La Cina e il suo ruolo nel mondo

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La Cina e il suo ruolo nel mondo

di Jorge Martin (da www.marxist.com)

 

Qual è il ruolo della Cina oggi? Mentre alcuni a sinistra hanno celebrato le ambizioni cinesi come un contrappeso agli Stati Uniti, Jorge Martin spiega che il capitalismo è stato da tempo restaurato in Cina, che oggi presenta tutte le caratteristiche di una potenza imperialista in ascesa. Il “multipolarismo” non offrirà alcun vantaggio ai lavoratori del mondo, che possono fare affidamento solo sulla propria forza per liberarsi dalle catene dell’imperialismo e del capitalismo a livello internazionale.

L’articolo che pubblichiamo qui di seguito è costituito dalla trascrizione di una relazione tenuta nel novembre 2023 da Jorge Martin al Revolution Festival, la scuola annuale di comunismo organizzata dalla sezione britannica della Tendenza Marxista Internazionale.

Prima di tutto, facciamo un po’ di chiarezza. Nei media occidentali, e tra le principali figure politiche dell’imperialismo occidentale in Inghilterra, negli Stati Uniti e così via, assistiamo a una campagna incessante contro la Cina. Dicono che “la Cina è malvagia”, “la Cina sta facendo tutte queste cose cattive” (che ovviamente fanno anche loro, ma che importa…), “la Cina è orribile”, “la Cina intriga e complotta”, sembra addirittura che Pechino stia pagando alcune persone a Westminster per influenzare i politici, come se questo non avvenisse mai in questo paese, e via dicendo.

Congresso del Partito Comunista Cinese.

Adesso, questo [che sto per fare] non è un discorso contro la Cina. È, bensì, un tentativo comunista di comprendere qual è la natura della Cina e che ruolo gioca nelle relazioni mondiali.

Noi siamo internazionalisti e non appoggiamo le nostre classi dominanti. Noi non difendiamo i diritti delle nostre classi dominanti imperialiste. Vogliamo analizzare la situazione dal punto di vista degli interessi della classe lavoratrice, della classe lavoratrice in Cina e della classe lavoratrice in tutto il mondo. È importante per i comunisti comprendere le relazioni mondiali e da dove esse derivino.

Il punto di partenza è questo: la Cina è un paese capitalista e lo è da un po’ di tempo.

Cercherò di utilizzare i dati ufficiali cinesi. Non direi tanto che questi dati debbano essere presi con le pinze, ma sicuramente devono essere capiti, perché a volte le definizioni di cosa sia una azienda privata, una azienda mista o una azienda di Stato sono un po’ complicate e non necessariamente corrispondono a quello che solitamente intendiamo con questi termini. Ma, secondo i dati ufficiali cinesi, il settore privato, definito in maniera restrittiva come composto da aziende con meno del 10% di partecipazione statale, nella prima metà del 2023, ammontava a circa il 40% del Pil. Questo è un dato che possiamo prendere per buono. Ma è anche la percentuale più bassa registrata da questo indice dal 2019.

Durante la pandemia, il settore privato si è un po’ contratto e il settore statale è cresciuto proporzionalmente. Il settore privato aveva raggiunto il picco massimo del 55% del Pil nel 2021. Ma penso che non sia importante soltanto guardare il peso del settore privato, ma anche osservare in quale direzione si stia andando. Qual è la direzione del processo? Nel 2010, il settore privato, così definito, rappresentava solo l’8% del Pil, e adesso è intorno al 50%.

Secondo i dati ufficiali, più dell’80% della forza-lavoro industriale, cioè dei lavoratori che lavorano esclusivamente nelle fabbriche, è impiegata nel settore privato. Il settore privato contribuisce al 50% delle esportazioni e le esportazioni sono ovviamente una parte importante dell’economia cinese, più di quanto non lo siano in altri paesi capitalisti.

Nel 2011, cioè quando questo processo era ancora all’inizio, o era cominciato da circa dieci anni, Shen Danyang, il portavoce del Ministro del Commercio cinese, disse che “dopo 30 anni di riforme e di apertura, la Cina ha completato la trasformazione da un’economia pianificata a un’economia di mercato”. Questa era la posizione ufficiale dello Stato cinese nel 2010. Anche ciò deve essere preso con le pinze, perché all’epoca i cinesi stavano negoziando l’ingresso nel WTO e questo implicava dover stabilire se la Cina dovesse essere considerata un’economia pianificata oppure no. Ma fornisce un’idea di quale sia la situazione.

A mio parere, ormai da alcuni anni, non si può negare che lo Stato cinese difenda e promuova relazioni di proprietà capitalistiche. Certo, la Cina è un paese capitalista nel quale lo Stato gioca un ruolo economico importante. Ciò avviene a causa della sua storia e di altri fattori che derivano dal fatto che ha subito una transizione da un’economia pianificata a un’economia capitalista. Ma, ad ogni modo, il settore statale viene utilizzato per difendere, promuovere e favorire relazioni di proprietà capitalistiche.

