La rivoluzione cubana passato, presente e futuro
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1 Giugno 2016di Alan Woods
L’intera storia dell’uomo consiste precisamente nella lotta dell’umanità per innalzarsi al di sopra del livello animale. Questa lunga lotta iniziò sette milioni di anni fa, quando i nostri antenati umanoidi assunsero la postura eretta e furono in grado di liberare le mani per il lavoro manuale. Da quel momento, le successive fasi dello sviluppo sociale si sono verificate sulla base dello sviluppo delle forze produttive del lavoro – ossia, del nostro potere sulla natura.
Stadi dello sviluppo storico
La società umana ha attraversato una serie di stadi che sono chiaramente riconoscibili. Ogni stadio è caratterizzato da un determinato modo di produzione che a sua in volta si esprime in un determinato sistema di relazioni di classe. Queste poi si manifestano in una certa visione sociale, psicologia, morale, legislazione e religione.
La relazione tra la base economica della società e la sovrastruttura (ideologia, morale, legislazione, arte, religione, filosofia, ecc.) non è semplice e diretta ma complessa e perfino contraddittoria. I fili invisibili che collegano le forze produttive e le relazioni di classe sono riflesse nelle menti degli uomini e delle donne in maniera confusa e distorta. E idee che hanno avuto origine in un passato remotissimo possono permanere nella mentalità collettiva per molto tempo, sussistendo ostinatamente anche molto dopo che le basi reali da cui sono scaturite sono scomparse. La religione è un chiaro esempio di questo. Si tratta di un’interconnessione dialettica, come è stato spiegato in modo efficace dallo stesso Marx:
“Per quel che concerne poi gli ambiti ideologici maggiormente campati in aria, religione, filosofia, ecc., questi hanno a che fare con un patrimonio che risale alla preistoria e che il periodo storico ha trovato e si è accollato – quella che oggi chiameremmo stupidità. Il fattore economico è alla base di queste varie idee sbagliate sulla natura, sulla stessa condizione umana, su spiriti, forze magiche, ecc. per lo più solo in modo negativo; il basso sviluppo economico del periodo preistorico ha come complemento, ma talvolta come condizione e persino causa, le idee sbagliate sulla natura. E anche se l’esigenza economica era ed è sempre più divenuta il principale impulso per la progressiva conoscenza della natura, sarebbe da pedanti voler creare cause economiche per tutte queste stupidità primitive. La storia delle scienze è la storia della graduale eliminazione di questa stupidità , ovvero della sua sostituzione con stupidità nuove, ma sempre meno assurde. Coloro che provvedono a ciò appartengono a loro volta a determinate sfere della divisione del lavoro e presumono di trattare un ambito indipendente. Ed in quanto essi formano all’interno della divisione sociale del lavoro un gruppo autonomo, le loro produzioni, compresi i loro errori, hanno un influsso che si ripercuote sull’intero sviluppo sociale, persino su quello economico. Con tutto ciò sono però al loro volta essi stessi sotto l’influsso dominante dello sviluppo economico” (Marx-Engels, Opere, Editori riuniti, vol. 48, pp. 522-3).
E ancora:
”Ma come determinato ambito della divisione del lavoro la filosofia di ogni epoca presuppone un determinato materiale concettuale, che le è stato tramandato dai suoi predecessori e da cui prende le mosse. E accade perciò che paesi economicamente arretrati possano avere tuttavia in filosofia una parte di primo piano” (ibid., p. 523).
