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Il programma dell’Internazionale

Il testo che offriamo alla lettura, scritto dal teorico marxista Ted Grant nel 1970, riassume tutti i principali punti di dissenso con la Quarta internazionale, che portarono alla rottura definitiva da parte della nostra tendenza politica con questa organizzazione e alla fondazione di una nuova internazionale.

 

di Ted Grant

 

La Prima e la Seconda Internazionale

Senza una prospettiva, un programma e una politica internazionali, è impossibile costruire un movimento che possa affrontare il compito della trasformazione della società. Una Internazionale è un programma, una politica e un metodo e la sua organizzazione è il mezzo per portarli avanti. La necessità dell’Internazionale deriva dalla posizione della classe operaia a livello internazionale. Questa, a sua volta, è stata sviluppata dal capitalismo mediante l’organizzazione dell’economia mondiale come un tutto indivisibile. Gli interessi della classe lavoratrice di un paese sono gli stessi dei lavoratori degli altri paesi. A causa della divisione del lavoro sviluppata dal capitalismo, si sono formate le basi per una nuova organizzazione internazionale del lavoro e per la produzione pianificata su scala mondiale. Il movimento verso il socialismo deve pertanto basarsi sulla lotta della classe operaia di tutti i paesi.
Il capitalismo, attraverso la proprietà privata dei mezzi di produzione, sviluppò l’industria e abbatté il particolarismo locale del feudalesimo; ruppe le arcaiche tariffe, pedaggi ed esazioni della vecchia società. Sua grande creazione sono lo Stato nazionale e il mercato mondiale. Ma una volta assolto questo compito, lo stesso capitalismo si è trasformato in un impedimento allo sviluppo della produzione. Lo Stato nazionale e la proprietà privata dei mezzi di produzione ostacolano lo sviluppo della società. Le possibilità della produzione si possono utilizzare pienamente solo con l’abolizione delle frontiere nazionali e con l’istituzione di una federazione europea e mondiale di Stati operai, fondata sulla proprietà statale e sulla gestione dei lavoratori, come passo necessario sulla strada del socialismo. Sono questi i fattori che dettano la strategia e la tattica del proletariato, così come essa si riflette nella sua avanguardia cosciente. Nell’aforisma di Marx: “I lavoratori non hanno patria”, e quindi: “Proletari di tutti i paesi unitevi”.
Fu per queste considerazioni che Marx organizzò la Prima Internazionale, come mezzo per unire le fasce avanzate della classe operaia su scala internazionale. Ad essa aderirono i sindacati inglesi, i radicali francesi e gli anarchici russi. Guidata da Marx, la Prima Internazionale gettò le basi per lo sviluppo del movimento operaio in Europa e in America. A quei tempi la borghesia tremava davanti alla minaccia del comunismo nella forma dell’Internazionale, che metteva profonde radici nei principali paesi europei.
Dopo la sconfitta della Comune di Parigi nel 1871 ci fu una crescita del capitalismo a livello mondiale. In quelle condizioni, la pressione del capitalismo sul movimento operaio provocava divisioni interne e frazionismo. Gli intrighi degli anarchici ebbero un ulteriore sviluppo. La crescita organica del capitalismo incise a sua volta sull’organizzazione del proletariato a livello internazionale. In tali circostanze Marx ed Engels, dopo avere trasferito la direzione dell’organizzazione a New York, decisero che in quel momento era meglio sciogliere l’Internazionale (1876).
Il lavoro di Marx ed Engels diede i suoi frutti nella creazione di organizzazioni di massa del proletariato in Germania, Francia, Italia e altre nazioni, come Marx aveva previsto. Questo a sua volta preparò la strada per la fondazione di una nuova Internazionale, basata sui principi del marxismo, che abbracciasse masse più vaste. Nacque così nel 1889 la Seconda Internazionale. Questa tuttavia si sviluppò principalmente durante un periodo di crescita organica del capitalismo, e mentre propagandavano a parole le idee del marxismo, i settori dirigenti della socialdemocrazia mondiale subivano le pressioni del capitalismo. I dirigenti dei partiti socialdemocratici e delle organizzazioni sindacali di massa della classe operaia vennero contagiati dalle abitudini e dal modo di vivere della classe dominante. L’abitudine al compromesso e alla discussione con la classe dominante divenne la loro seconda natura. Questo plasmò il loro modo di pensare; credevano che sarebbe bastata la pressione delle organizzazioni di massa per ottenere un miglioramento continuo delle condizioni di vita delle masse.
Le condizioni di vita dei dirigenti si elevarono al di sopra di quelle delle masse. Questo influì sugli strati superiori dei parlamentari e dei sindacalisti. “Le condizioni di vita determinano la coscienza”, e i decenni di sviluppo pacifico che seguirono alla Comune del 1871 cambiarono il carattere delle direzioni delle organizzazioni di massa. Mentre a parole sostenevano il socialismo e la dittatura del proletariato e predicavano l’internazionalismo, nei fatti le direzioni di questi partiti si erano trasformate in sostenitrici dello Stato nazionale.
Nel congresso di Basilea del 1912, in un contesto di crescenti contraddizioni del capitalismo mondiale e davanti all’inevitabilità della guerra mondiale, la Seconda Internazionale decise di opporsi con tutti i mezzi, compreso lo sciopero generale e la guerra civile, al tentativo di lanciare i popoli in una carneficina insensata. Lenin e i bolscevichi, con Rosa Luxemburg, Trotskij e altri leader del movimento, parteciparono all’organizzazione della Seconda Internazionale come mezzo per la liberazione del genere umano dalle catene del capitalismo. Ma nel 1914 i dirigenti della socialdemocrazia in quasi tutti i paesi si unirono alle rispettive classi dominanti nell’appoggio alla guerra. La crisi e il tradimento dei principi del socialismo furono tanto inaspettati che lo stesso Lenin credette che il numero di Vorwärts (organo centrale della socialdemocrazia tedesca) che riportava l’appoggio ai crediti di guerra fosse una falsificazione dello stato maggiore tedesco. L’Internazionale era crollata vergognosamente alla prima prova seria.

La Terza Internazionale

Lenin e Trotskij, Liebknecht e Luxemburg, MacLean, Connolly e altri dirigenti si trovarono ridotti a guidare piccoli gruppi isolati. Nel 1915 i partecipanti alla conferenza di Zimmerwald ironizzavano sul fatto che gli internazionalisti di tutto il mondo potevano trovare posto in un paio di carrozze. L’inatteso tradimento creò una situazione nella quale gli internazionalisti, deboli e isolati, tendevano a un certo estremismo. Per differenziarsi dai “socialpatrioti” e dai “traditori del socialismo” furono obbligati a riaffermare i principi fondamentali del marxismo: le responsabilità dell’imperialismo nella guerra, il diritto di autodeterminazione dei popoli, la necessità della conquista del potere, la separazione dalla politica e dalla pratica del riformismo. Lenin dichiarò che l’idea secondo la quale la Prima guerra mondiale era una guerra che avrebbe messo fine a tutte le guerre era una favola pericolosa raccontata dai dirigenti del movimento operaio. Se la guerra non fosse stata seguita da una serie di rivoluzioni socialiste vittoriose, ci sarebbero state una seconda, una terza, e anche una decima guerra mondiale, fino al possibile annientamento del genere umano. Il sangue e le sofferenze nelle trincee, che andavano a vantaggio dei monopolisti milionari, avrebbero inevitabilmente provocato la ribellione delle masse contro la colossale carneficina.
Questi principi dimostrarono la loro validità col trionfo della Rivoluzione russa del 1917, sotto la direzione dei bolscevichi. Questa fu seguita da una serie di rivoluzioni e situazioni rivoluzionarie dal 1917 al
1921. Tuttavia le giovani forze della nuova Internazionale, che era stata fondata nel 1919, erano deboli e immature. Nonostante la rivoluzione russa avesse provocato un’ondata di radicalizzazione nella maggioranza dei paesi dell’Europa occidentale e l’organizzarsi di partiti comunisti di massa, questi ultimi erano troppo deboli per trarre vantaggio dalla situazione. La prima ondata di radicalizzazione vide le masse rivolgersi alle loro organizzazioni tradizionali e a causa dell’inesperienza e dell’incomprensione della teoria marxista, del metodo e dell’organizzazione, e della loro immaturità, i giovani partiti comunisti furono incapaci di sfruttare la situazione. Così il capitalismo riuscì temporaneamente a stabilizzarsi.
In Germania nella situazione rivoluzionaria del 1923 si perse l’opportunità di prendere il potere a causa della politica della direzione, che attraversò una crisi simile a quella della direzione del partito bolscevico nel
1917 al tempo della rivoluzione di febbraio. L’imperialismo americano si affrettò a correre in aiuto del capitalismo tedesco per il timore del “bolscevismo” in occidente. Questo fallimento della rivoluzione preparò il terreno per la degenerazione dell’Unione Sovietica, causata dalla sua arretratezza e isolamento, e per la corruzione e la marcescenza della Terza Internazionale. Nel 1923 ci fu l’inizio del consolidamento della burocrazia stalinista e la sua usurpazione del potere in Urss. Un processo simile a quello che aveva portato alla degenerazione della Seconda Internazionale alcuni decenni prima si verificò in un breve lasso di tempo in Unione Sovietica. Avendo conquistato il potere in un paese arretrato, i marxisti attendevano con fiducia la rivoluzione internazionale come unica soluzione per i lavoratori dell’Urss e del mondo. Ma nel 1924 Stalin emerse come rappresentante della burocrazia che si era elevata al di sopra del livello delle masse operaie e contadine.
A differenza di quanto avevano teorizzato Marx e Lenin sulla partecipazione al governo e alla gestione dell’industria da parte della maggioranza della popolazione, l’arte, la scienza e il governo rimasero monopolio di fasce privilegiate, i cui interessi presero il sopravvento. Nell’autunno del 1924 Stalin, violando le tradizioni del marxismo e del bolscevismo, introdusse per la prima volta l’utopica teoria del “socialismo in un paese solo”. Gli internazionalisti, sotto la guida di Trotskij, lottarono contro questa teoria e predissero che la sua conseguenza sarebbe stato il fallimento dell’Internazionale comunista e la degenerazione delle sue sezioni nazionali.
La teoria non è un’astrazione, ma una guida nella lotta. Le teorie, per ottenere un appoggio di massa, devono sempre rappresentare gli interessi e le pressioni di determinati gruppi, caste o classi della società. La teoria del “socialismo in un solo paese” rappresentava l’ideologia della casta dominante nell’Unione Sovietica, composta da funzionari soddisfatti dai risultati della rivoluzione i quali non volevano vedere minacciate le loro posizioni di privilegio. Fu questa prospettiva che cominciò a trasformare l’Internazionale comunista da strumento della rivoluzione mondiale a semplice guardia di frontiera per la difesa dell’Urss, che si pretendeva impegnata a costruire il socialismo per conto proprio.

L’Opposizione di sinistra

Fu allora che avvenne l’espulsione dai partiti comunisti dell’Opposizione di sinistra, che manteneva i principi dell’internazionalismo e del marxismo. Le sconfitte dello sciopero generale inglese e della rivoluzione cinese del
1925-27 prepararono la strada a questo processo. In quella fase si trattava di “errori” della politica di Stalin, Bukharin e dei loro seguaci. La loro politica dipendeva dalla loro condizione di ideologi delle fasce privilegiate e dalle enormi pressioni del capitalismo e del riformismo. Questi errori di direzione condannarono il movimento del proletariato in altre nazioni alla sconfitta e al disastro.
Essendosi scottati le dita tentando di conciliarsi con i riformisti in occidente e con la borghesia coloniale in oriente, Stalin e la sua cricca svoltarono bruscamente verso l’estremismo, trascinando con sé la direzione dell’Internazionale comunista. Divisero i lavoratori tedeschi, anziché proporre il fronte unico per impedire l’ascesa al potere del fascismo in Germania e così, paralizzando il proletariato tedesco, prepararono la vittoria di Hitler. La degenerazione dell’Unione Sovietica e il tradimento della Terza Internazionale a loro volta aprirono la strada ai crimini e al tradimento della controrivoluzione stalinista in Urss.
A parte la nazionalizzazione dei mezzi di produzione, il monopolio del commercio estero e l’economia pianificata, nell’Unione Sovietica non resta nulla dell’eredità dell’Ottobre. L’epurazione dell’Opposizione di sinistra, ovvero la guerra civile unilaterale in Urss, venne ripetuta nei partiti dell’Internazionale comunista. La vittoria di Hitler e le sconfitte in Spagna e Francia furono i risultati di questo processo. Dal 1924 al 1927, Stalin si era appoggiato su un’alleanza con i kulaki, con gli “uomini della Nep”, e sulla “costruzione del socialismo a passo di lumaca”. In quella fase, all’estero lo stalinismo optava per una “neutralizzazione” dei capitalisti e una conciliazione con la socialdemocrazia come mezzo per “allontanare” la minaccia della guerra. La sconfitta dell’Opposizione di sinistra in Urss, con il suo programma di ritorno alla democrazia operaia e di introduzione dei piani quinquennali, fu dovuta alle sconfitte internazionali del proletariato, causate dalla politica stalinista.
Dopo essersi umiliata davanti ai socialdemocratici e agli altri “amici” dell’Unione Sovietica, l’Internazionale comunista passò alla politica del “terzo periodo”. La crisi del 1929-33 veniva definita come “l’ultima crisi del capitalismo”, il fascismo e la socialdemocrazia erano “gemelli”. Queste “teorie” aprirono la strada a terribili sconfitte della classe operaia. Allo stesso tempo la politica dell’Opposizione di sinistra in Urss attirava gli elementi più avanzati dei principali partiti comunisti del mondo. Lezioni dell’Ottobre, un’opera di Trotskij, spiegava gli insegnamenti della rivoluzione fallita del 1923 in Germania. Al programma generale dell’Opposizione di sinistra, all’interno e all’estero, si rispose con l’espulsione dei suoi sostenitori non solo dal partito russo, ma anche dalle principali sezioni dell’Internazionale. Ci fu un’ascesa dei gruppi di opposizione in Germania, Francia, Inghilterra, Spagna, Usa, Sudafrica e in altri paesi.
A quell’epoca il programma dell’Opposizione prevedeva una riforma dell’Urss e dell’Internazionale e l’adozione di una politica corretta, contro l’opportunismo del periodo 1923-27 e contro l’avventurismo del periodo 1928-33.
Queste divisioni, come aveva detto Engels in altra occasione, erano uno sviluppo salutare nel senso che si cercava di conservare le migliori tradizioni del bolscevismo e degli ideali dell’Internazionale comunista. La crisi della direzione era la crisi dell’Internazionale comunista e di tutto il genere umano. Queste scissioni furono quindi il mezzo per mantenere gli ideali e i metodi del marxismo. Nel primo periodo della sua esistenza, l’Opposizione di sinistra si considerava una parte dell’Internazionale comunista, benché espulsa, e si batteva per la riforma dell’Internazionale.
Le masse, anche i settori avanzati del proletariato, imparano soltanto attraverso le lezioni di grandi avvenimenti. La storia ha dimostrato che le masse non possono abbandonare le loro vecchie organizzazioni fino a quando queste non siano state messe alla prova del fuoco dell’esperienza. Fino al 1933 l’ala marxista dell’Internazionale era ancora per la riforma dell’Unione Sovietica e dell’Internazionale comunista. La vitalità o meno di quest’ultima come organizzazione sarebbe stata verificata nelle prove della storia. L’Opposizione pertanto si dichiarava tenacemente parte dell’Internazionale, anche se formalmente era esclusa dalle sue file. Fu l’ascesa al potere di Hitler e il rifiuto da parte dell’Internazionale comunista di capire le lezioni di quella sconfitta che confermò il suo fallimento come strumento della classe operaia nella lotta per il socialismo. Lungi dall’analizzare le ragioni della funesta politica del “socialfascismo”, le sezioni dell’Internazionale comunista dichiararono la vittoria di Hitler una vittoria della classe operaia. Fino al 1934 continuarono in Francia la stessa politica suicida di azioni unitarie con i fascisti contro i “socialfascisti” e il “radical-fascista” Daladier, che se avessero avuto successo avrebbero preparato la strada a un colpo di Stato fascista in Francia nel febbraio del 1934.