Non è la pianificazione economica a essere dominante in Cina, ma il movente del profitto privato. Ed è così che funziona l’economia capitalista in Cina dopo un processo che ha impiegato più di 30 anni.

Un altro fattore interessante è il capitale cinese all’estero, cioè il fatto che i capitalisti cinesi stabilitisi in altri paesi abbiano giocato un ruolo importante nello sviluppo del capitalismo in Cina. Sono stati i primi a investire nelle aziende private, portando stabilimenti in Cina, ecc. Ma, ovviamente, anche il capitale internazionale ha avuto un grande ruolo. E questo faceva parte di quello che negli anni ’90 è stato chiamato processo di globalizzazione, che includeva l’integrazione della Cina nel mercato capitalista.

Ci sono stati massicci investimenti da parte delle aziende occidentali in Cina, che veniva utilizzata originariamente come una miniera di manodopera a basso costo. Questo era ciò di cui andavano in cerca. Andavano in cerca di manodopera a basso costo per poter produrre a basso costo. E, per inciso, questo ha avuto un ruolo importante per un intero periodo nel mantenere bassa l’inflazione nei paesi capitalisti avanzati. Tutto ciò costituiva una parte consistente della situazione politica e economica degli anni ’90 e oltre.

Una domanda che ci si potrebbe legittimamente porre è: com’è possibile che un paese arretrato, oppresso, come era la Cina prima della Rivoluzione Cinese del 1949, sia diventato un attore potente nell’economia mondiale, con un’economia capitalista forte e sviluppata?

Leggendo la teoria della rivoluzione permanente di Trotskij vi si afferma che, nell’epoca dell’imperialismo, la borghesia nazionale dei paesi oppressi e dei paesi capitalisti arretrati non è in grado di giocare un ruolo progressista e di portare a termine i compiti della rivoluzione borghese, della rivoluzione democratico-nazionale.

Ma la Cina è diversa, dal momento che in Cina non è stata la classe capitalista, la borghesia cinese, a portare a termine questi compiti. È stata la Rivoluzione Cinese, che ha abolito il capitalismo e ha percorso un lungo cammino per risolvere i compiti democratico-nazionali in Cina, che sono principalmente la riforma agraria, con l’espropriazione dei latifondisti, e la questione dell’unificazione nazionale e della sovranità nazionale.

La Cina, negli anni ’90 o negli anni Duemila, non era più un paese arretrato dominato dall’imperialismo, era un paese indipendente, nel quale la maggior parte dei compiti della rivoluzione democratico-nazionale erano stati risolti da decenni. E questa è stata la base da cui è partito lo sviluppo capitalista in Cina. Oltre a ciò, c’erano altri elementi (il fatto che ci fosse uno stato forte, l’istruzione universale, un alto livello di istruzione e culturale) che hanno permesso alla Cina di rimettersi al passo su una serie di tecnologie avanzate, e così via.

Non solo la Cina è diventata un paese capitalista, ma è diventata un paese capitalista che è riuscito a mutare il proprio ruolo nella divisione internazionale del lavoro. Come ho detto, originariamente era un paese in cui predominava la manodopera a basso costo e l’esportazione di merci a basso costo; giocattoli, prodotti tessili, elettronica a basso costo, e così via. Ma non è più così, o comunque quei caratteri che l’economia capitalista cinese aveva forse 20 anni fa, non sono più predominanti.

Direi che oggi la Cina si è diretta verso un’economia con un livello tecnologico e salariale più elevato. Il salario medio mensile nelle aree urbane in Cina oggi è di circa 1.300 dollari, secondo i dati CEIC. Questo dato, sebbene nasconda una serie di disparità regionali e tra i diversi settori, renderebbe i salari dei lavoratori cinesi più alti, ad esempio, di quelli dei lavoratori in Albania, in Romania, in Messico e in altri paesi nei quali si recano i capitalisti in cerca di manodopera a basso costo.

E questo comporta numerose conseguenze. Ci sono ormai alcune aziende (per differenti motivi, ma una di queste sono i salari) che si stanno spostando dalla Cina o dalle sue aree costiere, che sono economicamente più sviluppate, verso aree in cui la manodopera è più a buon mercato, o in altre economie asiatiche con forza-lavoro a basso costo, oppure in altre economie simili che si trovano geograficamente più vicine ai mercati capitalisti che tali aziende vogliono raggiungere (ad esempio il Messico). Questo è un processo che è stato chiamato “near-shoring” o “friend-shoring” [dall’inglese “near” vicino o “friend” amico, inteso a livello diplomatico, con questi termini si indica la rilocalizzazione delle aziende, come spiegato sopra, ndt].

L’economia cinese ha adottato tecnologie molto avanzate. In alcuni settori, la tecnologia cinese ha superato quella degli altri paesi capitalisti e imperialisti, ad esempio nella produzione di veicoli elettrici, che è un settore in crescita nell’economia capitalista. Non sono nemmeno lontanamente un ingegnere, ma, da quanto riesco a capire, la cosa più importante in un veicolo elettrico non è tanto il motore, bensì la batteria e l’autonomia che questa batteria possiede, ecc.

