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Uno spettro si aggira per l’Europa. Questo orribile fenomeno è apparso più volte dal nulla, come per effetto di una qualche stregoneria ordita nelle più oscure profondità dell’inferno, da un diavolo maligno, per affliggere e tormentare la brava gente della Terra, per turbare il loro riposo e infestare i loro peggiori incubi.
La cosa peggiore di questo fenomeno è che nessuno sembra in grado di spiegarlo con precisione. Si presenta come una forza della natura apparentemente inarrestabile, che spazza via tutto dietro di sé. In un tempo straordinariamente breve, è riuscito a prendere il controllo del paese più ricco e più potente sulla Terra.
Tutte le forze combinate degli alti papaveri, tutti i paladini dell’“ordine internazionale basato sulle regole”, tutti i difensori di tutto ciò che di più sacrosanto esiste, tutti si sono uniti per sconfiggere questo mostro di iniquità.
La nostra meravigliosa stampa libera, che tutti sanno essere il principale baluardo della libertà e della libera espressione, si è unita come un sol uomo per imbracciare la giusta battaglia in difesa della democrazia, della libertà, della legge e dell’ordine.
Ma tutti hanno fallito.
Il nome di questo spettro è Donald J Trump.
Panico
La disastrosa bancarotta intellettuale della classe dominante si rivela nella completa incapacità degli strateghi del capitale di trovare un senso nella situazione attuale, per non dire di fornire una soddisfacente previsione degli eventi futuri.
Questo declino intellettuale ha raggiunto il suo livello più basso nei leader politici dell’Europa. Essi hanno trascinato questo continente, un tempo molto potente, nella palude della decadenza economica, culturale e militare, riducendolo in uno stato di completa impotenza.
Dopo aver sacrificato per decenni ogni cosa a vantaggio dell’imperialismo americano, e dopo essersi adattati al ruolo umiliante di servili lacché di Washington, si vedono adesso abbandonati dai propri precedenti alleati e lasciati a cavarsela da soli.
La loro stupidità è stata ormai completamente svelata dalla sconfitta in Ucraina e dalla confutazione dei loro assurdi vaneggiamenti sulla sconfitta della Russia e sulla distruzione della sua potenza. Al contrario, si trovano adesso di fronte ad una Russia forte e risorta, che dispone di un grande esercito dotato delle armi più moderne e temprato da anni di battaglie.
In questo momento critico, essi si ritrovano improvvisamente abbandonati da quella potenza che avrebbe dovuto accorrere in loro difesa. Ora, corrono di qua e di là, travolgendosi a vicenda nella fretta di esprimere il proprio imperituro e incrollabile appoggio a Volodymyr Zelensky.
Urlano e strepitano contro l’uomo alla Casa Bianca, che considerano come l’unico responsabile del disastro che è improvvisamente piombato loro addosso.
Ma questo coro isterico è soltanto una manifestazione di panico, che a propria volta è solo una manifestazione della paura: una paura pura, cieca e totalizzante. Dietro questa finta facciata di temerarietà, questi leader sono paralizzati dal terrore, come un coniglio accecato dai fanali di un auto che sta per travolgerlo.
Qual è il vero motivo?
Se ignoriamo per un momento questo coro stridente di lamenti, proteste e invettive, e cerchiamo di capire quale sia il significato di tutto questo, fendendo la nebbia densa dell’isteria mediatica, cominciano ad apparire in penombra i contorni della verità.
È evidente a chiunque abbia anche solo metà cervello che una crisi così grande non può essere il frutto dell’azione di un singolo individuo, anche se quest’ultimo avesse i superpoteri. Simili “spiegazioni” non spiegano nulla. Piuttosto che la politologia, esse ricordano il torbido dominio della demonologia.
In termini apocalittici, il Guardian ha scritto:
“Con Trump, l’agenda globale verrà alterata, che ci piaccia o meno. La battaglia contro il disastro climatico riceverà una brusca battuta d’arresto, le relazioni internazionali diventeranno più transazionali [cioè esito di negoziazioni bilaterali, Ndt]. La lotta dell’Ucraina contro l’aggressione russa verrà pugnalata alle spalle e Taiwan si troverà davanti al naso il fusto dei cannoni cinesi. Ovunque, le democrazie liberali, inclusa la Gran Bretagna, verranno messe sotto assedio dai vari imitatori locali di Trump, rafforzati da social media impermeabili alla verità.”
“Questa settimana, gli elettori americani hanno fatto qualcosa di terribile e imperdonabile. Non dovremmo rifuggire dall’affermare che si sono allontanati da un ethos e da regole comuni che hanno plasmato il mondo, in genere per il meglio, dal 1945. Gli americani hanno deciso che Trump non è una ‘stranezza’, come per breve tempo è stato di moda ritenere, bensì la normalità. Martedì, gli elettori sono usciti di casa e hanno votato in massa per la stranezza. Gli americani dovranno convivere con le conseguenze di tutto ciò” (The Guardian, 6 novembre 2024).
Finalmente ci siamo! Il Guardian, l’espressione più repellente e spudorata dell’ipocrisia liberale, incolpa di tutto nientemeno che il popolo americano, che ha commesso il peccato imperdonabile di votare in elezioni libere ed eque per un candidato che al Guardian non piace.
Ma come si può spiegare questa tremenda aberrazione? Essa è il risultato, come ci informa il Guardian senza battere ciglio, di una presunta “stranezza” del popolo americano. La definizione di “stranezza” è, a quanto pare, tutto ciò che non coincide con i pregiudizi della redazione del Guardian.
In realtà, quello che vogliono dire è che l’elettorato americano, cioè milioni di comuni lavoratori e lavoratrici, non è in grado di esercitare il diritto di voto, dal momento che è organicamente “strano”.
In parole povere, tutti gli americani sono naturalmente inclini al razzismo, all’odio delle minoranze e ad un’incomprensibile avversione ai principi del liberalismo borghese. Ciò li rende naturalmente avversi alla democrazia e inclini al fascismo, rappresentato ovviamente da Donald Trump.
Ma da dove viene tutta questa stranezza? E questi stessi elettori americani erano “strani” anche quando hanno votato per Joe Biden o per Obama? Evidentemente, all’epoca, erano perlopiù sani. Cosa è cambiato?
Ad essere strano qui non è il comportamento degli elettori americani, le cui decisioni sono state in realtà abbastanza razionali e facilmente comprensibili, ma sono le contorsioni mentali della miserabile tribù piccolo-borghese degli scribacchini liberali, il cui impegno per la democrazia, a quanto pare, termina appena l’elettorato vota “nel modo sbagliato”.
La loro concezione di democrazia, cioè che si debba essere a favore delle elezioni solo se portano all’elezione del candidato che ci piace, a me sembra abbastanza “strana”. Eppure, essa ha ricevuto una puntuale conferma con la cancellazione delle ultime elezioni in Romania.
A dicembre, le autorità rumene hanno cancellato il secondo turno delle elezioni presidenziali unicamente perché non gradivano il fatto che un candidato che disapprovavano, Călin Georgescu, aveva vinto il primo turno. Non sazi, gli hanno impedito di candidarsi alle elezioni presidenziali riconvocate a maggio.
Queste azioni hanno riscosso il pieno appoggio della leadership europea a Bruxelles. Senza dubbio, anche il Guardian ha salutato la cancellazione delle elezioni con il massimo entusiasmo. È ovviamente questo il modo per impedire che i seguaci di Trump vincano le elezioni!
È arrivato il fascismo!