La Quarta Internazionale

Questo tradimento, unito al terribile effetto della sconfitta in Germania, indusse l’Opposizione di sinistra a riconsiderare il ruolo dell’Internazionale comunista. Un’Internazionale che aveva potuto commettere il tradimento di consegnare il proletariato tedesco a Hitler senza che si sparasse un solo colpo e senza che ciò provocasse alcuna crisi al suo interno non poteva più servire agli interessi del proletariato. Una Internazionale che aveva potuto acclamare questo disastro come un passo verso la vittoria non poteva ricoprire il suo ruolo di direzione del proletariato. Come strumento del socialismo mondiale la Terza Internazionale era morta. L’Internazionale comunista era degenerata, da strumento dei socialismo mondiale a docile strumento del Cremlino, quindi al servizio della politica estera sovietica. Era necessario dunque lavorare per una Quarta Internazionale che non fosse macchiata dai crimini e dai tradimenti commessi tanto dall’internazionale riformista quanto da quella stalinista.
Come già dopo il crollo della Seconda Internazionale, gli internazionalisti rivoluzionari sopravvissero come piccole sette isolate. In Belgio avevano un paio di parlamentari e mille o duemila compagni; lo stesso in Austria e Olanda. Le forze della nuova internazionale erano deboli e immature, ma avevano la guida e l’aiuto di Trotskij e le prospettive di grandi avvenimenti storici. Si erano formate sulla base dell’analisi dell’esperienza della Seconda e della Terza internazionale, della rivoluzione russa, tedesca e cinese, dello sciopero generale inglese del 1926, così come dei grandi avvenimenti seguiti alla Prima guerra mondiale. In questo modo i quadri dovevano essere addestrati e preparati come scheletro indispensabile del corpo della nuova Internazionale.
Fu in questo periodo, a causa dell’isolamento storico di questo movimento rispetto alle organizzazioni di massa della socialdemocrazia e dei partiti comunisti, che si sviluppò la tattica dell’“entrismo”. Era necessario trovare un modo per influenzare i lavoratori migliori e conquistarli. Questo si poteva ottenere solo lavorando assieme a loro nelle organizzazioni di massa. Così, iniziando con l’Independent Labour Party britannico, l’idea dell’entrismo fu elaborata per le organizzazioni di massa della socialdemocrazia, le quali erano in crisi e si stavano spostando a sinistra. Pertanto in Francia, con la situazione rivoluzionaria che si stava sviluppando, si entrò nel Partito socialista. In Gran Bretagna l’entrata nell’Ilp, mentre questo si trovava in uno stato di flusso e fermento dopo la scissione dal Partito laburista, fu seguita dall’entrata di molti trotskisti nel Partito laburista, in base ai consigli di Trotskij. In Usa ci fu l’entrata nel Partito socialista.
Il periodo prima della guerra fu principalmente di preparazione e selezione di quadri ed elementi dirigenti, che venivano temprati dal punto di vista teorico e formati nella pratica direttamente nel movimento di massa.
La tattica dell’entrismo era considerata come un orientamento a breve termine, imposto ai rivoluzionari dal loro isolamento dalle masse e dall’impossibilità che piccole organizzazioni trovassero ascolto e appoggio tra le masse stesse. L’entrismo si sviluppò col proposito di attirare gli elementi radicalizzati che cercavano soluzioni rivoluzionarie e che si sarebbero indirizzati in primo luogo verso le organizzazioni di massa. Ma in qualunque circostanza si dovevano mantenere e difendere le idee principali del marxismo. Era un problema di acquisire esperienza e comprensione, combattendo sia il settarismo che l’opportunismo. Era un mezzo per sviluppare un atteggiamento flessibile, unito all’implacabilità sui principi; un mezzo per preparare i quadri per i grandi avvenimenti imminenti.
La sconfitta della classe operaia in Francia, in Germania e nella guerra civile spagnola, le sconfitte dell’immediato dopoguerra, dovute interamente alla politica della Seconda e della Terza Internazionale, aprirono la strada alla Seconda guerra mondiale. La paralisi del proletariato europeo, unita alla nuova crisi aggravata del capitalismo mondiale, rese assolutamente inevitabile la Seconda guerra mondiale. Fu in questa atmosfera che nel 1938 si tenne il congresso fondativo della Quarta Internazionale.

Le prospettive di Trotskij

Il Programma di transizione approvato nel congresso di fondazione è in se stesso una spiegazione delle ragioni della costruzione della Quarta Internazionale. Il documento si lega all’idea del lavoro di massa, che a sua volta si conforma all’idea della rivoluzione socialista mediante rivendicazioni di transizione, che partono dalla realtà contraddittoria del momento. Differenziandosi dall’idea del programma minimo e massimo delle socialdemocrazie, si propone il concetto del Programma di transizione dal capitalismo alla rivoluzione socialista. Questo significa che si considera quest’epoca come un’epoca di guerre e rivoluzioni. Bisogna pertanto che tutto il lavoro sia legato all’idea della rivoluzione socialista.
La prospettiva di Trotskij era che la guerra a sua volta avrebbe scatenato la rivoluzione. Il problema dello stalinismo in una maniera o nell’altra si sarebbe risolto: o l’Unione Sovietica si sarebbe rigenerata attraverso una rivoluzione politica contro lo stalinismo o, attraverso la vittoria della rivoluzione in un paese importante, si sarebbe risolto il problema su scala mondiale. Con il trionfo della rivoluzione proletaria i problemi delle internazionali riformista e stalinista sarebbero stati risolti dagli avvenimenti stessi.
Questa prospettiva condizionale, benché rivelasse la comprensione dei processi nella società di classe, non fu confermata dagli avvenimenti. A causa degli specifici avvenimenti militari e politici della guerra lo stalinismo temporaneamente si rafforzò. L’ondata rivoluzionaria che si verificò in Europa durante e dopo la Seconda guerra mondiale fu tradita, questa volta dagli stalinisti, in modo ancora peggiore di come i dirigenti della Seconda Internazionale avevano tradito l’ondata che era seguita alla Prima guerra mondiale.
L’Internazionale continuò a basarsi, come deve essere anche oggi, sui principi elaborati nei primi quattro congressi dell’Internazionale comunista e sull’esperienza dello stalinismo, del fascismo e dei grandi avvenimenti che precedettero la Seconda guerra mondiale.
Trotskij spinse per la fondazione della Quarta Internazionale nel 1938 in base all’idea del fallimento dello stalinismo e del riformismo come tendenze rivoluzionarie della classe operaia. Entrambi erano diventati giganteschi ostacoli sul cammino dell’emancipazione della classe operaia; da mezzi di distruzione del capitalismo erano diventati partiti incapaci di condurre il proletariato alla vittoria della rivoluzione socialista.
La creazione di nuovi partiti e di una nuova Internazionale era un compito che si presentava nelle prospettive immediate. Una nuova guerra mondiale avrebbe a sua volta provocato una nuova ondata rivoluzionaria nei paesi metropolitani e fra i popoli coloniali. I problemi posti dallo stalinismo in Russia si sarebbero pertanto risolti nello sviluppo di queste prospettive rivoluzionarie. In tali circostanze era urgente prepararsi, tanto organizzativamente quanto politicamente, per i grandi avvenimenti che erano all’ordine del giorno. Così nel 1938 Trotskij previde che nell’arco di dieci anni non sarebbe rimasto nulla delle vecchie organizzazioni traditrici e la Quarta Internazionale sarebbe diventata la forza rivoluzionaria decisiva sul pianeta. Non c’era nulla di scorretto nell’analisi basilare, ma ogni prospettiva è condizionale. La molteplicità dei fattori politici, economici e sociali può sempre risultare in uno sviluppo diverso dal previsto. La debolezza delle forze rivoluzionarie è stata in realtà un fattore decisivo nello sviluppo della politica mondiale per oltre trent’anni da quando Trotskij elaborava quelle prospettive. Purtroppo i “mandarini” che componevano l’organismo dirigente della “Quarta Internazionale”, senza la direzione e la presenza di Trotskij, interpretarono questa idea non come una prospettiva frutto di un’elaborazione, ma come qualcosa da prendere semplicemente alla lettera.

Gli avvenimenti del dopoguerra e i “dirigenti” della Quarta Internazionale

La guerra si sviluppò lungo linee che nemmeno i più grandi teorici avrebbero potuto prevedere. Il processo è stato spiegato in molti documenti della nostra tendenza. Le vittorie di Hitler nel primo periodo si dovettero, fra gli altri fattori, alla politica dello stalinismo nel periodo precedente. L’attacco all’Unione Sovietica e i crimini bestiali dei nazisti (il fascismo è l’essenza distillata chimicamente dell’imperialismo, come spiegò Trotskij) senza nessuna reazione o contrapposizione da parte della classe operaia tedesca, prostrata e senza diritti di fronte ai mostri nazisti, fecero sì che gli operai e i contadini in Unione Sovietica vedessero come compito immediato la vittoria sulle orde naziste e non la pulizia e la restaurazione della democrazia operaia nel paese attraverso la rivoluzione politica. Di conseguenza per tutto un periodo storico lo stalinismo si rafforzò temporaneamente.
La guerra in Europa si risolse in uno scontro militare combattuto principalmente fra l’Unione Sovietica la Germania nazista. L’imperialismo angloamericano sbagliò completamente la propria prospettiva. Avevano previsto che o l’Unione Sovietica sarebbe stata sconfitta, e in questo caso l’imperialismo avrebbe potuto dare il colpo di grazia a una Germania indebolita e sarebbe emerso come vincitore mondiale, oppure l’Unione Sovietica sarebbe rimasta così indebolita dal sanguinoso olocausto sul fronte orientale che l’imperialismo sarebbe stato in grado di dettare il corso della politica e della diplomazia mondiale e la ridivisione del mondo, secondo i propri capricci e desideri.
Il calcolo di Trotskij si rivelò corretto nel senso che la Seconda guerra mondiale fu seguita da un’ondata rivoluzionaria ancora più vasta di quella che seguì la Prima. Ma le masse dei diversi paesi d’Europa erano legate ai partiti comunisti i quali, dopo che l’Unione Sovietica era stata attaccata dai nazisti, avevano svolto il ruolo principale nell’organizzare la reazione contro i nazisti; in altri paesi erano legate alla socialdemocrazia. Già in quell’epoca, nelle dispute che nascevano tra i dirigenti si intravvedevano i lineamenti del crollo della direzione della neonata Internazionale.
Nel 1944 era necessario riorientare il movimento in modo che comprendesse che erano all’ordine del giorno un lungo periodo di democrazia capitalista a ovest e di dominio stalinista in Urss. Nei documenti del Revolutionary Communist Party si diceva chiaramente che in Europa occidentale il periodo successivo sarebbe stato di controrivoluzione in forma democratica. Questo a causa dell’impossibilità per la borghesia mantenere il suo dominio nell’Europa occidentale senza l’aiuto della socialdemocrazia e dello stalinismo.
La Segreteria internazionale (Si) invece si sbagliò. Il Socialist Workers Party americano e altri dirigenti temporeggiarono sulla questione e dichiararono che, al contrario, l’unica forma di dominio che la borghesia poteva mantenere in Europa era quella della dittatura militare e del bonapartismo. Incapaci di comprendere la svolta avvenuta negli avvenimenti storici, non potevano capire che la Russia stalinista era uscita rafforzata dalla guerra e che l’imperialismo, lungi dall’essere all’offensiva, si muoveva sulla difensiva.
L’alleanza fra l’imperialismo angloamericano e la burocrazia sovietica era dettata dalla comune paura della rivoluzione socialista nei paesi capitalisti avanzati. Allo stesso tempo l’ondata rivoluzionaria, che si estendeva in Europa e nel mondo, rendeva impossibile per l’imperialismo angloamericano trarre vantaggio dalla situazione nel momento in cui esso era al massimo della forza e la Russia nel suo punto più debole, con un intervento simile a quello del 1918. Erano impotenti a causa dell’ondata rivoluzionaria. Non comprendendo il cambiamento dei rapporti di forza, né il significato dell’enorme marea rivoluzionaria, la risoluzione redatta dalla Si per il congresso mondiale del 1946 dichiarava perfino che “la sola pressione diplomatica” sarebbe bastata per “restaurare il capitalismo in Urss”!

