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La rivoluzione catalana e i compiti della sinistra

 di Lucha de Clases1

Lo Stato spagnolo vorrebbe apparire come il vincitore della battaglia ingaggiata contro l’indipendentismo catalano, ma il tratto più importante di quanto successo in questi due mesi è lo sviluppo del più grande movimento di disobbedienza civile in Spagna degli ultimi 40 anni. Questo movimento è stato costruito da milioni di persone comuni e da una serie di correnti politiche, ha avuto caratteristiche rivoluzionarie e ha tenuto in scacco il regime del ’782 e il suo apparato ereditato dal franchismo. Le lezioni da apprendere da questo conflitto, tutt’altro che concluso, sono preziose e aiuteranno la formazione di una coscienza rivoluzionaria nelle nuove generazioni, non solo in Catalogna ma in tutta la Spagna.

L’arresto dei 7 membri del Govern de la Generalitat e l’ordine di cattura contro quelli che si trovano in Belgio dimostrano la furia e il rancore dello Stato spagnolo contro chi ha osato esercitare il diritto democratico all’autodeterminazione. I suoi rappresentanti politici diretti del PP e di Ciudadanos, ma anche la direzione socialista che si è dimostrata per l’ennesima volta una diramazione dell’establishment, hanno applaudito questi provvedimenti.

Nonostante tutto la situazione resta fluida e foriera di cambiamenti bruschi e repentini, come dimostra la nuova ondata di mobilitazioni dopo l’arresto dei 7 membri del governo. Per domani mercoledì 8 novembre sono convocati scioperi e manifestazioni in tutta la Catalogna. Negli ultimi giorni i Comitati di Difesa della Repubblica (CDR) hanno bloccato strade e organizzato proteste. E’ ancora sospeso anche il destino di Puigdemont, rifugiatosi al momento in Belgio. In effetti, di fronte alle esitazioni della direzione del “Processo”, è stato l’intervento esplosivo delle masse in risposta alla repressione dello Stato (il 20 settembre, il 1° e il 3 di ottobre) a spingere in avanti la mobilitazione.

L’impotenza della direzione di Unidos Podemos

L’atteggiamento tenuto dai dirigenti di Unidos Podemos nel corso degli avvenimenti è stato scandaloso. Malgrado la difesa formale del diritto all’autodeterminazione, non hanno appoggiato il referendum del 1° ottobre. Quando lo stato spagnolo ha dimostrato di essere disposto ad andare fino in fondo per schiacciare qualunque tentativo di esercitare questo diritto democratico, i compagni dirigenti di IU, Podemos e de losComunes3 (con rare eccezioni), hanno messo sullo stesso piano la repressione statale e il referendum catalano (“né 1554 né DUI5”, “entrambi sono irresponsabili”). Di fronte alla repressione statale sono rimasti su posizioni astratte di opposizione a “tutti i nazionalismi”, equiparando il nazionalismo reazionario spagnolo di tradizione franchista che schiaccia i diritti democratici della Catalogna al nazionalismo democratico catalano che vuole poter esercitare questi diritti e aspira a una forma repubblicana di governo. Invece di schierarsi apertamente nel campo della difesa dei diritti democratici e contro il regime del ’78, si sono in realtà ritrovati nel campo dell’ “unità della Spagna”.

Per qualche ragione Alberto Garzón ha voluto mantenere questa posizione fino ai limiti del grottesco, non riconoscendo lo status di prigionieri politici ai membri del Govern e ai due Jordi6 – ancora detenuti – facendo paragoni fuori luogo e contrapponendoli ai perseguitati dal franchismo, quelli sì “autentici” prigionieri politici. Non è un caso che i media di destra abbiano fatto molta pubblicità a dichiarazioni tanto irresponsabili, di cui beneficiano solo il regime e la sua politica repressiva.

Il compagno Garzón è orgoglioso della sua proposta alternativa: “una repubblica federale e plurinazionale sancita da un referendum condiviso”, valida per tutta la Spagna. Molto bene compagno Garzón, puoi diffondere la tua proposta dove e come vuoi e magari vincere anche le elezioni con la maggioranza assoluta, ma cosa farai quando l’apparato statale e la stessa borghesia mostreranno i muscoli per schiacciare queste tue aspirazioni? Quando il Tribunale Costituzionale o il Tribunale Supremo dichiareranno illegali le tue iniziative? E quando l’IBEX357 inizierà una campagna di terrorismo economico minacciando la fuga delle imprese all’estero? O quando il re denuncerà in televisione tutto ciò come una pazzia, ordinando alle forze dell’ordine e ai militari di obbedire al capo dello stato, cioè a lui? Alla fine o ti sottometterai o dovrai seguire l’esempio valoroso del popolo catalano, che ha seguito il proprio istinto e la propria volontà, disobbedendo a leggi ingiuste e a tribunali che nessuno ha eletto e che rappresentano solo la volontà dei potenti.