Fin dall’inizio, i media hanno lanciato una campagna rumorosa, denunciando Trump come fascista. Qui ci sono alcuni esempi presi a caso dalla stampa:
Le Monde: “Le prime settimane di Trump come presidente sono bastate per dare un senso di realtà all’incubo di un’America che si volge al fascismo”;
The New Statesman: “Gli Stati Uniti possono resistere al fascismo?”;
The New Yorker: “Cosa significa che Donald Trump è un fascista?”;
The Guardian: “Il neofascismo di Trump è arrivato. Queste sono dieci cose che puoi fare per resistere”.
Figure dell’establishment di ogni sorta si sono espresse tutte nello stesso modo. Mark Milley, un generale dell’esercito americano in pensione, che ha lavorato come ventesimo Capo dello stato maggiore congiunto, ha lanciato un tragico avvertimento all’America:
“È la persona più pericolosa di sempre. Avevo dei sospetti quando ti ho parlato del suo declino mentale e così via, ma adesso ho capito che è un fascista totale. Al momento è la persona più pericolosa per questo paese.”
Kamala Harris ha detto anch’essa che Trump è un fascista, sebbene Joe Biden si sia limitato a descrivere Trump solo come un “semi-fascista”.
Tuttavia, Milley ha ripetutamente avvertito che Trump rappresenta un pericolo per la democrazia, un’opinione condivisa da molti, come il Procuratore Generale dell’Arizona, che conclude: “Siamo sull’orlo della dittatura.”
Anthony Scaramucci, che ha lavorato per un breve periodo come capo dell’ufficio stampa alla Casa Bianca sotto Donald Trump, si è espresso con maggiore franchezza, dicendo semplicemente: “È un maledetto fascista, è il più fascista dei fascisti.”
Prevedibilmente, molte figure influenti della “sinistra” hanno unito le proprie voci stridule al coro di denuncia. Alexandra Ocasio-Cortez (che viene frequentemente presentata come una democratica “socialista”) sospira: “Siamo alla vigilia di un’amministrazione autoritaria. Queste sono le sembianze che comincia ad assumere il fascismo del ventunesimo secolo.”
E questa litania così noiosa va avanti e avanti senza fine, giorno dopo giorno. Lo scopo è abbastanza chiaro: la ripetizione costante dello stesso concetto convincerà alla fine le persone che essa deve essere pur vera. Queste nubi di aria calda producono molto calore, ma pochissima luce.
Cos’è il fascismo?
Ora, è perfettamente chiaro che qui il termine fascismo non è usato come definizione scientifica, bensì semplicemente come un insulto volgare, grossomodo l’equivalente di “figlio di buona donna”, o di espressioni simili.
Questo tipo di invettive può avere una sua utilità, permettendo a individui frustrati di sbollire e di sfogare la propria rabbia contro una persona che non è di loro gradimento. Essi provano immediatamente una sensazione di sollievo psicologico e tornano a casa soddisfatti e convinti di aver in qualche modo fatto avanzare la causa della libertà, ottenendo una grandiosa vittoria politica sul nemico.
Triste dirlo, tali vittorie dal punto di vista pratico non hanno alcun valore. Un simile radicalismo terminologico è semplicemente espressione di una rabbia impotente. Incapaci di assestare un vero colpo all’odiato nemico, traggono un senso di soddisfazione con il semplice espediente di scagliargli insulti a distanza di sicurezza.
Per chi è interessato a combattere battaglie reali contro nemici reali, piuttosto che colpire i mulini a vento come Don Chisciotte, servono altre armi, più serie. E il primo requisito per un vero comunista è possedere un metodo di analisi scientifico e rigoroso.
Il marxismo è una scienza. E come tutte le scienze, ha una terminologia scientifica. Parole come “fascismo” e “bonapartismo” hanno, per noi, significati precisi. Non sono semplici insulti o etichette che possiamo affibbiare alla bisogna a qualsiasi persona che non incontri la nostra approvazione.
Cominciamo con una definizione precisa di fascismo. Nel suo significato marxista, il fascismo è un movimento controrivoluzionario, un movimento di massa composto principalmente dal sottoproletariato e dalla piccola borghesia infuriata. Viene usato come testa d’ariete per schiacciare e atomizzare la classe operaia ed istituire uno Stato totalitario in cui la borghesia consegna il potere statale ad una burocrazia fascista.
La principale caratteristica dello Stato fascista è l’estrema centralizzazione e il potere assoluto dello Stato, in cui le banche e i grandi monopoli vengono protetti, ma sono subordinati al potente controllo centrale da una vasta e potente burocrazia fascista. In Che cos’è il Nazionalsocialismo?, Trotskij spiega:
“Il fascismo tedesco, come il fascismo italiano, è giunto al potere appoggiandosi sulla piccola borghesia, che ha trasformato in ariete contro le organizzazioni della classe operaia e le istituzioni della democrazia. Ma il fascismo al potere è tutt’altro che un governo della piccola borghesia. Al contrario, è la più spietata dittatura del capitale monopolistico” (Scritti contro il nazismo, 1930-1933, AC Editoriale, 2010, pag. 253).
Questi sono, in termini generali, i principali caratteri del fascismo. In che relazione sta tutto ciò all’ideologia e al contenuto del fenomeno Trump? Abbiamo già avuto l’esperienza di un governo Trump, che, secondo le catastrofiche profezie dei democratici e dell’intero establishment liberale, avrebbe abolito la democrazia. Non ha fatto nulla del genere.
Non è stata presa alcuna misura rilevante per limitare il diritto di sciopero e di manifestazione, ancor meno per abolire i sindacati liberi. Le elezioni sono state convocate come di norma e, alla fine, nonostante la protesta generale, Trump è stato sostituito da Joe Biden per mezzo di elezioni. Dite quello che vi pare del primo governo Trump, ma non ha alcuna relazione con il fascismo.
Il principale assalto alla democrazia è stato in effetti condotto da Biden e dai democratici, che hanno fatto di tutto per perseguitare Donald Trump, mobilitando tutto l’apparato giudiziario per portarlo in tribunale sulla base di innumerevoli accuse, con il fine di condannarlo ad ogni costo, metterlo al sicuro dietro le sbarre ed impedirgli così di ricandidarsi alla presidenza.
L’intero apparato mediatico è stato mobilitato in una campagna violenta e martellante di denigrazione e diffamazione, arrivando a creare un’atmosfera tale che si sono verificati almeno due attentati alla sua vita. È stato solo grazie ad una coincidenza se è riuscito a salvarsi da un assassinio (sebbene egli lo attribuisca solitamente alla protezione dell’Onnipotente).
Un’utopia reazionaria
L’ideologia del trumpismo, nella misura in cui essa esiste, è molto diversa dal fascismo. Lungi dal desiderare uno Stato forte, l’ideale di Donald Trump è il capitalismo di libero mercato, in cui lo Stato ha un ruolo minimo o non ne ha alcuno.
Il suo programma rappresenta un tentativo di tornare alle politiche di Roosevelt: non Franklin Delano Roosevelt, il fautore del New Deal, bensì Theodore Roosevelt, che fu presidente prima della Prima Guerra Mondiale.
Il 20 gennaio, un articolo di Le Monde affermava:
“C’è nell’aria una sensazione di déjà vu. Donald Trump ha sorpreso i propri alleati, martedì 7 gennaio, non escludendo l’uso della forza per riprendere il Canale di Panama o per comprare la Groenlandia. Con questo bluff, il presidente eletto sta facendo rivivere la vecchia tradizione dell’imperialismo americano al volgere del Ventesimo secolo.”
“Trump sogna l’‘età dell’oro’, che ebbe inizio dopo la Guerra Civile: essa fu caratterizzata dall’accumulazione di fortune colossali, diffusa corruzione e dazi che protessero l’industria americana e fecero sì che non ci fosse alcuna tassa sui redditi.”