Il cambiamento dei rapporti di forza in Europa orientale e in Cina

Se riguardo all’Europa occidentale la mancanza di prospettive della Segreteria internazionale era totale, la sua posizione teorica sul movimento nell’Europa orientale era addirittura peggiore. Non compresero l’impulso che l’avanzata dell’Armata rossa aveva dato alla rivoluzione, impulso che fu allora utilizzato dalla burocrazia per i propri fini e poi strangolato. Date queste condizioni, non si poneva la questione di una capitolazione degli stalinisti davanti al capitalismo, ma della realizzazione della rivoluzione e poi del rimodellamento di questa a immagine e somiglianza dell’Urss, quindi in forma stalinista bonapartista.
L’“alleanza” tra le classi nell’Europa orientale era analoga a quella della Spagna del fronte popolare: non un’alleanza con la classe capitalista, ma con la sua ombra. Solo che in Spagna avevano permesso a quest’ombra di consolidarsi. Il potere reale nella Spagna repubblicana era stato consegnato in mano alla classe capitalista, ma in tutti i paesi dell’Europa orientale l’essenza del potere, la polizia e l’esercito, erano in mano ai partiti stalinisti, che lasciavano agli alleati borghesi della coalizione solo l’ombra del potere.
Gli stalinisti approfittarono della situazione rivoluzionaria in tutti questi paesi, nei quali la classe dominante aveva dovuto fuggire con gli eserciti nazisti in ritirata per paura della vendetta delle masse per il suo collaborazionismo. Con la ritirata degli eserciti nazisti, la struttura dello Stato crollò. L’esercito e la polizia fuggirono o si nascosero. L’unica forza armata in Europa orientale era pertanto l’Armata rossa. Bilanciandosi fra le classi, la cricca bonapartista procedette a costruire uno Stato non sul modello della Russia del 1917, ma su quello della Russia di Stalin. Furono così creati Stati secondo l’immagine di Mosca.
Questi nuovi fenomeni storici, nonostante vi si accennasse negli scritti di Trotskij, erano un libro chiuso per i cosiddetti dirigenti dell’Internazionale. Dichiararono che i paesi dell’Europa orientale erano regimi di capitalismo di Stato, mentre l’Urss, naturalmente, rimaneva sempre uno Stato operaio degenerato. Tale posizione non era compatibile con nessuna analisi marxista, perché se l’Europa orientale, dove i mezzi di produzione sono nazionalizzati e la produzione è pianificata, era capitalista, era assurdo continuare a dire che l’Urss, dove esistono le stesse condizioni di dittatura burocratica, fosse un qualsiasi genere di Stato operaio. Le condizioni erano fondamentalmente le stesse.
Così tanto in occidente come in oriente, questi “dirigenti” furono incapaci di capire le prospettive e di basare su di esse la formazione dei quadri rivoluzionari. Forze importanti si disgregarono in Francia e in altri paesi nelle dispute su questi problemi.
Ma il loro atteggiamento rispetto al secondo avvenimento più importante nella storia dell’umanità, la rivoluzione cinese, fu se possibile ancora peggiore. Senza capire il significato della guerra contadina intrapresa da Mao e dai suoi seguaci, senza calcolare i rapporti di forza su scala mondiale, si accontentarono a quell’epoca di ripetere le idee che avevano preso da Trotskij, senza però capirle. Dichiararono che Mao tentava di capitolare davanti a Chiang Kai-shek, e che ci sarebbe stata una ripetizione della rivoluzione del 1925-27. Ma in primo luogo la guerra civile era scoppiata per il problema della terra e le costanti offerte di pace degli stalinisti cinesi erano basate sulla riforma agraria e sull’espropriazione del “capitale burocratico”, un programma impossibile da accettare per Chiang. Non avevano capito che, come conseguenza della rivoluzione del 1925-27, della totale incapacità della borghesia cinese di risolvere i problemi della rivoluzione democratica, dell’unificazione nazionale della Cina e della lotta contro l’imperialismo, come si era dimostrato nella guerra contro il Giappone, si stavano aprendo nuove prospettive.
Da una parte c’era la passività della classe operaia cinese, dall’altra la guerra contadina, che seguiva le stesse linee verificatesi in Cina molte volte nell’ultimo millennio. C’era anche la paralisi dell’imperialismo, dovuta all’ondata rivoluzionaria che si stava verificando dopo la Seconda guerra mondiale. Tutti questi fattori rendevano possibile una nuova direzione negli avvenimenti. Nel 1947, in un documento che analizzava la situazione in Cina, il Revolutionary Communist Party previde in linea generale i passi che Mao avrebbe seguito nel caso avesse vinto la guerra civile, vittoria che, date le circostanze, era inevitabile.
In quel periodo i capi del Partito comunista cinese dichiaravano che la Cina aveva davanti cinquant’anni di “democrazia capitalista” e perciò si dichiararono alleati dei cosiddetti “capitalisti nazionali”; ma l’analisi dei marxisti non prendeva troppo sul serio queste dichiarazioni. Il potere era in mano all’Esercito rosso. Prevedemmo pertanto che, seguendo la falsariga dell’Europa orientale, Mao si sarebbe bilanciato tra le classi e, dato il cambiamento delle condizioni nazionali e internazionali, avrebbe costruito uno Stato a immagine del punto d’approdo di Stalin e non al punto di partenza di Lenin. Sin dal principio, quindi, la rivoluzione cinese si orientava alla formazione di uno Stato operaio bonapartista. I dirigenti della Segreteria internazionale e della sezione cinese continuarono a sostenere che Mao stava capitolando al capitalismo e a Chiang Kai-shek. Perfino dopo la completa vittoria degli stalinisti cinesi non ne capirono il significato, ma dichiararono che la Cina, come l’Europa dell’est, era un paese a capitalismo di Stato, senza tuttavia definire questo termine.
Passarono poi a proclamare grandiose prospettive rivoluzionarie in Cina e in Europa orientale: Mao non avrebbe potuto mantenere a lungo il suo “dominio capitalista”. In Europa orientale i regimi di “capitalismo di Stato” sarebbero stati fin da subito in una situazione di crisi che avrebbe condotto al loro abbattimento. Non capirono che, a meno di nuovi avvenimenti nei principali paesi capitalisti metropolitani, o di una rivoluzione politica vittoriosa in Urss, i regimi dell’Europa orientale e della Cina avrebbero potuto mantenersi saldamente al potere, per dieci o vent’anni almeno.
Continuavano a ripetere che la guerra mondiale avrebbe risolto i problemi della rivoluzione, e dato che la guerra non aveva risolto i problemi, uno dei dirigenti affermò che “la guerra continua”. Finita la guerra dichiararono monotonamente ogni anno, a partire dal 1945, che si prospettava lo scoppio immediato di una nuova guerra mondiale, una guerra nucleare che avrebbe portato al socialismo. Anche oggi, in forma diluita, ripetono quest’idea. A ogni crisi dell’imperialismo, o fra l’imperialismo e la burocrazia sovietica, dissotterrano i tamburi di guerra e lanciano lo stesso messaggio. Ancora oggi non hanno capito che il problema della guerra mondiale nell’epoca moderna è un problema di rapporti di forza tra le classi, che solo sconfitte decisive della classe lavoratrice nei più importanti paesi capitalisti, in particolare negli Stati Uniti, possono creare le condizioni per una nuova guerra mondiale.

L’Europa dell’Est, gli Stati stalinisti

Come sempre accade, il fatto che le loro idee ricevessero duri colpi dagli avvenimenti, assieme al rifiuto di analizzare i propri errori, non fece che spingere la Segreteria internazionale a commettere errori opposti e peggiori. Dal considerare la Cina e l’Europa orientale come Stati capitalisti, passarono all’estremo opposto.
Quando la burocrazia nazionale jugoslava, sotto Tito, entrò in contraddizione con la burocrazia russa, scoprirono nella Jugoslavia “uno Stato operaio relativamente sano”. Senza capire la natura del conflitto, nel quale si sarebbe dovuto dare un appoggio critico a Tito, cominciarono ad idealizzare “l’eroe Tito” e a dichiarare che la nuova Internazionale poteva sorgere sul suolo jugoslavo.
Obbligati a cambiare la caratterizzazione della Cina da Stato capitalista a Stato operaio, dichiararono che anche la Cina era uno “Stato operaio relativamente sano”. Non tennero in conto le circostanze e la forma nella quale si era realizzata la rivoluzione in Cina. L’incommensurabile arretratezza della Cina rispetto alla Russia, il fatto che la classe operaia non avesse giocato un ruolo indipendente in quei grandi avvenimenti e, su scala mondiale, il fatto che per tutto un periodo storico il capitalismo fosse riuscito, seppure temporaneamente, a stabilizzarsi in occidente e che la rivoluzione socialista non era imminente nelle metropoli occidentali, tutto questo significava che gli stalinisti cinesi e la burocrazia avevano un controllo sul loro Stato persino maggiore di quello raggiunto dai burocrati russi. La rivoluzione socialista richiede prima di tutto la partecipazione cosciente da parte della classe operaia, e dopo la rivoluzione il controllo cosciente e la partecipazione democratica dei lavoratori la gestione dell’industria e dello Stato. Ancora oggi, questi “dirigenti” non hanno capito questo problema e considerano tutt’ora che la Cina e la Jugoslavia sono Stati operai relativamente sani, i quali in modo simile all’Urss del 1917-23 richiederebbero una semplice riforma, e non affatto una rivoluzione politica, così come intesa e definita da Trotskij.
In questa maniera rafforzarono gli errori del loro atteggiamento precedente, violando alcune idee fondamentali del marxismo, questa volta al polo opposto. Ripeterono questo processo come prima di loro gli stalinisti: a ogni grande svolta degli avvenimenti facevano zig-zag da una posizione a un’altra, senza mai usare il metodo marxista di analizzare gli avvenimenti dal punto di vista originario e di correggere gli errori, per raggiungere su queste basi un livello di pensiero superiore. Ogni cambiamento di linea, ogni svolta tattica, cadeva bruscamente come una nuova rivelazione dall’alto, da somministrare ai fedeli in risonanti discorsi e documenti. Fu questa, tra gli altri fattori, una delle cause principali dell’incapacità totale di orientarsi correttamente nell’evoluzione degli avvenimenti. L’onestà d’intenti può essere raggiunta solo da coloro che hanno fiducia in se stessi, nelle proprie idee e nella propria autorità politica. Solo con questi mezzi si possono temprare ed educare i quadri del movimento rivoluzionario per il grande compito che incombe all’umanità.
Dopo aver sostenuto che tutta l’Europa orientale e la Cina erano una forma particolare di “capitalismo di Stato”, che non venne mai definita, analizzata né spiegata, fecero empiricamente una svolta di 180 gradi: senza spiegazioni né analisi fecero una giravolta completa. Una volta che il regime jugoslavo ebbe rotto con Stalin a causa degli interessi specifici della burocrazia, scoprirono in Tito un nuovo redentore della Quarta Internazionale. La Jugoslavia si trasformò in uno “Stato operaio relativamente sano”.
Invece di vedere l’ovvia necessità di dare un appoggio critico alla lotta del popolo jugoslavo contro l’oppressione nazionale della burocrazia russa spiegando tuttavia allo stesso tempo gli interessi della burocrazia nazionale nella scissione, idealizzarono quest’ultima, laddove invece in Urss continuava secondo loro a essere necessaria una rivoluzione politica (questo deve essere stato per qualche oscuro “motivo storico”, in realtà perché lo aveva detto Trotskij. Non ne spiegarono mai le ragioni. Deutscher invece riuscì a completare la transizione e scoprì che la rivoluzione politica in Russia non era necessaria). La Segreteria internazionale scoprì allora che in Jugoslavia era stata compiuta una rivoluzione durante la guerra e il dopoguerra.
Di conseguenza, mentre la rivoluzione in Urss era stata isolata, in Jugoslavia, grazie all’esistenza della rivoluzione in Urss, ciò non era successo. La Segreteria internazionale disse che lo sviluppo dello stalinismo in Urss era stato dovuto al fatto che era l’unica nazione dove la rivoluzione aveva prevalso; adesso che la rivoluzione si era estesa non c’era posto per un processo simile. Conclusero quindi trionfalmente che non poteva verificarsi una ripetizione dello stalinismo in Jugoslavia, di conseguenza in Jugoslavia c’era uno Stato operaio sano, con deformazioni di poco conto. Cominciarono ad organizzare gruppi internazionali di lavoro per aiutare “la costruzione del socialismo” in Jugoslavia.
La loro propaganda era tanto acritica ed elogiativa quanto quella stalinista per la visita di gruppi di giovani “per la costruzione del socialismo in Urss”. Tutto questo episodio è una dimostrazione del “metodo” sociologico di questa tendenza. Mandel e compagni riproposero la stessa posizione rispetto alla cosiddetta “rivoluzione culturale” in Cina e, naturalmente, ancora oggi riguardo a Cuba. In primo luogo fu l’arretratezza dell’Unione Sovietica, assieme all’isolamento e alle sconfitte della classe lavoratrice mondiale, a causare l’ascesa al potere della burocrazia stalinista in Urss. Una volta al potere tuttavia, la burocrazia stessa, con il potere statale nelle proprie mani, diventa un fattore indipendente nella situazione. La burocrazia stalinista in Jugoslavia non era essenzialmente diversa da quella russa. La cricca di Tito cominciava dove finiva Stalin. Non ci fu in nessun momento una democrazia operaia come nella Russia del 1917-23. Il movimento in Jugoslavia durante la guerra fu fondamentalmente una guerra contadina per la liberazione nazionale. Lo Stato che si costruì era un regime totalitario e monopartitico a immagine e somiglianza dell’Urss, con il perfezionamento dell’apparato stalinista.
La Jugoslavia era un paese molto arretrato e nell’apparato dello Stato vennero incorporati gli elementi della vecchia classe dominante, così come nella diplomazia, nell’esercito e nel resto dell’apparato statale.
Era lo stesso processo che aveva avuto luogo in Urss, ma senza il controllo della democrazia operaia non ci poteva essere nessuna delle caratteristiche di uno Stato operaio sano. Il progresso verso il socialismo in un’economia di transizione richiede il controllo e la partecipazione cosciente della classe operaia. Pertanto, date le circostanze, condizioni analoghe hanno e devono avere gli stessi risultati. Tralasciando questa o quella particolarità secondaria, le caratteristiche fondamentali del regime in Jugoslavia non erano differenti dallo stalinismo russo. Suggerire che le cose stiano diversamente è una revisione totale del marxismo.
Finora nessuna delle tendenze che difesero quell’approccio, da Pablo a Posadas, Healy, Mandel e Hansen, ha riconsiderato il proprio atteggiamento teorico alla luce degli avvenimenti; di conseguenza nei loro scritti si vengono ad accumulare le più strane combinazioni di idee. Healy trova del tutto coerente caratterizzare Cuba come capitalismo di Stato e al tempo stesso applaudire quella che chiama nuova versione della Comune di Parigi: la rivoluzione culturale cinese. La tendenza francese “Voix Ouvrière”, rimasta all’atteggiamento della Segreteria internazionale del
1945-47, dopo trentacinque anni di avvenimenti trova ammissibile dire che l’Urss è uno Stato operaio degenerato, mentre in Europa orientale, in Jugoslavia e a Cuba ci sarebbe il capitalismo di Stato. Tutte queste tendenze dichiarano che la Siria e la Birmania sono Stati capitalisti. Lo stesso Segretariato unificato della Quarta Internazionale (Su), attraverso tutte le oscillazioni, paga il prezzo della sua mancanza di onestà teorica, aggravando gli errori del passato.
Così a tutt’oggi tutte queste tendenze rimangono ambigue rispetto al problema della necessità o meno di una rivoluzione politica in Cina e Jugoslavia. La maggioranza crede che continuino ad essere “Stati operai relativamente sani” e quindi una rivoluzione politica non sia necessaria, ma basti solo una riforma.

