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La fase decisiva

di Lev Trotskij

 

Il ritmo degli avvenimenti in Francia si è bruscamente accelerato. Prima si doveva valutare il carattere pre-rivoluzionario della situazione sulla base dell’analisi teorica e di svariati sintomi politici. Ora i fatti parlano da sé. Si può dire senza esagerare che in tutta la Francia ci sono solo due partiti i cui capi non vedono, non comprendono o non vogliono vedere tutta la profondità della crisi rivoluzionaria: il Partito socialista e il Partito comunista. Si possono aggiungere sicuramente i capi sindacali “indipendenti”. Le masse operate creano ora una situazione rivoluzionaria con l’azione diretta. La borghesia teme mortalmente il corso degli eventi e, tra le quinte, sotto il naso del governo, prende tutte le misure necessarie per resistere, per salvarsi, per ingannare, per schiacciare e per ottenere una rivincita sanguinosa. Solo i capi “socialisti” e “comunisti” continuano a chiacchierare sul fronte popolare, come se la lotta di classe non avesse già rovesciato il loro spregevole castello di carte. Blum dichiara: “Il paese ha dato un mandato al fronte popolare e non possiamo uscire dall’ambito di questo mandato”. Blum inganna il suo partito e tenta di ingannare il proletariato. Gli staliniani (si definiscono sempre “comunisti”) lo aiutano a farlo. In realtà, socialisti e comunisti si valgono dei trucchi, dei fili e dei nodi scorsoi della meccanica elettorale per venire a capo delle masse lavoratrici nell’interesse dell’alleanza con il radicalismo borghese. L’essenza politica della crisi si esprime nel fatto che il popolo ha la nausea dei radicali e della loro III Repubblica. È questo l’elemento che i fascisti tentano di sfruttare.

Che cosa hanno fatto, dunque, socialisti e comunisti? Si sono resi garanti dei radicali di fronte al popolo, hanno presentato i radicali come ingiustamente calunniati, hanno fatto credere agli operai e ai contadini che la loro salvezza risiedeva interamente nel ministero Daladier. È su questo diapason che è stata orchestrata la campagna elettorale. Come hanno risposto le masse? Hanno assicurato un enorme aumento di voti e di mandati ai comunisti come estrema sinistra.1 Le svolte e gli zig-zag dei mercenari della diplomazia sovietica non sono compresi dalle masse perché non possono essere sottoposti alla verifica della loro esperienza. Le masse imparano solo nell’azione. Non hanno il tempo di acquisire conoscenze teoriche. Quando un milione e mezzo di elettori danno il voto ai comunisti, la loro maggioranza dice a questi ultimi: “Vogliamo che facciate in Francia quello che i bolscevichi russi hanno fatto a casa loro nell’ottobre 1917 “. Questa è la volontà reale della parte più attiva della popolazione, di quella che è capace di lottare e di garantire l’avvenire della Francia. Questa è la prima lezione delle elezioni.

I socialisti hanno pressoché mantenuto i loro voti, nonostante la scissione del considerevole gruppo neosocialista.2 Anche in questa questione le masse hanno dato ai loro “capi” una grande lezione. I neosocialisti volevano il cartello a ogni costo, cioè la collaborazione con la borghesia repubblicana in nome della salvezza e del progresso della “Repubblica”. Appunto su questa linea si sono scissi dai socialisti e si sono presentati alle elezioni come concorrenti. Gli elettori li hanno abbandonati. I neosocialisti sono crollati. Due anni fa abbiamo previsto che lo sviluppo politico futuro avrebbe schiacciato innanzitutto i piccoli gruppi che gravitavano attorno ai radicali. Così, nel conflitto tra socialisti e neo-socialisti, le masse hanno giudicato e hanno respinto il gruppo che proponeva l’alleanza con la borghesia nel modo più sistematico e più risoluto, più rumoroso e più scoperto. Questa è la seconda lezione delle elezioni. Il Partito socialista non è un partito operaio né per la sua politica né per la sua composizione sociale. È il partito dei nuovi ceti medi (funzionari, impiegati, ecc.), parzialmente della piccola borghesia e dell’aristocrazia operaia. Un’analisi seria della statistica elettorale dimostrerebbe indubbiamente che i socialisti hanno ceduto ai comunisti un importante settore di operai e di contadini poveri e in compenso hanno avuto dai radicali gruppi importanti di classi medie. Questo significa che il movimento della piccola borghesia va dai radicali verso sinistra – verso i socialisti e i comunisti – mentre i gruppi della grande e media borghesia si staccano dai radicali sulla destra. Il raggruppamento si opera attorno ai poli di classe e non lungo la linea artificiale del “fronte popolare”. La rapida polarizzazione dei rapporti politici sottolinea il carattere rivoluzionario della crisi. Questa è la terza lezione, la lezione fondamentale.

