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La lezione della Spagna, l’ultimo avvertimento

di Lev Trotskij

 

Menscevismo e bolscevismo in Spagna

Le operazioni in Abissinia e in Estremo Oriente sono accuratamente studiate da tutti gli stati maggiori militari, che si preparano alla nuova grande guerra. Le battaglie del proletariato spagnolo, questi lampi anticipatori della futura rivoluzione internazionale, debbono essere studiate con non minore attenzione dagli stati maggiori rivoluzionari: solo a questa condizione gli avvenimenti che si approssimano non ci prenderanno troppo alla sprovvista. Tre concezioni si sono affrontate, con forze diseguali, nel campo cosiddetto repubblicano: il menscevismo, il bolscevismo e l’anarchismo. Per quanto riguarda i partiti repubblicani borghesi, non hanno avuto concezioni indipendenti e sono vissuti alle spalle dei riformisti e degli anarchici. Non sarebbe poi affatto esagerato dire che i capi dell’anarcosindacalismo spagnolo hanno fatto il possibile per smentire la loro dottrina e per annullarne completamente il significato. Di fatto, nel campo repubblicano, si sono contrapposte due concezioni: il bolscevismo e il menscevismo. Secondo la concezione dei socialisti e degli staliniani, cioè secondo i menscevichi della prima e della  seconda leva, la rivoluzione spagnola doveva assolvere solo compiti democratici e per questo era necessario il fronte unico con la borghesia «democratica». Partendo da questo punto di vista, qualsiasi tentativo del proletariato di uscire dal quadro della democrazia borghese è giudicato non solo prematuro, ma addirittura funesto. D’altronde, all’ordine del giorno non è la rivoluzione, ma la lotta contro Franco. Che il fascismo sia la reazione borghese e non la reazione feudale; che contro questa reazione borghese si possa lottare con successo solo con le forze e i metodi propri della rivoluzione proletaria: ecco una nozione che il menscevismo, derivazione del pensiero borghese, non vuole né può fare propria. Il punto di vista del bolscevismo, espresso in modo organico solo dalla giovane sezione della IV Internazionale, deriva dalla teoria della rivoluzione permanente, secondo cui anche obiettivi puramente democratici, come, per esempio, la liquidazione della proprietà fondiaria semifeudale, non possono essere realizzati se non con la conquista del potere da parte del proletariato, e ciò comporta, di conseguenza, l’iscrizione all’ordine del giorno della rivoluzione socialista. D’altronde, gli stessi operai spagnoli, sin dai primi passi della rivoluzione, hanno posto praticamente non solo problemi di natura democratica, ma anche problemi di natura genuinamente socialista. Imporsi di non superare i limiti della democrazia borghese non significa, di fatto, perseguire una parvenza di rivoluzione democratica, ma addirittura rinunciarvi. È solo con il sovvertimento dei rapporti sociali nelle campagne che si può fare dei contadini, principale massa della popolazione, un bastione potente contro il fascismo. Ma i proprietari fondiari sono legati con vincoli indissolubili alla borghesia bancaria, industriale e commerciale e all’intelligencija borghese che ne dipende. Il partito del proletariato si trovava, dunque, nella necessita di scegliere: o con le masse contadine o con la borghesia liberale. Includere nella stessa coalizione contemporaneamente i contadini e la borghesia liberale non poteva avere che uno scopo: aiutare la borghesia a ingannare i contadini e a isolare gli operai. La rivoluzione agraria poteva compiersi solo contro la borghesia, di conseguenza solo con le misure proprie della dittatura del proletariato. Non c’è nessuna possibilità di una soluzione intermedia. Dal punto di vista della teoria, quello che colpisce prima di tutto nella politica spagnola di Stalin è il completo oblio dell’abc del leninismo. Con un ritardo di qualche decina d’anni – e di quali anni! – il Komintern ha reintegrato completamente nei suoi diritti la dottrina del menscevismo. Peggio, si è sforzato di dare a questa dottrina un’espressione più «conseguente» e perciò stesso più assurda. Nella Russia zarista all’inizio del 1905, la formula della «rivoluzione permanente democratica» poteva essere sostenuta con molti più argomenti che in Spagna nel 1937. Nessuna meraviglia che nella Spagna contemporanea la politica «operaia liberale» del menscevismo si sia trasformata nella politica «antioperaia reazionaria» dello stalinismo. Con ciò, la dottrina del menscevismo, questa caricatura del marxismo, è divenuta la caricatura di se stessa.

La teoria del Fronte popolare

Sarebbe, tuttavia, ingenuo credere che alla base della politica del Komintern in Spagna vi siano degli «errori» teorici. Lo stalinismo non si basa sulla teoria marxista, né su qualsiasi altra teoria ma sugli interessi empirici della burocrazia sovietica. Tra di loro, i cinici di Mosca se ne ridono della «filosofia» del fronte popolare alla Dimitrov. Ma, per ingannare le masse, hanno a disposizione numerosi propagandisti di questa formula sacrosanta, sinceri o in malafede, ingenui o ciarlatani. Louis Fischer,1 con la sua ignoranza e la sua sufficienza, con il suo spirito di ragionatore provinciale, organicamente sordo alla rivoluzione, è il rappresentante più disgustoso di questa confraternita così poco attraente. «L’unione delle forze progressiste». «Il trionfo delle idee del fronte popolare». «Gli attentati dei trotskisti all’unità delle file antifasciste»… Chi crederebbe che il Manifesto Comunista sia stato scritto novant’anni fa?
In fondo, i teorici del fronte popolare non vanno oltre la prima operazione dell’aritmetica, cioè l’addizione: la somma dei comunisti, dei socialisti, degli anarchici e dei liberali è maggiore di ciascuno dei termini che la compongono. Ma l’aritmetica non basta in questa storia. Ci vuole almeno la meccanica: la legge del parallelogramma delle forze vale anche in politica. La risultante, come è noto, è tanto minore quanto più divergono le forze componenti. Quando gli alleati politici tirano in direzioni opposte, la risultante è zero. Il blocco dei diversi gruppi politici della classe operaia è assolutamente necessario per assolvere compiti comuni. In certe circostanze storiche, un tale blocco è in grado di attirare a sé le masse piccolo-borghesi oppresse, i cui interessi sono vicini a quelli del proletariato e la forza comune in un tale blocco può essere maggiore della risultante delle forze componenti. Al contrario, l’alleanza tra proletariato e borghesia, i cui interessi, nelle questioni fondamentali, divergono attualmente di 180 gradi, non può, come regola generale, che paralizzare la forza rivoluzionaria del proletariato. La guerra civile, in cui la pura forza materiale conta poco, esige da coloro che vi prendono parte un elevato spirito di sacrificio. Gli operai e i contadini possono garantire la vittoria solo se lottano per la loro emancipazione. Subordinarli, in queste condizioni, alla direzione della borghesia, significa condannarli in partenza alla sconfitta nella guerra civile.
Queste verità non sono affatto il frutto di un’analisi puramente teorica. Al contrario, rappresentano la conclusione incontestabile di tutta l’esperienza storica a partire almeno dal 1848. La storia moderna delle società borghesi piena di fronti popolari di ogni genere, cioè delle più disparate combinazioni intese a ingannare i lavoratori. L’esperienza spagnola non è che un nuovo tragico anello di crimini e di tradimenti.