In realtà il conflitto catalano ha dimostrato soprattutto la necessità impellente di organizzare una corrente marxista e rivoluzionaria di massa nel movimento, in grado di opporre un’alternativa alle stupidaggini sostenute dai dirigenti della sinistra e al loro disorientamento politico in questo periodo convulso.

I limiti dei dirigenti del Govern

In ogni caso lo Stato ha potuto, per il momento, imporre l’applicazione dell’articolo 155 e delle sue misure reazionarie malgrado il rifiuto popolare e di massa in Catalogna. Dopo la proclamazione della Repubblica, il 27 ottobre, c’erano le condizioni per lo sviluppo di un movimento di resistenza di massa che sfidasse apertamente il colpo di stato rappresentato dall’applicazione dell’articolo 155.

I lavoratori di TV3, di Catalunya Radio e degli altri media della Generalitat, avevano annunciato che avrebbero disobbedito a qualunque direttiva imposta. Lo stesso vale per il sindacato maggioritario nel settore dell’insegnamento pubblico, USTEC-STEs; anche il CATAC, il sindacato più importante nella funzione pubblica, si era rifiutato di accettare l’art. 155.
Nel momento della verità, quando la base indipendentista aspettava un segnale o un appello all’azione dopo l’annuncio di Rajoy, nulla è arrivato dai dirigenti che, in pratica e salvo alcuni deboli lamenti, hanno accettato con fatalismo la decisione dello Stato e si sono subito dimostrati disposti a partecipare alle elezioni anticipate catalane indette da Rajoy per il 21 dicembre. Il Govern non ha fatto nulla per rendere effettiva la proclamazione della Repubblica catalana.

Tutta l’attività dei dirigenti del Govern dal 3 ottobre in poi si è basata su una strategia fallimentare che, invece di appoggiarsi sul movimento di massa nelle strade, ha cercato di arrivare a una mediazione internazionale affinché il governo spagnolo si sedesse a negoziare. La proclamazione formale della Repubblica catalana, programmata inizialmente per il 3-4 ottobre, sospesa fino al 10 (per dare tempo ai negoziati) è stata rinviata fino al 27, tra innumerevoli intoppi. Alla vigilia c’è stato anche un tentativo fallito di tradire apertamente il movimento, nel momento in cui Puigdemont ha insinuato che si potessero tenere elezioni senza la proclamazione della repubblica.

I fatti hanno dimostrato come la massima aspirazione dei dirigenti di PDeCAT ed ERC8 fosse una proclamazione simbolica della repubblica e dell’indipendenza catalana attendendosi fatalmente l’intervento dello stato centrale sull’autonomia.

Le dichiarazioni di Santi Vila (il consigliere che si è dimesso dopo la dichiarazione d’indipendenza) sono particolarmente rivelatrici. In un’intervista a RAC1ha spiegato di non aver fatto nulla per preparare le strutture di uno stato indipendente, non credendo che questo potesse davvero crearsi. Non si tratta di un caso isolato. In realtà il Govern ha deciso di fare una dichiarazione puramente formale perché, dal suo punto di vista, non si poteva andare oltre. La base del movimento si chiede, con ragione, dove fossero le “strutture di Stato” che presumibilmente si stavano costruendo da tempo.

Ciò che è certo è che tutti i passi del Govern (la convocazione del referendum, la sospensione della proclamazione della repubblica, ecc…) dovevano servire ad ottenere un appoggio internazionale che forzasse un negoziato con lo Stato spagnolo, con cui invece la UE si è allineata compatta, come era prevedibile e come avevamo detto.

Nelle dichiarazioni rilasciate a Bruxelles martedì scorso, Puigdemont ha sottolineato che l’alternativa alla proclamazione simbolica della repubblica sarebbe stata una forma di resistenza che avrebbe portato un’ondata di brutale repressione contro i funzionari pubblici. Parole che dimostrano la totale mancanza di fiducia nella capacità del movimento di massa di combattere e resistere alla repressione (che senza dubbio ci sarebbe stata). Infatti fonti giornalistiche hanno riferito che il Govern avrebbe voluto sospendere il referendum al mezzogiorno del 1° ottobre di fronte alla brutale repressione statale. La gente, che ha difeso urne e seggi elettorali, ha invece tenuto duro assicurando la magnifica partecipazione di oltre due milioni di persone, pur in condizioni molto difficili.