Sviluppi negli Stati stalinisti

Nel corso dell’ultimo quarto di secolo questa tendenza ha completamente perso il suo ancoraggio teorico. Colti di sorpresa dal corso degli avvenimenti, hanno reagito sempre in modo empirico e in base alle impressioni, capitolando davanti alla realtà immediata, senza vedere gli inevitabili sviluppi successivi riguardanti gruppi e tendenze.
Questo è vero non solo rispetto a Tito in Jugoslavia, a partire da un’analisi scorretta e dalla mancanza di comprensione del bonapartismo proletario, ma anche in rapporto a tutti i grandi avvenimenti dei paesi del blocco stalinista. Appoggiarono il movimento del 1956 in Ungheria, che prese la forma di un abbattimento totale della burocrazia e fu l’inizio di una rivoluzione politica generale: non farlo avrebbe significato abbandonare qualsiasi pretesa di mantenersi nella tradizione del trotskismo. Ma questo non impedì loro di mettere sullo stesso piano il movimento polacco della stessa epoca.
Non videro che in Ungheria avveniva una distruzione quasi completa del cosiddetto Partito comunista e l’inizio della costruzione di un nuovo movimento operaio. I lavoratori ungheresi dopo l’esperienza del totalitarismo stalinista non erano disposti a tollerare in alcun modo la costruzione di un nuovo Stato stalinista totalitario nel corso della rivoluzione.
Gli avvenimenti si svilupparono in Polonia in maniera alquanto diversa. La lotta nazionale contro l’oppressione della burocrazia grande-russa fu sviata da una parte della burocrazia polacca lungo una linea di stalinismo nazionale. Senza comprendere questo, i dirigenti della Si videro in Gomulka il rappresentante del “comunismo democratico”. Non videro che rappresentava quell’ala della burocrazia polacca che voleva stabilirsi come “padrone in casa propria”, con una relativa indipendenza dalla burocrazia russa. Non vedevano chiaramente il fatto che non c’era nessuna differenza fondamentale fra questi e l’ala riformista della burocrazia russa. In realtà i dirigenti polacchi non volevano, più di quanto lo volesse Kruscev, rinnovare le basi della rivoluzione o tornare alla Russia del 1917, tanto che si opposero al tentativo di instaurare la democrazia socialista in Ungheria. Pertanto la potenziale rivoluzione politica in Polonia fu deviata verso uno stalinismo nazionale. Come i loro fratelli nazional-stalinisti russi, i burocrati polacchi potevano solo oscillare tra la repressione e le riforme, mantenendo intatto l’apparato stalinista.
La Segreteria internazionale vide in Gomulka l’inizio di un cambiamento totale della situazione, così come avevano avuto illusioni nella destalinizzazione in Unione Sovietica. A ogni tappa degli avvenimenti hanno sempre cercato un qualche nuovo messia per salvarsi dall’isolamento e dalla mancanza di forze tra le masse. Ogni volta sono stati condannati alla delusione.
Non contenti di essersi bruciati le dita già una volta, lo scontro tra la Russia e la Cina, nonostante li avesse colti di sorpresa, fece rinascere le illusioni nel maoismo. Rispolverarono l’idea “segreta” che la Cina fosse uno Stato operaio sano con difetti di poco conto, uno Stato che richiedeva una semplice riforma e non il rovesciamento. (1) Mao divenne il nuovo salvatore e interpretarono in modo completamente errato il significato della “rivoluzione culturale” cinese.
Già Trotskij aveva spiegato che il bonapartismo proletario a volte si appoggia sugli operai e sui contadini per limitare gli eccessi pericolosi di una burocrazia avida e rapace. Quando introdusse i piani quinquennali in Urss, Stalin si appoggiò per un certo periodo sugli operai e sui contadini, suscitando anche entusiasmo tra gli operai per quella che consideravano la costruzione socialista. Ma questo non cambiava né il carattere, né la politica e i metodi dello stalinismo, né cambiava il carattere del regime. Prendendo individui o anche un settore della burocrazia come capri espiatori, lungi dal cambiare qualcosa di fondamentale, Stalin rafforzava il ruolo della burocrazia. Allo stesso modo il maoismo e la “rivoluzione culturale” non cambiavano niente di fondamentale in Cina.
Mao, appoggiandosi agli operai e ai contadini, colpiva settori della burocrazia che avevano acquisito privilegi e una posizione materiale ben al di là di quanto potesse essere sostenuto in base alla debolezza delle forze produttive cinesi. La differenza tra gli operai e i contadini e i settori burocratici aveva raggiunto un’ampiezza tale da provocare un’enorme insoddisfazione. Se bisognava costringere operai e contadini a costruire armi nucleari, a creare l’industria di base e rafforzare la produzione cinese, diventava necessario, sia pure temporaneamente, tagliare questi privilegi. Ma la “rivoluzione culturale” fu organizzata dall’alto, dall’inizio alla fine. Parlare di una nuova versione della Comune di Parigi a Shanghai, a Pechino e in altre città cinesi significava infangare la tradizione della Comune e della Rivoluzione russa. La fine inevitabile di questa esperienza, come quella di Gomulka in Polonia, fu il rafforzamento della burocrazia. Su questa strada non c’era via d’uscita per le masse cinesi e polacche. Cercare costantemente di risolvere i problemi con la bacchetta magica è sempre stato un sintomo di utopismo piccolo borghese, che sostituisce l’analisi marxista con speranze isteriche in questo o quell’individuo o tendenza.
La capitolazione di fronte alle differenti varianti dello stalinismo e l’utopismo in ogni fase dello sviluppo degli avvenimenti, resero molto difficile la creazione di un movimento forte. In Italia furono i cosiddetti dirigenti dei trotskisti che contribuirono alla formazione di un ampio movimento maoista di centomila membri. Ristamparono entusiasti e acritici le opere di Mao e distribuendole nel Partito comunista crearono le basi del maoismo in Italia. I dirigenti di questa tendenza fecero appositamente dei viaggi all’ambasciata cinese in Svizzera per avere questo materiale “prezioso”. La conseguenza dell’adozione acritica del maoismo fu che non convinsero quasi nessun membro fra questi centomila, ma persero aderenti dalle loro file ai maoisti! La confusione teorica, soprattutto in una tendenza debole, si paga duramente. Ancora peggiori sono la confusione e la demoralizzazione seminate tra le proprie fila. Il compito in quelle circostanze era l’adozione di un atteggiamento amichevole verso la base del Pci, sia quelli che tendevano verso il maoismo che quelli contrari, e contemporaneamente la critica dura non solo verso gli opportunisti filosovietici, ma anche verso le posizioni ignoranti e ciniche dei maoisti, a partire dai dirigenti di Pechino.

La rivoluzione coloniale: Algeria

Demoralizzati per i loro insuccessi (in parte dovuti alle condizioni oggettive e in parte alla loro politica errata), diedero come sempre la colpa alla classe operaia. Di fatto quello che dicevano era che gli operai erano americanizzati e corrotti dal benessere. La loro politica indicava che erano convinti di ciò. Di conseguenza cercarono un nuovo talismano che rinnovasse e resuscitasse le fortune dell’Internazionale e della classe operaia. Lo trovarono nella rivoluzione coloniale.
I documenti recenti della nostra tendenza spiegano il significato e l’evoluzione della rivoluzione coloniale e dei suoi sviluppi interni. Basti dire qui che le rivolte nel cosiddetto Terzo mondo nascono dall’impossibilità dell’imperialismo e del capitalismo di sviluppare le forze produttive in queste aree al livello necessario e possibile. Date le condizioni mondiali, l’esistenza di forti Stati operai bonapartisti e il rapporto di forze fra l’imperialismo e i paesi non capitalisti, l’evoluzione in queste zone ha assunto una forma particolare. In queste condizioni più che mai è necessario sostenere con determinazione implacabile le idee di Trotskij sulla rivoluzione permanente, differenziandoci da tutte le tendenze nazionaliste borghesi o piccolo borghesi, staliniste e riformiste, imparando dall’esperienza della Jugoslavia, della Cina e di Cuba.
In Algeria si sottomisero quasi totalmente alla bandiera del Fln, anche se la loro posizione era comunque migliore di quella dei lambertisti (l’Oci francese) e degli healisti (Wrp britannico) che appoggiarono l’Mna che, cominciando con una posizione in qualche modo a sinistra del Fln, finì come un’agenzia dell’imperialismo francese. Dare un appoggio critico al Fln era giusto ma subordinare completamente il loro lavoro al movimento nazionalista poteva solo condurre alla perdita delle forze da loro controllate durante la guerra di liberazione. Era necessario che i trotskisti algerini mantenessero una posizione internazionalista, pur mantenendo il pieno appoggio alla giusta lotta per l’indipendenza nazionale. Solo così si poteva collegare la lotta per la liberazione nazionale a quella della classe operaia francese e alla possibilità di un’Algeria socialista legata a una Francia socialista. Il tradimento da parte delle organizzazioni socialdemocratiche e staliniste francesi, che deviò la rivoluzione in Algeria su linee nazionaliste, non era un motivo valido per abbandonare la politica marxista leninista su questo terreno.
Avrebbe dovuto essere chiaro che neanche nel migliore dei casi dopo la vittoria sui francesi, che pure era di per sé un enorme passo avanti, sarebbe stato possibile costruire una democrazia operaia in un paese come l’Algeria. Il risultato sarebbe stata una versione borghese o proletaria del bonapartismo. Quasi senza industria, con una popolazione decimata dalla guerra, senza un proletariato indigeno forte, con la metà della popolazione disoccupata, e senza un partito operaio rivoluzionario, non ci poteva essere una vera soluzione per il popolo algerino, a prescindere dalla cacciata dell’imperialismo.
Le illusioni che diffusero riguardo il controllo operaio nelle tenute agricole abbandonate dai francesi dimostravano una ignoranza teorica totale su questi temi. Il controllo operaio per sua stessa natura deve venire dagli operai industriali e non dalle associazioni metà contadine, metà bracciantili che presero il controllo perché i padroni erano fuggiti. Nel migliore dei casi erano versioni primitive di cooperative e non esempi di controllo operaio. Per loro stessa natura erano strutture temporanee senza futuro; dato che la rivoluzione socialista non si era estesa alle nazioni avanzate, erano condannate ad essere semplicemente una curiosità interessante dello sviluppo sociale, esempio degli sforzi istintivi del semi-proletariato agricolo, come era successo molte volte in passato in diversi paesi nel momento di un risveglio di massa.
Il golpe di Boumedienne nel luglio del 1965 li colse di sorpresa, ma uno sviluppo degli avvenimenti di questo genere era inevitabile in Algeria. In tutti i paesi coloniali dove la lotta per l’espulsione dei padroni imperialisti è stata vittoriosa ci sono stati sviluppi simili. Nonostante l’indipendenza politica sia stata conquistata, dipendono ancora economicamente dai paesi industrializzati. Questo segna certamente un enorme passo avanti per lo sviluppo dei paesi coloniali. Tuttavia l’indipendenza nazionale, col dominio imperialista sui mercati mondiali da un lato e la forza del bonapartismo stalinista dall’altro, ha comportato per questi popoli nuovi problemi di enorme importanza. La borghesia nazionale si dimostra incapace di risolvere questi problemi. Così, nelle ex colonie dell’Africa, nelle zone semi-coloniali dell’America Latina e in molti paesi dell’Asia, sono andati al potere regimi militari di diverso tipo. La crisi di questi regimi ha provocato un movimento verso il bonapartismo, sia proletario che capitalista.
Pur indicando nella rivoluzione coloniale la soluzione ai problemi della Quarta Internazionale, non avevano capito assolutamente la dialettica di questo processo. Tutto lo sviluppo della rivoluzione coloniale ha seguito una forma distorta a causa del ritardo della rivoluzione in occidente, Stati Uniti e Giappone compresi. La debolezza delle forze marxiste leniniste, dovuta ai fattori storici tracciati in precedenza, ha avuto un’enorme importanza in questo processo. Essendo il mondo coloniale maturo per la rivoluzione sociale, questa si è sviluppata portando con sé le più strane aberrazioni. Il dovere della direzione marxista era riconoscere il processo e dare una direzione alle giovani e deboli forze del marxismo nel mondo coloniale. Invece la direzione (malgrado le lezioni tratte da Trotskij dall’esperienza del Pcc col Kuomintang in Cina e le ricche esperienze di Jugoslavia, Cina, Russia e dei paesi africani) non trasse le conclusioni necessarie e si piegò di fronte alla rivoluzione coloniale. È certo meglio partecipare che opporsi; ma mescolarsi indistintamente con i nazionalisti piccolo borghesi, capitolare davanti alle loro utopie, significava disciogliere l’avanguardia nel marasma nazionalista.

America Latina: Cuba

La totale mancanza di metodo marxista nelle loro analisi si vede dall’atteggiamento assunto nei confronti della rivoluzione cubana. La rivoluzione cubana, ci dice la Segreteria internazionale, è un esempio del metodo marxista. In realtà l’esercito di Castro si era costruito in base a un programma democratico borghese ed era composto principalmente da braccianti, contadini ed elementi del sottoproletariato. Castro cominciò come un democratico borghese, con gli Usa come modello di società.
L’intervento della classe operaia ebbe luogo quando la lotta entrava nella sua fase finale. Quando Castro marciava sull’Avana, i lavoratori indissero uno sciopero generale per aiutarlo. La caduta dell’Avana significò il crollo dell’odiato esercito e della polizia di Batista, il potere era fermamente nelle mani dei guerriglieri di Castro.
L’evoluzione del regime verso la distruzione del capitalismo e del latifondismo non ebbe luogo come un processo cosciente. Al contrario, furono gli errori dell’imperialismo americano a spingere Castro verso la strada dell’esproprio.
Con il 90 per cento dell’economia in mano ai capitalisti americani, la classe dominante americana impose un embargo all’isola quando Castro stava facendo soltanto delle riforme democratico borghesi. I monopoli che controllavano Cuba si opposero alle imposte con le quali Castro voleva finanziare le riforme. Sebbene queste imposte fossero minori di quelle che avrebbero pagato negli Usa, si opposero furiosamente e chiesero l’appoggio di Washington.
Come risposta all’embargo il regime cubano si impadronì di tutte le proprietà americane nell’isola di Cuba. Questo significava che il 90 per cento dell’agricoltura e dell’industria si trovava ora in mano allo Stato e così il regime cubano nazionalizzò l’altro 10 per cento. Avevano i modelli della Jugoslavia, della Cina e dell’Urss e stabilirono un regime a loro immagine. Non c’è mai stata la democrazia operaia a Cuba. Il bonapartismo del regime si manifesta nel ruolo di Castro e nelle riunioni nella Piazza della Rivoluzione, dove l’unico contributo delle masse è di rispondere “sì” alle sue esortazioni. Cuba è sempre stata uno Stato monopartitico, senza né soviet, né controllo operaio dell’industria o dello Stato.
Di conseguenza si è burocratizzata sempre di più. Questo è inevitabile dato l’isolamento della rivoluzione e il modo in cui essa si è sviluppata. La milizia operaia è stata disarmata e la differenza tra i burocrati, soprattutto i burocrati superiori, e la classe operaia cresce sempre più. Si sta sviluppando un apparato statale al di sopra delle masse e indipendente da loro. Dietro le quinte Castro sta tentando di arrivare a un accordo con l’imperialismo americano per il riconoscimento e l’aiuto; questo è probabile nel prossimo periodo. Metterà fine agli “appelli rivoluzionari” che Castro rivolge all’America latina. Nel pensiero dei suoi dirigenti la rivoluzione cubana sarà sempre più circoscritta dai limiti dell’isola nei suoi rapporti con le nazioni e le classi del mondo.
Già ora la burocrazia stalinista russa offre un aiuto di un milione di sterline al giorno, senza le quali il regime non potrebbe sopravvivere. A un regime di democrazia operaia, la burocrazia dell’Unione Sovietica non darebbe nemmeno un kopeko. La burocrazia può permettersi il lusso di un aiuto fraterno a Cuba soltanto perché il regime nelle sue linee fondamentali assomiglia ogni giorno di più a tutti gli altri Stati operai bonapartisti.
Da un punto di partenza teorico sbagliato si possono solo accumulare errori. Così il Segretariato unificato è completamente cieco di fronte ai processi che si sviluppano nell’isola, rifiuta di affrontare la questione dello Stato totalitario e continua con il suo sogno di una Cuba agricola e arretrata avviata verso il socialismo. Sembra che occorrano soltanto delle riforme secondarie per fare di Cuba un esempio perfetto di democrazia operaia! Non si tratta quindi di arrivare ad una rivoluzione politica che porti al controllo operaio dell’industria e dello Stato, ma soltanto di introdurre delle mitiche riforme che stabiliscano una democrazia operaia. Per arrivare al controllo operaio dell’industria e dello Stato basterebbe convincere Castro che questo è necessario!
D’altra parte sostengono nel modo più oscuro che questo controllo esiste già, che Cuba è più democratica della Russia del 1917-23. In realtà se Castro dovesse mai tentare tali azioni la burocrazia lo sostituirebbe; in ogni caso Castro, che non ha una base ideologica, crede già di creare un regime di “socialismo”. Non potrebbe svolgere il suo ruolo senza paraocchi ideologici. Ma i settari, anche senza la pressione degli interessi della burocrazia, si sottomettono a questa variante dello stalinismo e indossano di buon grado anche loro i paraocchi.
Oggi come in tutto questo quarto di secolo, questa tendenza non ha imparato niente e ha dimenticato tutto. In America latina ripete gli errori che fece in Algeria e in forma diversa ripete la valutazione sulla Cina, sulla Jugoslavia e su Cuba. Adesso la Bolivia è diventata la bacchetta magica con cui si può trasformare la situazione mondiale. Si uniscono ai guerriglieri piccolo borghesi nel tentativo di ripetere l’esperienza di Cuba. Castro, il “trotskista inconscio”, il nuovo messia del marxismo, è ora l’esempio da seguire. Senza tenere in conto le circostanze differenti, le condizioni cambiate, il fatto che la classe dominante oggi è sul chi vive, appoggiano avventure come quelle di Guevara, che ha tentato di seminare in modo artificiale una guerriglia fra i contadini.
L’eroismo di Guevara non deve nasconderci il fallimento di una teoria disastrosa. Cercare di ripetere nei paesi dell’America latina la politica del castrismo a Cuba è un delitto contro la classe operaia internazionale. La letteratura marxista spiega a fondo il ruolo delle diverse classi nella società: il proletariato, i contadini, la piccola borghesia e la borghesia. Sembra che per il Segretariato unificato questo sia un libro chiuso. Il marxismo ha spiegato che il proletariato ha il ruolo dirigente nella rivoluzione coloniale. Il proletariato viene aggregato dal processo di produzione ed è costretto ad unirsi per difendersi contro gli sfruttatori. Per questo il proletariato
è l’unica forza che può realizzare la rivoluzione socialista.
Ma anche il proletariato è solo materiale per lo sfruttamento finché non diventa una classe non in se stessa, ma per se stessa. Questa coscienza si sviluppa con l’esperienza di classe e nella lotta per condizioni migliori. Persino in questo occorrono il partito e la direzione della classe operaia. I contadini, gli intellettuali piccolo borghesi e il sottoproletariato non possono avere un ruolo indipendente. Dove intellettuali piccolo borghesi ed ex marxisti organizzano la lotta in base a una guerra contadina, il livello di coscienza, a causa della natura della lotta, è inevitabilmente basso. Se in Jugoslavia e in Cina i contadini, i piccolo borghesi e il proletariato, organizzati in eserciti di liberazione nazionale e sociale, hanno dimostrato di essere tuttavia capaci di distruggere regimi semifeudali marci, è solo a causa del processo storico che abbiamo già spiegato in molti nostri documenti.
È vero che Lenin aveva considerato la possibilità che l’Africa tribale potesse passare direttamente al comunismo. Ma questo sarebbe possibile solo con l’aiuto del socialismo nei paesi avanzati, e non in base alle sole proprie risorse. Le condizioni materiali per il socialismo non esistono in nessuno dei paesi coloniali. È solo dalla decomposizione del capitalismo mondiale che nasce la base per una rivoluzione socialista nelle zone arretrate del mondo. Questi cosiddetti marxisti capovolgono le lezioni del marxismo. Adottano la politica dei narodniki e dei socialrivoluzionari russi. Inconsapevolmente adattano le loro idee sul ruolo delle diverse classi nella società. Per Bakunin i contadini e il sottoproletariato erano le classi più rivoluzionarie della società. Questo concetto nasceva dal metodo e dalla teoria degli anarchici ed era accompagnato dall’idea della propaganda dell’atto individuale, cioè del terrorismo e dell’esproprio individuale.