L’alleanza con l’ombra della borghesia

Il fatto politicamente più sorprendente è che nel Fronte popolare spagnolo non c’era, in fondo, un parallelogramma di forze: il posto della borghesia era occupato dalla sua ombra. Tramite gli staliniani, i socialisti e gli anarchici, la borghesia spagnola ha subordinato a sé il proletariato senza neppure darsi la pena di partecipare al Fronte popolare: la schiacciante maggioranza degli sfruttatori di tutte le sfumature politiche è passata dalla parte di Franco. Senza avere bisogno della teoria della rivoluzione permanente, la borghesia spagnola ha capito, sin dall’inizio del movimento rivoluzionario delle masse, che questo movimento, qualunque fosse il suo punto di partenza, era diretto contro la proprietà privata della terra e dei mezzi di produzione e che era assolutamente impossibile venirne a capo con le misure proprie della democrazia. È per questo che nel campo repubblicano sono rimasti solo relitti insignificanti della classe possidente, gli Azaña e i Companys,2 avvocati politici della borghesia, ma non vi è rimasta affatto la borghesia in quanto tale. Avendo puntato tutto sulla dittatura militare, le classi possidenti hanno saputo al tempo stesso utilizzare i loro rappresentanti politici di ieri per paralizzare, disgregare e alla fine soffocare il movimento socialista delle masse in territorio «repubblicano». Non rappresentando più la borghesia spagnola, i repubblicani di sinistra rappresentavano ancora meno gli operai e i contadini: non rappresentavano nessuno, se non se stessi. Tuttavia, grazie ai loro alleati socialisti, staliniani e anarchici, questi fantasmi politici hanno giocato un ruolo decisivo. Come? È molto semplice: come incarnazione del principio della rivoluzione democratica, cioè dell’inviolabilità della proprietà privata.

Gli staliniani nel Fronte popolare

Le cause della comparsa del Fronte popolare spagnolo e la sua meccanica interna sono assolutamente chiare. Il compito dei capi in pensione dell’ala sinistra della borghesia consisteva nell’arrestare la rivoluzione delle masse e nel riconquistare la fiducia degli sfruttatori, che avevano perduto: quale bisogno c’è di Franco, se noi, repubblicani, possiamo fare la stessa cosa? Gli interessi di Azaña e Companys coincidevano pienamente su questo punto centrale con quelli di Stalin, cui era necessario conquistare la fiducia della borghesia francese e inglese, dimostrandosi capace di proteggere l’ordine contro l’anarchia. Azaña e Companys servivano a Stalin di necessaria copertura dinanzi agli operai: per parte sua, Stalin è certo per il socialismo, ma non può respingere la borghesia repubblicana. Stalin è necessario ad Azaña e Companys come carnefice sperimentato fornito di un’autorità rivoluzionaria; senza di lui, ridotti ad una congerie di nullità, non avrebbero mai osato attaccare gli operai.
I riformisti tradizionali della II Internazionale, da lungo tempo smarriti dinnanzi allo sviluppo della lotta di classe, hanno ripreso fiducia in se stessi, grazie all’appoggio di Mosca. Questo appoggio è stato dato non a tutti i riformisti, ma solo ai più reazionari. Caballero3 rappresentava la faccia del Partito socialista volta verso l’aristocrazia operaia, Negrin4 e Prieto5 si volgevano sempre dalla parte della borghesia. Negrin ha battuto Caballero con l’aiuto di Mosca. I socialisti di sinistra e gli anarchici prigionieri del fronte popolare si sono sforzati, è vero, di salvare quel tanto di democrazia che poteva essere salvato. Ma, poiché non sono riusciti a mobilitare le masse contro i gendarmi del fronte popolare, i loro sforzi si sono ridotti, in ultima analisi, a penose lamentazioni. Gli staliniani hanno cosi stabilito un’alleanza con l’ala più a destra, più apertamente borghese del Partito socialista. Hanno sferrato i loro colpi a sinistra; contro il Poum,6 contro gli anarchici e contro i socialisti d sinistra, cioè contro i gruppi centristi che, benché in misura relativa, riflettevano la pressione delle masse popolari.
Questo dato di fatto politico, in sé denso di significato, dà al tempo stesso la misura della degenerazione del Komintern negli ultimi anni. A suo tempo avevamo definito lo stalinismo come centrismo burocratico; gli avvenimenti hanno fornito un certo numero di prove della correttezza di questa affermazione che, però, è ormai invecchiata. Gli interessi della burocrazia bonapartista non si accordano più con l’ibridismo centrista. Nella sua ricerca di un accomodamento con la borghesia la cricca staliniana può allearsi solo con gli elementi più conservatori della aristocrazia operaia mondiale. Con ciò il carattere controrivoluzionario dello stalinismo sul piano mondiale è definitivamente stabilito.