Di conseguenza, nella misura in cui ha avuto, in generale, la possibilità di manifestare la propria volontà entro i limiti della camicia di forza del parlamentarismo, l’elettore l’ha manifestata contro e non a favore della politica di fronte popolare. Certo, al secondo turno, socialisti e comunisti, ritirando i loro candidati a favore dei borghesi radicali, hanno alterato ancora di più la volontà politica dei lavoratori francesi. Nonostante questo, i radicali sono usciti dalla prova con le ossa rotte, perdendo un buon terzo dei loro mandati. “Le Temps” dice: “È perché hanno fatto blocco con i rivoluzionari”. Daladier replica: “Senza il fronte popolare avremmo perduto di più”. Daladier ha indiscutibilmente ragione. Se socialisti e comunisti avessero condotto una politica di classe, cioè avessero lottato per l’alleanza degli operai e degli elementi semiproletari delle città e delle campagne contro tutta la borghesia, inclusa la sua marcia ala radicale, avrebbero avuto molti più voti e i radicali sarebbero ritornati alla Camera come un gruppo insignificante.
Tutti gli avvenimenti politici dimostrano che né nei rapporti sociali in Francia né nello stato d’animo politico delle masse c’è una base per il fronte popolare.

Questa politica è imposta dall’alto: dalla borghesia radicale, dai mezzani e affaristi socialisti, dai diplomatici sovietici e dai loro lacchè “comunisti”. Riunendo le loro forze fanno tutto quello che è possibile fare, tramite il più disonesto di tutti i sistemi elettorali, per ingannare e adescare politicamente le masse popolari e alterare la loro reale volontà. Ciononostante, anche in queste condizioni, le masse hanno saputo dimostrare di non volere una coalizione con i radicali, ma il raggruppamento dei lavoratori contro tutta la borghesia.
Se in tutte le circoscrizioni elettorali in cui i socialisti e i comunisti si sono ritirati a favore dei radicali, fossero state avanzate al secondo turno candidature operaie rivoluzionarie, avrebbero raccolto un numero considerevole di voti. Per disgrazia non si è trovata un’organizzazione capace di una tale iniziativa. Ciò dimostra che i gruppi rivoluzionari, centrali e locali, restano al di fuori della dinamica degli avvenimenti e preferiscono astenersi o tirarsi indietro dove è necessario agire. È triste! Ma, nonostante tutto, l’orientamento generale delle masse è assolutamente chiaro. Socialisti e comunisti avevano preparato con tutte le loro forze un ministero Herriot: a rigore, un ministero Daladier.

Che cosa hanno fatto le masse? Hanno imposto ai socialisti e ai comunisti un ministero Blum. Non è un voto diretto contro la politica del fronte popolare? O forse occorrono nuove prove? La manifestazione in memoria dei comunardi ha superato quest’anno, a quanto pare, tutte le manifestazioni popolari che Parigi aveva visto. Eppure i radicali non avevano e non potevano avere niente a che fare con una simile manifestazione. Le masse lavoratrici di Parigi, con un istinto politico senza confronti, hanno dimostrato di essere pronte a raddoppiarsi dove non sono costrette a subire la ripugnante fraternizzazione dei loro capi con gli sfruttatori borghesi. L’imponenza della manifestazione del 24 maggio è la sconfessione più convincente, più infallibile di Parigi operaia alla politica del fronte popolare. Ma senza il fronte popolare, il parlamento, in cui socialisti e comunisti, nonostante tutto, non hanno la maggioranza, non potrebbe funzionare e i radicali – oh sventura! – sarebbero respinti “tra le braccia della reazione”. Un simile ragionamento è del tutto degno dei vili filistei che si trovano alla testa del Partito socialista e del Partito comunista. La non funzionalità del parlamento è la conseguenza inevitabile del carattere rivoluzionario della crisi. In virtù di una serie di astuzie politiche, si è riusciti a mascherare alla meno peggio questa non funzionalità; che, tuttavia, si manifesterà domani, malgrado tutto.