La guerriglia e il marxismo

È in questo ambiente, e con l’ulteriore discredito dei partiti comunisti e del riformismo in America Latina, che si è sviluppato il programma della guerriglia e, ancora peggio, della “guerriglia urbana”. Le forze giovani e deboli del trotskismo, disorientate dagli zig zag di questi decenni, sono state gettate in questo caos. In America latina il loro compito dovrebbe essere quello di insegnare le idee fondamentali ed elementari del marxismo a tutti gli elementi più avanzati fra gli intellettuali, gli studenti e soprattutto fra la classe operaia. Il movimento di liberazione nazionale e sociale in Brasile, Argentina, Uruguay, Cile, Guatemala e negli altri paesi dell’America latina può partire solo da un movimento di massa della classe lavoratrice e dei contadini. I duelli disperati, i rapimenti e le rapine, e via di seguito, provocheranno soltanto lo sterminio inutile di forze giovani, coraggiose e sincere. Questi elementi vedono la lotta come un combattimento solitario contro le forze della classe dirigente, l’esercito e la polizia segreta, senza collegamento con la lotta reale del proletariato per abbattere le cricche corrotte dell’oligarchia.
Può sembrare più difficile, e in un certo senso lo è, ma solo organizzando in primo luogo la classe lavoratrice nella lotta per la liberazione nazionale e sociale si può realizzare una rivoluzione socialista che si sviluppi in modo sano. A causa della molteplicità dei fattori storici e del particolare rapporto mondiale di forze tra le classi, in teoria non si può escludere il successo di una guerriglia contadina, ma il modello non sarebbe allora quello che porta della vittoria del 1917, secondo il quale il proletariato è la forza dirigente della rivoluzione, ma nel migliore dei casi sarebbe quello della Cina e di Cuba.
Un movimento di massa del proletariato è perfettamente possibile in questi paesi. I recenti scioperi generali in Cile, in Argentina e in Uruguay ne sono la prova. Una tendenza marxista rivoluzionaria deve formarsi tenendo conto di queste prospettive, con la preparazione di un’insurrezione di massa come culmine del movimento nelle città. Questo potrebbe condurre alla vittoria della rivoluzione socialista, che a queste condizioni si estenderebbe rapidamente a tutta l’America latina.
Si devono preparare e sviluppare i quadri del proletariato sulle lezioni della rivoluzione russa, per seguire non l’esempio della rivoluzione cinese, cubana o jugoslava, ma quello della Russia del 1917. L’idea di Marx della rivoluzione proletaria nelle città con l’aiuto della guerra contadina in retroguardia: questo dovrebbe l’ideale sul quale lavorare. Il compito principale in questi paesi è quello di spiegare con pazienza il ruolo dirigente del proletariato nella lotta per il potere operaio e il socialismo.
In base alle lezioni della Rivoluzione russa i quadri del proletariato devono contrapporsi allo Stato capitalista. Alla dittatura militare poliziesca si deve contrapporre l’ariete della classe operaia organizzata. Una volta convinto della necessità, il proletariato si procurerà le armi necessarie. L’esercito che gli viene contrapposto, che in gran parte è composto da contadini, si spaccherebbe di fronte a un movimento di massa e passerebbe dalla parte della rivoluzione. L’esercito contadino può essere conquistato col programma della rivoluzione agraria e della rivoluzione nazionale contro l’imperialismo, che nobilita la bandiera del proletariato.
Capitolare di fronte a ogni pressione della disperazione anarchica piccolo borghese vuol dire tradire la missione del marxismo. Il compito dei marxisti è di polemizzare, sia pure in modo amichevole, contro gli idealisti, i quali per quanto possano essere sinceri stanno portando se stessi e la rivoluzione in un fatale vicolo cieco. Si deve lottare inesorabilmente contro i metodi e la politica dell’anarchismo. Viceversa, questi insozzatori della tradizione del trotskismo hanno adottato completamente le idee degli avversari teorici del marxismo e dei loro eredi degenerati, sostituendole alle chiare idee di classe, radicate nei secoli di esperienza della lotta di classe e del movimento di liberazione nazionale.
Non fa parte della tradizione marxista proporre un movimento di guerriglia contadina separato dal movimento della classe operaia, che è decisivo. Gli sforzi e il lavoro dei marxisti devono essere concentrati per la maggior parte nelle città e fra il proletariato. Naturalmente la lotta delle altre classi oppresse va sempre appoggiata dai marxisti.
L’idea della guerriglia contadina ha una parvenza di sensatezza, se consideriamo l’esperienza degli ultimi trent’anni. Ma anche in questo caso, il compito dei marxisti non è soltanto di rovesciare il regime capitalista, ma di preparare la strada per il futuro socialista dell’umanità. La distruzione del capitalismo e del latifondismo nei paesi coloniali è un enorme passo avanti che eleva il livello di tutta la civiltà umana. Ma proprio a causa dell’incapacità dei contadini, come classe, di elevarsi all’altezza dei futuri compiti socialisti, essa non fa che innalzare nuovi ostacoli sul cammino.
Dati i rapporti di forza mondiali e la crisi del capitalismo e dell’imperialismo nei paesi sottosviluppati, la vittoria della guerriglia contadina può risolversi nell’instaurazione di uno Stato operaio deformato. Non può portare al controllo cosciente da parte degli operai e dei contadini dell’industria, dell’agricoltura e dello Stato, perché nei paesi ex coloniali e semicoloniali non è stata creata la base materiale per il socialismo. La possibilità di queste combinazioni peculiari nasce dalla maturità, raggiunta a livello mondiale, delle forze produttive per la trasformazione socialista. A livello mondiale esistono la tecnica necessaria, la capacità produttiva e le risorse. È questo che rende possibile non soltanto una dittatura del proletariato sana nei paesi coloniali, ma anche le aberrazioni della Cina, della Jugoslavia e di Cuba. Ma dove la rivoluzione è stata portata avanti in modo distorto o, nel caso della Rivoluzione russa in modo sano, ma in condizioni di arretratezza e isolamento, la regressione della dittatura in un bonapartismo stalinista significa che al di sopra del proletariato e dei contadini di questi paesi si innalzano un’élite privilegiata e un apparato statale indipendenti dal loro controllo. Significa che le masse dovranno pagare lo scotto di una nuova rivoluzione politica prima di poter iniziare la transizione al socialismo. In Cina, in Jugoslavia, a Cuba e in Urss, il proletariato dovrà attraversare una rivoluzione politica prima che sia possibile l’estinzione dello Stato e della coercizione. Tutti questi problemi sono legati al problema della rivoluzione mondiale.
In America latina, inchinarsi davanti a teorie aliene e annacquare le idee basilari della rivoluzione permanente significa abbandonare le idee del marxismo leninismo e l’intera tradizione marxista. In una situazione di grande difficoltà in America latina, Asia e Africa, non mantenere le idee basilari del marxismo significa perdersi nella palude del nazionalismo piccolo borghese, nell’utopismo anarchico, nel cinismo stalinista e nella sfiducia nella forza del proletariato. Soprattutto significa abbandonare la prospettiva di rivoluzione mondiale su cui è basato il nostro internazionalismo marxista. Abbandonare l’internazionalismo per il gesto piccolo borghese significa abbandonare il programma del trotskismo.
In America latina, particolarmente in Brasile, Cile, Argentina, Uruguay e Messico, il proletariato ha la forza sufficiente per svolgere un ruolo dirigente nella rivoluzione. È qui che si devono concentrare le forze del marxismo. Si devono educare in questo spirito gli intellettuali e gli studenti che rompono con le loro tradizioni piccolo borghesi e capiscono l’impasse del capitalismo e dell’imperialismo. Soltanto in una lotta contro tutte le altre tendenze il trotskismo può preparare i quadri necessari, in particolare fra i lavoratori avanzati, per portare la rivoluzione al successo.
In primo luogo una critica ferma dello sviluppo burocratico di Cuba e alle uscite ad effetto del castrismo deve diventare parte integrante del riarmo ideologico dei rivoluzionari in America latina. Pur difendendo le conquiste della rivoluzione cubana e sottolineando i suoi aspetti positivi, si deve richiamare l’attenzione dei lavoratori avanzati e della gioventù anche sugli aspetti negativi. Solo in questo modo si può combattere con successo l’estremismo infantile del castrismo in America latina.

I partiti di massa, l’entrismo e i metodi di lavoro

La linea della tendenza del Segretariato unificato sulla questione dell’entrismo, come ogni altra parte del suo bagaglio ideologico, non è basata su alcun principio. In Gran Bretagna sollevarono il problema dell’entrismo nell’immediato dopoguerra perché credevano di vedere in quell’epoca le condizioni per una depressione economica e lo sviluppo di una sinistra forte nel Partito laburista! In opposizione al concetto di Trotskij di attirare gli elementi avanzati difendendo seri principi politici, tentarono di aggregarli senza un programma intransigente; annacquarono le idee cercando di adattarsi ai dirigenti riformisti di sinistra.
Non difesero mai un chiaro programma marxista, ma al contrario adottarono il programma dell’adattamento a singoli riformisti che rappresentavano solo se stessi. Chiamavano la loro politica “entrismo profondo”. Confondendo fattori oggettivi e soggettivi, ignorando il processo di sviluppo della coscienza delle masse, spiegarono ai loro sostenitori che avrebbero organizzato una sinistra di massa. Se si potesse organizzare un movimento semplicemente per mezzo di inganni, manovre e tattiche, allora la perversione stalinista del marxismo sarebbe corretta.
A prescindere dalla linea sbagliata, anche con una strategia, una politica e una tattica giusta, lo sviluppo della coscienza delle masse non è arbitrario. Segue leggi sue proprie che dipendono dal processo molecolare di sviluppo della coscienza in base all’esperienza e agli avvenimenti. Il tentativo (in parte riuscito) di dipingersi come “riformisti di sinistra” (adattandosi all’ambiente) ebbe il risultato che diventarono, in gran parte, precisamente dei riformisti di sinistra. A lungo andare questa politica è disastrosa e getta i semi di un contraccolpo estremista, derivando entrambi dall’incapacità di mantenere principi precisi da un lato, e dall’altro di vedere la situazione oggettiva e di combinare il fattore soggettivo con gli sviluppi oggettivi degli avvenimenti.
Gli avvenimenti di per se stessi non risolveranno certo il problema della crescita: e d’altra parte i marxisti si rafforzeranno solamente nella misura in cui comprenderanno i processi oggettivi e vi sarà un orientamento della tendenza basato sul reale sviluppo della coscienza dei lavoratori avanzati. La sinistra, come tendenza di massa, si svilupperà dapprima sulle linee del riformismo di sinistra e del centrismo. Le forze rivoluzionarie possono avere un ruolo nello sviluppo dell’ala di sinistra, ma col movimento delle masse saranno i riformisti di sinistra e i centristi confusi a trovarsi al vertice. Inevitabilmente nelle prime fasi costituiranno la direzione e solo la prova dell’esperienza, unita alla critica marxista, porterà alla loro sostituzione con quadri marxisti.
Ancora oggi i “dirigenti” dell’Internazionale non hanno ancora capito l’abc di questo problema. In Gran Bretagna profetizzavano costantemente ogni anno una guerra mondiale immediata. Ripetendo la propaganda opportunista dei dirigenti laburisti nelle elezioni politiche del 1951, proclamarono che la vittoria di Churchill avrebbe portato a una guerra mondiale!
Così invece di alzare il livello politico dei lavoratori che potevano raggiungere, riuscirono soltanto a confonderli. Sempre nel 1951, secondo loro, la situazione della Gran Bretagna sarebbe sfociata entro dodici mesi nel socialismo o nel fascismo. Leggendo il loro materiale e quello dei loro antichi discepoli, la Socialist Labour League (ora Workers Revolutionary Party), si potrebbe credere che non abbiano mai letto il materiale di Trotskij e di altri teorici marxisti sul movimento delle forze di classe.
Non si tratta del fatto che in un dato momento la classe dirigente decida di andare in macchina piuttosto che in treno; si tratta piuttosto di un problema di rapporti tra il ceto medio, la classe operaia e la classe dominante stessa. Non soltanto in Gran Bretagna, dove non hanno mai assimilato le lezioni delle loro esperienze, ma dovunque abbiano operato con questa tattica, hanno fallito miseramente nei loro obiettivi.
Questo è avvenuto a causa della lunga ascesa economica dei principali paesi capitalisti, che lungo un quarto di secolo ha portato al rafforzamento della socialdemocrazia in paesi come la Germania e la Gran Bretagna e dello stalinismo in paesi come la Francia e l’Italia. A causa del suo disorientamento teorico e della stessa situazione oggettiva, il Segretariato internazionale aveva elaborato una teoria dell’entrismo generalizzato nei partiti socialdemocratici e comunisti, qualunque fosse il più forte. Date le circostanze, era la tattica giusta. Purtroppo in Gran Bretagna seguirono una tattica opportunista. Nei partiti comunisti in Francia e in Italia si adattarono allo stalinismo, senza presentare una linea rivoluzionaria e leninista decisa. Anche in circostanze difficili doveva essere possibile contrastare la politica dei dirigenti con quella di Marx e di Lenin.
L’entrismo era imposto dalla situazione oggettiva e dalla debolezza delle forze rivoluzionarie, ma lo utilizzarono in modo assolutamente opportunista. Di conseguenza, in Francia e in Italia non ottennero grandi successi e uscirono dai partiti comunisti quasi nello stesso numero in cui erano entrati. Come sempre, sbandarono da un adattamento opportunista verso la direzione a una posizione estremista, precludendosi così la strada verso la base. Nei partiti socialdemocratici capitolarono di fronte al riformismo di sinistra, in Germania, Gran Bretagna, Olanda e Belgio. Questa politica non poteva dare risultati e di conseguenza approvarono una risoluzione secondo la quale questi partiti non sarebbero di fatto più esistiti come partiti operai di massa, e adottarono una politica totalmente estremista nei loro confronti. Purtroppo per loro, i partiti comunisti di Francia e Italia e la socialdemocrazia in altri paesi avevano ancora l’appoggio della stragrande maggioranza della classe operaia, e quasi non si accorsero del dispiacere di questi estremisti e della loro fuoriuscita.