I vantaggi controrivoluzionari dello stalinismo

Arriviamo qui al punto centrale dell’enigma: come e perché il Partito comunista spagnolo, insignificante dal punto di vista numerico e come direzione, ha potuto concentrare nelle sue mani tutte le leve del potere, malgrado la presenza di organizzazioni socialiste e anarchiche incomparabilmente più potenti? La spiegazione corrente, secondo cui gli staliniani hanno ottenuto il potere in virtù di un semplice baratto con le armi sovietiche, è superficiale. Come prezzo delle armi, Mosca ha ricevuto l’oro spagnolo. Secondo le leggi del mercato capitalista, è sufficiente: Come mai, in questo traffico, Stalin ha potuto avere anche il potere? Di solito si risponde che, accrescendo la propria autorità agli occhi delle masse con le forniture militari, il governo sovietico ha posto come condizione della sua collaborazione misure decisive contro i rivoluzionari e ha così messo fuori causa avversari pericolosi. Tutto ciò è indiscutibile, ma non è che un aspetto della questione e peraltro il meno importante. Malgrado «l’autorità» assicuratagli dalle forniture militari sovietiche, il Partito comunista spagnolo è rimasto una piccola minoranza e si è urtato contro un odio sempre crescente da parte degli operai. D’altro lato, non bastava che Mosca ponesse delle condizioni, bisognava che Valencia accettasse. È questo il fondo della questione. Le esigenze di Mosca non solo sono state accolte, con maggiore o minore entusiasmo, da Zamora,7 Companys e Negrin, ma Caballero stesso, quand’era presidente del Consiglio, le ha fatte proprie. Perché? Perché questi signori volevano anch’essi mantenere la rivoluzione entro il quadro borghese.
Non solo i socialisti, ma neppure gli anarchici si sono opposti seriamente al programma staliniano. Anch’essi avevano paura di rompere con la borghesia. Avevano una paura mortale di ogni offensiva rivoluzionaria degli operai. Stalin, con le sue armi e con il suo ultimatum controrivoluzionario, era per tutti questi gruppi il salvatore. Assicurava loro quello che speravano: la vittoria militare su Franco e nello stesso tempo li liberava da ogni responsabilità circa lo sviluppo della rivoluzione. Essi si affrettavano a mettere da parte le loro maschere socialiste e anarchiche nella speranza di ritirarle quando Mosca avesse ristabilito per loro la democrazia. Per colmo di comodità, questi signori potevano giustificare il loro tradimento verso il proletariato con la necessità dell’intesa militare con Stalin. Stalin, da parte sua, giustificava la sua politica controrivoluzionaria con la necessità dell’intesa con la borghesia repubblicana.
È soltanto da questo punto di vista più ampio che ci appare chiara la pazienza da santi, di cui hanno dato prova nei confronti dei rappresentanti della Gpu, campioni del diritto e della libertà come Azaña, Companys, Negrin, Caballero, Garcia Oliver8 e soci. Se non hanno avuto nessuna possibilità di scelta, come affermano, non è affatto perché non potessero pagare gli aerei e i carri armati se non con le teste dei rivoluzionari e con i diritti degli operai, ma perché potevano realizzare il loro programma «puramente democratico», cioè antisocialista, solo con il terrore. Quando gli operai e i contadini si pongono sulla via della rivoluzione, cioè si impadroniscono delle fabbriche, della proprietà terriera e cacciano i vecchi proprietari, prendono il potere su scala locale, allora la controrivoluzione borghese – democratica, staliniana o fascista (tutto può servire allo scopo) – non ha altro mezzo per arrestare questo movimento se non il ricorso alla violenza sanguinosa, alla menzogna e all’inganno. Il vantaggio della cricca staliniana su questo piano consisteva nel fatto di aver subito intrapreso l’applicazione di metodi, che andavano oltre Azaña, Companys, Negrin e i loro alleati di sinistra.

Stalin conferma, a modo suo, la teoria della rivoluzione permanente

Così sul territorio spagnolo due programmi inconciliabili si sono contrapposti. Da una parte il programma della salvezza ad ogni costo della proprietà privata contro il proletariato e, nella misura del possibile, della democrazia contro Franco. Dall’altra, il programma dell’abolizione della proprietà privata con la conquista del potere da parte del proletariato. Il primo programma era il programma del capitale che si esprimeva tramite l’aristocrazia operaia, gli strati superiori della piccola borghesia e soprattutto la burocrazia sovietica. Il secondo programma traduceva in termini marxisti le tendenze, non pienamente coscienti, ma poderose, del movimento rivoluzionario delle masse. Per disgrazia della rivoluzione, tra il pugno dei bolscevichi e il proletariato rivoluzionario c’era la paratia controrivoluzionaria del Fronte popolare .
A sua volta la politica del Fronte popolare non è stata affatto determinata dal ricatto di Stalin nella sua qualità di fornitore d’armi. Il ricatto era implicito nelle condizioni interne della rivoluzione stessa. La base sociale della rivoluzione era stata, negli ultimi sei anni, l’offensiva crescente delle masse contro la proprietà semifeudale e borghese. È proprio la necessità di difendere questa proprietà che ha gettato la borghesia nelle braccia di Franco. Il governo repubblicano aveva promesso alla borghesia di difendere la proprietà privata con misure «democratiche», ma, soprattutto nel luglio ’36, aveva fatto completo fallimento. Quando la situazione sul fronte della proprietà è diventata ancora più minacciosa che sul fronte militare, i democratici di tutti i calibri, compresi gli anarchici, si sono inchinati dinnanzi a Stalin, e quest’ultimo ha trovato nel suo arsenale metodi diversi da quelli di Franco.
Le persecuzioni contro i trotskisti, i militanti del Poum, gli anarchici rivoluzionari e i socialisti di sinistra, le calunnie vergognose, i documenti falsificati, le torture nelle prigioni staliniane, le pugnalate alla schiena: senza tutto questo, la bandiera borghese – dietro la bandiera repubblicana – non avrebbe retto due mesi. La Gpu si è trovata padrona della situazione solo perché ha difeso più conseguentemente degli altri, cioè con maggiore astuzia e maggiore crudeltà, gli interessi della borghesia contro il proletariato.
Nella lotta contro la rivoluzione socialista, il democratico Kerenskij aveva anzitutto cercato un appoggio nella dittatura militare di Kornilov, poi aveva tentato di rientrare a Pietrogrado nei furgoni del generale monarchico Krasnov; d’altra parte, i bolscevichi, per condurre sino in fondo la rivoluzione democratica, si sono visti costretti a rovesciare il governo dei ciarlatani e dei chiacchieroni democratici. Con ciò stesso hanno posto fine, en passant, a tutti i tentativi di dittatura militare e fascista.
La rivoluzione spagnola dimostra ancora una volta che è impossibile difendere la democrazia contro le masse rivoluzionarie se non con i metodi della reazione fascista. E, inversamente, è impossibile condurre una vera lotta contro il fascismo se non con i metodi della rivoluzione proletaria. Stalin ha lottato contro il trotskismo (cioè contro la rivoluzione proletaria) distruggendo la democrazia con misure bonapartiste e con la Gpu. Ciò confuta ancora una volta e definitivamente la vecchia teoria menscevica di cui il Komintern si è appropriato, teoria che fa della rivoluzione democratica e della rivoluzione socialista due capitoli storici indipendenti e separati nel tempo l’uno dall’altro. L’opera dei carnefici moscoviti conferma a suo modo la giustezza della teoria della rivoluzione permanente.