Per non spingere i radicali reazionari sino al midollo “tra le braccia della reazione”, bisogna unirsi ai radicali per la difesa del capitale. In questo, solo in questo consiste la missione del fronte popolare. Ma gli operai lo impediscono. Il parlamento non è funzionale perché la crisi attuale non offre alcuno sbocco per via parlamentare. E di nuovo le masse francesi, con il sicuro istinto rivoluzionario che le contraddistingue, hanno afferrato infallibilmente questo elemento importante della situazione. A Tolone e a Brest hanno dato i primi segnali d’allarme. Le proteste dei soldati contro il rabiot (prolungamento del servizio militare) costi­uivano la forma d’azione diretta di massa più pericolosa per l’ordine borghese. Infine, nei giorni in cui il Congresso socialista (con il vuoto parolaio Marceau Pivert) accettava unanimemente il mandato del “fronte popolare” e rimetteva a Blum questo mandato; nei giorni in cui Blum si guardava nello specchio da tutti i lati, faceva gesti preministeriali, si abbandonava a esclamazioni preministeriali e le commentava in articoli in cui si parlava sempre di Blum e mai del proletariato – proprio in quei giorni, una magnifica ondata di scioperi, veramente primaverile, è dilagata per la Francia.

Non trovando una direzione e avanzando senza di essa, gli operai, dopo l’arresto del lavoro, hanno proceduto con audacia e con baldanza all’occupazione delle fabbriche. Il nuovo gendarme del capitale, Salengro,3 prima ancora di assumere il potere, ha dichiarato (proprio come avrebbero fatto Herriot, Lavai, Tardieu o La Rocque) che avrebbe difeso “l’ordine contro l’anarchia”. Questo individuo chiama ordine l’anarchia capitalista. L’occupazione delle fabbriche e degli stabilimenti da parte degli operai, anche se pacifica, ha una enorme importanza come sintomo. I lavoratori di­cono: “Vogliamo essere i padroni negli stabilimenti dove sinora siamo stati solo degli schiavi”.

Mortalmente spaventato e desiderando far paura agli operai, Blum dice: “Io non sono Kerenskij: e al posto di Kerenskij, in Francia, verrebbe non Lenin, ma qualcun altro”. Si potrebbe supporre che il Kerenskij russo avesse compreso la politica di Lenin o avesse previsto la sua venuta al potere. In realtà, esattamente come Blum, Kerenskij faceva credere agli operai che, in caso di una sua caduta, sarebbe giunto al potere non il bolscevismo, ma “qualcun altro”. Proprio in quello in cui Blum vuole distinguersi da Kerenskij, lo imita servilmente. Tuttavia, è impossibile non riconoscere che, nella misura in cui la faccenda dipende da Blum, egli apre in realtà la via al fascismo e non al proletariato. Più criminale e più infame di ogni altra cosa è, in questa situazione, la condotta dei comunisti. Essi hanno promesso di appoggiare a fondo il governo Blum senza entrarvi. “Siamo rivoluzionari troppo terribili” dicono Cachin e Thorez “i nostri colleghi radicali possono morire di spavento, è meglio che ci teniamo in disparte.” Il ministerialismo dietro le quinte è dieci volte peggiore del ministerialismo aperto e dichiarato. In realtà i comunisti vogliono conservare la loro indipendenza esterna per poter meglio assoggettare le masse operaie al fronte popolare, cioè alla disciplina del capitale. Ma anche qui appare un ostacolo frapposto dalla lotta di classe. Il semplice e onesto sciopero di massa distrugge implacabilmente la mistica e la mistificazione del fronte popolare, che ha già ricevuto un colpo mortale e d’ora innanzi non può che perire.

Per via parlamentare non c’è sbocco. Blum non inventerà la polvere perché ha paura della polvere. Le macchinazioni ulteriori del fronte popolare non possono che prolungare l’agonia del parlamentarismo e concedere a La Rocque4 una dilazione di cui ha bisogno per prepararsi a un nuovo colpo, più serio se… se i rivoluzionari non lo precedono. Dopo il 6 febbraio 1934, alcuni compagni impazienti pensavano che lo scioglimento sarebbe giunto “l’indomani” e che per questa ragione bisognava compiere immediatamente qualche miracolo. Una simile “politica” non poteva portare che alle avventure e agli zig-zag che hanno ostacolato straordinariamente lo sviluppo del partito rivoluzionario. Non si può recuperare il tempo perduto. Ma ormai non bisogna perdere più tempo, perché ne resta poco. Neppure oggi fisseremo delle scadenze. Ma, dopo la grande ondata di scioperi, gli avvenimenti possono svilupparsi solo verso la rivoluzione o verso il fascismo.

