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La rivoluzione afgana di Saur del 1978: cosa ha ottenuto, come è stata sconfitta

di Adnan Khan

 

Oggi nei mass media borghesi le notizie sull’Afghanistan riguardano solamente il fondamentalismo islamico, la jihad, i signori della guerra e i cartelli della droga. Sebbene questi mali siano una triste realtà della vita nell’Afghanistan odierno, non è sempre stato così. Quaranta anni fa una rivoluzione era quasi riuscita a far uscire il paese dalla sua arretratezza, nella quale venne però rigettato a seguito di una controrivoluzione fondamentalista sostenuta dall’imperialismo. Per comprendere l’attuale situazione in Medio Oriente, così come la crescita delle forze reazionarie, è necessario analizzare l’ascesa e la caduta della rivoluzione di Saur1 in Afghanistan nel  1978.

Il contesto storico

L’Afghanistan è un paese importante dal punto di vista geografico. Come osservò Engels: “La posizione geografica dell’Afghanistan e la particolare natura del suo popolo conferiscono al paese una rilevanza politica che, nell’ambito degli affari dell’Asia centrale, non sarà mai troppo sottolineata.2 Il paese connette l’Asia centrale con il Sud del continente e la sua posizione geografica ha giocato un ruolo molto importante nella politica della regione, il che è vero anche al giorno d’oggi. Nel ventesimo secolo il paese era una zona cuscinetto tra l’India britannica e la Russia zarista. I britannici provarono ad occuparlo, ma non riuscirono a riportare un successo completo. Ciononostante, attraverso l’India britannica, riuscirono a occupare parte della regione del Pashtun e a portarla sotto il loro controllo. Più tardi la ferita provocata da questa divisione avrebbe avuto conseguenze significative e sarebbe stata usata dagli Stati Uniti e dal Pakistan per contrastare la rivoluzione e mantenere il controllo del paese.

All’inizio del ventesimo secolo, Re Amanullah – un’anti imperialista ispirato da Mustafa Kemal Ataturk in Turchia – provò a modernizzare l’Afghanistan, ma senza successo.

Amānullāh Khān con il primo presidente turco, Mustafa Kemal Atatürk ad Ankara, (1928).

Come Trotskij sottolineò sulla situazione a quel tempo: “C’è un’altra nazione nell’Est che oggi merita una menzione speciale. Questa è l’Afghanistan. Si stanno verificando eventi drammatici in quel luogo e dietro questi eventi c’è la mano dell’imperialismo britannico. L’Afghanistan è un paese sottosviluppato. L’Afghanistan sta facendo i primi passi per ‘europeizzarsi’ e per garantire la propria indipendenza su basi culturali più avanzate. Gli elementi nazionalisti progressisti dell’Afghanistan sono al potere e quindi la diplomazia britannica mobilita e arma tutto ciò che è in qualsiasi modo reazionario, sia all’interno del paese che ai suoi confini con l’India, e lo scaglia contro gli elementi progressisti a Kabul. Partendo dai decreti con cui in Germania non solo la borghesia, ma anche le autorità social-democratiche hanno bandito la manifestazione del Primo Maggio, passando attraverso gli eventi in Cina e in Afghanistan, possiamo vedere ovunque i partiti della Seconda Internazionale dietro l’opera di repressione e oppressione. Perché, sapete, l’assalto su Kabul organizzato con risorse britanniche, ha avuto luogo durante il governo del pacifista MacDonald.3

Al di là dell’aggressione imperialista, il fallimento di Amanullah nel modernizzare l’Afghanistan fu dovuto all’assenza di una borghesia nazionale, quella classe che ha portato avanti la rivoluzione industriale in Europa e fondato gli Stati nazione. Al tempo della rivoluzione del 1978, l’Afghanistan era circondato da paesi come Unione Sovietica, Iran, Cina e Pakistan, che successivamente parteciparono attivamente alla rivoluzione e alla controrivoluzione in Afghanistan.

L’Afghanistan e la rivoluzione coloniale

In diverse parti del mondo, incluso il confinante Pakistan, il 1968 fu un anno di movimenti di massa e di proteste. L’Afghanistan non fu un’eccezione. Nel corso dell’anno ci fu ondata di scioperi tra gli studenti e i lavoratori. Le rivendicazioni studentesche comprendevano la riforma dell’istruzione e dei programmi scolastici, proteste contro i criteri di ammissione, etc. Le rivendicazioni dei lavoratori comprendevano aumenti salariali, migliori condizioni lavorative, ferie, riduzione della giornata di lavoro e assistenza sanitaria.