Ideologia, tradizione, morale, religione, ecc., tutte hanno un potente ruolo nel plasmare le credenze delle persone. Il marxismo non nega questo fatto di per sé evidente. Contrariamente a quanto gli idealisti pensano, la coscienza umana è in generale molto conservatrice. Alla maggior parte delle persone non piace il cambiamento, specialmente se improvviso, violento. Si aggrappano alle cose che conoscono e a cui sono abituati: idee, religioni, istituzioni, sistemi morali, leader e partiti del passato. Routine, abitudini e tradizioni giacciono come un peso di piombo sulle spalle dell’umanità. Per tutte queste ragioni la coscienza resta indietro rispetto agli eventi. Tuttavia in alcuni periodi grandi eventi costringono uomini e donne a rivedere le loro vecchie credenze e convinzioni. Vengono catapultati fuori dalla vecchia, passiva e apatica indifferenza e costretti ad affrontare la realtà. In questi periodi la coscienza può cambiare molto rapidamente. In questo consiste una rivoluzione. La linea dello sviluppo sociale, che può rimanere abbastanza costante e continua per lunghi periodi, è interrotta dalle rivoluzioni che sono le necessarie forze motrici del progresso umano.
Le prime società umane
Se guardiamo all’intero processo della storia e preistoria dell’uomo, la prima cosa che ci colpisce è la straordinaria lentezza con la quale la nostra specie si è sviluppata. L’evoluzione graduale delle creature umane o umanoidi dalla condizione animale e verso un’autentica condizione umana si è sviluppata in milioni di anni. Il primo grande salto fu la separazione dei primi umanoidi dai loro antenati scimmieschi.
Il processo evoluzionistico è, certamente, cieco – cioè, non implica un obiettivo oggettivo e specifico. Tuttavia, i nostri antenati ominidi, prima con la postura eretta, poi con l’utilizzo le mani per manovrare attrezzi e infine per produrli, trovarono una nicchia in un particolare ambiente che li stimolò a svilupparsi ulteriormente.
Dieci milioni di anni fa le scimmie costituivano la specie dominante sul pianeta. Ne estivano numerose varietà – che abitavano sugli alberi, a terra e un certo numero di forme intermedie. Fiorirono nelle condizioni climatiche prevalenti che crearono un perfetto ambiente tropicale. Poi tutto questo cambiò. Circa sette o otto milioni di anni fa la maggior parte di queste specie si estinsero. Non si conosce il motivo di questo fatto. Per molto tempo la ricerca sulle origini dell’uomo è stata assillata dal pregiudizio idealistico che sosteneva ostinatamente che, dal momento che la differenza tra gli uomini e le scimmie è il cervello, i nostri primi antenati dovessero essere delle scimmie con un grosso cervello. La teoria del “grande cervello” dominò completamente i primi studi antropologici. Hanno passato molti decenni a cercare – senza successo – l’“anello mancante”, che erano convinti sarebbe stato uno scheletro fossile con un grosso cervello. Ne erano così convinti che la comunità scientifica fu interamente coinvolta in una delle più straordinarie frodi nella storia della scienza. Il 18 dicembre 1912 alcuni frammenti di un cranio fossile e di un osso mandibolare vennero attribuiti a quell’“anello mancante” – l’uomo di Piltdown. La cosa fu accolta come una grande scoperta. Ma nel 1953 un gruppo di scienziati inglesi smascherò l’uomo di Piltdown come una vera e propria frode. Invece di risalire a quasi un milione di anni, si scoprì che i frammenti di cranio datavano 500 anni, e la mandibola in realtà apparteneva ad un orango. Per quale motivo la comunità scientifica si è fatta ingannare così facilmente? Perché si trovarono di fronte a qualcosa che si aspettava di trovare: un antico cranio umanoide con un grosso cervello. In realtà, è stata la posizione eretta (bipedismo), e non la misura del cervello, che ha liberato le mani per il lavoro, rappresentando il punto di svolta decisivo dell’evoluzione umana.
Questo era già stato anticipato da Engels in una sua brillante opera sulle origini dell’uomo, La parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia. Il celebrato paleontologo americano Stephen Jay Gould scrisse che era un peccato che gli scienziati non avessero prestato attenzione a quello che Engels aveva scritto, dal momento che ci si sarebbe risparmiati un centinaio di anni di errori.
La scoperta di Lucy, lo scheletro fossile di una giovane femmina appartenente ad una nuova specie chiamata Australopithecus Afarensis, mostrò che Engels aveva ragione. La struttura corporea dei primi ominidi era come la nostra (il bacino, le ossa delle gambe, ecc.) avvalorando così il bipedismo. Tuttavia la misura del cervello non era molto maggiore rispetto a quella di uno scimpanzé.