Adesso, c’è un’azienda cinese chiamata CATL. È il più grosso produttore al mondo di batterie per veicoli elettrici e controlla il 34% del mercato mondiale, è molto più grande di qualsiasi altra azienda del settore e rifornisce tutti i principali produttori del mondo, incluse Tesla, Ford e Volvo (che ovviamente non è più una multinazionale svedese, ma è stata acquistata o assorbita dal capitale cinese).

E come ha fatto la Cina a ottenere tutto questo? Ebbene, con i metodi tradizionali di un paese capitalista: rubando tecnologie, inviando migliaia di studenti a studiare nelle università più prestigiose in Gran Bretagna o negli Stati Uniti, investendo una montagna di denaro in centri di ricerca e sviluppo e fondamentalmente investendo in una serie di settori che ritengono saranno il futuro dell’economia capitalista, ottenendo così un vantaggio sugli altri paesi.

Questo è anche frutto, in parte, dello sviluppo diseguale e combinato. Un’economia precedentemente arretrata può fare un salto in avanti in alcuni settori. La Cina, per esempio, gode di un vantaggio nella misura in cui non ha mai costruito un imponente settore industriale per la produzione di veicoli con i tradizionali motori a combustione e, pertanto, la sua transizione ai veicoli elettrici avviene molto più velocemente, e questo può essere replicato in molti altri settori dell’economia.

Il ruolo della Cina nel mondo è anch’esso cambiato. Sosterrò che la Cina sta giocando un ruolo imperialista nell’economia e nelle relazioni mondiali.

Ora, cosa significa imperialismo? Quando parliamo di imperialismo, da un punto di vista comunista, non lo intendiamo nel suo significato generico e comune, di politica estera aggressiva, invasioni militari, ecc. Questo è una parte dell’imperialismo.

Ma se guardiamo la definizione di Lenin dell’imperialismo, le caratteristiche classiche che Lenin descrive nel suo libro “Imperialismo, fase suprema del capitalismo”, sono:

“1) la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica; 2) la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo “capitale finanziario”, di un’oligarchia finanziaria; 3) la grande importanza acquistata dall’esportazione di capitale in confronto con l’esportazione di merci; 4) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo; 5) la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche.” (Lenin, L’Imperialismo, AC Editoriale, 2022, pag. 188)

La definizione data da Lenin si riferisce alla fase imperialistica del capitalismo. Lenin sta parlando del sistema mondiale, non sta cercando di definire un paese spuntando cinque caselle. E il sistema mondiale che descrive è quello della divisione del mondo tra le principali potenze capitaliste. Sosterrò che la Cina soddisfa tutte queste diverse condizioni, in varia misura, e che è ormai parte del sistema imperialista mondiale.

Lenin parla nell’Imperialismo anche dell’inevitabilità dell’ascesa e della caduta delle potenze imperialiste:

“Infatti in regime capitalista non si può pensare a nessun’altra base per la ripartizione delle sfere d’interessi e d’influenza, delle colonie, ecc., che non sia la valutazione della potenza dei partecipanti alla spartizione, della loro generale potenza economica finanziaria, militare, ecc. Ma i rapporti di potenza si modificano, nei partecipanti alla spartizione, difformemente, giacché in regime capitalista non può darsi sviluppo uniforme di tutte le singole imprese, trust, rami d’industria, paesi, ecc. Mezzo secolo fa la Germania avrebbe fatto pietà se si fosse confrontata la sua potenza capitalista con quella dell’Inghilterra d’allora: e così il Giappone rispetto alla Russia. Si può “immaginare” che nel corso di 10-20 anni i rapporti di forza tra le potenze imperialiste rimangono immutati? Assolutamente no.” (Ivi, pag. 229)

Prima di tutto, come ho detto, la Cina è dominata dai grandi monopoli. Le aziende cinesi sono enormi, queste enormi aziende dominano una percentuale molto elevata del totale dell’economia cinese e questi monopoli hanno una proiezione nell’economia mondiale.

Giusto per dare un’idea, in totale sono 135 le aziende cinesi che compaiono nella lista delle 500 più grandi aziende al mondo nel 2023 redatta da Forbes, ed è il quinto anno consecutivo che le aziende cinesi sono in cima alla lista a livello numerico. Gli Stati Uniti ne contano 136 nella lista, il Giappone 41. Dunque, la Cina ha più o meno lo stesso numero di grandi aziende degli Stati Uniti.

La finanza, poi, domina l’economia cinese e osserviamo una fusione tra il capitale finanziario e il capitale industriale. Questo elemento è molto marcato in Cina. Sebbene ci siano differenti parametri per misurarne la dimensione (ammontare dei depositi, capitalizzazione di mercato, numero di dipendenti), utilizzando almeno uno di questi, la Cina possiede le quattro più grandi banche al mondo: l’Industrial Commercial Bank of China, la China Construction Bank, la Bank of China e la Agricultural Bank of China. Queste sono le quattro più grandi banche al mondo e giocano un ruolo importante nell’economia cinese. Altresì, giocano un ruolo importante nell’economia mondiale.

