“Triste, solitario y final” – La parabola di Pizzarotti e del M5S a Parma
18 Maggio 20161909-1913: Sconfitta e scissione
19 Maggio 2016Riproponiamo una serie di articoli sulla storia del sindacato in Italia apparsi sul vecchio Falcemartello all’inizio degli anni ’90. Un materiale particolarmente ricco di lezioni per il presente, che aiuta a capire come è nata la forza del sindacato e l’atteggiamento che hanno avuto i lavoratori nei suoi confronti nelle varie fasi della lotta di classe.
di Fernando D’Alessandro
Le prime organizzazioni di tipo sindacale erano le Società di Mutuo Soccorso nell’800. Queste erano in gran parte dominate dai Repubblicani mazziniani, i quali rifiutavano il concetto di lotta di classe. Al massimo lo sciopero poteva essere considerato per qualche pressione sui padroni, ma in generale puntavano sulla collaborazione tra le parti. Ma, man mano che si sviluppava l’industria e con essa la classe operaia, diventava sempre più palese il limite di questo tipo di organizzazione. Con lo sviluppo del Partito socialista nasceva una coscienza sindacale più avanzata e così cominciarono a svilupparsi le Federazioni di categoria. Alcune nacquero negli anni ’90 dell’ultimo secolo, ma la gran parte nacque nel periodo 1900-1904; la più importante, la Fiom (metallurgici), nacque nel 1901. Inizialmente queste “federazioni” organizzavano una piccola minoranza dei lavoratori, non più del 5-10 per cento, con qualche eccezione come i ferrovieri che raggiungevano il 56 per cento di sindacalizzati.
Lotte spontanee
Furono le lotte dei lavoratori a rafforzare il sindacato. Le prime lotte nel 1901 erano in gran parte “spontanee”. I lavoratori organizzavano assemblee dove eleggevano una rappresentanza operaia per andare a trattare coi padroni. Queste “commissioni” rimanevano in piedi per la durata dello sciopero. Nel 1901 tre quarti dei lavoratori che partecipavano a scioperi non erano “‘organizzati”, cioè non erano guidati dai sindacati.
E anche nei casi di scioperi “organizzati” i sindacati spesso intervenivano in scioperi già nati spontaneamente.
Ben presto nasceva l’esigenza di una rappresentanza interna permanente per garantire il rispetto degli accordi strappati durante gli scioperi. I padroni inizialmente rifiutavano l’idea di un qualche potere dei lavoratori nelle fabbriche, ma nel 1902, per esempio, alla Pirelli di Milano i lavoratori ottennero il riconoscimento di una “commissione interna”, composta da nove delegati ed eletta da tutti, iscritti e non iscritti al sindacato.
Molti degli scioperi riuscivano a strappare concessioni importanti. I padroni furono colti di sorpresa dalla forza del movimento. Con l’esperienza, però, i lavoratori sentivano sempre di più l’esigenza dell’organizzazione sindacale.
Il padrone cominciava ad organizzarsi per affrontare gli scioperi e c’era la necessità di generalizzare le lotte. Infatti cominciarono a nascere le associazioni di industriali a livello provinciale lino alla fondazione della Confindustria nel 1910. Così vediamo che già nel 1904 ormai tre quarti degli scioperanti partecipavano a scioperi organizzati dai sindacati.
Questo processo porterà la Fiom a promuovere la formazione di una “Confederazione” e così nel l 906 nacque la Cgl, che univa tutte le federazioni di categoria in un’unica struttura.
Il fatto che fossero appena nate non significava che queste organizzazioni sindacali fossero in qualche modo “rivoluzionarie”. Al contrario, nella maggior parte dei casi erano guidate dai “riformisti”, l’ala destra del Psi. Fra questi spiccavano uomini come Buozzi e D’Aragona.
Era l’epoca giolittiana. Il capitalismo italiano era un capitalismo “giovane”. La borghesia italiana stava cercando di conquistarsi uno spazio in un mercato mondiale già dominato dall’imperialismo britannico e francese e in parte da quello tedesco. Questo significava che pur essendoci un boom economico la borghesia non poteva permettersi di concedere riforme a favore dei lavoratori. La politica di Giolitti comportava una collaborazione coi riformisti del Psi.
Questi ultimi usavano la loro influenza nelle federazioni per moderare le lotte dei lavoratori. Non a caso Gramsci disse che in quel periodo il riformismo aveva agito alla stregua di “strumento della politica giolittiana” e questo negli anni 1901-05, anni in cui la polizia sparando sulle manifestazioni operaie uccideva ben 48 lavoratori e ne feriva 432!