“Soprattutto, essa vide l’imperialismo americano consolidare la propria egemonia sull’Emisfero Occidentale. Durante questo periodo, gli Stati Uniti acquistarono l’Alaska dai russi (1867), invasero Cuba, Puerto Rico e le Filippine, ‘liberate’ nel 1898 dal colonialismo spagnolo, e scavarono il Canale di Panama, completato nel 1914.”
In altre parole, Donald Trump vorrebbe riportare indietro le lancette della storia di cento anni, ad un’America immaginaria che esistette prima della Prima Guerra Mondiale, un’America in cui gli affari prosperavano e i profitti crescevano, in cui la libera impresa fioriva e lo Stato la lasciava in pace, in cui l’America si sentiva libera di esercitare i propri giovani e potenti muscoli per imporre il proprio dominio su Messico, Panama e l’intero Emisfero Occidentale, cacciando il decrepito colonialismo spagnolo da Cuba, per trasformarla in sua vece in una colonia americana.
Checché se ne possa pensare, questo è un modello che ha poco a che vedere con il fascismo. E questa affascinante visione della storia è priva di qualsiasi contenuto o rilevanza reali nel mondo del Ventunesimo secolo.
L’epoca di Teddy Roosevelt era un’epoca in cui il capitalismo non aveva ancora del tutto esaurito il proprio potenziale in quanto a sistema economico progressista. E gli Stati Uniti, una nazione di recente industrializzazione, in buona salute e ambiziosa, che aveva già affermato la propria superiorità sulle vecchie potenze dell’Europa in maniera decisiva, stava solo cominciando ad imporsi come una potenza determinante a livello mondiale.
Da allora, è passata un’intera epoca e gli Stati Uniti si trovano davanti una correlazione di forze completamente differente, sia al proprio interno sia all’estero. Gli sforzi di Trump per riportare indietro le lancette della storia al mondo che esisteva in quei tempi lontani sono destinati a fallire, a naufragare a causa dei mutamenti nella situazione mondiale e nei rapporti di forza tra le classi all’interno degli Stati Uniti. La sua è, in effetti, un’utopia reazionaria.
Ritorneremo su questi aspetti più in là. Ma, prima di tutto, dobbiamo fare i conti con i tentativi isterici e profondamente errati, tanto della sinistra quanto della destra, di spiegare il fenomeno misterioso di Donald J Trump.
Un metodo sbagliato
“L’immensa importanza pratica di un giusto orientamento teorico si evidenzia in maniera più sorprendente durante i periodi di acuto conflitto sociale, di rapide svolte politiche, di bruschi mutamenti nella situazione (…). È proprio nel corso di questi periodi che si manifestano necessariamente le più diverse forme di situazioni transitorie e intermedie e un insieme di combinazioni che mettono a soqquadro gli schemi abituali ed esigono doppiamente una costante attenzione teorica. In una parola, se in un’epoca di sviluppo pacifico e ordinato, quella di prima della guerra, si poteva ancora vivere sulla rendita di qualche astrazione bella e pronta, nella nostra epoca ogni nuovo avvenimento ci imprime nella mente la legge più importante della dialettica: la verità è sempre concreta.” (Bonapartismo e Fascismo, Lev Trotskij, 1934).
Troppo spesso, mi accorgo che quando le persone di sinistra si trovano ad affrontare un fenomeno nuovo, che sembra sfidare tutte le regole e le definizioni esistenti, tendono ad andare in cerca di etichette. E così, avendo trovato un’etichetta adatta, vanno in cerca di fatti per confermarla.
Dicono: Sì, certo. Io lo so cos’è. È questo, o è quello: fascismo, bonapartismo o qualsiasi altra cosa che venga loro in mente. Questo è un metodo sbagliato. È l’opposto del materialismo dialettico. E non porta proprio da nessuna parte. È un esempio di pigrizia mentale: la ricerca di soluzioni facili per risolvere problemi nuovi e complessi.
Lungi dal chiarire alcunché, ciò distrae semplicemente l’attenzione dai problemi reali e ci porta in una discussione infinita e abbastanza inconsistente su problemi che sono stati introdotti artificialmente e creano solo maggiore confusione, invece che rispondere alle domande cui bisogna rispondere.
Nei suoi Quaderni filosofici, Lenin spiegò che la legge fondamentale della dialettica è l’assoluta oggettività dell’analisi: “non esempi, non digressioni, ma la cosa stessa”.
Questa è l’essenza del metodo dialettico. L’opposto della dialettica è l’abitudine di appiccicare etichette a qualcosa e immaginare che facendolo la abbiamo compresa.
Il mio buon amico John Peterson mi ha detto di recente che Donald Trump è “un fenomeno”. Penso che sia corretto. Non c’è alcun bisogno di fare parallelismi con qualsiasi altra figura della storia. Dobbiamo accettare ciò che Donald Trump è, cioè Donald Trump. E dovremmo prenderlo per quello che è ed analizzare il fatto che è, in effetti, un fenomeno nuovo sulla base di fatti concreti, non di semplici generalizzazioni.
Bonapartismo?
L’articolo di Trotskij Bonapartismo e Fascismo fornisce una definizione molto precisa e succinta del Bonapartismo da un punto di vista marxista:
“Tuttavia, un governo che si eleva al di sopra della nazione non è sospeso nel vuoto. Il vero asse del governo attuale passa attraverso la polizia, la burocrazia, la cricca militare. Ci troviamo di fronte ad una dittatura militar-poliziesca appena nascosta sotto la cornice del parlamentarismo. Il bonapartismo è appunto un governo della sciabola in quanto arbitro della nazione.”
L’essenza del Bonapartismo, che può apparire in molte forme differenti, è in ultima analisi sempre lo stesso: una dittatura militare.
In Germania: la sola via, Trotskij spiega come nasce il Bonarpartismo:
“Non appena la lotta tra due campi sociali contrapposti – i possidenti e i poletari, gli sfruttatori e gli sfruttati – raggiunge la massima tensione, si stabiliscono le condizioni per il dominio della burocrazia, della polizia e della soldataglia. Il governo diventa ‘indipendente’ dalla società.” (Op. cit., pag 146).
Queste righe sono di una chiarezza cristallina. Ma come si può paragonare tutto questo alla situazione attuale negli Stati Uniti? Non si può affatto. Siamo chiari al riguardo. La classe dominante si muoverà verso la reazione nella forma del bonapartismo o del fascismo, come ultima risorsa. È veramente questa la situazione attuale? Esistono senza dubbio forti tensioni nella società americana, che stanno provocando una grave destabilizzazione dell’ordine esistente.
Ma immaginare che la lotta di classe abbia raggiunto una fase critica, in cui il dominio del capitale viene minacciato di rovesciamento immediato e l’unica soluzione per la classe dominante è dare il potere in mano a un regime bonapartista è pura fantasia. Non abbiamo ancora raggiunto quella fase, né ci siamo vicini.
Certo, è possibile rilevare questo o quell’elemento nella situazione attuale che può essere descritto come un elemento di bonapartismo. Può darsi. Ma simili commenti potrebbero essere fatti riguardo a quasi tutti i più recenti regimi democratico-borghesi.
Nella “democratica” Gran Bretagna, sotto Tony Blair, il potere è in pratica passato dal parlamento eletto al governo e dal governo a una cricca ristretta di funzionari non eletti, compagni di merende ed esperti di comunicazione. C’erano senza dubbio elementi di quello che può essere chiamato regime di bonapartismo parlamentare.
Tuttavia, avere solo alcuni elementi di un fenomeno non significa ancora l’apparizione vera e propria del fenomeno in quanto tale. Si potrebbe certo dire che ci sono elementi di bonapartismo nel trumpismo. Certo, si può dirlo. Ma gli elementi non rappresentano ancora un fenomeno pienamente sviluppato.