Se è vero che queste sono tutte banche statali, il che è un risultato del processo attraverso cui il capitalismo è emerso in Cina, nel paese esiste anche un grosso settore di “shadow banking” [sistema bancario collaterale o sistema bancario ombra, ndt], che, secondo un rapporto ufficiale, nel 2019 ammontava all’86% del Pil, cioè a 12mila miliardi di dollari.

La Cina, da un po’ di tempo a questa parte, esporta anche capitale. Se guardiamo il grafico dell’esportazione di capitali cinesi, esso è in crescita costante dal 2005 circa, in particolare dopo il 2010. E ha raggiunto adesso livelli molto elevati. Certo, sono successe molte cose negli ultimi due o tre anni: la pandemia di Covid-19, i lockdown e l’interruzione delle filiere commerciali mondiali, e così via. Tutto ciò ha alterato alcune di queste tendenze. Ma fino a quel momento, la curva tendeva a crescere. Per dare un’idea, gli investimenti diretti esteri (IDE) della Cina hanno cominciato a crescere dal 2000. Il flusso annuale degli IDE della Cina è cresciuto dai 2,7 miliardi di dollari nel 2002 fino a raggiungere i 200 miliardi nel 2016. Nell’arco di circa 15 anni, si è moltiplicato per 100.

Investimenti diretti esteri cinesi, 2002-2016.

Darò alcuni dati per i 10 principali paesi e regioni al mondo per IDE, in termini di stock e di flusso annuale nel 2015. La fonte è il ministero del Commercio cinese.

In termini di stock, cioè del valore totale accumulato degli IDE, gli Stati Uniti erano in cima con il 23% del totale globale. La Cina era all’ottavo posto, con solo il 4,4%. Ma Hong Kong, che viene contata separatamente, era la quarta con il 5,9% in termini di stock. Ma in termini di flusso, cioè del denaro che fuoriesce ogni anno sotto forma di IDE, gli Stati Uniti nel 2015 erano ancora al primo posto con il 20% del flusso di IDE globale, ma la Cina era al secondo con il 10%, la metà di quello degli Stati Uniti. Hong Kong era al nono posto con il 3,7%. Se aggiungiamo Kong alla Cina si ottiene circa il 13,6%, un cifra non molto lontana dal flusso di IDE degli Stati Uniti nel 2015. Molte aziende private cinesi, inoltre, sono registrate a Singapore, da dove effettuano a propria volta investimenti altrove, e perciò almeno una parte degli investimenti di Singapore dovrebbero essere considerati come investimenti cinesi.

Certo, quella degli investimenti diretti esteri è una categoria molto ingannevole. Parte di questo denaro viene poi stanziato nei paradisi fiscali alle Isole Cayman, alle Seychelles o in altri luoghi simili. Ma in gran parte si trasforma effettivamente in investimenti diretti, in fusioni e acquisizioni. Abbiamo visto la Cina promuovere con molta determinazione gli investimenti delle aziende cinesi sotto forma di acquisizioni e investire in altri paesi e in ogni tipo di settore, come vedremo adesso in maniera particolareggiata.

Tabella dei primi 10 paesi per quantità e flusso di IDE nel 2015.

La spesa della Cina in aiuti all’estero.

La spesa della Cina in aiuti all’estero (che è anch’essa un’altra forma di imperialismo, dal momento che sappiamo che gli aiuti all’estero non sono finalizzati a aiutare realmente, bensì a ottenere peso politico e a rendere altri paesi dipendenti dai tuoi aiuti, ecc.) ammontava a una cifra molto ridotta, ma sta crescendo molto in fretta. La spesa in aiuti all’estero è cresciuta da 600 milioni di dollari nel 2003 a 2,3 miliardi nel 2016. Ebbene, una cifra di 2,3 miliardi fa rientrare la Cina nello spettro dei paesi capitalisti di media grandezza, come il Belgio o l’Australia, in termini di spesa in “aiuti all’estero”.

Infine, c’è la questione della spartizione del mondo tra le principali potenze imperialiste e la Cina ne è parte integrante in maniera abbastanza evidente. Sicuramente avrete sentito parlare della Belt and Road Initiative, anche conosciuta come la Nuova Via della Seta. Qual è il suo significato? La Cina sta spendendo un sacco di denaro nel tentativo di assicurarsi rotte marittime commerciali per i suoi prodotti volti all’esportazione, ma anche di accaparrarsi fonti di energia e di materie prime per il suo famelico sviluppo industriale. Si sta anche garantendo settori di investimento e sta legando tutta una serie di paesi alla propria area di influenza, attraverso l’esportazione di capitali, gli investimenti e così via.

