempio dei settori più rivoluzionari fra i soldati di leva. Tuttavia, nel mezzo di una rivoluzione di tali massicce proporzioni, è possibile mettere in dubbio che i soldati semplici sarebbero stati rapidamente infettati dal bacillo della rivolta? Gli strateghi del capitale internazionale non hanno avuto dubbi in proposito. Non ne ebbero nemmeno i loro omologhi francesi.
Chi salvò De Gaulle?
Non furono né l’ esercito né la polizia (così demoralizzati che perfino il servizio informativo speciale, come abbiamo visto, rifiutava di collaborare con il governo contro gli studenti) che salvò la situazione per il capitalismo francese. Fu la condotta degli stalinisti e dei leader dei sindacati. Questa conclusione non è solo nostra, ma trova sostegno nella fonte più improbabile. Nell’introduzione all’edizione del 1968 dell’Enciclopedia Britannica, leggiamo quanto segue:
“De Gaulle sembrava incapace di affrontare la crisi o perfino di capirne l’origine. I comunisti e i leader sindacali, comunque, gli diedero uno spazio per respirare; si opposero ad ulteriori sollevazioni, evidentemente temendo che i loro militanti avrebbero appoggiato gli elementi più estremisti ed anarchici”.
Messo all’angolo, il Primo Ministro George Pompidou era d’accordo nel trattare con tutti. Quando la classe dominante rischia di perdere tutto quello che possiede, sarà sempre pronta a fare concessioni sostanziali. Per far sì che i lavoratori lasciassero le fabbriche, fecero di tutto per offrire ai leader sindacali delle concessioni che andavano ben al di là di quello che questi ultimi avevano richiesto nel periodo precedente: sarebbe stato aumentato il salario minimo, ridotto l’ orario di lavoro, abbassata l’ età pensionabile, e reintrodotto il diritto di organizzarsi. In un tentativo di calmare gli studenti, Pompidou accettò le dimissioni del ministro dell’istruzione.
Sia il governo che i leader sindacali erano preoccupati per la vastità del movimento ed erano decisi a fermarlo. Il 27 maggio venne raggiunto un accordo fra i sindacati, le associazioni degli imprenditori ed il governo. Ma per i leader sindacali era un compito molto duro far accettare l’accordo ai lavoratori. Nonostante queste enormi concessioni, i lavoratori alla Renault e in altre grandi fabbriche rifiutarono di tornare al lavoro. Mi trovavo a Parigi durante questi eventi convulsi e ricordo che insieme a molte altre persone ero in un bar di Parigi a guardare alla televisione una riunione di massa all’interno dell’enorme fabbrica della Renault, dov’erano raccolti moltissimi lavoratori, alcuni seduti sulle gru e sui cavalletti, per ascoltare George Sègui – segretario generale della CGT – leggere ad alta voce la lista di quello che i padroni stavano offrendo: consistenti aumenti salariali, pensioni, la riduzione degli orari di lavoro e così via. Ma nel mezzo del suo discorso fu sommerso dai cori dei lavoratori: “Governo del popolo! Governo del popolo!”. Mi ricordo che non portò a termine il discorso.
In questa fase i lavoratori avevano sviluppato il senso del proprio potere. Avevano capito che avevano il coltello dalla parte del manico e non volevano cederlo. Alle 17:00, 30mila fra studenti e lavoratori marciarono da Gobelins fino allo stadio di Charlety, dove organizzarono un incontro cui partecipò Pierre Mendès – France (esponente del partito Radicale, primo ministro tra il 1954 e il ‘55, poi passato al partito socialista negli anni sessanta, ndt) . Una manifestazione convocata dalla CGT portò oltre mezzo milione di lavoratori e studenti per le strade di Parigi. Ancora una volta l’obiettivo del sindacato e del partito comunista fu quello di fornire una valvola di sfogo al movimento, il cui controllo stava sfuggendo loro dalle mani.
L’iniziativa passa alla reazione
In una trasmissione radiofonica del 30 maggio, il Presidente De Gaulle proclamò lo scioglimento del Parlamento ed annunciò le elezioni si sarebbero svolte nei tempi previsti. George Pompidou sarebbe rimasto Primo Ministro. Fece anche allusione al fatto che si sarebbe fatto uso della forza per mantenere l’ordine, se necessario. Questo messaggio era destinato ai leader del sindacato e del Partito Comunista. Offriva loro l’allettante possibilità delle elezioni e futuri incarichi di ministro nei governi borghesi, ed al tempo stesso ammoniva che la borghesia non avrebbe ceduto il potere senza combattere.