Il rinomato storico dell’Afghanistan Louise Dupree descrisse la situazione con queste parole: “Il sostegno occasionale degli studenti  a volte persino dagli studenti delle medie – ai lavoratori in sciopero, ha colto di sorpresa molti a Kabul.

Il livello di coscienza tra gli studenti era alto: “In alcune classi gli studenti spesso rifiutavano di ascoltare le vedute anti-marxiste, e si era creata un’atmosfera per cui ben pochi insegnanti potevano parlare in termini favorevoli di qualsiasi cosa  relativa all’Occidente.

La rivoluzione è contagiosa e Dupree lo ammette dicendo: “Il livello attuale delle comunicazioni incoraggia il risveglio globale delle proteste di studenti e lavoratori. La notizia di un arresto a Berkeley, o di una sommossa a Columbia, o di studenti e lavoratori sulle barricate a Parigi fa il giro del mondo in poche ore – e ogni città e molti villaggi in Afghanistan hanno il loro numero di radio a transistor. Le agitazioni studentesche in Afghanistan possono essere viste come una parte ed un’estensione della protesta generale degli studenti a livello mondiale.”

I ragionamenti sugli effetti delle sollevazioni dei lavoratori in tutto il mondo sono veri, ma dietro a tutto ciò c’era anche il lavoro organizzato del PDPA (Partito democratico popolare dell’Afghanistan), la cui strategia prevedeva un lavoro politico tra gli operai.

Marx non si concentrò molto sui problemi della rivoluzione nei paesi coloniali perché prevedeva che la rivoluzione si sarebbe verificata prima nei paesi industrialmente avanzati e in effetti ai suoi tempi l’Europa era il centro della rivoluzione mondiale.

Nei paesi coloniali ed ex coloniali non è possibile progredire sulle basi delle vecchie relazioni sociali. In tutti questi paesi i problemi di una rivoluzione nazionale democratica, della rivoluzione agraria, della liquidazione dei residui feudali e semi-feudali non possono essere risolti sulla base delle classiche rivoluzioni borghesi, come quella francese del 1789. La borghesia dei paesi coloniali si è sviluppata troppo tardi, in una situazione dove le relazioni capitalistiche dominavano già il mondo. Per questa ragione non è stata in grado di giocare alcun ruolo progressista, come quello svolto dalla borghesia occidentale nello sviluppo di una società capitalista nei propri paesi centinaia di anni prima.

La borghesia nei paesi coloniali è troppo debole e le sue risorse sono troppo limitate per competere con le economie industriali dell’Occidente capitalista. In sintesi migliaia di fili la legano da una parte alla vecchia società e dall’altra all’imperialismo, rendendola una a forza conservatrice. Di conseguenza la storia ha posto sulle spalle del proletariato sia i compiti della rivoluzione democratico-nazionale contro i residui feudali sia quelli di una rivoluzione socialista contro la borghesia.

La marcescenza delle relazioni sociali, la debolezza relativa dell’imperialismo, la potente crescita dell’industria e la stabilizzazione della Cina nel dopoguerra portarono a grandi sconvolgimenti sociali e a vere e proprie rivoluzioni nei paesi coloniali. Ma a causa della degenerazione stalinista della rivoluzione russa e della deformazione stalinista della rivoluzione cinese fin dal suo inizio – nonostante le conquiste di queste due rivoluzioni – a sua volta la rivoluzione nei paesi coloniali iniziò con anguste prospettive nazionali e con deformazioni fondamentali fin dal principio. Questo fu il contesto della rivoluzione afgana, che determinò pure il suo fallimento e la vittoria della controrivoluzione, come spiegheremo di seguito.

Il PDPA

Il Partito democratico popolare dell’Afghanistan venne fondato il primo di gennaio del 1965 nella casa del suo leader Nur Mohammad Taraki.

Nur Mohammad Taraki

L’obiettivo del partito venne descritto con queste parole: “Noi sappiamo che stiamo combattendo per certe classi sociali contro altre classi e che costruiremo un società sulla base di principi sociali, nell’interesse dei lavoratori e senza sfruttamento individuale.4

Ma poco tempo dopo la sua fondazione, nel 1967,il partito subì una scissione, principalmente in merito alla questione dell’opposizione al re. Si formarono due gruppi principali, che prendevano il nome dai loro rispettivi giornali  e – sebbene entrambi seguissero le linee teoriche dell’Unione Sovietica – avevano un orientamento differente. Da una parte il Parcham (La bandiera) era più orientato verso il nazionalismo. Aveva la propria base tra la  classe media delle città e il suo lavoro era concentrato soprattutto nelle forze armate. Dall’altra la fazione Khalq (Il popolo) era impostata su linee di classe e la sua base si trovava nella classe lavoratrice urbana e tra i contadini.