Il keynesismo al posto del marxismo

Immediatamente dopo la Seconda guerra mondiale furono colpevoli di un atteggiamento estremista e infantile su quasi tutti i problemi. Negarono la possibilità di un boom economico del capitalismo europeo e mondiale nel dopoguerra, che invece era inevitabile data la politica dello stalinismo e del riformismo, che aveva creato le premesse politiche di una ripresa del capitalismo. Dichiararono che non si poteva ricostituire l’economia dei paesi capitalisti. Ci dissero che ci trovavamo davanti alla recessione del dopoguerra dalla quale il capitalismo non sarebbe riuscito a uscire! Quando citavamo Lenin riguardo al punto che se non viene rovesciato, il capitalismo trova sempre una via d’uscita, ridicolizzavano la nostra posizione. Quando gli avvenimenti dimostrarono la falsità delle loro prospettive pontificarono “marxisticamente” che c’era un tetto alla produzione, corrispondente al livello più alto raggiunto dal capitalismo nel periodo prima della guerra. Sfortunatamente per i nostri sedicenti economisti il “tetto” fu ben presto sfondato dalla crescita dell’economia mondiale.
Dichiararono che era impossibile per l’imperialismo americano dare aiuto ai suoi rivali. Come può l’America sostenere i suoi rivali? – ridevano in tono ironico. – Forse che i capitalisti sono dei filantropi, per sostenere i loro concorrenti? In altre parole, non avevano la minima idea dei rapporti di forza fra le classi, fra le nazioni e fra l’Urss e l’America. La loro analisi economica in questo periodo era al livello di quella degli stalinisti sul “terzo periodo” del capitalismo, negli anni ’30.
Nuove epoche, nuovi dèi. Negli anni successivi, constatando empiricamente che le loro teorie rudimentali erano state schiacciate dagli avvenimenti, fecero un’altra piroetta; non che la loro analisi fosse sbagliata, ma evidentemente era il capitalismo a essere cambiato. Senza ammetterlo, credevano che l’analisi marxista della crisi non fosse più valida. Non osavano dirlo apertamente per paura di essere denunciati come revisionisti, ma nei fatti accettarono i presupposti fondamentali del keynesismo, secondo cui si poteva evitare una recessione con l’intervento dello Stato e il deficit pubblico. Questo si può dimostrare riferendosi ai loro principali documenti economici redatti durante due decenni. Affermano chiaramente nel documento del loro congresso mondiale del 1965, L’evoluzione del capitalismo nell’Europa occidentale e i compiti dei marxisti rivoluzionari: “Se questo boom continua nel 1965 e nella prima metà del 1966, è probabile che non ci sarà alcuna recessione generale in Europa occidentale. Se, al contrario, ci fosse una recessione negli Usa nel 1965 o all’inizio del 1966,
è probabile che questa coinciderebbe con una recessione generale in Europa occidentale e che per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale ci sarebbe una sincronizzazione dei cicli economici di tutti i paesi capitalisti importanti. Anche in quest’ultimo caso, sarebbe soltanto una recessione e non una crisi seria come quella del 1929 o del 1938. Il motivo di questo, a lungo discusso in altri documenti dell’Internazionale, nasce dalla possibilità per l’imperialismo di ‘ammortizzare’ le crisi aumentando le spese dello Stato, al costo di un continuo abbassamento del potere d’acquisto della moneta.” (il corsivo è nostro).
Questa posizione oggi viene universalmente respinta da tutti gli economisti borghesi seri. Il Segretariato unificato non aveva spiegato lo sviluppo della crescita economica, al contrario, aveva subìto le pressioni dei teorici borghesi. Quando le loro idee saranno completamente screditate, cambieranno posizione anche su questo. Sono stati colti completamente di sorpresa dagli avvenimenti economici e di conseguenza si sono adattati a tutte le correnti della socialdemocrazia, dello stalinismo e persino alle correnti borghesi, facendo un miscuglio completamente eclettico che spacciano per teoria marxista.

I problemi della guerra

Nei nostri documenti successivi alla Seconda guerra mondiale spiegammo come a causa dell’ondata rivoluzionaria seguita alla guerra, non si ponesse come questione imminente una guerra mondiale inter-imperialista, o una guerra mondiale diretta contro l’Unione Sovietica. La borghesia in Europa si poteva consolidare soltanto concedendo i diritti democratici e permettendo quindi l’esistenza e il rafforzamento di potenti organizzazioni di massa della classe operaia. Di conseguenza non esistevano le premesse politiche per un assalto all’Urss o alla rivoluzione cinese. Al tempo stesso, nel giro di pochi anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, a causa della smobilitazione delle truppe angloamericane imposto dalla pressione dei soldati e dell’opinione pubblica di massa nei rispettivi paesi, il rapporto di forze per quanto riguardava le forze convenzionali in Europa era drasticamente cambiato a favore dell’Unione Sovietica.
Con 200 divisioni del Patto di Varsavia mobilitate a fronte di una cifra di poco superiore a un quarto in mano alle potenze occidentali, se si fosse arrivati a una guerra convenzionale in Europa i sovietici avrebbero dilagato molto più velocemente di quanto avevano fatto le forze di Hitler in Francia, occupando l’intera Europa occidentale. Le forze che le potenze occidentali avrebbero potuto mobilitare sarebbero state spazzate via in questione di giorni in Germania e in qualche settimana in Francia, dagli eserciti del Patto di Varsavia, che avevano una superiorità schiacciante a livello di carri armati, aeroplani e cannoni.
In Asia, la Cina era la maggior potenza militare del continente e anche in questo caso le forze cinesi, basandosi sulla guerra rivoluzionaria o semi- rivoluzionaria per avere i contadini dalla loro parte, avrebbero potuto occupare anche tutta l’Asia. Il risultato era che i rapporti di forza erano cambiati drasticamente a svantaggio dell’imperialismo. Non avendo imparato niente alla scuola di Lenin e di Trotskij, questi bravi strateghi sapevano soltanto continuare a ripetere il luogo comune “il capitalismo significa guerra”, che può capire anche uno scolaro di 12 anni che abbia letto Lenin. Ma questa formula non dice come, quando e in quali circostanze possa scoppiare una guerra mondiale. Come guida alla strategia e alla tattica non ci dice nulla. Particolarmente nell’epoca moderna, la guerra non
è soltanto un problema del rapporto fra le potenze, ma è soprattutto un problema di rapporti fra le classi. Una guerra mondiale sarebbe possibile solo dopo una resa dei conti sanguinosa e decisiva con i lavoratori.
Le sconfitte della classe operaia in Germania, Italia, Francia e Spagna e la distruzione delle sue organizzazioni aprirono la strada alla Seconda guerra mondiale. Dopo la guerra, la forza dei lavoratori si è accresciuta enormemente, e gli imperialisti devono pertanto essere prudenti.
Naturalmente ciò non toglie che ci siano state guerre locali contro la rivoluzione coloniale e fra le potenze minori ogni anno dalla Seconda guerra mondiale in poi. Analogamente, dopo la Prima guerra mondiale ci fu una guerra ogni anno fino all’olocausto finale del 1939.
Oltre a tutti gli altri fattori rimane sempre il problema dei terrificanti mezzi di distruzione nucleare e di altro genere. I capitalisti non fanno la guerra fine a se stessa, ma per estendere il loro potere, ricchezza e profitto. L’obiettivo della guerra non è annientare il nemico, ma conquistarlo, distruggere il nemico ed essere a propria volta distrutti non risolve niente. Distruggere la classe operaia, ciò che una guerra nucleare significherebbe, sarebbe distruggere la gallina dalle uova d’oro. La distruzione reciproca significherebbe anche la distruzione della classe dominante.
Di conseguenza soltanto regimi totalitari e fascisti, completamente disperati e squilibrati, potrebbero prendere questa strada. Anche in questo caso si tratterebbe sempre di una questione di lotta di classe. La borghesia non metterà con leggerezza il proprio destino nelle mani di nuovi dittatori maniaci come Mussolini e Hitler finché non sia assolutamente essenziale. Ad ogni modo prima che possano farlo sarebbe necessaria una sconfitta sanguinosa della classe operaia.
Basarsi pertanto sulla prospettiva di una guerra mondiale in realtà implicava non solo una mancanza di comprensione di tutte le forze militari e sociali implicate, ma anche un profondo pessimismo. Immaginare che la guerra potesse risolvere i problemi della rivoluzione socialista era una irresponsabilità pari a quella degli stalinisti in Germania, che credevano che l’avvento dei fascisti avrebbe preparato la strada per il socialismo. In realtà lo scoppio di una guerra mondiale equivarrebbe a una sconfitta decisiva per la classe operaia. Un olocausto nucleare porterebbe molto probabilmente all’annientamento reciproco di paesi e classi. Nel migliore dei casi, alcuni piccoli gruppi di sopravvissuti potrebbero riuscire a creare qualche tipo di Stato basato sulla schiavitù e ricominciare lo sviluppo necessario delle forze produttive materiali che insieme alla classe operaia costituiscono le premesse assolutamente necessarie per il socialismo. I posadisti su questo hanno soltanto portato all’estremo le idee di Pablo, Hansen, Mandel, Healy e compagnia.
Ad ogni modo non sono stati capaci di vedere le contraddizioni che ancora esistono oggi fra gli interessi dei differenti imperialismi. Le potenze capitaliste dell’Europa occidentale, Gran Bretagna compresa, non si interessano della vittoria di un capitalismo ideale o dell’imperialismo americano, ma dei loro propri interessi. Nel migliore dei casi una guerra mondiale significherebbe la distruzione dell’Europa occidentale, allo stesso modo in cui i bombardamenti americani hanno distrutto la Corea e il Vietnam. Dunque queste potenze imperialiste non hanno nessun interesse in una guerra che non possono vincere, che sarebbe combattuta sui loro territori e che, nella migliore delle ipotesi, si farebbe solo a beneficio dell’imperialismo americano.
Una guerra convenzionale sarebbe una prospettiva scoraggiante per gli imperialisti americani. Cominciare a Calais e attraversare il continente fino a Shanghai, Calcutta e Vladivostok sarebbe un compito impossibile. Una guerra nucleare sarebbe per la prima volta una guerra combattuta sul suolo americano. Significherebbe la distruzione della loro base, cioè delle città e del potere industriale dell’America. Quindi il tema “guerra–rivoluzione” non era soltanto reazionario, ma era anche una fantasia. La posizione di questa tendenza dimostrava un’assoluta ignoranza dei fattori sociali reali della guerra, problema che non hanno capito ancora oggi. A ogni crisi, a ogni conflitto fra l’Unione Sovietica e l’imperialismo americano tiravano fuori il lamento dell’“imminente Armageddon”.
In realtà, sia la guerra del Vietnam che quella in Corea e tutte le altre guerre dell’epoca postbellica sono state localizzate e limitate dagli accordi deliberati fra l’imperialismo e le burocrazie cinese e russa. Lungo tutto questo periodo l’imperialismo è stato sulla difensiva contro le incursioni della rivoluzione coloniale e la forza militare, industriale e strategica dell’Unione Sovietica e della burocrazia.