Ci fu un rimpasto di governo e vennero annunciate elezioni per il 23 e 30 giugno. Nel frattempo De Gaulle tentò di mobilitare le proprie forze al di fuori del Parlamento. Alcune decine di migliaia di sostenitori del governo fecero un corteo da Place de la Concorde fino all’Etoile. Manifestazioni analoghe di sostegno al governo si svolsero un po’ in tutta la Francia. Ma un’occhiata veloce alle fotografie comparse sui giornali rivelavano subito la vera natura di queste manifestazioni: ex-sindaci con addosso la fascia tricolore, panciuti cittadini di mezza età, anziani pensionati, ed altre malconce cianfrusaglie della società.
Il semplice confronto tra queste immagini e la manifestazione di massa del proletariato di alcuni giorni prima era sufficiente per chiarire il vero rapporto di forza fra le classi. Tutto quello che era vivo, forte e vibrante nella società francese era dalla parte della rivoluzione, mentre tutto quello che era vecchio, morto e decadente stava dall’altra parte della barricata. Una bella spinta sarebbe stata sufficiente per far cadere tutto. Tutto quello di cui c’era bisogno era dare il colpo di grazia finale. Ma non venne mai sferrato. La mano forte del proletariato che deteneva il potere vacillò e cadde.
La classe lavoratrice non può rimanere sempre in uno stato di fibrillazione. Non può essere accesa e spenta come si fa con una lampadina. Nel momento in cui la classe si mobilita per cambiare la società, deve andare fino in fondo se non vuole perdere. Succede lo stesso in ogni sciopero. All’inizio i lavoratori sono entusiasti e vogliono partecipare a tutte le riunioni. Sono pronti a lottare e a fare sacrifici. Ma se lo sciopero si trascina senza vedere una via d’uscita, lo stato d’animo cambierà. Iniziando da gli elementi più deboli, si diffonderà la stanchezza. La partecipazione alle riunioni andrà calando e i lavoratori torneranno al lavoro.
I leader sindacali fecero un uso accorto delle concessioni loro date frettolosamente dai capitalisti, allo stesso modo in cui un uomo disperato getta la scialuppa da una nave che affonda. Il salario minimo venne alzato a tre franchi all’ora, i salari furono aumentati e ci furono altri miglioramenti. In assenza di qualunque altra prospettiva, molti lavoratori accettarono quello che i dirigenti sindacali presentavano come una vittoria. Il martedì, dopo il fine settimana di vacanza all’inizio di giugno, molti scioperi terminarono ed le maestranze tornarono al lavoro.
Il 1968 è stata una rivoluzione
Che cos’è una rivoluzione? Trotskij spiega che una rivoluzione è una situazione nella quale la massa, composta da uomini e donne solitamente apatici, inizia a partecipare attivamente alla vita della società, quando prendono coscienza della loro forza e si mobilitano per prendere il proprio destino nelle proprie mani. Questo è proprio l’essenza di una rivoluzione. Ed è quanto accaduto in Francia su vastissima scala nel 1968.
I lavoratori francesi hanno mostrato i muscoli, e sono diventati coscienti del grande potere nelle loro mani. In questa occasione vediamo l’enorme potere della classe lavoratrice nella società moderna: nessuna lampadina si accende, nessuna ruota gira e nessun telefono suona se i lavoratori non vogliono. Il maggio 1968 è stato la risposta finale a tutti i codardi e gli scettici che mettono in dubbio la capacità del proletariato di cambiare la società.
Il rapporto di forza tra le classi si esprimeva in questo contesto, non come un dato astratto meramente potenziale o una statistica, ma come un potere effettivo nelle strade e nelle fabbriche. In realtà il potere era nelle mani dei lavoratori, ma loro non lo sapevano. Tuttavia come ogni altro esercito la classe operaia ha bisogno di una direzione. E questa mancava nel maggio 1968. Coloro che avrebbero dovuto assolvere a questo compito – i dirigenti delle organizzazioni di massa della classe operaia, i sindacati ed il partito comunista – non contemplavano la possibilità di prendere il potere. La loro unica preoccupazione era di far finire lo sciopero il più velocemente possibile, riconsegnare il potere alla borghesia e ritornare alla “normalità”.