Come nota Hegel nella Fenomenologia:
“Quando noi desideriamo vedere una quercia nella robustezza del suo tronco, nell’intreccio dei suoi rami e nel rigoglio delle sue fronde, non siamo soddisfatti se al suo posto ci venga mostrata una ghianda” (Hegel, Fenomenologia dello Spirito, La Nuova Italia, 1963, pag. 9).
Questo metodo scorretto porta a errori senza fine. Primo, si prova ad applicare una definizione esterna ad un fenomeno. Poi ci si appiglia ad essa ad ogni costo. E si prova a giustificarla con ogni tipo di “brillanti” esempi dalla storia, che vengono tirati per i capelli.
Poi, come la notte segue il giorno, arriva qualcun altro e dice: no, questo non è bonapartismo. E produce fatti altrettanto “brillanti” per dimostrare che il bonapartismo è qualcosa di completamente diverso.
Entrambi hanno ragione e torto. Dove arriviamo quando entriamo in questo tipo di discussioni circolari? Come un cane che si morde la coda, non arriviamo proprio da nessuna parte.
Sebbene sia vero che l’utilizzo di accurate analogie storiche può a volte fare chiarezza, è altrettanto vero che la giustapposizione avventata e meccanica di fenomeni essenzialmente differenti è una ricetta perfetta per creare confusione.
Per esempio, io ritengo abbastanza corretto e appropriato descrivere il regime di Putin in Russia come un regime bonapartista borghese. Questo è un esempio di un’analogia utile. Ma nel caso di Trump, è più complicato di così.
Il problema è che bonapartismo è un termine molto elastico. Esso si applica ad un’ampia gamma di cose, a cominciare dal concetto classico di bonapartismo, che è fondamentalmente il governo della spada.
L’attuale governo di Trump a Washington, nonostante le sue numerose peculiarità, rimane un governo democratico borghese.
Sono precisamente queste peculiarità che dobbiamo esaminare e spiegare. E dal momento che, in tutta onestà, ci troviamo incapaci di trovare alcunché di lontanamente simile nella storia, antica e moderna, che possa essere paragonato ad esso, e dal momento che non abbiamo definizioni bell’e pronte che possono adattarsi, ci rimane solo un’alternativa: COMINCIARE A PENSARE.
La crisi del capitalismo
Il grande filosofo Spinoza disse che il compito della filosofia non è né piangere, né ridere, ma comprendere. Per comprendere Donald J. Trump, dobbiamo lasciare da parte la pseudoscienza della demonologia e stabilire delle ovvietà.
Per cominciare, sia quel che sia, Trump non è uno spirito maligno, dotato di poteri sovrumani. È un comune mortale, nella misura in cui un miliardario americano può essere considerato tale. E come ogni altro personaggio di rilevanza storica, le cause reali della sua ascesa al potere devono essere collegate in ultima istanza ai processi oggettivi in atto nella società.
In altre parole, dobbiamo considerarlo come inevitabilmente connesso alla situazione oggettiva del mondo nei primi decenni del Ventunesimo secolo.
Il principale punto di svolta nella storia moderna è stata la crisi del 2008, che ha completamente destabilizzato l’intero sistema. Il capitalismo si è trovato a vacillare sull’orlo del collasso. Quando crollò Lehman Brothers, ricordo vivamente il momento in cui i banchieri espressero pubblicamente i propri timori che nel giro di pochi mesi sarebbero stati linciati dalla folla.
Questi timori erano in realtà ben fondati. In effetti, tutte le condizioni oggettive per una rivoluzione socialista erano mature. Ciò venne impedito soltanto dagli effetti di alcuni provvedimenti presi nel panico del momento con cui lo Stato intervenne per salvare le banche con l’immissione di enormi quantità di denaro pubblico.
Ciò contraddisse tutte le teorie promosse dagli economisti borghesi ufficiali nel corso dei trent’anni precedenti. Erano tutti d’accordo che lo Stato non dovesse giocare alcun ruolo, o un ruolo minimale, nell’economia. Il libero mercato, lasciato a sé, avrebbe risolto tutti i problemi.
Nel momento della verità, tuttavia, questa teoria si mostro errata. Il sistema capitalista venne salvato solo dall’intervento dello Stato. Ma questo creò nuove contraddizioni nella forma di debiti colossali e alla fine insostenibili.
Dal 2008, il sistema capitalista vive la crisi più profonda della sua storia. Passa costantemente da un disastro all’altro. Ad ogni passaggio, i governi ricorrono alla stessa politica irresponsabile di finanziare il deficit, cioè di stampare denaro per tirarsi fuori dagli impicci.
Gli strateghi miopi del capitale, la tribù miserabile degli economisti borghesi e l’ancora più fallimentare casta politica hanno tutti dato per scontato che questa situazione (infinite risorse di denaro tirato fuori dal nulla, un flusso inesauribile di credito a basso costo, bassi tassi di inflazione e bassi tassi di interesse) sarebbe continuata per sempre. Si sbagliavano.
Tutto ciò servì soltanto ad accumulare contraddizioni su contraddizioni, preparando il terreno futuro alla madre di tutte le crisi.
A quel tempo, predissi che tutti i tentativi della borghesia di ripristinare l’equilibrio economico sarebbero serviti solo a distruggere l’equilibrio sociale e politico. Questo è esattamente quello che è avvenuto.
Le condizioni oggettive per una rivoluzione socialista erano chiaramente presenti. Perché ciò non è avvenuto? Solo perché mancava un fattore importante dell’equazione. Quel fattore era la direzione rivoluzionaria.
Per tutto un periodo, il pendolo oscillò nettamente a sinistra in un paese dopo l’altro. Questo si riflesse nell’ascesa di tutta una serie di movimenti di sinistra con una fraseologia radicale: Podemos in Spagna, Syriza in Grecia, Bernie Sanders negli Stati Uniti e, soprattutto, Corbyn in Gran Bretagna. Ma questo servì solo a rivelare i limiti del riformismo di sinistra.
Prendiamo il caso di Tsipras. L’intera nazione greca era con lui nella sfida ai tentativi di Bruxelles di imporre l’austerità. Ma capitolò. Il risultato fu uno spostamento a destra.
In Spagna è andata in maniera simile. In origine, Podemos si presentava con un’immagine di sinistra molto radicale. Ma i suoi dirigenti hanno deciso di essere “responsabili” e sono entrati in una coalizione con i socialisti, con risultati prevedibili.
Negli Stati Uniti, Bernie Sanders emerse improvvisamente dal nulla, creando un movimento di massa che era chiaramente in cerca di un’alternativa socialista. Egli ha avuto tutte le occasioni per creare un’alternativa di sinistra credibile rispetto ai democratici e ai repubblicani. Ma, alla fine, capitolò di fronte alla classe dirigente del Partito Democratico e l’opportunità venne persa.
Il caso più chiaro di tutti è stato in Gran Bretagna, dove, come Sanders, Jeremy Corbyn apparve dal nulla e venne spinto alla testa del Partito Laburista sull’onda di un potente movimento a sinistra. Non fu Corbyn a creare questo movimento, ma egli agì come punto di riferimento per un sentimento di rabbia e malcontento accumulati nella società.
Questo risultato stupì e terrorizzò la classe dominante. Dichiararono pubblicamente che avevano perso il controllo del Partito Laburista. Ed era vero. O, meglio, avrebbe potuto esserlo.
Ma, nel momento della verità, Corbyn non riuscì ad agire contro la direzione di destra del gruppo parlamentare laburista, che, con l’appoggio dei media borghesi, organizzò una violenta campagna contro di lui.