Il ruolo degli anarchici

Nella rivoluzione spagnola gli anarchici non hanno avuto una parte indipendente. Non hanno fatto altro che oscillare tra menscevismo e bolscevismo. Più precisamente, gli operai anarchici cercavano istintivamente una via d’uscita nel bolscevismo – 19 luglio 1936, giornate di maggio del 19379 – mentre i capi, al contrario, respingevano con tutta la loro forza le masse nel campo del Fronte popolare, cioè del regime borghese. Gli anarchici hanno dato prova di un’incomprensione fatale delle leggi della rivoluzione e dei suoi compiti, quando hanno cercato di limitarsi all’ambito dei sindacati, cioè di organizzazioni del tempo di pace, impregnati di spirito consuetudinario e all’oscuro di quello che accadeva al di fuori del sindacato, tra le masse, nei partiti politici e nell’apparato statale. Se gli anarchici fossero stati rivoluzionari, avrebbero anzitutto fatto appello alla creazione di soviet, che riunissero i rappresentanti delle città e delle campagne, compresi quei milioni di uomini tra i più sfruttati che non erano mai entrati nei sindacati. Nei soviet, gli operai rivoluzionari avrebbero naturalmente occupato una  posizione predominante. Gli staliniani sarebbero stati una minoranza insignificante. Il proletariato si sarebbe convinto della propria invincibilità. L’apparato statale borghese si è trovato sospeso nell’aria. Non ci sarebbe stato bisogno di un colpo molto forte perché questo apparato cadesse in frantumi. La rivoluzione socialista avrebbe ricevuto un poderoso impulso. Il proletariato francese non avrebbe permesso a lungo a Léon Blum di bloccare la rivoluzione proletaria al di là dei Pirenei. La burocrazia di Mosca non avrebbe potuto permettersi un tale lusso. Le questioni più difficili si sarebbero risolte automaticamente. Gli anarcosindacalisti, che tentavano di rifugiarsi nella politica dei sindacati, si sono, invece, trovati ad essere la quinta ruota del carro della democrazia borghese, con grande sorpresa di tutti a cominciare da loro. Non a lungo, perché la quinta ruota non serve a nessuno. Dopo che Garcia Oliver e compagni ebbero aiutato Stalin e i suoi accoliti a togliere il potere agli operai, gli anarchici sono stati anch’essi cacciati dal governo del Fronte popolare. Essi hanno mascherato la paura del piccolo borghese dinnanzi al grande borghese, del piccolo burocrate dinnanzi al grande burocrate, dietro i discorsi piagnucolosi sulla santità del fronte unico (delle vittime con i carnefici) e sull’inammissibilità di qualsiasi dittatura, compresa la loro. Avremmo potuto prendere il potere nel maggio ’37… È cosi che gli anarchici imploravano Negrin e Stalin di riconoscere e di ricompensare il loro tradimento della rivoluzione proletaria. Un quadro rivoltante.
Questa semplice giustificazione: non abbiamo preso il potere, perché non l’abbiamo voluto, perché siamo contrari a qualsiasi dittatura, ecc., suona a condanna dell’anarchismo in quanto dottrina assolutamente controrivoluzionaria. Rinunciare alla conquista del potere, significa lasciarlo volontariamente a chi lo detiene, agli sfruttatori. La sostanza di ogni rivoluzione è consistita e consiste nel far giungere al potere una nuova classe e nell’assicurarle così tutta la possibilità di realizzare il suo programma. Impossibile fare la guerra senza volere la vittoria. Nessuno avrebbe potuto impedire agli anarchici di instaurare, dopo la presa del potere, il regime che fosse loro sembrato preferibile, ammesso, ovviamente, che fosse realizzabile. Ma gli stessi capi anarchici avevano perduto fiducia in questo programma. Sono rimasti lontani dal potere non perché fossero contro qualsiasi dittatura – di fatto, volenti o nolenti, hanno sostenuto la dittatura di Negrin – ma perché avevano completamente abbandonato i loro principi e perduto il loro coraggio, se mai ne avevano avuti. Avevano paura di tutto, dell’isolamento, dell’intervento, del fascismo, avevano paura di Stalin, paura di Negrin. Ma quello, di cui avevano soprattutto paura questi parolai erano le masse rivoluzionarie. Il rifiuto di conquistare il potere ributta inevitabilmente qualsiasi organizzazione operaia nel pantano del riformismo e ne fa lo zimbello della borghesia: non può essere diversamente, data la struttura di classe della società. Essendo contro il fine, la conquista del potere, gli anarchici non potevano, in ultima analisi, non essere contro i mezzi, la rivoluzione. I capi della Cnt e della Fai10 hanno aiutato la borghesia non solo a restare all’ombra del potere nel luglio ’36, ma anche a ricostituire pezzo per pezzo quello che essa aveva perduto di un sol colpo. Nel maggio ’37, hanno sabotato l’insurrezione degli operai e hanno con ciò salvato la dittatura della borghesia. Così l’anarchico, che voleva essere contro la politica, di fatto è stato avverso alla rivoluzione, e, nei momenti più critici, controrivoluzionario.
I teorici anarchici, che dopo la grande prova degli anni tra il ’31 e il ’37 ripetono vecchie frottole reazionarie su Kronstadt e affermano che lo stalinismo è il prodotto inevitabile del marxismo e del bolscevismo, non fanno che dimostrare di essere morti per sempre per la rivoluzione.
Dite che il marxismo è di per sé violenza e che lo stalinismo è il suo legittimo discendente. Ma perché dunque noi, marxisti rivoluzionari ci troviamo in lotta mortale contro lo stalinismo nel mondo intero? Perché, dunque, la cricca staliniana vede nel trotskismo il suo principale nemico? Perché, quando qualcuno si avvicina alle nostre concezioni o ai nostri metodi di azione – Durruti, Andrés Nin, Landau,11 ecc. –, i gangster dello stalinismo ricorrono ad una repressione sanguinosa? Perché d’altra parte, i capi dell’anarchismo spagnolo, al momento dei crimini della Gpu a Mosca e a Madrid, erano ministri di Caballero-Negrin, cioè servi della borghesia e di Stalin? Perché anche ora, con il pretesto di lottare contro il fascismo, gli anarchici restano prigionieri volontari di Stalin-Negrin, cioè dei carnefici della rivoluzione?
Gli avvocati dell’anarchismo, che predicano su Kronstadt e su Machno,12 non ingannano nessuno. Nell’episodio di Kronstadt e nella lotta contro Machno abbiamo difeso la rivoluzione proletaria contro la controrivoluzione contadina. Gli anarchici spagnoli hanno difeso e difendono ancora la controrivoluzione borghese contro la rivoluzione proletaria. Nessun sofisma cancellerà  dalla storia il dato di fatto che l’anarchismo e lo stalinismo si sono trovati dalla stessa parte della barricata, le masse rivoluzionarie e i marxisti dall’altra. Questa è la verità che entrerà per sempre nella coscienza del proletariato.