Esiste un mito popolare, persino tra la sinistra, secondo cui  il PDPA non aveva alcuna base di massa. Ma gli storici afgani più seri non condividono questa posizione e ritengono invece che il PDPA avesse un supporto di massa persino nella parte rurale del paese. A parte questo, è dimostrato come il PDPA abbia organizzato con successo circoli di studio anche nella regione Pashtun al di là del confine in Pakistan.

La rivoluzione

Nel 1973 Daud – un cugino del re e un Pashtun per orientamento politico – arrivò al potere attraverso una congiura di palazzo, con il supporto attivo del gruppo Parcham e dell’esercito, e pose ufficialmente fine alla monarchia. Daud aveva stretti legami con l’Unione Sovietica.

Sardar Mohammad Daud Khan con Leonid Brezhnev, Segretario Generale del C.C. del P.C.U.S.

All’inizio del regime di Daud, i comunisti potevano svolgere liberamente la loro attività politica. Ma dopo la sua riunificazione nel 1977 il PDPA, con la sua crescente influenza tra la burocrazia civile e militare, diventò una minaccia per il regime.

Il 18 aprile del 1978 il sindacalista e leader del gruppo Parcham, Mir Akbar Khyber, venne misteriosamente assassinato. Migliaia di persone parteciparono al suo funerale a Kabul. La morte e il funerale di Mir Akbar Khyber rappresentarono un avvertimento per il regime e si sviluppò una battaglia per la vita o per la morte tra il regime e il PDPA. Dieci giorni dopo, il 28 aprile 1978, il PDPA prese il potere con un colpo di stato, questa volta guidato dalla fazione Khalq.

È interessante notare che nessuna delle fazioni del PDPA avesse alcuna prospettiva particolare né si aspettasse alcuna rivoluzione nel futuro prossimo dell’Afghanistan. Si può dire lo stesso dell’Unione Sovietica. La rivoluzione fu una sorpresa per la burocrazia sovietica e fu provocata dalla soppressione del PDPA da parte del regime di Daud. Diventò una semplice questione di sopravvivenza per il PDPA. Dopo l’assassinio di Mir Akbar Khyber, la purga contro i comunisti si andò intensificando. Il regime arrestò diversi membri del partito, tra cui il suo principale dirigente Nur Mohammad Taraki alla mezzanotte del 26 aprile. Questa fu una mossa fatale per il regime di Daud.

La mattina dopo il PDPA cominciò un’azione pianificata in precedenza, concepita precisamente per fronteggiare simili eventi. Circa 250 carri armati e veicoli corazzati presero parte al golpe e ufficiali, che erano membri del partito, presero il comando sia delle forze terrestri che di quelle aeree. Il leader del partito arrestato venne rilasciato dalla prigione e portato in trionfo. Alle 17.30 il potere era nelle mani dei ribelli. Radio Kabul, così come gli aeroporti di Bigram e Kabul, erano sotto il loro controllo. Quella stessa sera annunciarono la vittoria della rivoluzione a Radio Kabul.

Kabul, 29 Aprile 1978, il giorno successivo alla rivoluzione di Saur.

La rivoluzione di Saur (dal nome del mese del calendario afgano in cui la rivoluzione ebbe luogo) in Afghanistan non fu come la rivoluzione russa dei bolscevichi nell’ottobre del 1917, dove il potere fu preso da un’insurrezione di massa, condotta da lavoratori e contadini guidati da Lenin e Trotskij. Per caratterizzare il fenomeno visto in Afghanistan, il marxista britannico Ted Grant sviluppò il termine di “bonapartismo proletario”. Si tratta di una situazione in cui il latifondismo e il capitalismo sono stati aboliti e le principali leve dell’economia sono state nazionalizzate, ma il potere non è nelle mani dei lavoratori ed invece è tenuto da una dittatura militare, poliziesca e monopartitica.