E tutto ciò ha chiaramente messo la Cina in conflitto aperto con gli Stati Uniti. Possiamo vedere che si sono accumulati ormai molti aspetti o elementi di una guerra commerciale tra la Cina e gli Stati Uniti, che ha avuto inizio all’epoca della presidenza di Trump, ma che è continuata sotto l’amministrazione di Biden. Non si tratta di una politica di un determinato partito, è la politica della classe dominante capitalista degli Stati Uniti. E ne abbiamo visti molti episodi. Ad esempio, gli Stati Uniti hanno fatto una pressione molto forte sulla Gran Bretagna affinché non permettesse a Huawei di costruire impianti 5G. E questo avviene proprio adesso perché Huawei, che molti immaginano ancora come un produttore di cellulari di fascia economica, è ormai uno dei principali attori nella costruzione di impianti 5G al mondo.

Si tratta uno sviluppo tecnologico molto tumultuoso. E la Cina è alla guida in questa tecnologia. Ci sono altri casi. Gli Stati Uniti stanno facendo pressioni sul Brasile in maniera molto pesante affinché non faccia entrare Huawei [nel suo mercato, ndt]. Il Canada ha arrestato alcuni dirigenti di Huawei. E tutto ciò non ha nulla a che fare con lo spionaggio industriale o con la preoccupazione che le telefonate del governo vengano ascoltate dalla Cina. Questo elemento può essere presente, ma essenzialmente ciò riguarda la concorrenza tra differenti imprese capitalistiche.

Tra l’altro, questo dimostra anche un’altra cosa. C’erano individui, venti anni fa, che spiegavano che l’imperialismo non esisteva più e che c’era l’“Impero”: un unico conglomerato mondiale di aziende che dominano tutto senza alcun legame con gli Stati nazione (ad esempio, vedi M. Hardt, A. Negri, Impero, Rizzoli, 2003). No, l’imperialismo esiste e si divide in differenti potenze imperialiste che competono e si fanno la guerra tra di loro. La Cina difende gli interessi di Huawei, gli Stati Uniti difendono gli interessi di Boeing e l’Unione Europea difende gli interessi di Airbus nel mercato mondiale con ogni mezzo a loro disposizione.

Questo, come dicevo, pone la Cina in conflitto con gli Stati Uniti. Questo conflitto è molto evidente e si manifesta in molti campi diversi. Al momento, la Cina non sta utilizzando la propria forza militare per difendere i propri interessi imperialistici… o almeno, non ancora. E questo fa sì che la gente dica: “Oh, ma gli investimenti cinesi in Africa sono investimenti amichevoli, non come gli imperialisti che organizzano colpi di Stato militari e mandano navi da guerra, ecc.”. Sì, è vero che non sono stati ancora utilizzati gli stessi mezzi. Ma ciò non significa che gli investimenti cinesi abbiano un carattere differente dagli investimenti imperialistici di altri paesi.

La Cina non sta utilizzando la forza militare per imporre all’estero i propri interessi imperialistici perché non è ancora in grado di farlo. La Cina è molto più debole degli Stati Uniti da un punto di vista militare, sebbene stia recuperando terreno in molti settori. Gli Stati Uniti hanno costruito la propria forza militare in tutto il mondo in un lungo periodo di tempo. Così, la Cina sta principalmente utilizzando la finanza, la diplomazia, ecc.

Tuttavia, bisogna dire che la Cina ha già costruito una base militare in Gibuti. Il Gibuti è un importante collo di bottiglia per il commercio internazionale allo sbocco del Mar Rosso. E molti dei porti che stanno costruendo, o sono stati costruiti, lungo la Nuova Via della Seta hanno potenzialmente un doppio utilizzo civile e militare.

Una parte di ciò è propaganda americana, ma un’altra parte è anche potenzialmente vera, e lo schema classico degli investimenti diretti all’estero da parte della Cina in diversi paesi funziona così: una banca statale cinese presta del denaro al paese A; il paese A utilizza poi questo denaro per portare avanti alcuni grandi progetti infrastrutturali, una diga, una centrale idroelettrica, una linea ferroviaria, lavori di ampliamento in un porto per servire grandi navi commerciali, e così via. Questi progetti infrastrutturali vengono solitamente condotti da aziende cinesi dei settori dell’edilizia infrastrutturale, civile o ferroviaria. Le aziende cinesi poi gestiscono il progetto, ad esempio, una azienda ferroviaria cinese gestisce la ferrovia, una grossa azienda cinese di hardware subentra a sua volta, ecc. E poi, in cambio di questi investimenti, che prendono la forma di un prestito, questo paese è indebitato con la Cina. In cambio di ciò, la Cina ottiene il diritto di estrarre minerali o altre risorse naturali, ottiene accordi commerciali favorevoli per la soia o la carne, o si assicura altre concessioni simili. E questi progetti infrastrutturali, curiosamente, collegano le materie prime che questo paese possiede ai porti dai quali verranno spedite in Cina.

Questi progetti vengono messi a garanzia del debito e quando questo paese, come spesso accade, va in default sul debito, i cinesi ottengono il controllo totale dell’infrastruttura che hanno costruito. E tutto ciò costruisce una leva debitoria e politica, creando una relazione che non può essere descritta altrimenti se non come quella di un paese imperialista con un paese oppresso.