Il ruolo del Poum

Le cose non vanno meglio per il Poum. Certo, esso ha tentato teoricamente di basarsi sulla formula della rivoluzione permanente (è per questo che gli staliniani hanno definito «trotskisti» i militanti del Poum), ma la rivoluzione non si accontenta di semplici riconoscimenti teorici. Invece di mobilitare le masse contro i capi riformisti, compresi gli anarchici, il Poum cercava di convincere questi signori dei vantaggi del socialismo rispetto al capitalismo. Su questo diapason erano accordati tutti gli articoli e i discorsi dei leader del Poum. Per non staccarsi dai capi anarchici, non hanno organizzato loro nuclei nella Cnt e, in generale non vi hanno svolto nessun lavoro. Eludendo i conflitti acuti, non hanno svolto nessun lavoro nell’esercito repubblicano. Hanno costituito invece i «loro» sindacati e le «loro» milizie, che difendevano i loro edifici o si occupavano dei loro settori del fronte. Isolando l’avanguardia operaia dalla classe, il Poum indeboliva l’avanguardia e lasciava le masse senza direzione. Politicamente il Poum è rimasto assai più vicino al Fronte popolare, di cui «copriva» l’ala sinistra, che al bolscevismo. Se il Poum è stato vittima di una repressione sanguinosa e criminale è perché il Fronte popolare non poteva assolvere alla sua missione di soffocare la rivoluzione socialista se non distruggendo progressivamente il suo settore di sinistra.
Malgrado le intenzioni, il Poum ha costituito, in ultima analisi, il principale ostacolo sulla via della costituzione di un partito rivoluzionario. È una grave responsabilità che hanno preso su di sé i sostenitori platonici o diplomatici della IV Internazionale, come il capo del partito socialista rivoluzionario, Sneevliet, che hanno ostentatamente sostenuto il Poum nel suo ibridismo, nella sua indecisione, nella sua tendenza a eludere le questioni scottanti, in una parola, nel suo centrismo. La rivoluzione non può accordarsi con il centrismo; lo smaschera e lo annienta. Di passata, compromette gli avvocati e gli amici del centrismo. Questo è uno dei più importanti insegnamenti della rivoluzione spagnola.

Il problema delle armi

I socialisti e gli anarchici, che tentano di giustificare la loro capitolazione dinnanzi a Stalin con la necessità di pagare con la rinuncia alla coscienza e ai principi le armi di Mosca, mentono e mentono stupidamente. Certo molti di essi avrebbero preferito trarsi d’impaccio senza assassinii né falsificazioni. Ma ogni fine esige i mezzi corrispondenti. Dall’aprile 1931,13 cioè molto prima dell’intervento militare di Mosca, i socialisti e gli anarchici hanno fatto quello che hanno potuto per frenare la rivoluzione proletaria. Stalin ha insegnato loro come svolgere questo lavoro sino in fondo. Essi sono divenuti i complici di Stalin solo perché ne perseguivano gli stessi scopi politici.
Se i capi anarchici fossero stati un tantino rivoluzionari, avrebbero potuto rispondere sin dal primo ricatto di Mosca non solo con la continuazione dell’offensiva socialista ma anche rendendo note alla classe operaia mondiale le condizioni controrivoluzionarie di Stalin. Con ciò avrebbero costretto la dittatura di Mosca a scegliere tra la rivoluzione socialista e la dittatura di Franco. La burocrazia termidoriana teme la democrazia e la odia. Ma essa teme anche di essere soffocata nella morsa fascista. Per di più essa dipende dagli operai. Tutto autorizza a credere che Mosca si sarebbe vista costretta a fornire le armi e forse a un prezzo più mite.
Ma il mondo non si riduce alla Mosca di Stalin. In un anno e mezzo di guerra civile si sarebbe potuto sviluppare l’industria bellica spagnola, adattando alle esigenze militari una serie di fabbriche civili. Se questo lavoro non è stato fatto, è solo perché le iniziative delle organizzazioni operaie sono state combattute da Stalin come dai suoi alleati spagnoli. Una forte industria bellica sarebbe divenuta uno strumento potente nelle mani degli operai. I capi del fronte popolare hanno preferito la dipendenza da Mosca.
È proprio da questa questione che appare in modo particolarmente chiaro il perfido ruolo del Fronte popolare, che imponeva alle organizzazioni operaie la responsabilità delle transazioni proditorie della borghesia con Stalin. Nella misura in cui gli anarchici erano in minoranza, non potevano evidentemente impedire al blocco dirigente di prendere gli impegni che riteneva opportuno prendere con Mosca e con i signori di Mosca, Londra e Parigi, ma essi potevano e dovevano, pur continuando ad essere i migliori combattenti al fronte, differenziarsi nettamente dai tradimenti e dai traditori, spiegare alle masse la vera situazione, mobilitarle contro il governo borghese, accrescere di giorno in giorno le loro forze per impadronirsi, alla fine, del potere e insieme delle armi di Mosca. Ma cosa sarebbe accaduto se Mosca, in assenza del Fronte popolare, si fosse rifiutata di fornire le armi? E che sarebbe accaduto – rispondiamo – se l’Unione Sovietica non fosse esistita per niente? Le rivoluzioni, finora, non hanno affatto vinto in virtù di protezioni straniere che assicurassero loro le armi.