In ultima analisi, Corbyn capitolò alla destra e pagò il prezzo della propria codardia, che è in realtà un’espressione dell’assenza di spina dorsale del riformismo di sinistra in generale.
Trump e Corbyn
Qui vediamo un netto contrasto con Donald Trump, che si è trovato anch’egli sotto attacco in maniera molto forte da parte dell’establishment ed anche della direzione dello stesso Partito Repubblicano. Trump ha fatto quello che avrebbe dovuto fare Corbyn. Ha mobilitato la propria base e l’ha scagliata contro la vecchia direzione repubblicana, che è stata costretta a battere in ritirata.
Questo, ovviamente, non cambia il fatto che Trump rimane un politico borghese reazionario. Ma bisogna confessare che ha mostrato un coraggio e una determinazione che a Corbyn palesemente mancavano.
Ha anche mostrato un completo disprezzo per il cosiddetto politicamente corretto e per le politiche identitarie, che, sfortunatamente, i riformisti di sinistra hanno introiettato del tutto. Questo ha giocato un ruolo del tutto pernicioso nel caso di Corbyn.
Quando la destra lo attaccò per il suo presunto antisemitismo (un’accusa che era interamente falsa), egli fece immediatamente un passo indietro. Divenne facile preda per la reazionaria lobby sionista e per tutta la classe dominante britannica e venne ridotto velocemente alla più abietta sottomissione; fu una vittima indifesa dell’assuefazione alle reazionarie politiche identitarie.
Se Corbyn avesse fatto quello che ha fatto Trump, avrebbe affrontato l’accusa di antisemitismo a testa alta, avrebbe mobilitato la sua base di attivisti e li avrebbe scagliati contro la cricca di destra del Partito Laburista, portando avanti una purga di questi elementi marci.
Se avesse fatto così, avrebbe vinto di certo. Ma non lo ha fatto. Questo permise alla destra laburista di passare all’offensiva, di espellere la sinistra, incluso lo stesso Corbyn, e di fare una purga del partito dai vertici alla base. Il risultato fu la vittoria di Starmer e l’esperimento del corbynismo finì con un disastro.
La stessa esperienza si è ripetuta più e più volte. E ogni volta, i dirigenti della sinistra hanno giocato un ruolo totalmente deplorevole. Hanno deluso la propria base e hanno consegnato il potere alla destra su un piatto d’argento.
È questo fatto, e questo fatto solamente, che spiega l’attuale oscillazione del pendolo verso destra. Questo era del tutto inevitabile, data la codarda capitolazione della sinistra.
Lasciamo che altri si lamentino dei fatti e si mettano a frignare per l’ascesa di Trump e di altri demagoghi di destra. Noi rispondiamo con disprezzo: non lamentatevi. È solamente colpa vostra. Avete avuto soltanto che ciò che vi meritavate. Adesso dovrete pagarne le conseguenze.
Cosa rappresenta veramente Trump?
Cominciamo dalle ovvietà. Tutti concordiamo che Donald Trump è un politico borghese reazionario. Non vale neanche la pena di dirlo. Né ci dovrebbe essere bisogno di dire che i comunisti non lo appoggiano in alcun modo.
Ma nel dire le ovvietà, non facciamo un solo passo avanti nell’analisi del fenomeno di Trump e del trumpismo. Per esempio, è corretto dire che non c’è differenza tra Donald Trump e Joe Biden?
Che siano entrambi politici borghesi che difendono fondamentalmente gli stessi interessi di classe è evidente. In questo senso, si potrebbe dire che sono uguali. Tuttavia, dovrebbe essere chiaro anche alla persona più cieca del mondo che ci sono, in effetti, differenze molto grandi tra i due; a tutti gli effetti c’è una voragine aperta.
Il fatto che, in ultima analisi, entrambi siano dei politici borghesi, che rappresentano in fin dei conti gli stessi interessi di classe, non preclude per niente la possibilità che emergano forti differenze tra differenti settori della stessa classe. Infatti, questo tipo di conflitto è sempre esistito.
Il problema centrale per la borghesia è che il modello che ha apparentemente garantito il successo del capitalismo per svariati decenni è irrevocabilmente in frantumi.
Il fenomeno della globalizzazione, che le ha permesso di superare i limiti del mercato nazionale per un lungo periodo ha adesso raggiunto i propri limiti. Al suo posto, vediamo l’ascesa del nazionalismo economico. Ogni classe capitalista porta avanti i propri interessi nazionali in contrasto con quelli delle altre nazioni. L’epoca del libero mercato cede il passo all’epoca dei dazi e delle guerre commerciali.
I nostalgici senza speranze deplorano la scomparsa del vecchio ordine. Ma Donald J Trump la abbraccia con tutto l’entusiasmo di un convertito religioso. Di conseguenza, egli ha messo sottosopra l’ordine mondiale, causando rabbia e frustrazione nelle nazioni più deboli.
Donald Trump incorre pertanto nelle maledizioni dei suoi precedenti “alleati” europei, che lo accusano di tutte le proprie disgrazie. Ma non ha inventato lui questa situazione. Ne è semplicemente l’esponente e il propugnatore più estremo e conseguente.
La bancarotta del liberalismo
Per molti anni, la classe dominante e i suoi rappresentanti politici in Occidente hanno sistematicamente propagato un’immagine pseudo-progressista di sé per nascondere la realtà del dominio di classe. Hanno abilmente utilizzato le cosiddette politiche identitarie come arma della controrivoluzione.
E la “sinistra”, priva di qualsiasi solida base ideologica indipendente, ha ingoiato questa immondizia e se l’è bevuta tutta. Questo ha avuto come effetto solo quello di screditarla agli occhi della classe lavoratrice, che guarda incredula le loro buffonate, mentre cavillano sulle parole e ripetono allo strenuo le banalità del cosiddetto politicamente corretto, invece che lottare per i reali interessi dei lavoratori, delle donne e degli altri settori oppressi della società.
Pertanto, quando Trump arriva e denuncia le politiche identitarie e il politicamente corretto, è difficile sorprendersi che ciò tocchi le corde di milioni di uomini e donne comuni, le cui menti non sono state offuscate senza speranza dalla malattia postmodernista.
I liberali difendono la democrazia?
I liberali hanno una concezione molto particolare della democrazia. Come abbiamo visto, essi sono a favore delle elezioni, ma solo se vince il candidato che favoriscono. Se il risultato non è di loro gradimento, cominciano immediatamente a strepitare che il risultato è ingiusto, lasciando intendere che si siano truccati i voti e si siano svolti ogni tipo di brogli; di solito senza produrre un briciolo di prova.
Lo abbiamo visto dopo la vittoria di Trump contro Hillary Clinton alle elezioni presidenziali del 2016. Trump è diventato il primo presidente della storia americana che non avesse prima ricoperto cariche pubbliche o militari.
In effetti, Trump era un outsider, una persona che non aveva legami con la casta esistente a Washington, che aveva detenuto il monopolio del potere politico per decenni.
Lo hanno considerato come una minaccia al loro monopolio e si sono comportati di conseguenza per sovvertire la democrazia e ribaltare il risultato delle elezioni. I democratici lanciarono contro Trump il noto scandalo “Russiagate”, con la chiara intenzione di rimuoverlo dal potere.
Questo sarebbe stato l’equivalente di un colpo di Stato democratico. Una violazione della democrazia? Certo, ma se è necessario a volte violare le regole della democrazia per difendere la democrazia, che così sia!
In seguito, ricorsero ad ogni mezzo per impedire a Donald Trump di diventare nuovamente presidente. Hanno imbastito un vero tsunami di processi giudiziari, volti a mandarlo dietro le sbarre.