E questo sta avvenendo ovunque. Sta avvenendo in tutta l’Africa, l’America latina e in molti paesi asiatici. E vi posso dare molti esempi.

Per esempio, tra le altre cose, la Cina ha sviluppato una rete di investimenti nei porti di tutto il mondo che considera cruciali per le proprie rotte commerciali. Guardando alla mappa, si rimarrà sorpresi. Almeno questo è successo a me! (vedi: China has acquired a global network of strategically vital ports, Washington Post, 6/11/23).

La Cina adesso controlla, o ha investimenti (in alcuni casi un piccolo investimento, del 10-30%, in altri casi con una posizione dominante) in tutte le principali rotte marittime del mondo: nello Stretto di Malacca, in Malesia, a Singapore, in Indonesia e ovviamente in questo grande porto [porto di Colombo, ndt] nello Sri Lanka. Poi, c’è il porto di Gwadar che hanno costruito in Pakistan, che comporta anche che ci sarà un collegamento via terra attraverso l’Asia Centrale. Tra l’altro, tutto questo aggira l’India, che è tradizionalmente un nemico della Cina nelle relazioni mondiali. E poi da Gwadar si arriva a Gibuti, il porto che ho menzionato prima, che è stato costruito da un’azienda cinese che ne detiene anche la proprietà. Ancora, dall’altra parte dello sbocco del Mar Rosso, c’è il porto di Aden, dove nuovamente i cinesi hanno investito.

Sul lato del Mediterraneo, ci sono i porti in Egitto, sul Canale di Suez, e il porto di Haifa a Israele. Poi, c’è il porto del Pireo in Grecia, che è totalmente di proprietà di un’azienda cinese, la Cosco. Da li si può continuare verso i porti del Nord Italia, il porto di Valencia in Spagna, il porto di Algeri, i porti in Marocco.

Da lì, si può andare a nord verso il porto di Bilbao, numerosi porti in Francia, un porto in Belgio, Rotterdam, che è il più grande porto al mondo. E adesso si è concluso l’accordo per cui ci saranno investimenti cinesi nel porto di Amburgo e su altre rotte commerciali.

Prima della guerra in Ucraina, la Cina aveva investito nei porti di Odessa e Mykolaiv, che adesso, ovviamente, non servono a molto. Ma hanno investimenti di questo tipo.

E anche sul versante del Pacifico, la Cina ha investimenti nel porto di Los Angeles e nel porto di Seattle, i due porti più grossi sulla costa del Pacifico. E la Cina sta costruendo al momento un nuovo porto a Chancay in Perù, che ridurrà il tempo di trasporto tra la Cina e il Sud America da cinque a dieci giorni.

Questo solo per dare un’idea di cosa stanno cercando di fare. Vogliono assicurarsi le rotte commerciali e marittime, il che non è “malvagità, intrigo e cospirazione”. È semplicemente il comportamento di un paese che vuole garantire i propri interessi nel mondo.

Darò solo un esempio. In Zambia, un paese senza sbocco al mare nell’Africa Meridionale, che dispone di abbondanti riserve di rame, i cinesi hanno fatto investimenti e hanno ottenuto i diritti di estrazione del rame. Lo Zambia è pesantemente indebitato con la Cina. I cinesi hanno adesso costruito e rinnovato una linea ferroviaria che collega le miniere in Zambia con il porto di Dar es-Salaam in Tanzania , per trasportare il rame.

Una regione chiave nell’economia mondiale in termini di risorse naturali, al momento, è l’Africa Centrale, in particolare il Congo, dove viene estratto moltissimo cobalto, ma anche altri minerali importanti per lo sviluppo di nuove tecnologie. E indovinate: i cinesi stanno costruendo una serie di linee ferroviarie che connetteranno la costa dell’Oceano Indiano con il Congo, una che connette Ruanda, Malawi, Burundi, con l’Uganda, un’altra che connette Kenya e Gibuti, e così via. L’idea è di garantire un modo veloce e efficiente per estrarre queste materie prime da queste importanti aree del mondo. Da Nairobi a Mombasa, da Addis Abeba a Gibuti, ci sono molti esempi simili.

L’Ecuador è fortemente indebitato con la Cina, e anche lo Sri Lanka, la Tanzania, ecc.

Lo stesso sta succedendo in tutto il Sud America. Circa due anni fa, la Cina è diventata il principale partner commerciale dell’intero Sud America. E questo è molto dannoso dal punto di vista degli interessi dell’imperialismo statunitense. Circa 200 anni fa, venne stabilita la Dottrina Monroe. E la Dottrina Monroe dice “l’America agli americani”, il che fondamentalmente significa che le Americhe sono il cortile di casa dell’imperialismo americano e che nessun’altra potenza imperialista potrà mettere bocca in America. Ebbene, adesso c’è la Cina, che è il principale partner di tutto il Sud America, e in particolare di paesi come Cile, Argentina, Ecuador, Perù, Brasile e Bolivia.