L’organizzazione che non riusclsse a trovare una base nell’attuale movimento di scioperi, che non sapesse legarsi strettamente agli operai in lotta, sarebbe indegna del nome di organizzazione rivoluzionaria. I suoi membri farebbero meglio a cercarsi un posto in un ospizio o nelle logge massoniche (con la protezione di Pivert)! In Francia ci sono molti signori dei due sessi, ex comunisti, ex socialisti, ex sindacalisti, che vivono in gruppi e in cricche, scambiandosi tra quattro mura le loro impressioni sugli avvenimenti e che pensano che non sia giunto il momento della loro illuminata partecipazione. “È ancora troppo presto”. E quando verrà La Rocque, diranno: “Ora è troppo tardi. Sterili ragionatori di questo tipo sono numerosi in particolare nell’ala sinistra del sindacato dei maestri.5 Sarebbe il crimine più grande perdere anche solo un minuto per questa gente. Che i morti seppelliscano i loro morti!

II destino della Francia non si decide ora né al parlamento né nelle sale di redazione dei giornali conciliatori riformisti e staliniani, né nei circoli di scettici, di piagnoni e di parolai. Il destino della Francia si decide nelle fabbriche che hanno saputo indicare con l’azione la via d’uscita dall’anarchia capitalista verso l’ordine socialista. Il posto dei rivoluzionari è nelle fabbriche!

L’ultimo congresso dell’Internazionale comunista con la sua cucina eclettica, ha posto fianco a fianco la coalizione con i radicali e la creazione di comitati di azione di massa, cioè di soviet in embrione. Dimitrov, come i suoi ispiratori, credono di poter combinare la collaborazione di classe con la lotta di classe, il blocco con la borghesia con la lotta per il potere proletario, l’amicizia con Daladier con la formazione dei soviet. Gli staliniani francesi hanno dato ai comitati d’azione il nome di comitati del fronte popolare, credendo che in questo modo avrebbero conciliato la lotta rivoluzionaria con la difesa della democrazia borghese. Gli scioperi attuali riducono completamente in pezzi questa penosa illusione. I radicali temono i comitati. I socialisti temono il terrore dei radicali. I comunisti temono la paura degli uni e degli altri. La parola d’ordine dei comitati non può essere avanzata che da una organizzazione veramente rivoluzionaria, assolutamente devota alle masse, alla loro causa, alla loro lotta. Gli operai francesi hanno dimostrato di nuovo di essere degni della loro reputazione storica. Bisogna aver fiducia in loro. I soviet sono nati sempre dagli scioperi. Lo sciopero di massa è l’elemento naturale della rivoluzione proletaria. I comitati d’azione non possono essere attualmente che i comitati degli scioperanti che occupano le aziende. Da una officina all’altra, da una fabbrica all’altra, da un quartiere all’altro, da una città all’altra, i comitati d’azione devono stabilire tra loro un legame solido, riunirsi in conferenze di città, di gruppi di produzione, di circoscrizione, per arrivare alla fine a un congresso di tutti i comitati d’azione della Francia. Questo sarà il nuovo ordine, che deve sostituire l’anarchia attuale.

5 giugno 1936

1. Le elezioni del ’36 ebbero luogo nei due turni successivi del 26 aprile e del 3 maggio (ballottaggio). I partiti operai ebbero oltre tre milioni e mezzo di voti e il Partito socialista ottenne centoquarantasei seggi (contro novantasette nella camera precedente) e il Partito comunista francese settantadue (contro sedici).

2. I neosocialisti avevano costituito la destra del Partito socialista. Un gruppo che rispecchiava piuttosto le tendenze riformiste di destra tradizionali, era diretto da Renaudel e Ramadier, mentre un altro, di indirizzo nazional­socialista, era sotto l’influenza di Déat.

3. Salengro, sindaco socialista di Lille, fu Ministro degli interni nel governo Blum e nel luglio del ’36 si valse della polizia per far evacuare le fabbriche occupate dagli operai. Oggetto successivamente di una campagna scandalistica da parte dell’estrema destra (era accusato di diserzione durante la guerra), si suicidò.

4. La Rocque era il noto dirigente dell’organizzazione reazionaria delle Croix de feu, che ebbe una parte di primo piano nel moto del 6 febbraio 1934. Dopo il maggio ’36 fondò un partito denominato Partito sociale francese.

5. Il sindacato dei maestri in Francia era un sindacato di categoria al di fuori delle centrali confederali, caratterizzato dalla presenza di tendenze di sinistra. In altre occasioni Trotskij ebbe a riferirsi all’organo del sindacato “l’Ecole emancipée” e a polemizzare con taluni suoi redattori. categoria, al dt fuori dt tutte le centrali confederali ed è Influenzatoda elementi di sinistra.

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