I protettori stranieri si sono di solito trovati dalla parte della controrivoluzione. È necessario ricordare l’intervento francese, inglese e americano contro i soviet? Il proletariato russo ha sconfitto la reazione interna e gli interventisti stranieri senza l’appoggio militare esterno. Le rivoluzioni sono vittoriose prima di tutto grazie a un programma sociale che offra alle masse la possibilità di impadronirsi delle armi che si trovano sul loro territorio e di disgregare l’esercito avversario. L’esercito rosso si è impadronito delle riserve militari francesi, inglesi e americane e ha gettato in mare i corpi di spedizione stranieri. Lo si è forse dimenticato?
Se alla testa degli operai e dei contadini armati, cioè alla testa della Spagna repubblicana, ci fossero stati dei rivoluzionari, e non dei codardi agenti della borghesia, il problema delle armi non sarebbe mai stato in primo piano. L’esercito di Franco, compresi gli elementi coloniali e i soldati di Mussolini, non era affatto al sicuro dal contagio rivoluzionario. Circondati da ogni parte dalla fiammata della rivoluzione socialista, i soldati fascisti si sarebbero ridotti ad una entità trascurabile. A Madrid e a Barcellona non mancavano le armi né i «geni» militari. Quello che mancava era il partito rivoluzionario.

Le condizioni della vittoria

Le condizioni della vittoria delle masse nella guerra civile contro gli oppressori sono in fondo semplicissime:
1. I combattenti dell’esercito rivoluzionario debbono avere piena coscienza di battersi per la completa emancipazione sociale e non per il ristabilimento della vecchia forma (democratica) di sfruttamento.
2. La stessa convinzione devono avere gli operai e i contadini sia nelle retrovie dell’esercito rivoluzionario sia nelle retrovie dell’esercito avversario.
3. La propaganda sul proprio fronte, sul fronte dell’avversario e nelle retrovie dei due eserciti deve ispirarsi completamente alle esigenze della rivoluzione sociale. La parola d’ordine «prima la vittoria, poi le riforme» è la formula di tutti gli oppressori e sfruttatori, a cominciare dai re biblici per finire con Stalin.
4. La vittoria è determinata dalle classi e dagli strati sociali che partecipano alla lotta. Le masse devono avere un apparato statale che esprima direttamente e immediatamente la loro volontà. Un simile apparato non può essere costituito se non dai soviet dei deputati operai, contadini e soldati.
5. L’esercito rivoluzionario deve non solo proclamare, ma realizzare immediatamente nelle province conquistate le misure più urgenti della rivoluzione sociale: espropriazione e distribuzione agli indigenti delle riserve di prodotti alimentari, di manufatti, ecc., ridistribuzione degli alloggi a favore dei lavoratori e soprattutto delle famiglie dei combattenti, espropriazione della terra e degli attrezzi agricoli a vantaggio dei contadini, instaurazione del controllo operaio sulla produzione e del potere sovietico al posto della vecchia burocrazia.
6. Dall’esercito rivoluzionario devono essere cacciati spietatamente i nemici della rivoluzione socialista, cioè gli sfruttatori e i loro agenti, anche se si coprono con la maschera di «democratici», di «repubblicani», di «socialisti» o di «anarchici».
7. Alla testa di ogni divisione deve esserci un commissario irreprensibile come rivoluzionario e come combattente.
8. In ogni divisione militare, deve esserci un nucleo compatto costituito dai combattenti più. devoti, raccomandati dalle organizzazioni operaie. I membri di questo nucleo hanno un solo privilegio, quello di essere i primi sulla linea del fuoco.
9. Gli organi di comando comprendono necessariamente nei primi momenti molti elementi estranei e poco sicuri. Il controllo e la selezione devono essere fatti sulla base dell’esperienza militare, delle dichiarazioni fornite dai commissari e dei giudizi dei semplici combattenti. Nello stesso tempo si deve fare il possibile per formare dei comandanti provenienti dalle file degli operai rivoluzionari.
10. La strategia della guerra civile deve combinare le regole dell’arte militare con i compiti della rivoluzione sociale. Non solo nella propaganda, ma anche nelle operazioni militari, è necessario tenere conto della composizione sociale dei diversi settori dell’esercito avversario (volontari borghesi, contadini mobilitati o, come è il caso per Franco, schiavi coloniali) e quando si scelgono le linee di operazione si deve considerare la natura sociale delle varie regioni del paese (regioni industriali, contadine, rivoluzionarie o reazionarie, regioni abitate da nazionalità oppresse, ecc.). In breve, la politica rivoluzionaria domina la strategia.
11. Il governo rivoluzionario, come comitato esecutivo degli operai e dei contadini, deve sapersi conquistare la fiducia dell’esercito e della popolazione lavoratrice.
12. La politica estera deve avere come principale obiettivo quello di ridestare la coscienza rivoluzionaria degli operai e dei contadini e delle nazionalità oppresse del mondo intero.

Stalin ha creato le condizioni della sconfitta

Come si vede, le condizioni della vittoria sono semplicissime. Unite assieme costituiscono la rivoluzione socialista. Nessuna di queste condizioni è esistita in Spagna. La ragione principale e che non c’era un partito rivoluzionario. Stalin ha indubbiamente tentato di trasportare sul piano della Spagna i procedimenti esteriori del bolscevismo: ufficio politico, commissari, cellule, polizia segreta, ecc. Ma ha tolto a queste forme tutto il loro contenuto socialista. Ha ripudiato il programma bolscevico e, unitamente, i soviet  come forma necessaria dell’iniziativa masse. Ha messo la tecnica del bolscevismo al servizio della proprietà borghese. Nel suo angusto burocratismo, pensava che i commissari in quanto tali sarebbero bastati ad assicurare la vittoria. Ma i commissari della proprietà privata sono stati capaci solo di assicurare la sconfitta.
Il proletariato ha dimostrato qualità combattive di prim’ordine. Per il suo peso specifico nell’economia del paese, per il suo livello politico e culturale, si trovava, sin dal primo giorno della rivoluzione, non più indietro, ma più avanti del proletariato russo agli inizi del ’17. Sono state le sue organizzazioni a costituire il principale ostacolo sulla via della vittoria. La cricca dominante, d’accordo con la controrivoluzione, era composta da agenti pagati, da carrieristi, da elementi declassati e da rifiuti sociali di ogni genere. I rappresentanti delle altre organizzazioni operaie, riformisti inveterati, parolai anarchici, centristi inguaribili del Poum, brontolavano, esitavano, sospiravano, manovravano, ma alla fine si adattavano agli staliniani. Il risultato di tutto il loro lavoro è stato che il fronte della rivoluzione sociale – operai e contadini – si è trovato subordinato alla borghesia, più precisamente alla sua ombra, ha perso il suo carattere, ha perso il suo sangue. Non sono mancati né l’eroismo delle masse, né il coraggio di rivoluzionari isolati. Ma le masse sono state lasciate a se stesse e i rivoluzionari sono stati messi in disparte, non c’è stato un programma, non ci sono stati piani d’azione. I capi militari si sono preoccupati assai più del soffocamento della rivoluzione sociale che delle vittorie militari. I soldati hanno perso la fiducia nei loro comandanti, le masse nel governo; i contadini si son tenuti in disparte, gli operai si sono stancati, le sconfitte si sono susseguite, la demoralizzazione è cresciuta. Non era difficile prevedere tutto questo sin dall’inizio della guerra civile. Prefiggendosi l’obiettivo della salvezza del regime capitalista, il Fronte popolare era destinato alla sconfitta. Mettendo il bolscevismo con la testa in giù, Stalin ha sostenuto con successo la parte di principale affossatore della rivoluzione. L’esperienza spagnola, sia detto di passata, dimostra nuovamente che Stalin non ha capito niente della rivoluzione d’Ottobre né della guerra civile. Il suo pigro spirito provinciale è rimasto indietro rispetto allo sviluppo impetuoso degli avvenimenti dal 1917 al 1921. Tutti gli articoli e i discorsi del 1917, in cui esprimeva un pensiero suo, contengono in tutto e per tutto la sua ultimissima dottrina termidoriana. In questo senso lo stalinismo della Spagna del 1937 è il continuatore dello Stalin della conferenza del marzo ’17. Ma nel ’17 Stalin era semplicemente spaventato dagli operai rivoluzionari, mentre nel ’37 li ha soffocati; l’opportunista è divenuto carnefice.