Con tutti questi paesi, qual è la natura di questi rapporti commerciali? La Cina compra materie prime, rame, carne di manzo e maiale, petrolio, gas, litio, soia (contribuendo così alla deforestazione di intere regioni in Sud America) e vende prodotti manifatturieri, macchinari, mezzi di trasporto, prodotti chimici, che sono i principali articoli che la Cina esporta.

Allo stesso tempo, la Cina investe denaro in America Latina attraverso investimenti diretti all’estero. La Cina ha comprato la rete elettrica di numerosi stati del Brasile e aziende private cinesi di auto elettriche, BYD e Great Wall Motors, hanno comprato recentemente due grossi stabilimenti automobilistici in Brasile, uno in precedenza di proprietà della Ford e un altro che era prima in mano alla Mercedes. Due aziende imperialiste occidentali hanno lasciato il Brasile e sono state soppiantate ora da due aziende cinesi che produrranno veicoli elettrici.

A proposito, il più grande produttore al mondo di auto elettriche al momento è BYD, sebbene questi dati siano un po’ fuorvianti, dal momento che BYD produce sia veicoli esclusivamente elettrici che ibridi, mentre Tesla, che è il principale concorrente, produce solo veicoli elettrici. Dunque non è la stessa cosa, ma siamo vicini [Dal momento in cui si è tenuta questa relazione, BYD ha superato Tesla come più grande produttore al mondo di veicoli esclusivamente elettrici, nda].

Direi che tutti questi fatti e questi dati dimostrato che la Cina è un paese imperialista e questo ha determinate conseguenze e implicazioni. Alcuni dicono che il ruolo che la Cina gioca nell’economia mondiale è positivo, persino progressista, poiché implica che possiamo sperare adesso in un mondo multipolare, non più dominato dall’imperialismo americano. Questo, dicono, è uno sviluppo positivo per i popoli del mondo, in particolare quelli dei paesi oppressi che, essi sostengono, hanno adesso modo di svilupparsi liberamente.

Ma questo è completamente sbagliato. Non c’è alcun vantaggio per la classe lavoratrice, che si tratti di paesi capitalisti avanzati o di paesi capitalisti dipendenti, in un cambiamento da un mondo dominato, o principalmente dominato, da un unico paese imperialista, a un mondo in cui diverse potenze imperialistiche lottano per il controllo sui vari paesi. Questo non migliora la situazione della classe lavoratrice, dei contadini poveri o dei poveri delle nazioni oppresse del mondo. Significa semplicemente che c’è più conflitto. Che si sono più guerre regionali tra le potenze.

Se qualcuno ha partecipato al dibattito di ieri sulla situazione in Africa e sull’imperialismo francese [riferimento al programma del Revolution Festival, all’interno del quale si è tenuta la conferenza qui riprodotta, ndt], può vedere chiaramente che non c’è alcun miglioramento. Per i lavoratori di tutto il mondo, il proprio interesse è di lottare contro tutte le potenze imperialiste, non di lottare in modo che le differenti potenze imperialiste si facciano da contrappeso. È vero tuttavia che, dal momento che la Cina gioca un ruolo maggiore nell’economia globale, alcuni paesi stanno cercando di bilanciarsi tra una potenza e l’altra e di modificare un po’ le proprie alleanze.

Per esempio, abbiamo visto tutta una serie di paesi che erano in passato alleati molto stretti degli Stati uniti, o erano fondamentalmente fantocci completamente dominati dagli Stati Uniti, come la Turchia, l’Arabia Saudita, o anche il Brasile, che cercano adesso di giocare un ruolo più indipendente nella politica mondiale. Ciò non significa che l’Arabia Saudita abbia tagliato i propri legami con gli Stati Uniti. No, stanno cercando di mettere la Cina contro gli Stati Uniti, per trarne un po’ di vantaggio per se stessi. Questo non apporta alcun beneficio ai lavoratori sauditi, che rimangono sotto il giogo di una monarchia semi-feudale e reazionaria. Molti di essi sono lavoratori immigrati privi di diritti, con salari bassissimi e iper-sfruttati. Ma, nel conflitto con l’Ucraina, è chiaro che l’Arabia Saudita propende per aiutare la Russia, mantenendo bassi i prezzi del petrolio, e sta commerciando con la Russia.

Ci sono altri fattori nella relazione tra Stati Uniti e Arabia Saudita. Gli Stati Uniti sono quasi autosufficienti per quanto riguarda il petrolio, il che non avveniva in passato. Ma, chiaramente, se guardiamo ciò che è successo nel mondo quest’anno, ci si rende conto che c’è stato un accordo di pace tra Arabia Saudita e Iran, che è stato mediato dalla Cina. E questo significa che gli Stati Uniti non giocano più un ruolo dominante in Medio Oriente come riuscivano a fare in passato. Lo stesso è avvenuto nella guerra in Siria.