Estremismo e studentismo

Dati gli scarsi risultati ottenuti con la loro versione dell’entrismo, nei paesi capitalisti occidentali si buttarono allora sull’estremismo. Senza avere tratto una lezione onesta dall’esperienza dell’entrismo nei partiti socialdemocratici e comunisti, si avventurarono nella politica dell’estremismo in Germania, in Francia e in Italia. Riuscirono però a combinare l’estremismo con una certa dose di opportunismo. Il governo di Wilson nel 1964 era per loro l’avvento di un “governo socialdemocratico di sinistra”, come scrisse uno dei loro sostenitori in Gran Bretagna, i cui discorsi venivano difesi senza critiche dai seguaci del Segretariato unificato in Gran Bretagna. Gli avvenimenti li avrebbero presto delusi al riguardo. Allo stesso tempo, riuscirono a trovare una differenza fondamentale fra il governo Wilson in Gran Bretagna e quello di Willy Brandt in Germania.
L’eclettismo non poteva arrivare più in là. Le differenze tra individui non sono importanti, anche supponendo che ci fosse qualche differenza di rilievo fra Wilson e Brandt. In Gran Bretagna portare avanti una politica opportunista nel Partito laburista era solo un passo verso successive e sterili avventure estremiste.
In Germania si rifiutarono di lavorare nella gioventù socialdemocratica, organizzazione di massa, e invece rivolsero la loro attenzione verso il movimento studentesco. Era una questione tattica, un errore, ma purtuttavia solo di tattica. Occorreva sì prestare una certa attenzione agli studenti, ma con il proposito fondamentale di far loro capire la necessità di indirizzarsi al movimento operaio. La classe operaia tedesca, così come quella inglese, deve passare attraverso l’esperienza di un governo socialdemocratico per capire che il riformismo non può risolvere i suoi problemi. La classe operaia tedesca, che è stata spinta indietro dall’esperienza del fascismo e dalle politiche del riformismo e dello stalinismo, può educarsi alle idee rivoluzionarie solamente mettendo alla prova i suoi dirigenti nell’esperienza dei governi riformisti.
Ancora una volta elementi potenzialmente validi fra gli studenti sono stati diseducati dal Segretariato unificato, che adulava i loro pregiudizi invece di intraprendere il necessario lavoro di formazione marxista. Questo significa che a un certo punto resteranno delusi e se ne andranno, e tenderanno ad attribuire ai lavoratori la colpa dei propri difetti. In questo, come in tutto, questa tendenza è riuscita ad ottenere dall’esperienza i peggiori risultati. In Germania il suo compito principale sarebbe stato avvicinarsi agli operai socialdemocratici, e specialmente alla gioventù, ma tale compito non è nelle sue capacità, dati gli errori del passato.
Non solo in Germania, ma anche in Italia, Francia, America e in tutto il mondo, questa tendenza si è lasciata prendere da quello che si può definire studentismo. L’aspetto progressista della rottura studentesca con l’ideologia borghese, che è diventato ormai un fenomeno mondiale, doveva essere riconosciuto ed utilizzato per portare i migliori studenti alle idee del marxismo. Soprattutto avrebbero dovuto spiegare agli studenti che questo fenomeno è un aspetto della crisi sociale del capitalismo e un sintomo dello spostamento a sinistra che sta assumendo in generale una portata mondiale. Nei paesi coloniali, nei paesi capitalisti avanzati e negli Stati operai bonapartisti si vede lo stesso fenomeno.
È il barometro della crisi sociale montante, ma se non mette radici nei sindacati e nelle organizzazioni della classe operaia, è condannato a essere sterile e inefficace. Se gli studenti non conquistano la disciplina delle idee e del metodo marxista, il movimento diverrà sterile e degenererà in varie forme di utopismo e anarchismo. Gli studenti possono essere un valido fermento per la diffusione delle idee rivoluzionarie, ma solo in base alle idee marxiste e alla comprensione dei limiti degli studenti stessi e del loro ruolo nella società.
Gli avvenimenti francesi del maggio del 1968 forniscono una nuova prova, forse decisiva, per tutte le tendenze nel movimento rivoluzionario. La rivoluzione costituisce la cartina al tornasole per i rivoluzionari. In questo crogiuolo, l’oro delle idee rivoluzionarie si separerà presto dai metalli inferiori. Avendo negato la possibilità della rivoluzione in occidente per un lungo periodo, naturalmente sono stati colti di sorpresa dagli avvenimenti in Francia. Partiti da un profondo pessimismo nei confronti delle potenzialità della classe operaia nei paesi occidentali, sono approdati all’estremismo più irresponsabile. Completamente incapaci di comprendere che per un ulteriore periodo storico i partiti comunisti avrebbero continuato ad avere un ruolo decisivo, si sono condannati al settarismo più totale.
Immaginare che i processi rivoluzionari che iniziavano a svilupparsi in Francia avrebbero trovato uno scioglimento definitivo nel giro di pochi giorni o settimane, significava non capire l’abc della rivoluzione. La debolezza delle forze rivoluzionarie come fattore della situazione non è stato compreso, né la necessità di avvicinarsi alle masse del Partito comunista.
Invece il desiderio di ingraziarsi la sinistra studentesca e quindi di adeguarsi alle idee confuse e sfrenate di quest’ultima li ha portati a fare tutta una serie di mosse estremiste. Il boicottaggio delle elezioni politiche e di quelle studentesche che seguirono era pura e semplice irresponsabilità che avrebbe fatto il gioco dei dirigenti del Pcf, che avevano ancora il sostegno della stragrande maggioranza della classe operaia.
Il fatto che il Partito comunista recuperasse le forze perdute presentandosi come un’alternativa al partito gollista, non è stato preso in considerazione. Fino a oggi non hanno preparato i propri sostenitori per un nuovo e inevitabile periodo di fronte popolare, che la borghesia utilizzerà come mezzo per arrestare la nuova offensiva della classe operaia. Ma la nostra tendenza ha analizzato lo sviluppo della rivoluzione in Francia, che è solo agli inizi, in altri documenti, non è quindi necessario ripetere qui le nostre idee. È importante aggiungere soltanto che tutte le tendenze della sinistra rivoluzionaria in Francia adesso sono in declino a causa della loro mancanza di analisi e comprensione dei flussi e riflussi del processo rivoluzionario; periodi di calma e persino di reazione prepareranno la strada per la mobilitazione rivoluzionaria delle masse e quindi per una rinnovata offensiva da parte della rivoluzione.
Gli avvenimenti indicano che non solo in Francia, ma anche in altri paesi dove il partito comunista è il partito più importante della classe operaia, solamente una scissione di massa nelle sue fila può aprire la strada allo sviluppo di un partito rivoluzionario di massa alternativo. Nei paesi dove la socialdemocrazia è la forza dominante possiamo trarre conclusioni simili. L’esperienza storica degli ultimi cinque o sette decenni indica la validità di questa analisi.
I temi del loro congresso mondiale del 1965, nel quale espulsero l’opposizione marxista, sono stati sufficientemente analizzati. L’espulsione ha dimostrato la loro incapacità di tollerare una vera tendenza marxista e onesta al loro interno. Il rifiuto di discutere e di tollerare una corrente marxista nelle loro fila è un indice dei processi reali di questa organizzazione e della sua tendenza organica verso il settarismo piccolo borghese, l’utopismo e l’opportunismo.
La storia dell’organizzazione di Ceylon offre una lezione istruttiva di quanto accade quando una tendenza rivoluzionaria non trae gli insegnamenti dall’esperienza di ciascun periodo. Era l’unica organizzazione di massa dell’Internazionale ed era il partito di massa della classe operaia a Ceylon. Ma proprio per questo fu preda di tutte le tendenze alla degenerazione, di tutte le pressioni di forze di classi ostili cui sono soggette le organizzazioni di massa. La politica sbagliata, durata oltre 25 anni, della cosiddetta direzione internazionale ha portato, per quanto riguarda Ceylon, alla perdita del controllo sui parlamentari e sui dirigenti del partito. Essendo piccoli gruppi nella maggior parte del mondo, potevano avere solo un’autorità politica, più che organizzativa. Avendo fallito nelle idee politiche, i loro deboli tentativi di usare misure organizzative non potevano che essere trattati con disprezzo.
Quando il Lssp (Lanka Sama Samaja Party) adottò un atteggiamento opportunista nei confronti del governo di coalizione nel 1964, l’attuazione di queste misure fece precipitare una scissione immediata, cosa che poteva solo isolare gli elementi rivoluzionari e renderli impotenti ed estremisti.
La conseguenza è stata il rafforzamento dell’atteggiamento della direzione del Lssp e il declino e la frantumazione della parte che ne uscì. Il compito immediato di qualunque gruppo all’interno o all’esterno del Lssp avrebbe dovuto essere quello di indirizzarsi verso le organizzazioni di massa dei lavoratori, in questo caso lo stesso Lssp. Ma l’autorità politica si conquista solo dopo un periodo di anni e di decenni, dimostrando la correttezza delle idee di una direzione rivoluzionaria, dei suoi metodi e della sua analisi. Ma è precisamente questo ad essere visibilmente assente. Quando hanno tentato di sostituire questa autorità genuina e reale con misure amministrative, il risultato è stata solo una serie di scissioni umilianti e debilitanti.

La necessità della teoria marxista

Nel congresso del Segretariato unificato del 1965 fu presentata una nuova teoria, quella del capitalismo e dello “Stato forte”. Si trattava di un’estensione della teoria del 1945 secondo la quale all’ordine del giorno in Europa occidentale ci sarebbero stati dei regimi bonapartisti; il capitalismo non poteva più permettere l’esistenza della democrazia e quindi in Europa occidentale si sarebbero potuti instaurare solo regimi dittatoriali. Resuscitarono questa teoria, che in passato non era mai stata ufficialmente respinta, nella nuova versione dello Stato “forte”. In Francia, Germania, Gran Bretagna, ovunque, la borghesia avrebbe sostituito la democrazia con regimi bonapartisti.
Quest’analisi non teneva conto della forza e della potenza delle organizzazioni della classe operaia, del cambiamento dei rapporti di forza fra le classi, delle oscillazioni della piccola borghesia. In queste condizioni, la tendenza della società era verso sinistra; la borghesia era tutt’altro che capace di imporre la sua volontà sulla società. Il tentativo di imporre il controllo dei salari tende a fallire nei principali paesi capitalisti; invece dell’assunzione di poteri dittatoriali da parte dello Stato, c’è stata una tendenza nel senso contrario, con l’eccezione della Grecia per ragioni specifiche.
In alcuni paesi c’è stata una tendenza alla radicalizzazione delle masse, ma in nessun luogo è stato possibile per la borghesia imporre il suo dominio attraverso uno Stato poliziesco militare. La radicalizzazione del movimento studentesco, nella quale hanno riposto tante speranze, è essa stessa un movimento nella direzione opposta. L’unico “Stato forte” dell’Europa dei tempi recenti, quello di De Gaulle, è stato spazzato via dal primo vero movimento di massa della classe operaia. Ad ogni modo il bonapartismo di De Gaulle era la forma più democratica di bonapartismo che sia mai esistito, e non a caso: la sua debolezza era espressione dell’enorme potere latente della classe operaia.
Lo stesso sviluppo dell’industria si è tradotto in un enorme aumento della forza della classe operaia. Prima che possa iniziare un movimento decisivo verso la reazione occorrerà una resa dei conti sanguinosa con la classe operaia. Ma questo metterebbe in gioco il destino della borghesia, che di conseguenza sarà estremamente riluttante a imboccare questa strada. In nessun luogo ci sono organizzazioni fasciste forti, come invece c’erano nel periodo prima delle guerra e particolarmente negli anni ’30. Dopo l’esperienza fatta con i maniaci fascisti, solo con estrema riluttanza la borghesia si rimetterebbe nelle mani del fascismo.
D’altra parte uno Stato “forte”, nella forma bonapartista, non può mantenersi a lungo senza una base di massa. Quindi è possibile che la borghesia ponga all’ordine del giorno leggi e metodi reazionari, ma non una dittatura militare poliziesca. In tutto il mondo borghese, al tramonto del capitalismo, la classe operaia e il movimento rivoluzionario non si troveranno ad affrontare Stati forti, bensì Stati paralizzati ed estremamente deboli.
Tutta la tattica della cosiddetta “opposizione extraparlamentare” in Germania, Francia, Italia e Gran Bretagna, non è altro che un’opposizione di carattere verbale. Sono sintomi di idee anarchiche piccolo borghesi, più che marxiste.
Il compito degli studenti e degli elementi radicalizzati in generale è educare in primo luogo se stessi con le idee sobrie del marxismo rivoluzionario, invece di declamare gli slogan del romanticismo rivoluzionario, e poi avvicinarsi alle masse. La capitolazione del Segretariato unificato verso questo radicalismo verbale è un’espressione della assoluta mancanza di comprensione della dialettica della lotta di classe e del modo in cui la classe operaia si risveglia. Il compito è sostenere allo stesso tempo l’intransigenza teorica e la flessibilità tattica per avvicinarsi alla classe operaia. Tutta la storia di questa tendenza è stata ignominiosa.
Siamo ora riportati a una situazione prossima a quella dalla quale siamo partiti, di piccoli gruppi che lottano contro la corrente delle tendenze opportuniste. Storicamente il movimento marxista è stato spinto indietro dal suo isolamento dal movimento di massa.
Da un certo punto di vista, storicamente siamo fortunati. Se invece di piccole sette avessero avuto organizzazioni di diecimila o cinquantamila militanti in Francia, in America e in altri paesi, la linea estremista di questo raggruppamento e degli altri al suo intorno avrebbe causato un enorme danno al movimento di massa. Sarebbe stato come il Comintern nella fase estremista degli anni ’30, quando la sua politica e l’atteggiamento irresponsabile verso le organizzazioni di massa lo isolarono dalla classe operaia. La vittoria di Hitler in Germania fu preparata in questo modo. A suo modo, in Francia il comportamento ridicolo di tutte le tendenze ha contribuito enormemente alla riconquista di prestigio e potere sulla classe operaia da parte del vertice del Partito comunista e dei riformisti. Negli altri paesi, nella misura in cui hanno avuto un’influenza, hanno contribuito a isolare gli studenti dal movimento operaio.
Il semplicismo teorico e gli errori politici fondamentali della cricca che pretende di rappresentare la Quarta Internazionale si possono far risalire all’immediato dopoguerra. Se avessero compiuto un’autocritica onesta degli errori commessi in quell’epoca, analizzandone a fondo le ragioni, avrebbero potuto costruire il movimento su basi solide. Ma essendosi bruciati le dita ripetendo quelle che ritenevano essere le ricette di Trotskij, questi cuochi decisero che il “ricettario della rivoluzione” non era utile e buttarono dalla finestra senza tanti complimenti gli insegnamenti dei grandi maestri. Hanno abbandonato le idee teoriche del marxismo, proseguendo soltanto in base all’empirismo e alle impressioni.
Il nostro compito, a livello nazionale e internazionale, rimane fondamentalmente quello delle ultime due generazioni: la difesa e la diffusione delle idee rivoluzionarie fondamentali del marxismo. Le ragioni della degenerazione dei gruppi settari, i più importanti dei quali si raggruppano intorno al Segretariato unificato, risiedono negli sviluppi storici dei nostri tempi. Le pressioni del capitalismo, del riformismo e dello stalinismo, in un periodo di ascesa del capitalismo in occidente e di consolidamento temporaneo dello stalinismo in oriente, infine le distorsioni della rivoluzione coloniale a causa dei fattori spiegati precedentemente, sono state le cause della degenerazione di tutte le sette che proclamano di essere la Quarta Internazionale.
Ma spiegare non significa scusare. La necessità ha due facce. Nella storia precedente, la degenerazione della Seconda e della Terza Internazionale, dovuta sia a fattori oggettivi che soggettivi, non giustificò i dirigenti che avevano abbandonato il marxismo; non giustificò né il riformismo, né lo stalinismo. Analogamente, non si possono giustificare i crimini settari e opportunisti che hanno commesso per più di un’intera generazione i dirigenti della cosiddetta Quarta Internazionale. Una cosa
è commettere un errore episodico; perfino le tendenze più rivoluzionarie e perspicaci faranno degli errori. Ma con la ripetizione e il continuo zigzagare fra l’opportunismo e l’estremismo non si tratta più di semplici errori, ma di una tendenza. Una tendenza che, come in precedenza i riformisti e gli stalinisti, rifiuta di analizzare i propri errori per correggerli.
Una tendenza di questo genere non potrà mai elevarsi al livello dei compiti posti dalla storia. Continuerà con le scissioni e le manovre, che non hanno alcun rapporto con una reale autorità politica accumulata in base all’esperienza politica. Una tendenza di questo carattere non potrà mai continuare la tradizione del bolscevismo e del trotskismo. Questa tendenza è letame della storia che se non viene sparso sui campi arati non può dare frutti rivoluzionari, bensì inizia a puzzare. Molti degli elementi più giovani possono riuscire a staccarsi da quest’ambiente avvelenato e contribuire a costruire la nuova internazionale. Per una tendenza rivoluzionaria di massa non è sufficiente la sola tradizione, il metodo e la politica del marxismo. È anche necessario che le correnti storiche siano favorevoli. Così avvenne coi bolscevichi.
Ma per una piccola tendenza rivoluzionaria è essenziale mantenere le idee fondamentali, sviluppandole coscientemente e apertamente in base all’esperienza. Altrimenti la tendenza muore come forza rivoluzionaria. Se non è capace di apprendere dall’esperienza, è condannata a rimanere una setta, procurando sconfitte ulteriori e la disintegrazione del movimento. Dal punto di vista storico non c’è scusante per la continua sequenza di errori del Segretariato unificato. Gli errori sono penosi, ma l’incapacità di rettificarli è fatale.
Lenin e Trotskij corressero meticolosamente, fino al più piccolo particolare, ogni errore teorico per mantenere affilata la teoria, che era la lama del bolscevismo. Gli stalinisti e i riformisti hanno organizzazioni di massa; i marxisti hanno la teoria rivoluzionaria che si trasformerà col tempo da una piccola qualità in una quantità rivoluzionaria. In mancanza sia di organizzazioni di massa, sia di teoria marxista non, c’è nessun futuro. Questa tendenza storicamente è condannata. In ogni fase dello sviluppo degli avvenimenti la nostra tendenza ha reagito, in generale, in modo corretto. I nostri documenti degli ultimi 25 anni sui problemi fondamentali hanno resistito alla prova dei fatti e costituiscono un valido contributo al marxismo.
Il fallimento delle forze del trotskismo nel costruire un’internazionale vitale si può capire in base all’esperienza della nostra epoca, allo stesso tempo rivoluzionaria e controrivoluzionaria; col proletariato posto di fronte ad ostacoli formidabili, sotto forma di organizzazioni socialdemocratiche e staliniste, era inevitabile che sorgessero grandi difficoltà nel processo di costruzione di tendenze rivoluzionarie di massa.
Il nuovo periodo aperto dalla rivoluzione francese dà inizio a una fase completamente nuova dello sviluppo del proletariato. L’iniziativa e l’azione delle masse metteranno alla prova le potenti organizzazioni dello stalinismo e della socialdemocrazia. In questi avvenimenti, nelle organizzazioni di massa sorgeranno delle tendenze rivoluzionarie o semi-rivoluzionarie. Ma queste sono condannate a tutta una serie di spaccature catastrofiche sia a destra che a sinistra. Nel corso di questa esperienza i lavoratori metteranno alla prova non solo le organizzazioni di massa staliniste e riformiste, ma anche un assortimento di tendenze settarie e centriste: maoisti, castristi, guevaristi e altri, che sono proliferate perché non c’è stato un polo di attrazione rivoluzionario di massa. Gli avvenimenti metteranno a nudo l’inadeguatezza e l’inefficacia di tutte le varie forme del riformismo e dello stalinismo. Le forze fresche delle nuove generazioni, non solo fra gli studenti, ma soprattutto nella classe operaia, cercheranno una via rivoluzionaria.
In base agli avvenimenti si costituiranno delle tendenze rivoluzionarie di massa nei paesi dell’occidente; dove la corrente principale è lo stalinismo nascerà nei partiti comunisti e laddove il riformismo è una tendenza di massa nascerà nei partiti socialdemocratici. Il periodo che subito prima della guerra Trotskij fiduciosamente aveva previsto si sta aprendo adesso in circostanze storiche diverse. Le idee del marxismo, che abbiamo preservato per tutta una generazione, cominceranno ad avere seguito fra le masse.
A livello nazionale e internazionale le idee della nostra tendenza possono conquistare in quest’epoca un appoggio di massa. La nostra lotta per costruire il movimento avrà un effetto a livello internazionale. Il nostro compito è la costruzione di una tendenza vitale in Gran Bretagna, che abbia le risorse e l’autorità per farsi ascoltare fra gli elementi avanzati di tutto il mondo. È impossibile dire dettagliatamente come questo verrà compiuto, ma con slancio e iniziativa possiamo riuscire a estendere l’influenza della nostra tendenza.
Nei giorni bui della Prima guerra mondiale i marxisti furono ridotti a piccoli gruppi, ma in base agli avvenimenti portarono avanti una rivoluzione vittoriosa in Russia nel 1917 e prepararono la strada per la costruzione di partiti rivoluzionari di massa. Storicamente i bolscevichi mantennero il rigore delle idee rivoluzionarie grazie all’influenza di Lenin e Trotskij. Quando la corrente della storia divenne avversa, queste idee vennero spazzate via. In un’epoca storica nuova, rafforzate dall’esperienza dell’ultimo quarto di secolo, riconquisteranno un seguito di massa. Le altre tendenze che si dichiarano trotskiste saranno messe alla prova e saranno ridotte in cenere nel fuoco degli avvenimenti.
Da un lato, il capitalismo si troverà in un vicolo cieco nel mondo sviluppato e sottosviluppato. Dall’altro lato, lo stalinismo rivela ogni volta di più nei paesi non capitalisti la sua incompatibilità con la nazionalizzazione e l’economia pianificata. Questo stallo della borghesia e della burocrazia stalinista si riflette nella sterilità dei suoi teorici in politica e in economia. La degenerazione degli stalinisti, divisi in gruppi nazionali in lotta fra loro, tanto nei paesi dove hanno il potere quanto in quelli dove sono all’opposizione, dimostra il fallimento della loro ideologia.
D’altra parte il riformismo ha dimostrato i suoi effetti funesti, sia nei paesi dove è al governo che in quelli dove si trova all’opposizione. Il dominio di queste tendenze sul movimento operaio ha esteso la sua influenza corruttrice perfino alle piccole e deboli tendenze del trotskismo. Per loro non c’è via d’uscita, ma in base alla grossa ondata rivoluzionaria che si avvicina la gioventù sarà conquistata dalle idee del trotskismo. I bolscevichi nel 1917, nonostante non esistesse un’internazionale rivoluzionaria, portarono avanti la rivoluzione con il metodo, le idee e il nome dell’Internazionale. Erano completamente permeati dall’internazionalismo. Il compito maggiore, a livello internazionale, dei marxisti rivoluzionari britannici è la costruzione di una potente tendenza rivoluzionaria, permeata dai principi e dalle tradizioni dell’internazionalismo, che possa aiutare a creare una tendenza capace di svilupparsi a livello internazionale.