C’erano quattro processi diretti personalmente contro Trump, a cominciare con il noto caso di Stormy Daniels, seguito dall’accusa di aver interferito nelle elezioni in Georgia e, infine, la questione della presenza di documenti top-secret a Mar-a-Lago.
Inoltre, sono state sporte più di cento denunce contro l’amministrazione Trump.
I mass media si sono mobilitati per trarre pieno vantaggio da questo attacco. Ma hanno fallito completamente. Ognuno di questi processi è servito solo a dare slancio ai suoi consensi nei sondaggi. Il risultato finale l’abbiamo visto nelle elezioni presidenziali del 5 novembre 2024.
Con la seconda più alta affluenza elettorale dal 1900 (superata solo dalle elezioni del 2020), Trump ha ottenuto 7.,284.118 voti, cioè il 49,8% dei voti, il secondo migliore risultato nella storia americana (dopo la vittoria di Biden nel 2020). Trump ha vinto in tutti i sette swing states [cioè quegli Stati in cui i risultati politici sono altalenanti e la cui conquista è pertanto decisiva, Ndt].
Non si è trattato solo di una vittoria elettorale: è stato un trionfo decisivo. Si è trattato anche di un completo rifiuto dell’establishment liberal-democratico.
È stato anche uno smacco disastroso per i media prezzolati che hanno appoggiato in maniera preponderante la Harris. Tra i quotidiani, 54 hanno dato appoggio alla Harris e solo 6 hanno sostenuto Trump. Tra tutti i settimanali, 121 hanno sostenuto la Harris e solo 11 erano a favore di Trump.
Come si spiega?
Trump e la classe operaia
È impressionante osservare la differenza nella composizione di classe del voto. Mentre la Harris ha ottenuto la maggioranza tra gli elettori che guadagnano dai 100mila dollari in su all’anno, Trump ha ottenuto la maggioranza tra gli elettori che guadagnano meno di 50mila dollari. Dunque, non c’è assolutamente alcun dubbio sul fatto che milioni di lavoratori americani siano andati a votare per Donald Trump.
Non c’è niente di particolarmente sorprendente o “strano” in questo. L’ascendente di Trump sulla classe lavoratrice ha una base materiale. Fin dai primi anni ’80, i salari reali dei lavoratori americani sono rimasti gli stessi o sono diminuiti, in particolare a causa del fatto che i posti di lavoro venivano delocalizzati in altri paesi, secondo il Bureau of Labour Statistics. Parimenti, l’Economic Policy Institute riporta che i salari delle famiglie a reddito medio-basso non hanno visto alcuna crescita sin dalla fine degli anni ’70, mentre il costo della vita ha continuato ad aumentare.
In molte città americane, si assiste a condizioni di miseria e degrado che ricordano quelle delle città più povere dell’America Latina, dell’Africa o dell’Asia. E questa povertà convive al fianco della più oscena concentrazione di ricchezza in poche mani che si sia mai vista in cento anni.
Eppure, tutto ciò è apparentemente invisibile agli occhi dei “progressisti” piccolo-borghesi. L’establishment politico e la tribù dei giornalisti e dei commentatori ben retribuiti sono diventati talmente ossessionati dal veleno pernicioso delle politiche identitarie che hanno puntualmente ignorato i problemi reali che vive la gente della classe lavoratrice, che sia nera o bianca, maschile o femminile, eterosessuale o omosessuale.
Un tipico esempio di ciò è stata l’insistenza degli imbecilli politicamente corretti nel propugnare termini come “Latinx”per promuovere l’inclusività di genere. Tuttavia, solo il 4% degli ispanoamericani utilizza questo termine e il 75% dice che non dovrebbe mai essere utilizzato, secondo Pew Research.
Hanno così spianato la strada a demagoghi di destra come Donald Trump, che hanno dato voce alla rabbia accumulata di milioni di persone, che giustamente si sono sentite ignorate dall’establishment liberale di Washington.
Come risultato, nel 2024 Trump ha esteso la propria base elettorale, connettendosi alle comunità operaie nere e latinoamericane.
Questa è la diretta conseguenza del tradimento di gente di “sinistra” come Sanders, che, non riuscendo ad offrire una chiara alternativa rispetto ai liberali, ha spalancato la porta a demagoghi di destra come Trump.
È un fatto che, fino a poco tempo fa, persino il termine “classe lavoratrice” non appariva quasi mai nella propaganda elettorale dei principali partiti. Anche i politici di sinistra più arditi si riferivano di norma piuttosto alla “classe media”. La classe operaia americana praticamente aveva cessato di esistere!
Ci possono essere state alcune eccezioni alla regola, ma non è un’esagerazione dire che è stato solo Donald Trump, un demagogo di destra miliardario, a ergersi a difensore degli interessi della classe lavoratrice nei propri discorsi. Si potrebbe dire che egli soltanto ha la responsabilità di aver messo i lavoratori nuovamente al centro della politica americana.
Non c’è bisogno di ripetere che è solo demagogia, vuota retorica senza contenuto. Né abbiamo bisogno di essere informati del fatto che Trump dice queste cose per i propri fini, che sono inevitabilmente connessi agli interessi della classe sociale cui appartiene.
Questo ci è perfettamente chiaro. Ma non ha niente a che vedere con quanto stiamo dicendo. Il fatto puro e semplice è che ciò è lungi dall’essere chiaro a milioni di lavoratori che hanno votato per Trump nelle elezioni presidenziali. Se trascuriamo questo fatto è a nostro rischio e pericolo.
Quali interessi difende Trump?
Non dovrebbe essere per nulla difficile spiegare la nostra posizione rispetto a Trump a qualsiasi persona pensante. È davvero molto semplice. Noi diciamo: questo miliardario difende gli interessi della sua classe. Tutto ciò che dice è a conti fatti nell’interesse suo e negli interessi dei ricchi, dei banchieri e dei capitalisti. Ne segue, come il giorno segue la notte, che questi interessi non potranno mai coincidere con gli interessi della classe lavoratrice.
Tuttavia, al fine di ottenere l’appoggio dei lavoratori, dirà a volte cose che possano sembrare a loro sensate. Quando parla di posti di lavoro, occupazione, salari che crollano, aumento dei prezzi, ottiene naturalmente una reazione.
E potrebbe anche essere che una o due cose che dice siano corrette. In effetti, Trump ha ammesso una volta di aver preso molte idee dai discorsi di Sanders e di usarle per rivolgersi ai lavoratori.
Ovviamente, Trump è un politico borghese reazionario, ma ciò non significa che sia esattamente identico a qualsiasi altro politico borghese reazionario. Tutto il contrario. Egli ha una sua interpretazione delle cose, una sua visione, una politica e una strategia proprie, che differiscono sotto molti aspetti fondamentali dalle posizioni di Joe Biden e della sua cricca, ad esempio.
Sotto certi aspetti, le sue vedute sembrerebbero coincidere, almeno fino ad un certo punto, con le nostre. Ad esempio, nella sua posizione rispetto alla guerra in Ucraina, nello scioglimento di USAID, o nel suo rifiuto del cosiddetto “woke”. Infatti, che possano esistere sovrapposizioni tra quello che dicono i politici borghesi e quello che noi stessi pensiamo è stato già spiegato da Trotskij.
Nel maggio 1938, egli scrisse un articolo intitolato Imparate a pensare: un suggerimento amichevole a certi estremisti.