La guerra civile nelle retrovie

Ma per prevalere sui governi Caballero-Negrin ci sarebbe voluta la guerra civile nelle retrovie dell’esercito repubblicano! – esclama con terrore il filosofo democratico. Come se non ci fosse stata egualmente nella Spagna repubblicana una guerra civile, la più criminale e la più disonesta, la guerra degli sfruttatori contro gli operai e i contadini. Questa guerra incessante si è concretata negli arresti e negli assassini dei rivoluzionari, nel disarmo degli operai (nel riarmo della polizia borghese, nell’abbandono al fronte, senza armi né aiuti, di distaccamenti operai, infine nell’interesse artificiale allo sviluppo dell’industria di guerra. Ognuno di questi atti rappresenta un duro colpo per il fronte, un effettivo tradimento militare, dettato dagli interessi di classe della borghesia. Ma il filisteo «democratico» – che può essere staliniano, socialista o anarchico – giudica la guerra civile della borghesia come una guerra naturale e inevitabile che ha per scopo quello di «assicurare l’unità del fronte popolare». Al contrario, la guerra civile del proletariato contro la controrivoluzione repubblicana è, agli occhi dello stesso filisteo, una guerra criminale, «fascista», «trotskista», che distrugge l’unità delle forze anti­fasciste. Decine di Norman Thomas,14 di Attlee, di Otto Bauer, di Zyromski, di Malraux e di piccoli trafficanti della menzogna tipo Duranty15 e Louis Fischer diffondono questa saggezza nel mondo intero. Nel frattempo il governo del Fronte popolare si sposta da Madrid a Valencia e da Valencia a Barcellona. Se, come i fatti dimostrano, solo la rivoluzione socialista è in grado di schiacciare il fascismo, d’altro lato l’insurrezione del proletariato è concepibile solo se la classe dominante si trova impigliata in gravi difficoltà. Eppure i filistei democratici invocano proprio queste difficoltà per dimostrare l’inammissibilità dell’insurrezione proletaria. Se il proletariato attende che i filistei democratici gli annuncino l’ora della sua emancipazione, resterà schiavo in eterno. Insegnare agli operai a riconoscere i filistei reazionari sotto qualsiasi maschera e a disprezzarli, qualunque sia questa maschera, questo è il primo compito e il principale dovere rivoluzionario.

Lo scioglimento

La dittatura dello stalinismo nel campo repubblicano, per sua natura, non sarà di lunga durata. Se le sconfitte provocate dalla politica del Fronte popolare sospingeranno ancora una volta il proletariato spagnolo ad una offensiva rivoluzionaria, questa volta vittoriosa, la cricca staliniana sarà bollata a fuoco. Ma se, come è più verosimile, Stalin riesce a svolgere sino in fondo il suo lavoro di affossatore della rivoluzione, neppure in questo caso può aspettarsi riconoscenza. Alla borghesia spagnola è stato necessario come carnefice ma non è affatto utile come protettore o come precettore. Londra e Parigi da una parte, Berlino e Roma dall’altra sono, ai suoi occhi, molto più serie di Mosca. È possibile che Stalin voglia ritirarsi spontaneamente dalla Spagna prima della catastrofe definitiva, sperando così di far ricadere sugli alleati la responsabilità della sconfitta. Dopo di che Litvinov16 chiederà a Franco il ristabilimento delle relazioni diplomatiche. È quanto è già accaduto varie volte.
Ma neppure la vittoria completa dell’esercito repubblicano su Franco significherebbe il trionfo della democrazia. Gli operai e i contadini hanno portato due volte al potere i repubblicani e i loro agenti: nell’aprile 1931 e nel febbraio 1936. Entrambe le volte gli eroi del Fronte popolare hanno ceduto la vittoria del popolo ai rappresentanti più reazionari della borghesia. La terza vittoria riportata dai generali del fronte popolare significherebbe il loro inevitabile accordo con la borghesia fascista a spese degli operai e dei contadini. Un tale regime non sarebbe che una forma di dittatura militare, forse senza monarchia e senza dominazione aperta della chiesa cattolica.
Infine, è possibile che vittorie parziali dei repubblicani siano sfruttate dai «disinteressati» intermediari anglo-francesi allo scopo di riconciliare i belligeranti. Non è difficile capire che, nel caso di una simile variante, gli ultimi resti della democrazia sarebbero soffocati dagli abbracci fraterni dei generali, Miaja17 (comunista) e Franco (fascista). Ancora una volta, la vittoria può spettare solo o alla rivoluzione socialista o al fascismo.
Non è escluso, d’altronde, che la tragedia si trasformi all’ultimo momento, in una farsa. Quando gli eroi del fronte popolare dovranno abbandonare l’ultima capitale prima di salire sulla nave o sull’aereo, proclameranno una serie di riforme socialiste per lasciare al popolo un grato ricordo di sé. Ma ciò non servirà a nulla. Gli operai di tutto il mondo si ricorderanno con odio e con disprezzo dei partiti che hanno condotto alla sconfitta un popolo eroico.
La tragica esperienza della Spagna è un avvertimento minaccioso agli operai del mondo intero, forse l’ultimo prima di avvenimenti ancora più grandiosi. Le rivoluzioni, secondo il detto di Marx, sono le locomotive della storia, e avanzano più rapidamente del pensiero dei partiti a metà o per un quarto rivoluzionari. Chi si ferma cade sotto le ruote della locomotiva, che d’altronde spesso finisce per deragliare; e questo e il pericolo maggiore. Il problema della rivoluzione deve essere compreso sino in fondo, sino alle ultime conseguenze concrete. Bisogna conformare la politica alle leggi fondamentali della rivoluzione, cioè al movimento delle classi in lotta, e non ai pregiudizi e ai timori superficiali dei gruppi piccolo-borghesi che si definiscono fronte popolare e tante altre cose. La linea della minore resistenza si rivela, nella rivoluzione, la linea del peggiore fallimento. La paura di isolarsi dalla borghesia porta a isolarsi dalle masse. L’adattamento ai pregiudizi conservatori dell’aristocrazia operaia significa tradimento degli operai e della rivoluzione. L’eccesso di prudenza è imprudenza funesta. Questo è l’insegnamento principale del crollo della più onesta organizzazione politica spagnola, il Poum, partito centrista. I gruppi del Bureau di Londra18 evidentemente non vogliono o non sanno trarre le conclusioni necessarie da quest’ultimo avvertimento della storia. Proprio per questo sono condannati al fallimento.
Al contrario, esiste ora una generazione di rivoluzionari, che si formano sulla base degli insegnamenti delle sconfitte. Questa generazione ha constatato nei fatti la reputazione di ignominia della II Internazionale. Ha imparato a giudicare gli anarchici non dalle parole ma dai fatti. Grande, inestimabile scuola, pagata con il sangue di innumerevoli combattenti. I quadri rivoluzionari si riuniscono ora solo sotto la bandiera della IV Internazionale. Essa è sorta al rumoreggiare delle sconfitte per condurre i lavoratori alla vittoria.