Ted Grant descrisse il colpo di Stato in questo modo:

Il golpe è stato fatto precipitare dai tentativi di Daud di sopprimere tutte le opposizioni. Il regime rovesciato era un regime guidato da un unico partito feudale-burocratico. La piccola classe operaia del paese non aveva organizzazioni sindacali. Se la rivoluzione avesse preso una forma sana sulla base di un movimento delle masse stesse, i risultati sarebbero stati molto differenti da quanto vediamo accadere oggi in Afghanistan. Il colpo di Stato dell’aprile del 1978 si è basato su un movimento dell’élite dell’esercito, degli intellettuali e degli strati superiori del ceto medio professionale delle città. Hanno organizzato il colpo di Stato in primo luogo come misura preventiva contro i tentativi in atto di sterminare loro e le loro famiglie. Hanno agito per la loro autoconservazione, ma anche con l’idea di portare l’Afghanistan nel mondo moderno”.

Trovatisi al potere dopo il collasso del precedente regime ormai marcio, gli ufficiali, dovendo fronteggiare l’opposizione delle forze imperialiste e delle classi feudali, poterono trovare appoggio solo tra la piccola classe operaia e le masse lavoratrici impoverite. Trovarono un modello adatto nell’Unione Sovietica, che aveva un’economia pianificata ma che, convenientemente per i leader militari, aveva un sistema politico totalitario e gerarchico.

La lotta per l’emancipazione dell’Afghanistan

Il PDPA ereditò un paese in condizioni terribili. I problemi sociali erano enormi e profondi. L’Afghanistan era uno dei paesi più poveri del mondo. Al tempo della rivoluzione la popolazione del paese era di circa 15,1 milioni, di cui solo il 14% viveva in centri urbani. I restanti 13 milioni vivevano in aree rurali e 1,5 milioni di contadini erano nomadi. L’analfabetismo era incredibilmente alto, colpendo il 95% della popolazione. Un paese senza sbocchi sul mare, con una superficie totale di 650 mila chilometri quadrati, di cui solo il 12% era coltivabile e il 60% delle terre coltivabili era lasciato incolto ogni anno in parte per mancanza di acqua e in parte per l’inefficienza e l’arretratezza del sistema feudale prevalente nelle campagne. Tutto questo rappresentava una condanna senza appello per l’imperialismo e le classi feudali che avevano dominato il paese fino ad allora.

Il governo del PDPA stimò che il 45% delle terre coltivabili era nelle mani di un 5% di proprietari terrieri. I contadini e gli allevatori vivevano in condizioni miserabili sotto il fardello di pesanti debiti, contratti principalmente nei confronti dei latifondisti e dei grandi proprietari terrieri.

La campagna era socialmente arretrata, con codici di condotta tribali mischiati a una forma distorta di Islam. Socialmente ed economicamente il clero era debole e proveniva dagli strati più bassi della società. Le infrastrutture materiali erano quasi assenti. Il fatto che nel 1978 non un solo villaggio avesse elettricità rivela le disastrose condizioni delle infrastrutture. In termini di sanità, istruzione, comunicazione e delle altre infrastrutture sociali e materiali, l’Afghanistan era uno dei paesi più arretrati al mondo.

La base industriale era debole e la produzione manifatturiera era solo il 17% del PIL, potendo così soddisfare solo il 10-15% della domanda interna di zucchero, prodotti tessili, calzature, ecc. Il proletariato industriale ammontava in tutto a 40-50 mila operai, concentrati in quattro o cinque centri urbani. Il maggiore centro urbano e industriale era la capitale, Kabul.

La metà della forza lavoro era impiegata in fabbriche con più di mille operai. Sebbene i sindacati fossero illegali, durante l’ondata di scioperi del 1968-69 le fabbriche più grandi parteciparono agli scioperi, il che dimostra il carattere militante del movimento. Nonostante le immense difficoltà che aveva di fronte dopo la presa del potere, il regime del PDPA era comunque determinato a cambiare il destino del paese e subito dopo il suo insediamento iniziò una serie di riforme radicali.

Il primo atto importante fu la nazionalizzazione dell’industria. Questa politica mostrò nel giro di pochi anni i suoi risultati in termini di produzione industriale. Per esempio se nel 1978 il settore manifatturiero e minerario contribuivano solo al 3,3% del PIL, nel 1983 questa quota aveva raggiunto il 10%.

Il decreto numero 6 abolì i debiti dei contadini nei confronti dei contadini ricchi e dei latifondisti, levando un peso enorme che aveva schiacciato i contadini poveri per secoli.