I nostri lontani progenitori erano di piccola taglia e lenti nei movimenti rispetto agli altri animali. Non avevano artigli o denti forti. Per di più, il piccolo dell’uomo, che nasce una volta all’anno, è completamente indifeso alla nascita. I delfini nascono nuotando, i bovini e i cavalli possono camminare nel giro di ore dopo essere nati e i leoni sono in grado di correre nel giro di 20 giorni dalla nascita.
Si confronti questo con un bambino che avrà bisogno di mesi solo per essere capace semplicemente di stare seduto senza sostegno. Abilità più avanzate come correre e saltare possono richiedere anni di sviluppo in un essere umano. Come specie, pertanto, avevamo un considerevole svantaggio rispetto ai nostri numerosi concorrenti nella savana dell’Africa orientale. Il lavoro manuale, insieme all’organizzazione cooperativa sociale e al linguaggio, che sono connessi ad esso, fu l’elemento decisivo nell’evoluzione dell’uomo. La produzione di utensili di pietra diede ai nostri primi antenati un vantaggio evoluzionistico fondamentale innescando lo sviluppo del cervello.
Il primo periodo, che Marx e Engels chiamarono “stato selvaggio”, fu caratterizzato da uno sviluppo estremamente basso dei mezzi di produzione, dalla produzione di utensili di pietra e da uno stile di vita legato alla caccia e alla raccolta. A causa di questo la linea di sviluppo rimase sostanzialmente piatta per un periodo molto lungo. Il modo di produzione di caccia e raccolta originariamente rappresentò la condizione universale dell’umanità. I residui sopravvissuti di questo tipo di società che, fino a poco tempo fa potevano essere osservati in certe parti del mondo, ci forniscono importanti indizi e testimonianze di uno stile di vita ormai da tempo dimenticato. Non è vero, per esempio, che gli uomini sono egoisti per natura. Se fosse così, la nostra specie si sarebbe estinta più di due milioni di anni fa. Fu un forte senso di cooperazione a mantenere uniti questi gruppi a fronte delle avversità. Si prendevano cura dei bambini e delle loro madri e rispettavano gli anziani membri del clan che conservavano nella loro memoria il sapere e le credenze collettivi. I nostri primi antenati non sapevano che cosa fosse la proprietà privata, come fa notare Anthony Burnett:
“Il contrasto tra l’uomo e le altre specie è ugualmente chiaro se confrontiamo il comportamento territoriale degli animali con il mantenimento della proprietà da parte delle persone. I territori sono mantenuti attraverso segnali formali, comuni ad un’intera specie. Ogni individuo adulto o gruppo di ogni specie possiede un suo territorio. L’uomo non manifesta una tale uniformità: anche all’interno di una singola comunità, vasti campi possono essere di proprietà di un solo individuo, mentre altri possono non averne nessuno. Esiste, persino oggi, la proprietà di essere umani. Tuttavia in alcuni paesi la proprietà privata è limitata al possesso personale. In qualche gruppo tribale anche le proprietà meno importanti sono possedute in comune. L’uomo non ha, in pratica, più “istinto di possedere proprietà” di quanto abbia “istinto di rubare”. Certamente, è facile crescere i bambini con la tendenza ad accumulare, e la misura in cui questsa è approvata dalla società, differisce di molto da un paese all’altro, e da un periodo storico ad un altro” (Anthony Burnett, The Human Species, p.142).