Adesso, un’altra cosa che dobbiamo dire è che questo processo ha alcuni limiti precisi. Non stiamo dicendo che la Cina sta accrescendo la sua influenza nel mondo, che sta ampliando il suo ruolo come potenza imperialista e a un certo punto soppianterà gli Stati Uniti e diventerà la principale potenza imperialista al mondo. Non stiamo dicendo questo. E il motivo è che questo processo ha certi limiti, che io penso che l’economia cinese abbia ormai più o meno raggiunto.

L’economia cinese per molti anni ha investito nella formazione del capitale costante, cioè nella costruzione di macchinari, fabbriche e impianti, e adesso sta affrontando una classica crisi capitalista di sovrapproduzione. Produce troppo acciaio, troppe automobili, troppo di tutto, che non riesce a vendere da nessuna parte. È una classica crisi capitalista.

Esiste anche una crisi dovuta al calo tendenziale del saggio di profitto. Lo stesso livello di investimenti in macchinari e tecnologia in Cina non produce più lo stesso livello di crescita del Pil, come faceva in passato. La Cina sta ancora crescendo, ma sicuramente non allo stesso ritmo del passato.

Ci sono anche altri fattori. Le economie di Cina e Stati Uniti sono estremamente interconnesse. Pertanto, ci sono aziende americane che hanno interesse a evitare una guerra commerciale. Per esempio, la Foxconn ha costruito enormi impianti industriali in Cina che costruiscono quasi tutti i cellulari Apple che vengono utilizzati in Occidente. Foxconn non ha chiaramente nessun interesse a una guerra commerciale, e ci sono molte altre aziende occidentali con investimenti in Cina che stanno giocando un ruolo di freno.

Di tanto in tanto, si vedono dei leader capitalisti occidentali che vanno in Cina per incontri di affari, cercando di ristabilire normali relazioni diplomatiche.

Infine, gli Stati Uniti stanno subendo un declino del proprio ruolo di potenza imperialista globale, ma tale declino è ancora relativo. Alcuni dicono, “Oh, la Cina ha già superato gli Stati Uniti come principale economia, o supererà gli Stati Uniti”, ma la Cina ha una popolazione molto maggiore a quella degli Stati Uniti. Questo significa che a livello generale la produttività del lavoro negli Stati Uniti è molto più elevata che in Cina, essendo la Cina un paese dallo sviluppo molto disomogeneo e diseguale. Non sono la stessa cosa le aree costiere, dove gran parte dello sviluppo capitalista ha avuto luogo, e le aree interne, che ancora rimangono arretrate.

In termini di potenza militare, gli Stati Uniti sono ancora molto più avanti. Solo per fare un esempio, la Cina ha solo due portaerei e gli Stati Uniti ne hanno 11, più di 5 volte tanto. In molti altri settori, va allo stesso modo.

Dunque, penso che mentre la situazione tende chiaramente a ulteriori tensioni, a un maggiore potenziale per guerre regionali e locali, ciò non significa che la Cina soppianterà gli Stati Uniti nel breve termine. La Cina sta scontando i propri limiti.

L’ultimo punto che vorrei affrontare è questo: qual è la posizione dei comunisti riguardo a questa situazione? La posizione dei comunisti è la seguente: il principale nemico della classe lavoratrice è in casa propria. In Gran Bretagna o negli Stati Uniti, il nostro principale nemico non è la Cina. Il nostro nemico è la classe dominante nel nostro paese. E i nostri alleati sono i lavoratori di tutto il mondo, inclusi i lavoratori cinesi.

Questo è un punto interessante: lo sviluppo economico e lo sviluppo del capitalismo in Cina ha creato una classe lavoratrice potente, che non ha tradizioni recenti di lotta. Ci sono stati molti scioperi, rivolte e lotte esplosive, ma la classe lavoratrice cinese non ha una tradizione di partiti e sindacati riformisti consolidata nel tempo. È una classe lavoratrice di nuova formazione. Molti sono migranti di prima generazione che si sono trasferiti dalle campagne alle città. Lavorano in condizioni di estremo sfruttamento.

E per come sto descrivendo la situazione, c’è chi potrebbe pensare a un’analogia con quanto è accaduto in Russia nel 1917. O in Spagna negli anni ’70. O in Brasile negli anni ’80. Una classe lavoratrice di prima generazione, in condizioni di dittatura, in cui non ci sono strade per sindacati legali o per sviluppi politici, in condizioni di estremo sfruttamento, in cui le condizioni sono cambiate molto in fretta, in un breve periodo di tempo. A cosa ha portato questo? A esplosioni rivoluzionarie.

E questo è quello che si sta preparando in Cina. Il nostro compito è di collegarci alla classe lavoratrice cinese e di lottare insieme per rovesciare l’imperialismo e il capitalismo in tutto il mondo. Il nostro compito non è di celebrare che ci siano più paesi imperialisti e che il mondo diventi più multipolare, ma piuttosto di rafforzare la nostra determinazione nel combattere contro il capitalismo e l’imperialismo che sono le principali cause delle guerre e dello sfruttamento, contro un sistema che ha ormai perso qualsiasi utilità che possa aver avuto in passato.

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