Anche se non si usava il termine, esisteva già il concetto di “compatibilità”, cioè che le rivendicazioni operaie dovessero essere “compatibili” con le esigenze delle aziende. A. Schiavi nel 1902 su Critica Sociale diceva che “si impone un esame delle condizioni generali dell’industria e della produzione prima di avanzare domande e suscitare scioperi che potrebbero produrre danni oltrepassanti i limiti dell’industria alla quale sono applicati”.
Sin dalla sua nascita la Cgl era composta da diverse componenti, che andavano dalla destra del Psi (che era in maggioranza) lino ai “sindacalisti rivoluzionari” (anarchici). Al congresso di fondazione nel 1906 questi ultimi chiesero che la decisione di formare una Confederazione venisse messa al voto in un referendum fra tutte le organizzazioni sindacali. La proposta fu sconfitta e così abbandonarono il congresso in protesta.
Prima della nascita delle federazioni e della Cgl, esistevano le Camere del lavoro. Queste erano strutture territoriali che univano le varie organizzazioni operaie a livello locale, incluse in molti casi anche le organizzazioni bracciantili e contadine. I sindacalisti rivoluzionari erano maggioritari in alcune di queste, ma complessivamente erano in minoranza. Alla Cgl aderivano tutte queste strutture. Per sei anni i “sindacalisti rivoluzionari” rimasero dentro la Cgl indecisi tra la tendenza a conquistare la Cgl dal di dentro e quella a fondare un proprio sindacato. Finché rimasero dentro riuscirono a dare voce a molto dissenso di base nel sindacato. Ma nel 1912 si decisero per la scissione e fondarono l’Unione sindacale italiana (Usi), che però non superò gli 80mila iscritti. Al momento della scissione le federazioni dei marittimi e dei portuali decisero di uscire dalla Cgl ma non aderirono all’Usi. Così dalla scissione i sindacalisti rivoluzionari ricavarono ben pochi vantaggi. Da una parte contribuirono ad una frantumazione delle forze sindacali e dall’altra isolarono una parte dei lavoratori avanzati dalla massa.
Nei primi anni di vita delle Federazioni e poi della Cgl i dirigenti riformisti rifiutavano i concetti di scioperi di solidarietà e di sciopero generale. L’ironia della sorte per l’Usi fu che nel 1913, poco dopo la scissione, venne indetto uno sciopero generale a Torino dalla Cgl guidato da Buozzi. La realtà si imponeva ai dirigenti della Cgl. Più cresceva l’organizzazione tra i lavoratori e più i dirigenti sindacali erano costretti a mettersi alla guida delle lotte.
I risultati della scissione
Il fatto di essersi staccati dalla Cgl metteva in difficoltà i dirigenti dell’Usi. I lavoratori avevano un forte istinto per l’unità che nasceva dalle loro esperienze nelle lotte contro i padroni. Fu proprio da questo che nacquero le Federazioni e la Cgl stessa. Questa decisione di scindersi sarà determinante nell’isolamento dell’Usi nel periodo 1918-20. La Cgl passò dai 250mila iscritti del 1918 ai 2.150.000 del 1920, l’Usi, pur raggiungendo i 300mila iscritti, non fu mai in grado di esercitare un’influenza decisiva sul movimento, limitando il suo peso ad alcune aree limitate.
La direzione della Cgl rimase in mano ai riformisti. Questi, indisturbati dai “sindacalisti rivoluzionari” dell’Usi, poterono giocare un ruolo tragico per il movimento operaio italiano nel 1920 durante l’occupazione delle fabbriche. Su questo torneremo in un prossimo articolo , qui possiamo trarre alcune conclusioni. Il movimento spontaneo del 1901-05 portò alla crescita e al rafforzamento delle federazioni e poi alla nascita della stessa Cgl nel 906. Una volta costruita, la Cgl diventò l’organizzazione sindacale tradizionale dei lavoratori italiani. L’esperienza ha dimostrato però che non è sufficiente l’organizzazione ma ci vogliono anche dirigenti con un programma capace di trasformare la società. l riformisti questo non l’avevano. Si limitavano a chiedere quello che era possibile sotto il capitalismo. Nonostante questo l’Usi non riuscì a diventare un’alternativa alla Cgl. Quest’esperienza è preziosa per gli attuali attivisti sindacali che stanno pensando ad una scissione. Ottant’anni dopo stiamo a discutere gli stessi problemi. Come disse Gramsci, “la storia è una maestra senza discepoli”. Tocca a noi imparare dalla storia per non ripeterla.