Forse l’espressione “stato selvaggio” oggi è poco appropriata a causa delle connotazioni negative che ha assunto. Il filosofo seicentesco Thomas Hobbes, com’è noto, descrisse la vita dei nostri antenati come caratterizzata da “costante paura e pericolo di morte violenta, e la vita dell’uomo solitario, povera, indecente, brutale e breve”. Non c’è alcun dubbio che la loro vita fosse dura, ma queste parole difficilmente rendono giustizia allo stile di vita dei nostri antenati. L’antropologo e archeologo keniano Richard Leakey scrive:
“La concezione di Hobbes che gli uomini che non praticavano ancora agricoltura vivessero ‘solitari’ e ‘non in società’ non può essere più sbagliata. Essere cacciatore-raccoglitore significa condurre una vita intensamente sociale. Per quanto riguarda il fatto di non avere né “arte” né “letteratura”, di certo i cacciatori-raccoglitori possedevano molto poco in termini di cultura materiale, ma questa era semplicemente una conseguenza del bisogno di spostarsi. Quando i !Kung si trasferiscono da un territorio all’altro, come altri cacciatori-raccoglitori, prendono con loro tutti i loro beni materiali: questi di solito ammontano ad un totale di 12 chili di peso, poco più di metà del bagaglio consentito dalla maggior parte delle compagnie aeree. Esiste un conflitto inevitabile tra la mobilità e la cultura materiale, e così i !Kung portano la loro cultura nelle loro teste, non sulle loro schiene. I loro canti, le danze e i racconti compongono una cultura ricca quanto quella di qualsiasi altro popolo” (Richard Leakey, The Making of Mankind, pp. 101-3).
Continua:
“Richard Lee [antropologo e autore di The !Kung San: Men, Women and Work in a Foraging Society, 1979] ritiene che le donne non si considerano sfruttate: ‘Hanno prestigio economico e potere politico, una condizione negata a molte donne nel ‘mondo civilizzato’’” (Ibid., p.103).
In queste società le classi in senso moderno erano sconosciute. Non c’erano uno Stato o una religione organizzata e esisteva un profondo senso di corresponsabilità e condivisione. Individualismo e egoismo erano visti come comportamenti profondamente antisociali e offensivi della morale. L’accento posto sull’uguaglianza richiedeva che fossero rispettati certi rituali quando un cacciatore che aveva avuto successo ritornava al campo. Lo scopo di questi rituali era togliere importanza all’evento così da scoraggiare l’arroganza e la superbia: “Il giusto atteggiamento per il cacciatore che ha successo”, spiega Richard Lee, “è la modestia e la propensione a minimizzare.”
Ancora:
“I !Kung non hanno capi o comandanti. I problemi nella loro società sono risolti il più delle volte molto prima che possano sfociare in qualcosa che possa minacciare l’armonia sociale. (…) Il dialogo tra le persone è proprietà comune e le dispute sono subito sedate mediante un confronto comune. Nessuno dà o prende ordini. Richard Lee una volta chiese a /Twi!gum se i !Kung avessero un capotribù. ‘Certo che abbiamo un capotribù’ rispose, con grande sorpresa di Richard Lee. ‘In effetti, siamo tutti capitribù; ognuno di noi è capo di se stesso’. /Twi!gum prese la domanda e la sua risposta sagace a mo’ di battute” (ibid., p. 107).
Il principio fondamentale che condiziona ogni aspetto della vita è la condivisione. Tra i !Kung quando un animale viene ucciso, comincia un articolato processo di condivisione sulla base dell’appartenenza ad un gruppo, delle alleanze e degli impegni. Richard Lee sottolinea marcatamente il punto:
“La condivisione pervade profondamente il comportamento e i valori dei cacciatori-raccoglitori !Kung, all’interno della famiglia e tra le famiglie, e ed è estesa ai confini dell’universo sociale. Proprio come il principio del profitto e della razionalità è centrale per l’etica capitalistica, così la condivisione è centrale per lo svolgimento della vita sociale nelle società basate sulla caccia e la raccolta” (ibid.).