In esso, troviamo il seguente passaggio:
“In novanta casi su cento, i lavoratori segnano effettivamente un meno, dove la borghesia mette un più. In dieci casi, tuttavia, essi sono costretti a mettere lo stesso segno che mette la borghesia, ma con il proprio sigillo, con cui esprimono la propria sfiducia nella borghesia. La politica del proletariato non deriva in nessun modo automaticamente dalla politica della borghesia, apponendo il segno opposto: questo renderebbe ogni settario un maestro di strategia; no, il partito rivoluzionario deve orientarsi ogni volta in maniera indipendente nella situazione interna, così come in quella esterna, giungendo a quelle decisioni che meglio corrispondono agli interessi del proletariato. Questa regola si applica tanto al periodo di guerra quanto al periodo di pace.”
Anche quando Trump dice cose che sono corrette, egli lo fa invariabilmente dal punto di vista degli interessi della sua classe e con scopi reazionari, con i quali non abbiamo assolutamente niente da spartire.
La linea di demarcazione è che in ogni situazione, noi mettiamo sempre l’enfasi sulla posizione di classe. Per questo motivo, è assolutamente inaccettabile identificarci con le politiche di Trump. Questo sarebbe un grave errore.
Ma sarebbe un errore ancora più grave – in effetti sarebbe un crimine – schierarci anche per un solo momento con gli elementi borghesi cosiddetti “liberali” e “democratici”, i cui attacchi contro Trump sono condotti interamente dal punto di vista di quel settore della borghesia reazionaria contro cui Trump sta guerreggiando al momento.
Il male minore?
Una volta che si sono fatte concessioni ad accuse come quella di fascismo, bonapartismo o della presunta minaccia alla democrazia, si comincia ad entrare nel terreno sdrucciolevole che può portare, anche inconsapevolmente, alla posizione del male minore. E questo sarebbe senza dubbio il pericolo più grande.
È corretto dire che il regime di Biden rappresentava qualcosa di progressista in relazione a Trump? Così è come ce la vendono. E la cosiddetta sinistra ha accettato quest’idea come se fosse oro colato.
Cercano di argomentare come Trump sia un nemico della democrazia. Ma se si esamina il comportamento ripugnante della cricca di Biden, si vede come essa ha mostrato un disprezzo totale per la democrazia dall’inizio alla fine.
Prendiamo in considerazione il cosiddetto “appoggio di ferro” di Biden all’aggressione di Israele contro Gaza, che gli è valso il nomignolo di “Joe il Genocida”. O la spregiudicata soppressione del diritto di riunione da parte della sua amministrazione “democratica”, quando centinaia di studenti vennero brutalmente malmenati e 3.200 vennero arrestati in tutto il paese per aver protestato pacificamente in solidarietà alla Palestina.
Biden promise che sarebbe stato “il presidente più a favore dei sindacati della storia americana”, ma ha represso il diritto di sciopero dei ferrovieri. Promise di porre fine alle deportazioni dell’era di Trump, ma, a conti fatti, ha espulso più immigrati senza documenti del suo predecessore. E la lista continua.
Fino alla fine, Biden si è avvinghiato alla poltrona dopo essere stato effettivamente dichiarato inabile al suo ruolo persino dal proprio partito, che lo ha rimosso come candidato presidenziale dei democratici.
Persino dopo che la schiacciante maggioranza dell’elettorato aveva votato contro i democratici, egli ha continuato ad esercitare i propri poteri di presidente, conducendo spregiudicati atti di sabotaggio per danneggiare il candidato democraticamente eletto, Trump, ed ha persino trascinato gli Stati Uniti sull’orlo della guerra con la Russia.
Sarebbe difficile immaginare una più spudorata mancanza di rispetto per la democrazia e per le opinioni della stragrande maggioranza degli americani. Eppure, questo bandito e la sua cricca hanno continuato a mascherarsi da difensori della democrazia contro la presunta minaccia di dittatura!
Molte altre cose che Biden e la sua banda hanno fatto sono infinitamente più controrivoluzionarie, disastrose e mostruose di qualsiasi cosa che Trump abbia mai sognato di fare. Questo è il fatto. Tuttavia, troviamo persone a sinistra che sono pronte a sostenere che sia preferibile appoggiare i democratici contro Trump, “per difendere la democrazia”.
Non è nostro interesse salire su una barca che affonda, ma lo è, al contrario, fare tutto ciò che è in nostro potere per facilitarne l’affondamento. Non è la nostra politica coltivare illusioni nei liberali e nella cosiddetta democrazia, che è invece smascherarla come una cinica menzogna e una presa in giro.
In Dove va la Francia, Trotskij spiega che la cosiddetta politica del “male minore” non è nient’altro che un crimine e un tradimento della classe lavoratrice:
“Il partito operaio non deve preoccuparsi di un tentativo senza speranza di salvare il partito dei bancarottieri; al contrario deve accelerare con tutte le sue forze il processo di affrancamento delle masse dal controllo radicale [il partito radicale era un partito liberale al potere in Francia negli anni ’30, Ndr]” (Lev Trotskij, Scritti 1929-1936, Mondadori, 1970).
Questo è un consiglio eccellente per noi oggi. Nel combattere la reazione trumpiana, non possiamo in nessun caso schierarci con i democratici “liberali” bancarottieri.
Trovare una strada per arrivare ai lavoratori!
I periodi di transizione, come il periodo in cui stiamo vivendo, fanno sempre emergere confusione. Ci troveremo a dover fronteggiare spesso ogni tipo di fenomeni nuovi e complicati, che non hanno nessun precedente scontato nella storia.
Per non perdere l’orientamento, è necessario ogni volta tenerci stretti ai principi fondamentali e non lasciarci trascinare da questo o da quell’altro sviluppo accidentale. La principale caratteristica della situazione attuale è che, da un lato, la situazione oggettiva sta reclamando a gran voce una soluzione rivoluzionaria.
C’è il potenziale. Ma non c’è al momento nessuna forza sufficientemente forte per mettere a frutto questo potenziale. Pertanto, per un periodo, esso rimarrà soltanto un semplice potenziale.
Le masse stanno cercando in tutti i modi di trovare una via d’uscita dalla crisi. Mettono alla prova un politico dopo l’altro, ma scoprono presto le mancanze di tutte le organizzazioni esistenti. Questo spiega l’instabilità politica generale che si manifesta in violente oscillazioni sul piano elettorale, da sinistra a destra e viceversa.
In assenza di un qualsiasi tipo di direzione a sinistra, la strada è spianata per ogni tipo di aberrazioni stravaganti e di demagoghi del tipo di Trump.
Essi possono emergere rapidamente, dando espressione alla rabbia e al malcontento delle masse. Ma il contatto con la realtà alla fine porta alla disillusione, preparando un’ulteriore oscillazione del pendolo nella direzione opposta.
Vedere questi sviluppi in termini puramente negativi costituirebbe un completo fraintendimento della situazione. Le masse sono disperate e hanno bisogno di soluzioni immediate ai propri problemi. Personaggi come Donald Trump sembrano offrire loro quello che cercano.
Dobbiamo comprendere questo e non semplicemente liquidare questi movimenti come aberrazioni di “estrema destra” (una frase che è in ogni caso priva di significato). Certo, in simili movimenti ci saranno elementi reazionari. Ma il loro carattere di massa indica che essi hanno una base sociale contraddittoria.
Per trovare una strada per arrivare ai lavoratori in tutti i paesi, è necessario considerarli per quello che sono, non come vorremmo che fossero. Per entrare in dialogo con i lavoratori, dobbiamo partire dal livello di coscienza esistente. Qualsiasi altro approccio non è nient’altro che una ricetta per la sterilità e l’impotenza.
Se vogliamo intrattenere una conversazione significativa con un lavoratore che ha illusioni in Trump, non possiamo cominciare a denunciarlo ad alta voce o ad accusarlo di fascismo e chissà che altro. Ascoltando pazientemente gli argomenti di questi lavoratori, possiamo basarci sulle tante cose con cui concordiamo e poi, usando argomenti efficaci, introdurre gradualmente dubbi riguardo al fatto che gli interessi della classe lavoratrice possano essere realmente difesi da un ricco imprenditore miliardario.