I responsabili di questa politica ondivaga e incoerente sono in primo luogo il PDeCAT (soprattutto i settori più direttamente legati alla borghesia catalana, come Santi Vila) ma anche ERC, che si è totalmente accodata al PDeCAT, senza esprimere mai alcuna critica né proposta alternativa.

Per noi di Lucha de Clases-Corrente Marxista Internazionale questo sviluppo non è stato sorprendente. Abbiamo segnalato più volte nei nostri articoli l’incapacità della media e piccola borghesia nazionalista di porsi alla testa di una lotta effettiva per la liberazione nazionale, per due ragioni: l’incapacità di attrarre a sé la maggioranza significativa della classe operaia catalana e la mancanza della determinazione necessaria ad organizzare una lotta di massa conseguente per l’indipendenza. Questa mancanza di determinazione dipende a sua volta dalla paura di uno scontro frontale con lo Stato spagnolo e dal timore che le masse potessero scavalcare la borghesia catalana medio-grande imponendo le proprie rivendicazioni anche contro di essa. Da qui i continui appelli alla protesta “pacifica”, a “non cadere nelle provocazioni”, per non perdere il controllo della mobilitazione sociale facendola scorrere in canali sicuri.

I Comitati di Difesa della Repubblica

Oltre al movimento ufficiale diretto da PDeCAT, ERC e Asamblea Nacional Catalana, ce n’è stato uno anche dal basso, sfociato nei Comitati di Difesa del Referendum che ora hanno cambiato nome e sono diventati Comitati di Difesa della Repubblica (CDR). Attualmente ne esistono più di 170 in tutta la Catalogna, con migliaia di attivisti, nei quali la CUP9 gioca un ruolo importante, fuori dal controllo delle direzioni di PDeCAT e ERC. I CDR sono stati messi ai margini e visti con sfiducia dai dirigenti ufficiali del movimento fin dalla prima ora, arrivando fino al boicottaggio e all’ appello a non partecipare a nessuna delle loro azioni. Ma questi comitati hanno acquisito una propria dinamica e, sebbene sarebbe esagerato considerarli come un movimento di massa in questo momento, raggruppano gli attivisti più avanzati, l’avanguardia del movimento e potrebbero diventare, se il conflitto s’inasprisse, potenti organi direttivi della lotta in tutta la Catalogna e embrioni di potere operaio nei quartieri e nelle città.

La lotta per il diritto all’autodeterminazione della Catalogna è un brillante esempio della posizione difesa da Leon Trotsky nella sua “teoria della rivoluzione permanente” secondo cui, in epoca imperialistica e nei paesi deboli e arretrati, gli obiettivi democratico-nazionali necessari possono essere raggiunti solamente con metodi rivoluzionari sotto la direzione della classe lavoratrice. La borghesia spagnola e il suo apparato statale sono troppo reazionari per concedere questo diritto al popolo catalano. La borghesia catalana, in questo conflitto, si è allineata alla sua gemella di Madrid mentre la piccola borghesia catalana ha dimostrato i suoi limiti nel condurre la lotta fino alla fine. Tocca quindi alla classe operaia catalana mettersi alla testa del movimento.

Come conquistare in maniera decisiva la classe operaia?

L’elemento più importante dell’equazione è quindi la classe operaia, sia quella spagnola che quella catalana. Senza l’ appoggio chiaro e maggioritario della classe operaia catalana è impossibile ottenere una repubblica indipendente in Catalogna e conquistare l’appoggio, la simpatia o almeno una benevola neutralità da parte della classe operaia spagnola alla causa del popolo catalano risulta vitale per indebolire la reazione spagnolista e il regime sul loro stesso terreno. Ciò significa che meno nazionalista sarà l’approccio del movimento indipendentista nei confronti della classe operaia catalana e spagnola, più probabilità avrà questo di attrarla a sé, e al contrario, più nazionalista sarà, maggiori difficoltà avrà di collegarsi ad essa, rendendo più facile il lavoro del nazionalismo reazionario spagnolo che punta a dividere la classe lavoratrice stessa.