La vanagloria è condannata e la modestia incoraggiata, come mostrano i seguenti estratti:
“Un uomo !Kung lo ha spiegato in questo modo: ‘Diciamo che un uomo è andato a caccia. Non deve tornare e esclamare come uno sbruffone: ‘Ne ho ucciso uno grosso nella foresta!’; deve prima mettersi seduto in silenzio finché qualcuno non si avvicina al suo fuoco e gli chiede: ‘Che cosa hai visto oggi?’. Egli risponde tranquillamente: ‘Ah, non sono bravo a cacciare. Non ho visto niente… forse uno cucciolo’. Allora io sorrido tra me e me perché adesso so che ha cacciato qualcosa di grosso’. Più grande è la preda, più si tende a sminuirla. (…) La consuetudine di canzonare e sottostimare è scrupolosamente applicata, non solo dai !Kung, ma da molti popoli di cacciatori-raccoglitori e il risultato è che, nonostante alcuni uomini siano senza dubbio cacciatori più esperti di altri, nessuno guadagna un particolare prestigio o status grazie al suo talento” (Leakey, pp.106-7).
Questa etica non si ritrova solo nei !Kung; è una caratteristica dei cacciatori-raccoglitori in generale. Tale comportamento, comunque, non è automatico; come la maggior parte del comportamento umano, deve essere insegnato dall’infanzia. Ogni bambino nasce con la capacità di condividere e con la capacità di essere egoista, afferma Richard Lee. “Quella tra le due che è nutrita e sviluppata è quella a cui ogni particolare società attribuisce maggior valore.” In questo senso i valori etici di queste prime società erano enormemente superiori a quelli del capitalismo, che insegna alle persone ad essere avide, egoiste e antisociali.
Di sicuro, non si può stabilire con certezza che questo fosse l’esatto quadro della prima società umana. Condizioni simili, però, tendono a produrre risultati simili e le stesse tendenze possono essere osservate in molte culture diverse allo stesso livello di sviluppo economico. Come dice Richard Lee:
“Non dobbiamo immaginare che questa fosse la maniera esatta in cui vivevano i nostri antenati. Tuttavia, credo che ciò che vediamo nei !Kung e in altri popoli di cacciatori-raccoglitori siano modelli di un comportamento che furono cruciali per lo sviluppo umano. Tra i vari tipi di ominidi che vissero dai due ai tre milioni di anni fa, uno di loro – la linea che alla fine portò a noi – ampliò la sua base economica condividendo il cibo e introducendo più carne nella propria dieta. Lo sviluppo di un’economia basata su caccia e raccolta fu un potente stimolo nel processo che ci ha portato ad essere umani” (citato da Leakey, pp. 108-9).
Confrontando i valori delle società di cacciatori-raccoglitori con quelle del nostro tempo, spesso noi non abbiamo la meglio su di loro. Per esempio, confrontiamo la famiglia contemporanea – con i suoi terribili casi di abuso su mogli e figli, orfani e prostitute – con l’educazione comune dei figli praticata dall’umanità per la maggior parte della sua storia; cioè, prima dell’avvento dell’insolita organizzazione sociale che agli uomini piace chiamare civilizzazione:
“‘Voi bianchi’, disse un indiano americano ad un missionario, ‘provate affetto solo per i vostri figli. Noi amiamo i figli di tutto il clan. Essi appartengono a tutti e ci prendiamo cura di loro. Sono sangue del nostro sangue, carne della nostra carne. Noi siamo tutti padri e madri per loro. I bianchi sono selvaggi: non amano i loro figli. Se i bambini rimangono orfani, delle persone devono essere pagate per accudirli. Noi siamo estranei ad una mentalità così barbara” (M. F.Ashley Montagu, ed., Marriage: Past and Present, a Debate Between Robert Briffault and Bronislaw Malinowski, Boston, Porter Sargent Publisher, 1956, p. 48).