Il decreto numero 7 introdusse una riforma del matrimonio. La più significativa fu l’abolizione della “dote”, una pratica sociale vecchia di secoli. Questo decreto introdusse anche un limite minimo di età per esprimere il consenso al matrimonio.

La terra venne distribuita e vennero introdotte fattorie collettive. Furono imposti limiti alla proprietà della terra. Queste furono riforme estremamente importanti in termini di giustizia sociale ed economica, ma ancor di più dal punto di vista dell’incremento della produzione agricola. Dopo il primo anno al potere si calcola che 822.500 acri erano stati distribuiti a 132 mila famiglie. La distribuzione dell’acqua, che in precedenza era responsabilità di singoli individui o famiglie, venne posto sotto il controllo dello Stato attraverso il ministero dell’agricoltura.

Riforme simili furono introdotte per sradicare l’analfabetismo. Una misura significativa in questo campo fu la nazionalizzazione delle tipografie, che fu importante per aumentare la disponibilità di materiale didattico, ma che rese anche possibile realizzare testi d’insegnamento nelle lingue delle minoranze nazionali parlate a livello regionale.

Fu introdotta l’uguaglianza dei diritti per le donne, così come il congedo di maternità retribuito. Riforme come queste erano senza precedenti nell’intera regione. L’introduzione di un’economia pianificata mostrò presto i suoi formidabili risultati in diverse sfere dell’economia. Per esempio, nei cinque anni antecedenti al 1983, vennero costruite cento nuove fabbriche. In termini di infrastrutture ci fu un aumento dell’84% dei posti letto negli ospedali e del 45% nel numero dei medici. Il potere e i privilegi delle classi possidenti furono colpiti gravemente e gli interessi dell’imperialismo minacciati.

La contro rivoluzione

Il capitalismo è un unico sistema economico interconnesso a livello globale. Perciò una minaccia al capitalismo sebbene in un paese piccolo ed economicamente molto arretrato era inaccettabile per gli strateghi capitalisti. Il primo anno dopo la rivoluzione andò relativamente bene. E’ tuttavia sbagliata l’idea secondo cui l’imperialismo statunitense intervenne in Afghanistan solamente dopo l’invasione dell’Unione Sovietica. In realtà gli Stati Uniti iniziarono ad attuare una loro strategia per contrastare la rivoluzione molto prima dell’intervento sovietico. Quando il loro intervento era già in corso, gli strateghi dell’imperialismo americano erano convinti che l’Unione Sovietica non sarebbe intervenuta. Durante la primavera del 1979 l’imperialismo americano iniziò a mobilitare il suo apparato reazionario. La CIA inviò al presidente Jimmy Carter una prima proposta confidenziale per sostenere la controrivoluzione in Afghanistan già nel marzo del 1979.

Jimmy Carter in una foto del luglio 1979.

Gli americani contattarono l’Arabia Saudita e il Pakistan per coordinare una strategia per la controrivoluzione. I dollari e il liberalismo del mondo occidentale, assieme allo wahabismo dell’Arabia Saudita, supportati strategicamente dal dittatore militare pakistano, il generale Zia ul Haq, formarono un’alleanza tutt’altro che sacra contro la rivoluzione.

Il Generale Zia-ul-Haq dà il benvenuto al Presidente Daud all’aeroporto di Islamabad il 5 marzo 1978.

Quell’estate l’amministrazione Carter autorizzò alla CIA la spesa di 500mila dollari per questa campagna. Man mano che il tempo passava tutti i paesi capitalisti più importanti contribuirono in un modo o nell’altro a creare il mostro di Frankenstein del fondamentalismo islamico per combattere la rivoluzione – un mostro che di questi tempi sta perseguitando il suo vecchio padrone. Oggi i mass media descrivono il fondamentalismo islamico come se l’Occidente non vi avesse mai avuto nulla a che fare. Ma in realtà i fondamentalisti di oggi sono il risultato diretto delle politiche imperialistiche occidentali.

Difficoltà

La rivoluzione di Saur ebbe le sue proprie peculiari debolezze. Una era oggettiva: la profonda arretratezza economia e sociale del paese, a causa della quale la piccola classe operaia non giocò nessun ruolo indipendente nella rivoluzione, un punto essenziale per una rivoluzione socialista vittoriosa. Non essendosi esteso il processo rivoluzionario in altri paesi vicini, la rivoluzione di Saur rimase isolata e la situazione fu ulteriormente peggiorata dal tentativo di applicare la teoria stalinista criminale del socialismo in un unico paese, per cui un singolo paese può da solo costruire il socialismo e superare i suoi problemi sociali ed economici.