Certo, in questa fase, i nostri argomenti non avranno necessariamente successo. La classe operaia in generale non impara dai dibattiti ma solo attraverso l’esperienza. E l’esperienza di un governo Trump si dimostrerà essere una curva di apprendimento molto dolorosa.
Perciò, quando parliamo ai lavoratori che appoggiano Trump, dovremmo avere un atteggiamento amichevole e concordare con le cose con cui possiamo essere d’accordo, poi mettere abilmente in luce i limiti del trumpismo e difendere la prospettiva del socialismo. Le contraddizioni alla fine verranno in superficie. Tuttavia, nonostante ciò, le illusioni in Trump esisteranno per tutto un periodo.
Non si otterrà nulla adottando un atteggiamento aggressivo ed ostile nei confronti dei molti lavoratori onesti che, per ragioni del tutto comprensibili, si sono uniti a sostegno di Trump. Un simile approccio sarebbe sterile e controproducente, e non ci porterà da nessuna parte.
La storia conosce molti esempi di come i lavoratori, entrati inizialmente nell’arena politica con idee estremamente arretrate e persino reazionarie possano rapidamente muoversi nella direzione opposta sotto i colpi degli eventi.
All’inizio della Rivoluzione Russa del 1905, i marxisti rappresentavano una minoranza molto esigua e isolata. La maggioranza dei lavoratori russi era politicamente arretrata, con illusioni nella monarchia e nella chiesa.
La stragrande maggioranza dei lavoratori di San Pietroburgo seguì inizialmente la guida di pope Gapon, che collaborava attivamente con la polizia. Quando i marxisti si avvicinavano loro con volantini che denunciavano lo Zar, i lavoratori li strappavano e a volte persino picchiavano i rivoluzionari.
Eppure, tutto si trasformò nel suo opposto dopo gli eventi della Domenica di Sangue del 9 gennaio. Gli stessi lavoratori che avevano strappato i volantini, ora andavano dai rivoluzionari a chiedere loro armi per rovesciare lo Zar.
Negli Stati Uniti, possiamo citare un esempio simile, estremamente istruttivo, sebbene molto meno drammatico. Quando un giovane lavoratore chiamato Farrel Dobbs entrò inizialmente in politica all’inizio degli anni ’30, cominciò la sua vita politica come convinto repubblicano.
Ma attraversando l’esperienza di una lotta di classe burrascosa si mosse dal repubblicanesimo di destra direttamente al trotskismo rivoluzionario e giocò un ruolo dirigente nella Ribellione dei Teamster di Minneapolis.
Nel periodo tumultuoso di lotta di classe che si aprirà negli Stati Uniti, vedremo molti esempi simili in futuro. E alcuni lavoratori che oggi appoggiano con entusiasmo Trump o demagoghi dello stesso tipo, potranno essere conquistati alla bandiera della rivoluzione socialista sulla base degli eventi futuri.
In superficie, il movimento di Trump sembra molto solido e praticamente indistruttibile. Ma è un’illusione ottica. In realtà, è un movimento molto eterogeneo, attraversato da profonde contraddizioni. Presto o tardi, queste si paleseranno.
I nemici liberali di Trump stanno sperando che il fallimento delle sue politiche economiche porteranno ad una delusione diffusa e alla perdita di consenso. Un tale fallimento è del tutto prevedibile. Già l’imposizione dei dazi si sta scontrando con le inevitabili ritorsioni. Questo dovrà alla fine riflettersi nella perdita di posti di lavoro e nella chiusura delle fabbriche nei settori colpiti.
Tuttavia, le previsioni di una disfatta imminente del movimento di Trump sono premature. Trump ha suscitato enormi aspettative e speranze in milioni di persone che prima non ne avevano alcuna. Simili illusioni sono abbastanza radicate e forti da sopportare tutta una serie di traumi e delusioni temporanee.
Ci vorrà del tempo prima che il sortilegio ipnotico della demagogia di Trump si dissolva. Ma presto o tardi, la delusione arriverà e, più a lungo i lavoratori ci metteranno per comprendere che i propri interessi di classe non sono rappresentati, più violenta sarà la reazione.
Donald Trump è ormai abbastanza vecchio e anche se riesce a schivare il proiettile di un assassino, la natura prima o poi imporrà le proprie leggi marmoree. In ogni caso, è improbabile che possa ricandidarsi come presidente, anche se venisse cambiata la legge al fine di permetterglielo.
È impossibile immaginare il trumpismo senza la persona di Donald J Trump. È precisamente il potere della sua personalità, le sue indubbie abilità come capopopolo ed esperto demagogo ad essere il collante che tiene insieme il suo movimento eterogeneo. Senza di esso, le contraddizioni che esistono al suo interno verranno inevitabilmente in superficie, provocando crisi intestine e fratture nella leadership.
JD Vance sembra il successore più probabile di Donald Trump, ma è privo dell’immensa autorevolezza e del carisma del suo capo. Egli è, tuttavia, un uomo intelligente che può benissimo evolversi in ogni direzione sulla base degli eventi. È impossibile prevederne il risultato.
C’è una famosa legge della meccanica che afferma che ogni azione provoca una reazione uguale e contraria. Donald Trump è un maestro nell’iperbole. Le sue sparate demagogiche non hanno limiti. Tutto quello che promette è meraviglioso, eccezionale, straordinario, immenso, e così via. E l’intensità della delusione, quando infine giungerà, sarà proporzionalmente immensa.
Ad un certo punto, il suo movimento comincerà a spaccarsi su linee di classe. Man mano che i lavoratori cominceranno ad abbandonarlo, gli elementi della piccola borghesia impazzita si coalizzeranno probabilmente in quello che sarà l’embrione di una nuova organizzazione che sarà autenticamente fascista o bonapartista.
In questa situazione caotica, il movimento in direzione di un terzo partito diventerà irresistibile. Per la sua stessa natura, sarà uno sviluppo confuso, che in un primo momento non avrà necessariamente un programma di sinistra o anche solo spiccatamente progressista. Ma gli eventi avranno una propria logica.
Molti lavoratori, dopo essersi bruciati le dita con l’esperimento di Trump, cercheranno una bandiera alternativa che rappresenti con maggiore accuratezza la loro rabbia e il loro odio profondo per i ricchi e per l’establishment, che è semplicemente un riflesso immaturo della loro ostilità istintiva verso il sistema capitalista in quanto tale. Questo li spingerà con forza a sinistra.
Non è per niente una forzatura prevedere che alcuni dei più coraggiosi, impegnati e disinteressati militanti del futuro movimento comunista in America consisteranno esattamente in quei lavoratori che sono passati attraverso la scuola del trumpismo e hanno tratto da esso le corrette conclusioni. Ci sono molti precedenti nel passato di sviluppi simili, come abbiamo visto.
Infine, voglio chiarire una cosa. Quello che qui vi ho presentato non sono prospettive compiute, né, ancor meno, previsioni dettagliate di ciò che avverrà in futuro. Per farlo, servirebbe non il metodo marxista, bensì una sfera di cristallo, che tristemente non è stata ancora inventata.
Sulla base di tutti i fatti osservabili a mia disposizione, ho proposto una prognosi molto provvisoria che, tuttavia, non può essere nulla di più che una congettura informata. La situazione attuale si presenta come un’equazione estremamente complicata, che può avere molte soluzioni possibili. Solo il tempo riempirà gli spazi vuoti e ci darà la risposta. La storia ci regalerà molte sorprese. Non tutte saranno cattive.