Dicembre 1937

Note
1. Louis Fischer, giornalista americano, ha vissuto a lungo nell’Urss, dove ha avuto relazioni con
dirigenti rivoluzionari, tra cui soprattutto Radek. È stato favorevole a Stalin per un lungo periodo,
assumendo successivamente posizioni antisovietiche. In Spagna ha soggiornato tra il 1936 e il 1939, collaborando all’organizzazione delle brigate internazionali.

2. Manuel Azaña è stato presidente della repubblica spagnola nel 1936 ed è morto in esilio nel1939.
Lluys Companys, dirigente della Esquerra (sinistra) della Catalogna, è stato presidente della Generalitat della Catalogna stessa nel corso della guerra civile. Esule in Francia, è stato consegnato dal regime di Vichy a Franco che lo fece condannare e giustiziare.

3. Largo Caballero, socialista, fondatore della Ugt (Union General del trabajo), di cui è stato segretario generale. Durante la guerra civile è stato ministro e presidente del consiglio.

4. Juan Negrin, socialista della tendenza più favorevole alla collaborazione con il Partito comunista
è stato l’ultimo capo del governo prima della fine della Repubblica.

5. Indalecio Prieto socialista di destra, ha partecipato più volte al governo tra il 1936 e il 1939.

6. Partito obrero de unificacion marxista. Partito nato nel 1935 come fusione del Blocco operaio e contadino guidato da Maurin e la Sinistra comunista spagnola, di cui Andrès Nin era uno dei principali esponenti, che aderiva all’Opposizione internazionale di sinistra di Trotskij. La decisione di dar vita al Poum fu presa contro il parere dello stesso Trotskij che sosteneva invece la necessità di entrare nella gioventù socialista che si stava radicalizzando e aveva chiesto ai trotskisti spagnoli di “bolscevizzarla”.

7. Alcalà Zamora, primo presidente della Repubblica spagnola dal 1931 al 1936.

8. Garcia Oliver è stato uno tra i più noti dirigenti degli anarchici spagnoli ed è stato ministro
nel governo presieduto da Largo Caballero.

9. Nel luglio 1936 si era avuto il grande movimento rivoluzionario di massa in risposta al colpo di Stato del generale Franco (17 luglio). Le giornate di maggio di Barcellona sono state l’episodio cruciale del conflitto che contrapponeva in campo repubblicano le tendenze conservatrici-riformistiche alle tendenze rivoluzionarie.

10. Fai, Federacion anarquica iberica.
Cnt, Confederacion nacional del trabajo, centrale sindacale anarchica. Per un approfondimento del suo ruolo durante la guerra civile si veda L’anarchismo alla prova della storia. Rivoluzione e guerra civile in Spagna

11. Buenaventura Durruti è stato uno dei più prestigiosi combattenti anarchici, su posizioni critiche
nei confronti degli anarchici che avevano collaborato al governo. È morto sul fronte di Madrid.
Andrès Nin, di origine catalana, prima anarco-sindacalista, era divenuto comunista ed aveva avuto un compito di primo piano nel movimento comunista internazionale (è stato dirigente dell’Internazionale sindacale rossa). Passato all’opposizione comunista di sinistra, partecipò alla costituzione del Poum di cui fu segretario. Per breve tempo è stato ministro della giustizia nella Generalitat della Catalogna. Fu assassinato da agenti della Gpu.

12. Kurt Landau, austriaco, ha militato nell’opposizione di sinistra per un certo tempo. Come Nin
è stato assassinato in Spagna dalla Gpu.

12. Nestor Machno è il noto anarchico che ha diretto bande contadine in Ucraina durante la guerra
civile.

13. Nell’aprile 1931 il re aveva abdicato e era stata istaurata la repubblica.

14. Norman Thomas è stato per decenni il maggiore esponente del Partito socialista degli Stati
Uniti.

15. Walter Duranty è stato a lungo corrispondente a Mosca del «New York Times>>, dimostrandosi
favorevole a Stalin contro gli oppositori.

16. Maksim Litvinov era allora ministro degli esteri dell’Urss.

17. Josè Miaja era un generale che nel 1936 aveva aderito al campo repubblicano. È stato uno degli
organizzatori della difesa di Madrid. Nel marzo del 1939, valendosi della sua posizione di presiente del consiglio nazionale di difesa, organizzò un colpo contro Negrin per condurre negoziati
m vista di una resa.

18. Il Bureau di Londra è stato un organismo di collegamento tra varie organizzazioni di orientamento centrista, praticamente scomparso durante la seconda guerra mondiale. Tra i maggiori partecipanti la Sap tedesca e l’Independent Labour Party.

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