Uno sciopero generale è diverso da uno sciopero “normale” perché solleva il problema del potere. La posta in gioco non è questo o quell’aumento salariale ma chi deve governare la società. Nel vivo della lotta di quei giorni del maggio 1968 la coscienza dei lavoratori si sviluppò ad una velocità vertiginosa. Arrivarono a capire che questo non è uno sciopero qualunque per richieste economiche ma qualcosa di più grande. Divennero coscienti del potere nelle loro mani ed videro la debolezza di chi si riteneva rappresentasse il potere dello Stato. Tutto quello che occorreva era eleggere delegati in ogni luogo di lavoro e collegare i comitati di sciopero in ogni città e regione, culminando nella formazione di un comitato nazionale, che avrebbe preso il potere, buttando nel bidone della spazzatura il vecchio potere statale.
Ma niente di questo venne fatto, e l’enorme potenziale rivoluzionario del movimento fu dissipato, proprio come il vapore si disperde aria a meno che non venga concentrato in un pistone. Alla fine, i lavoratori ritornarono al lavoro e la classe dominante concentrò nuovamente il potere nelle proprie mani. Quando iniziò il riflusso del movimento, lo Stato iniziò iniziò a vendicarsi. Ci furono episodi violenti, in particolare l’11 giugno quando i feriti furono 400, 1500 gli arrestati ed un manifestante fu colpito dagli spari e morì a Montbèliard. Il giorno seguente, le manifestazioni vennero proibite in Francia. Il giorno dopo gli studenti furono cacciati dall’Odeon e due giorni dopo dalla Sorbona.
Ebbe quindi inizio le persecuzioni. Alla radio statale ed in tv – la ORTF – 102 giornalisti vennero licenziati per le attività svolte durante la rivoluzione. La polizia venne inviata nelle università di Nanterre e della Sorbona per controllare i tesserini degli studenti e non fece marcia indietro prima del 19 dicembre. Un pacchetto di misure di austerità venne approvato dal parlamento il 28 novembre. Lo stato che non aveva esitato a picchiare selvaggiamente gli studenti e gli scioperanti e adesso mostrava clemenza verso i fascisti e i membri del gruppo terroristico di estrema destra OAS. Mentre Cohn Bendit veniva espulso dalla Francia, a George Bidault veniva concesso di farvi ritorno e Raoul Salan usciva di prigione.
I riformisti e i leader stalinisti furono puniti per la loro codardia quando non ebbero ministeriali gli incarichi nei quali ardentemente speravano. La campagna elettorale cominciò il 10 giugno. Al primo turno elettorale la federazione dei partiti di sinistra e i comunisti persero consensi. Al secondo turno la settimana successiva, i partiti della destra ottennero una maggioranza schiacciante. La sinistra perse 61 seggi e i comunisti 39. Pierre Mendés-France non fu rieletto a Grenoble. Il partito comunista, che nel 1968 era il principale partito della classe lavoratrice francese, iniziò il declino e fu alla fine superato dal partito socialista il quale, con solo il 4% dei voti, sembrava spacciato. Il sindacato di matrice comunista, la CGT, perse consensi a scapito della CFDT, che tenne una posizione più combattiva nel 1968.
Il meraviglioso movimento dei lavoratori francesi finì così per essere sconfitto. Ma le tradizioni del Maggio 1968 rimangono nella coscienza dei lavoratori della Francia e del mondo intero. Oggi, dopo un lungo periodo di boom economico, il sistema capitalista sta di nuovo entrando in una crisi nella quale tutte le contraddizioni che si sono andate andate accumulando negli ultimi 20 anni verranno alla ribalta. Grandi scontri fra le classi sono all’ordine del giorno in tutta Europa.
Non abbiamo tempo da sprecare per quei piccoli borghesi ex-rivoluzionari che parlano del 1968 in termini nostalgici e sentimentali come se fosse un episodio storico antico senza implicazioni concrete per il mondo in cui viviamo oggi. Prima o poi gli eventi del 1968 ricompariranno su una scala ancora più vasta. Quale Paese è il candidato più probabile per questo scenario? Potrà essere forse la Francia, ma potrebbe trattarsi anche dell’ Italia, della Grecia, del Portogallo, della Spagna o qualunque altro Paese, non solo in Europa. Desideriamo con forza tutto questo e ci stiamo lavorando. Facciamo ogni sforzo per preparare l’avanguardia perché quando ci sarà la prossima occasione rivoluzionaria sia quella buona. Ed in occasione di questo glorioso anniversario proletario diciamo: La Rivoluzione è morta. Lunga vita alla Rivoluzione!
Londra, 2 maggio 2008