Ad ogni modo, non dobbiamo avere una visione idealizzata del passato. La vita dei nostri lontani antenati fu una faticosa lotta, una costante battaglia contro le forze della natura per la sopravvivenza. Il passo del progresso era estremamente lento. I primi uomini cominciarono a realizzare i primi utensili di pietra non meno di 2,6 milioni di anni fa. Il più vecchio utensile di pietra, il cosiddetto “olduvaiano”, rimase per circa un milione di anni, più o meno fino a 1,76 milioni di anni fa, quando i primi uomini iniziarono a sbattere tra loro schegge molto larghe per poi dar loro forma colpendole con schegge più piccole intorno ai bordi, ottenendo così un nuovo tipo di utensile: l’amigdala. Questi ed altri tipi di utensili taglienti caratterizzano la cultura acheuleana. Questi utensili basilari, compresa una varietà di utensili di pietra di altre forme, continuarono ad essere realizzati per un vasto periodo di tempo – scomparendo nei diversi luoghi a partire da circa 400mila fino a 250mila anni fa.
La rivoluzione neolitica
L’intera storia dell’uomo consiste precisamente nella lotta dell’umanità per innalzarsi al di sopra del livello animale. Questo lotta ebbe inizio sette milioni di anni fa, quando i nostri lontani antenati umanoidi assunsero la posizione eretta e furono in grado poi di liberare le mani per il lavoro manuale. La produzione dei primi raschietti di pietra e amigdale segnò l’inizio di un processo per mezzo del quale gli uomini e le donne diventarono umani attraverso il lavoro. Da quel momento, le fasi successive dello sviluppo sociale sono emerse sulla base dei cambiamenti nello sviluppo della forza produttiva del lavoro – ossia, del nostro potere sulla natura. Per la maggior parte della storia umana, questo processo è stato terribilmente lento; sottolineava l’Economist alla vigilia del nuovo millennio:
“Durante quasi tutta la storia dell’uomo, il progresso economico è stato così lento da essere impercettibile nell’arco di tempo di una vita umana. Per secoli e secoli, il tasso di crescita economica annuale è stato, ad un sola cifra decimale, zero. Quando accadeva che si verificasse una crescita, questa era così bassa da non essere percepita dai contemporanei – e persino in retrospettiva non si manifestava come l’aumento del tenore di vita (che è quello che “crescita” significa oggi), ma solo come un leggero aumento della popolazione. Per millenni, il progresso, per tutti tranne una piccola élite, equivalse a questo: il fatto che, lentamente, per un numero sempre maggiore di persone divenisse possibile vivere, al più basso livello di sussistenza” (The Economist, 31 dicembre 1999).
Il progresso umano cominciò ad accelerare come risultato della prima e più importante delle grandi rivoluzioni nella storia dell’umanità, che fu il passaggio dal modo di produzione di caccia e raccolta all’agricoltura. Questo pose le basi per un’esistenza stabile e per la fondazione delle prime piccole città. Questo è il periodo a cui i marxisti si riferiscono come “barbarie”, cioè lo stadio tra il comunismo primitivo e la prima società di classe, quando le classi iniziarono a formarsi e con loro lo Stato. Il prolungato periodo di comunismo primitivo, la prima fase di sviluppo dell’umanità, dove le classi, la proprietà privata e lo Stato non esistevano, cedette il passo alla società di classe non appena gli uomini furono in grado di produrre un surplus al di sopra delle esigenze per la sopravvivenza quotidiana. A questo punto la divisione della società in classi divenne possibile dal punto di vista economico. La barbarie emerse dal collasso della vecchia comune. Qui per la prima volta la società era divisa per relazioni di proprietà e cominciarono a formarsi le classi e lo Stato, benché questi emersero solo gradualmente, partendo da uno stadio embrionale e consolidandosi man mano come società di classe. Questo periodo iniziò approssimativamente 10-12mila anni fa.