Senza dubbio la classe operaia catalana è divisa sul tema dell’indipendenza. Un settore, più esteso tra gli impiegati pubblici e le fasce precarizzate, soprattutto la gioventù operaia, si allinea in maggioranza con l’idea della repubblica. Invece il settore dove predominano lavoratori provenienti da regioni di lingua castigliana, vale a dire le fasce più tradizionali del movimento operaio delle grandi fabbriche della cintura rossa di Barcellona, di Vallès, BaixLlobregat e Tarragona, guardano con sfiducia e incertezza al Processo per varie ragioni, non necessariamente comuni a tutti né con gli stessipresupposti: la presenza del PDeCAT, di cui non si fidano a causa del suo opportunismo politico e del suo carattere borghese; l’impatto della campagna di terrorismo economico dispiegata dalla classe dominante; la conseguente incertezza sul destino di posti di lavoro e pensioni e sulla sostenibilità economica di una Catalogna indipendente; nonché il sentimento di appartenenza al resto della Spagna.

Certamente una delle debolezze che abbiamo riscontrato nel campo indipendentista dopo il 1° ottobre è la mancanza di un discorso, di un appello chiaro rivolto alla classe lavoratrice spagnola, alle sue organizzazioni e alla sinistra in generale, per ottenerne appoggio e solidarietà e perché si uniscano alla lotta per mettere fine al regime del ’78 e alla monarchia in tutto lo Stato. Ciò aiuterebbe il settore della classe operaia catalana più riluttante nei confronti del Processo, a guardarlo con altri occhi, a considerare i propri sforzi per una propria repubblica in Catalogna come un aiuto e uno stimolo per i fratelli di classe nel resto della Spagna a intraprendere lo stesso cammino; darebbe inoltre una possibilità a entrambi i processi, in Catalogna e in tutta la Spagna, di fondersi a un certo punto, in modo da rendere possibile il trionfo contro il nemico comune e praticabile la proclamazione di una repubblica democratica, avanzata socialmente, o in maniera indipendente sulle due rive dell’Ebro10 o con la forma di una confederazione. Inoltre l’appello alla solidarietà della classe operaia spagnola contribuirebbe a combattere lo sciovinismo spagnolista e la deprecabile campagna anti-catalana dei media borghesi fuori dalla Catalogna.

Il PDeCAT non farà mai propria questa tattica. E’ impossibile mobilitare la classe operaia senza un programma sociale avanzato, che il PDeCAT non adotterà mai, anche perché è organicamente diffidente verso i movimenti di massa e verso la classe operaia in particolare. Ritiene come unica via di uscita un accordo (impossibile) con lo Stato spagnolo, ed è quindi assai improbabile che faccia appello alla popolazione perché gli si sollevi contro.

La CUP e la sinistra rivoluzionaria catalana

La CUP è l’organizzazione più adatta, nel campo indipendentista, a portare avanti una politica come quella che abbiamo suggerito. Una delle sue principali correnti, Endavant, si proclama marxista e lotta per una repubblica catalana socialista. I compagni della CUP, fin dal principio, hanno avuto una politica diversa nei confronti del movimento, sostenendo che “senza disobbedienza non c’è indipendenza” e dando fortemente impulso alla creazione dei CDR. Tuttavia nei momenti chiave, e particolarmente nella settimana del 27 ottobre e dopo la proclamazione della repubblica, non hanno proposto un chiaro orientamento alternativo alla politica del Govern. Invece di combattere per conquistare la direzione del movimento o di travolgere il Govern dal basso, i compagni e le compagne dirigenti della CUP si sono limitati a fare pressione sul governo dall’alto.

Le radici di questa organizzazione nella classe operaia e nei sindacati sono poco profonde, per il momento, ed esiste una corrente, Poble Lliure(Popolo Libero), che sostiene una politica a tappe verso il movimento: prima, in alleanza con settori della borghesia nazionalista, ottenere l’indipendenza, poi rompere per lottare per il socialismo.

E’ necessario quindi che si apra un dibattito approfondito all’interno della sinistra rivoluzionaria catalana sulla tattica e la strategia da adottare.
L’unico modo per riuscire ad attrarre massicciamente la classe operaia in Catalogna verso la prospettiva della repubblica consiste innanzitutto nel dare alla lotta un programma socialista, che includa la nazionalizzazione di banche e grandi imprese sotto il controllo democratico dei lavoratori, e in secondo luogo nel collegare la lotta per la repubblica socialista catalana all’estensione del processo rivoluzionario nel resto del Paese. Tutto ciò, oltre ad assestare un colpo quasi decisivo alla reazione spagnolista e monarchica, consentirà di vincere le ultime resistenze di quei lavoratori catalani che si considerano di sinistra e combattivi, ma che non vogliono perdere i vincoli affettivi, familiari o di appartenenza con il resto della Spagna, affinché si uniscano alla lotta comune del resto della classe operaia e del popolo catalano.