L’altra debolezza era l’organizzazione del PDPA. Il partito non si era mai sviluppato in una coerente organizzazione leninista e, subito dopo la presa del potere, la battaglia interna per il controllo del governo iniziò a svilupparsi sulla base delle frazioni esistenti. Ma la divisione in frazioni fu alimentata anche dall’intervento dell’Unione Sovietica.

Di fatto la burocrazia sovietica giocò un ruolo molto reazionario prendendo parte attivamente alla lotta di frazione all’interno del PDPA. Sostenne l’ala del Parcham contro la frazione del Khalq. Quest’ultima si oppose fermamente all’intervento dell’Unione Sovietica, prevedendo che avrebbe avuto conseguenze disastrose.

Tuttavia nel dicembre del 1979 l’Unione Sovietica intervenne militarmente. La frazione Parcham fu messa al potere e venne lanciata una purga contro il gruppo Khalq che indebolì la presa del partito sul potere. Il conflitto interno stava già crescendo durante l’estate.

 

Posto di blocco dei soldati sovietici fuori da Kabul il 7 gennaio 1980.

Il gruppo Khalq aveva l’illusione che, adottando una politica estera di non allineamento, si sarebbe creato un ambiente internazionale amichevole nei confronti del nuovo regime. In realtà, con l’intervento dell’Unione Sovietica, l’Afghanistan si trasformò nel campo di battaglia di due potenze mondiali. E l’Afghanistan rapidamente si rivelò un vero e proprio pantano in cui sprofondarono le forze militari sovietiche.

 

La vittoria della controrivoluzione
Un po’ alla volta tutte le riforme furono ritirate, poiché il regime stava cercando di riconciliarsi con l’opposizione, e nel 1988 l’Unione Sovietica si ritirò. A quel punto il regime era estremamente debole e nel 1992 venne soppiantato dai Mujahidin.

Aprile 1992, combattimenti tra diverse fazioni di Mujahidin a Kabul.

Successivamente alcuni membri della base del movimento Mujahidin crearono un gruppo ribelle sostenuto dal Pakistan, conosciuto oggi col nome di Talebani, che prese il potere e assassinò brutalmente l’ex capo del regime Parcham, Najibullah.

La successiva controrivoluzione fondamentalista, che dura ormai da 26 anni, spinse di nuovo l’Afghanistan nella barbarie. La controrivoluzione non solo colpì l’Afghanistan ma l’intera regione, in particolar modo il Pakistan. L’eroina fu usata come mezzo per finanziare la controrivoluzione e i Mujahidin. Quella strategia ha portato alla creazione di quello che oggi è il primo Stato-narcotrafficante al mondo. Si calcola infatti che attualmente in Afghanistan ben 500mila acri di terra siano dedicati alla produzione di papavero da oppio. Nel 2017 il raccolto di oppio è stato di 9mila tonnellate.

La rivoluzione afgana di Saur rappresentò, per il popolo dell’Afghanistan e dell’intera regione, la speranza di emancipazione dalla miseria e dall’oppressione del latifondismo e del capitalismo. Quella speranza è stata affogata nel sangue dall’imperialismo. Oggi, se vogliamo sconfiggere questi reazionari, la sola opzione è quella di riorganizzarsi su basi di classe. La sola vendetta per le miserie che il popolo afgano è costretto a sopportare, è quella di dar vita ad una rivoluzione socialista che abbatta la controrivoluzione oramai pluridecennale.

Questa è la sola via per spingere fuori dalla barbarie creata dal capitalismo e dall’imperialismo non solo l’Afghanistan, ma anche il Pakistan. Questo compito storico è posto sulle spalle della classe operaia della regione e, più in generale, anche su quella dei paesi capitalisticamente avanzati. Per raggiungere tutto questo è necessario costruire l’organizzazione della classe lavoratrice su basi internazionali.

 

Note

1. Saur è il secondo mese dell’anno nel calendario persiano
2. F. Engels, Afghanistan, The New American Cyclopœdia, vol. III, 1858
3. L. Trotskij, discorso al soviet di Mosca sul 35° anniversario della festa del Primo Maggio, aprile 1923
4. Indirizzo al primo congresso del PDPA
5. Ted Grant,Il lungo filo rosso, AC Editoriale 2007, p. 621

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