Nel vasto spettro della storia l’emergere della società di classe fu un fenomeno rivoluzionario, in quanto liberava un settore privilegiato della società – una classe dominante – dal fardello diretto del lavoro, concedendogli il tempo necessario per sviluppare l’arte, la scienza e la cultura. La società di classe, nonostante il suo spietato sfruttamento e la diseguaglianza, era la via che l’umanità doveva necessariamente intraprendere per costruire i prerequisiti materiali necessari per una futura società senza classi. È qui che si trova l’embrione da cui si sono generati i villaggi e le città (come Gerico, che risale a circa il 7.000 a.C.), la scrittura, l’industria e tutto quello che pone le basi per quello che noi chiamiamo civilizzazione. Il periodo della barbarie rappresenta una fetta molto consistente della storia dell’uomo ed è diviso in diversi periodi più o meno distinti. In generale, è caratterizzato dal passaggio dal modo di produzione di caccia e raccolta alla pastorizia e all’agricoltura, cioè dallo stato selvaggio del paleolitico, passando attraverso la barbarie del neolitico, fino alla barbarie superiore dell’età del bronzo, che si trova alla soglia della civilizzazione. Questo punto di svolta decisivo, che Gordon Childe chiamò rivoluzione neolitica, rappresentò un grande passo avanti nello sviluppo della capacità produttiva dell’uomo e quindi della cultura. Questo è ciò che Childe disse:
“Il nostro debito verso la barbarie precedente la nascita della scrittura è oneroso. Ogni singola pianta commestibile coltivata che abbia una minima importanza è stata scoperta da qualche anonima popolazione barbara” (G. Childe, What Happened in History, p. 64).
La pratica agricola ebbe inizio in Medio Oriente circa 10mila anni fa e costituì una rivoluzione nella società e nella cultura umana. Le nuove condizioni di produzione diedero agli uomini e alle donne più tempo – tempo per sviluppare il pensiero complesso e analitico. Questo si riflesse in una nuova arte che consisteva di figure geometriche – il primo esempio di arte astratta della storia. Le nuove condizioni produssero una nuova prospettiva di vita, relazioni sociali e relazioni che legavano gli uomini e le donne al mondo e all’universo naturale, i cui misteri furono indagati in una maniera prima mai immaginata. La comprensione della natura fu resa necessaria dai bisogni dell’agricoltura e progredì lentamente fino al punto che gli uomini e le donne impararono a conquistare e sottomettere le forze ostili della natura nella pratica – attraverso il lavoro collettivo su vasta scala.
La rivoluzione culturale e religiosa rappresentò un riflesso della grande rivoluzione sociale – la più grande in tutta la storia dell’uomo fino ad ora – che portò alla dissoluzione della comune primitiva e istituì la proprietà privata dei mezzi di produzione. E i mezzi di produzione sono i mezzi della vita stessa. In agricoltura, l’introduzione di attrezzi di ferro segnò un grande avanzamento, permettendo la crescita della popolazione e lo sviluppo di comunità più grandi e più forti. Soprattutto, comportò un maggiore surplus di prodotti, di cui potevano appropriarsi le famiglie che detenevano il potere nelle comunità. In particolare, l’introduzione del ferro determinò un cambiamento qualitativo nel processo di produzione, dal momento che il ferro è si prestava molto di più alla realizzazione di attrezzi e di armi rispetto al rame e al bronzo ed era molto più facilmente reperibile rispetto agli altri metalli. Allora per la prima volta le armi e la guerra diventarono democratici. L’arma principale al tempo era la spada di ferro, che fece la sua prima apparizione in Inghilterra all’incirca nel 5.000 a.C. Ogni uomo poteva possedere una spada di ferro. La guerra pertanto perse il suo carattere aristocratico predominante e divenne una pratica di massa. L’impiego di accette e falci di ferro modificò radicalmente l’agricoltura. La trasformazione si notava per il fatto che un acro di terra coltivata poteva a quel punto mantenere il doppio delle persone rispetto a prima. In ogni caso, non esisteva ancora il denaro e l’economia continuava a basarsi sul baratto.
Il surplus prodotto non veniva reinvestito, dato che non c’era modo in cui farlo. Di parte del surplus si appropriavano il capo e la sua famiglia. Un’altra parte era utilizzata per le feste, attività che occupavano un ruolo centrale in questa società. In un singolo banchetto potevano essere sfamate anche 2-300 persone. Nei resti di un banchetto di questo genere furono ritrovate le ossa di dodici mucche e molte altre appartenenti a pecore, maiali e cani. Questi ritrovi non erano soltanto l’occasione per consumare cibo e bevande in eccesso – rivestivano un importante ruolo sociale e religioso. In queste cerimonie si ringraziavano gli dei per la sovrabbondanza di cibo. Consentivano la mescolanza dei clan e la stipulazione di accordi comuni. Banchetti così generosi, inoltre, offrivano la possibilità ai capi di ostentare la loro ricchezza e il loro potere e così elevare il prestigio della tribù o del clan di appartenenza. Dai luoghi in cui si tenevano questi raduni gradualmente sorsero le basi di insediamenti permanenti, mercati e piccole città.