L’esperienza renderà più chiaro il cammino. All’interno della sinistra che vuole un cambiamento rivoluzionario in Catalogna si vede una convergenza politica crescente tra la CUP, soprattutto la corrente di Endavant, il settore di Podem vicino a Albano Dante11 e altre componenti della sinistra catalana come Procés Constituient. Questa convergenza potrebbe far sventolare una bandiera nitidamente di sinistra, socialista e rivoluzionaria che, appoggiandosi al movimento di massa dei CDR ed estendendo la sua influenza nella classe lavoratrice cominciando dalla gioventù operaia, potrebbe essere in grado di conquistare la direzione del movimento a scapito della sua ala piccolo borghese, raggiungendo anche un settore, soprattutto giovanile, di ERC che potrebbe spostarsi a sinistra. La prima prova saranno le elezioni del 21 dicembre. Sicuramente la popolazione catalana parteciperà in massa per dare una spallata al regime spagnolo. La sinistra catalana combattiva non dovrebbe sciogliersi in un fronte anonimo ma mostrare il suo volto e il suo programma presentando una propria lista, perché questo avrebbe un forte impatto.

Sono necessari inoltre un appello chiaro e insistente alla classe operaia spagnola e alle sue organizzazioni per sostenere la lotta dei prossimi mesi contro la politica repressiva e autoritaria del governo centrale in Catalogna, a salvaguardia di ciò che ci riserverà il 21 dicembre. Ci sarebbero tutte le condizioni allora per un avanzamento significativo della sinistra rivoluzionaria e socialista nel movimento indipendentista purché l’atteggiamento con cui ci si orienta alla classe operaia catalana e spagnola in generale non sia improntato al nazionalismo ma all’internazionalismo e al socialismo. Questa sarà la chiave della vittoria, il modo in cui devono essere concepite la rivoluzione catalana e la lotta per la repubblica socialista di Catalogna, come il detonatore della rivoluzione socialista iberica, l’anticamera della rivoluzione socialista europea.

I compiti della sinistra spagnola

Da parte sua la sinistra spagnola e la sua ala rivoluzionaria non devono farsi intimidire dalla sguaiata reazione spagnolista che, malgrado tutto, ha un carattere superficiale e, più arrogante e franchista si dimostra, più velocemente scatenerà un movimento di massa in direzione contraria.

In articoli precedenti abbiamo già spiegato la nostra posizione nei confronti di Podemos e del suo atteggiamento nei confronti della Catalogna. Sollecitiamo tutti i compagni di Unidos Podemos, la sua periferia e la sinistra spagnola in generale, a difendere instancabilmente il diritto democratico del popolo catalano a formare uno stato indipendente e a combattere qualunque misura repressiva contro la Catalogna, mobilitando le proprie forze per denunciarlo e, se possibile, impedirlo. Allo stesso tempo è necessario proporre un programma socialista, repubblicano e rivoluzionario. Il fulcro dell’agitazione deve consistere nel mostrare la connessione tra il regime marcio del ’78 – con la sua corruzione, le sue ingiustizie, la deriva franchista e autoritaria del suo apparato statale e della monarchia – e il sistema capitalista stesso, al servizio delle 200 famiglie oligarchiche che controllano le 100 più importanti imprese del paese e l’80% della ricchezza nazionale.

6 novembre 2017

 

Note

1.Sezione spagnola della Tendenza Marxista Internazionale

2.Il sistema politico monarchico sorto in Spagna dopo la morte del dittatore Francisco Franco, basato su un compromesso tra il vecchio apparato franchista e i dirigenti socialisti e comunisti dell’opposizione.

3.Nuova formazione politica nata la primavera scorsa e guidata dalla sindaca di Barcellona, Ada Colau.

4.L’articolo 155 della Costituzione spagnola prevede la possibilità per il governo centrale di revocare i poteri delle Comunità Autonome.

5.Dichiarazione unilaterale d’indipendenza.

6.Jordi Sanchez e Jordi Cuixart, leader rispettivamente dell’Asamblea Nacional Catalana e di Omnium, due delle principali organizzazioni indipendentiste.

7.Indice della Borsa di Madrid.

8.I due partiti nazionalisti al governo della Generalitat.

9.Candidatura d’Unitat Popular, forza politica catalana indipendentista di sinistra.

10.Fiume che, per una parte del suo corso, segna idealmente il confine tra la Catalogna e il resto della Spagna.

11.Leader di Podemos in Catalogna, entrato in conflitto con la direzione nazionale di Pablo Iglesias proprio sulla questione dell’indipendenza catalana.

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