L’importanza della proprietà privata e della ricchezza crebbe con l’aumentata produttività del lavoro e con il crescente eccesso di prodotti che forniva un bersaglio allettante per le razzie. Siccome l’età del ferro fu un periodo di continue guerre, faide e razzie, gli insediamenti erano spesso fortificati con fossati, come il castello di Maiden nel Dorset e Danebury nell’Hampshire. L’esito della guerra era un gran numero di prigionieri, molti dei quali erano venivano venduti come schiavi e questi – in un periodo successivo – venivano barattati come merce con i Romani. Il geografo Strabone commenta che “Questa gente vi darà uno schiavo per un’anfora di vino”. Pertanto lo scambio iniziò alle periferie di queste società. Attraverso lo scambio con una cultura più avanzata (Roma), la moneta venne gradualmente introdotta con le prime monete che si rifacevano ai modelli romani. Il dominio della proprietà privata significò per la prima volta la concentrazione della ricchezza e del potere nelle mani di una minoranza, con un cambio drammatico nelle relazioni tra gli uomini e le donne e la loro progenie. La questione dell’eredità cominciò allora ad assumere un’importanza chiave. Come risultato vediamo la costruzione di tombe spettacolari. In Gran Bretagna, tombe del genere cominciarono ad apparire nel 3.000 a.C. circa. Esse indicavano un’affermazione di potere da parte della classe o casta dominante. Inoltre, rappresentavano una dichiarazione dei diritti di proprietà su un determinato territorio. La stessa cosa si poteva riscontrare in altre culture antiche, per esempio, gli Indiani del Nord America, per i quali esistono resoconti dettagliati del XVIII secolo.
A questo punto abbiamo il primo grande esempio di alienazione. L’essenza dell’uomo è alienata da lui in doppio o triplo senso. In primo luogo, la proprietà privata determina l’alienazione del suo prodotto, di cui un altro si appropria. In secondo luogo, il controllo sulla sua vita diventa proprietà dello Stato nella persona del re o del faraone. E in ultimo, ma non meno importante, questa alienazione è trasmessa da questa vita alla prossima – l’essere interiore (“l’anima”) di tutti gli uomini e le donne appartiene alle divinità del mondo ultraterreno, la cui benevolenza deve continuamente essere ottenuta attraverso preghiere e sacrifici. Proprio come i servizi verso il monarca costituiscono la base della ricchezza della classe più elevata dei dignitari e dei nobili, così i sacrifici agli dei costituiscono la base della ricchezza e del potere della casta dei preti, che si trova tra il popolo e gli dei. Qui abbiamo l’origine della religione organizzata.
Con la crescita della produzione e gli avanzamenti produttivi resi possibili dalle nuove economie basate sul lavoro, ci furono nuovi cambiamenti nelle credenze religiose e nelle abitudini. Anche qui, l’essere sociale determina la coscienza. Al posto del culto degli antenati e delle tombe di pietra per i singoli individui e le loro famiglie, ora vediamo un’espressione di fede di gran lunga più ambiziosa. La costruzione di cerchi di pietra di dimensioni sbalorditive testimonia una crescita impressionante nella popolazione e nella produzione, resa possibile dall’uso organizzato del lavoro collettivo su vasta scala. Le radici della civilizzazione sono perciò da ritrovare proprio nella barbarie e, ancor di più, nello schiavismo. Lo sviluppo della barbarie si conclude con lo schiavismo o, come Marx lo definiva, il “modo asiatico di produzione”.