Come si organizzerà l’Internazionale?

Lenin e Trotskij spiegarono molte volte che se un errore non viene corretto può trasformarsi in una tendenza. L’analisi svolta in questo documento dimostra che da 25 anni il Segretariato unificato sbanda da un errore all’altro, da una politica sbagliata al suo contrario, e poi di nuovo indietro, all’errore originario a un livello più alto. Questo è il marchio di una tendenza completamente piccolo borghese. Per quanto riguarda questo gruppo, o perlomeno la sua direzione, è ormai diventato qualcosa di organico. Tutta la sua concezione è stata plasmata dagli errori di un quarto di secolo, che sono diventati parte integrante del metodo di analisi e del modo di lavorare, di tutta la loro visione. Definire centrista questa tendenza sarebbe un complimento.
Anche nel caso della Seconda Internazionale, che è un movimento di massa, la degenerazione si può spiegare con le pressioni della società, con la storia dell’ultima parte del XIX secolo e del principio del XX. Ma si spiega anche col distacco del vertice dai militanti e col suo allontanamento dalla base di massa.
La Terza Internazionale nacque dalla tendenza di massa più rivoluzionaria che sia mai esistita, una tendenza di massa internazionale. La degenerazione della Terza Internazionale, avvenuta in un’epoca al stesso tempo rivoluzionaria e controrivoluzionaria, è stata spiegata in molti documenti, lasciando da parte il problema del partito russo, come il risultato della pressione della burocrazia e del suo elevarsi al di sopra delle masse. A livello internazionale, la degenerazione della Terza Internazionale iniziò col rifiuto di analizzare gli avvenimenti e di trarne delle lezioni, come pure di correggere gli errori della direzione stalinista. Fra tanti fattori, questo non fu il meno importante.
Il trotskismo, la tendenza più onesta e rivoluzionaria della storia, iniziò il suo lavoro prima di tutto con un’analisi di questo processo. Cominciando senza le grandi masse, poteva aver successo come tendenza rivoluzionaria solo in base a un atteggiamento serio verso teoria e gli avvenimenti. Questa era la lezione delle opere di Lenin e forse ancor di più delle opere e dell’attività di Trotskij durante il periodo della decadenza e della degenerazione teorica. Abbandonando questa preziosa eredità e senza il correttivo della pressione rivoluzionaria delle masse, il Segretariato unificato e le altre tendenze simili sono divenute irresponsabili. I problemi teorici non venivano trattati in modo serio, ma venivano subordinati agli umori e ai capricci della cricca dirigente. Venticinque anni di questo processo hanno dimostrato che questi dirigenti sono organicamente incapaci di evolvere politicamente e organizzativamente in direzione del marxismo.
Sarebbe un lavoro sgradevole documentare le manovre organizzative di questa tendenza zinovievista. Lenin con disprezzo definì la Seconda Internazionale un ufficio postale. Questa cricca invece non può essere chiamata nemmeno ufficio postale. Ha fallito completamente sia a livello organizzativo che politico.
Come si costruirà dunque l’Internazionale? In Gran Bretagna abbiamo spiegato più volte come verrà costruito solo in base agli avvenimenti. Questo è altrettanto vero per la questione dell’Internazionale.
In numerosi documenti abbiamo spiegato come gli avvenimenti metteranno in crisi i partiti di massa socialdemocratici e stalinisti. Gli avvenimenti in oriente e in occidente si influenzeranno a vicenda. Ma saranno decisivi soprattutto gli sviluppi nei principali paesi industrializzati. Si apre un nuovo periodo della storia del capitalismo in occidente e dello stalinismo in oriente. Gli avvenimenti del maggio 1968 in Francia e l’attuale esplosione in Italia sono solo l’inizio. I lineamenti della crisi nei rapporti fra le classi, non solo in Europa ma anche in Giappone e in America e altri paesi importanti, cominciano già mostrarsi.
Sotto i colpi degli avvenimenti è inevitabile lo sviluppo di gruppi di massa centristi nei partiti stalinisti e riformisti. Nel prossimo decennio o due, saranno all’ordine del giorno scissioni di massa da queste tendenze. Gli avvenimenti in Urss possono cambiare la situazione internazionale. Lo stesso vale per l’America e per altri paesi industrializzati occidentali. Con lo sviluppo di gruppi centristi di massa con un gran numero di lavoratori che cercheranno una direzione rivoluzionaria, si svilupperà un ambiente favorevole alle idee marxiste. Dobbiamo tentare di raggiungere questi elementi nei diversi paesi con le idee e i metodi di Trotskij.
L’Internazionale di massa nascerà da queste forze che si svilupperanno nelle organizzazioni di massa. I grandi avvenimenti renderanno le nostre idee e la nostra politica più accessibili per questi strati, specialmente per i lavoratori. Raggiungere questi elementi sarà una parte importante del nostro lavoro nel futuro.
Gli avvenimenti renderanno aperti alle nostre idee anche gli elementi più
giovani e intelligenti delle altre tendenze che si richiamano al trotskismo.
Sarà una ripetizione della rivoluzione spagnola, ma con una crisi organica dello stalinismo e del riformismo, che gli avvenimenti faranno emergere. La classe operaia è molto più forte e la reazione internazionale è molto più debole e questo pone le basi di un’offensiva dei lavoratori. Dopo un periodo di sconfitta e reazione di un tipo o dell’altro, ma anche di importanti conquiste e vittorie, ci sarà un’ulteriore avanzata dei lavoratori e si aprirà la strada alla formazione di tendenze centriste di massa.
La rivoluzione russa si sviluppò in nove mesi soprattutto grazie alla forza del bolscevismo. La rivoluzione spagnola si sviluppò lungo sei o sette anni. Come ha dimostrato l’esperienza francese, il caso più probabile è un periodo protratto di rivoluzione, a causa della debolezza delle forze rivoluzionarie. Precisamente in questo processo prolungato si darà la possibilità di intervenire. Gli elementi rivoluzionari che si svilupperanno all’interno dei partiti centristi di massa cercheranno idee rivoluzionarie e politiche e metodi di lavoro coerenti.
Tuttavia una parte importante del lavoro internazionale consiste nella costruzione di una tendenza che possa svilupparsi in Gran Bretagna. Per questo la questione delle sedi, della stampa e dell’apparato assume un’importanza vitale, non solo per il lavoro nazionale, ma anche per quello internazionale. Il principale argomento del Segretariato unificato non è mai stata una critica teorica delle nostre idee, ma la denigrazione del nostro lavoro. Chi sono? Cosa hanno costruito? Sono incapaci di costruire una tendenza: questo principalmente è stato il veleno che hanno inoculato fra i loro compagni più giovani, soprattutto dietro le quinte. La costruzione di una tendenza forte e vitale in Gran Bretagna mostrerà in pratica non solo la correttezza delle nostre idee, ma anche i nostri metodi di lavoro e organizzazione. Le loro calunnie verranno confutate nella pratica. Il crollo del Revolutionary Communist Party fu un colpo per il movimento su scala nazionale e internazionale, che siamo ora sulla via di sanare.
Il bolscevismo crebbe a livello internazionale grazie alla vittoria della Rivoluzione d’ottobre. Questa dipendeva a sua volta dall’organizzazione del partito russo, così come dai principi teorici e dalla politica di Lenin e Trotskij. Ci troviamo di fronte un processo simile, naturalmente mantenendo le dovute proporzioni, nel quale dobbiamo superare la prova della storia e costruire una tendenza di massa.
Più che in qualsiasi altro periodo storico il terreno è pronto per esplosioni rivoluzionarie nei paesi sviluppati, non ultima la Gran Bretagna. Sulla base degli avvenimenti rivoluzionari, le idee verranno afferrate con entusiasmo da quei lavoratori che si avvicineranno al marxismo. In queste condizioni intervenire nelle situazioni rivoluzionarie in altri paesi può essere estremamente fruttuoso.
Da un certo punto di vista, siamo oggi più preparati che in passato per questo tipo di interventi poiché già ora abbiamo compagni che parlano le principali lingue europee. I loro servigi saranno indubbiamente sempre più richiesti nel prossimo periodo. Il problema tuttavia è anche di denaro e risorse. Abbiamo molte critiche verso il Swp americano, ma in base all’ondata rivoluzionaria che è ora ai suoi primi passi negli Stati Uniti, e seppure per ora principalmente fra gli studenti, è stato riferito che nella sola New York il Swp ha sessanta funzionari!
Per assolvere ai compiti minimi a livello nazionale e internazionale necessitiamo di almeno una decina di funzionari. Possiamo dire che con i nostri modesti successi, comincia la vera storia per la nostra tendenza; con una nostra tipografia, una sede e un apparato più forte, possiamo intraprendere la pubblicazione di analisi dettagliate delle politiche di altre tendenze, con lo scopo specifico di influenzare elementi di altri paesi. Possiamo avviare la pubblicazione non solo in inglese, ma anche in altre lingue, delle nostre analisi e documenti teorici. Possiamo condurre un lavoro serio. Pertanto il compito di riunire gli elementi che formeranno una nuova internazionale va mano nella mano con la costruzione della nostra tendenza.

 

maggio 1970

 

Nota

(1) Al Congresso mondiale del Segretariato unificato della Quarta Internazionale (Su) nel 1965, l’opposizione marxista criticò la seguente formulazione nel documento Lo scontro sino-sovietico e la situazione nel movimento comunista internazionale: “In Cina, la lotta contro la burocrazia ed il suo regime, e per la democrazia proletaria, non può vincere senza una massiccia lotta antiburocratica, sufficiente per produrre un cambiamento politico qualitativo nella forma politica di governo”.
Esigevamo di sapere se questo significasse o no che l’Internazionale riteneva necessaria la rivoluzione politica in Cina prima che si producesse un grande movimento verso il socialismo. Livio Maitan, a nome della maggioranza, rispose che la vecchia Segretaria Internazionale (Frank, Mandel, Pablo e lui stesso) riteneva che la rivoluzione politica non fosse necessaria, mentre il Swp americano riteneva di sì. La formulazione del documento era, dunque, “un compromesso”.
Il Socialist Workers Party americano, assieme a Healy e Lambert, aveva rotto con il Segreteriato internazionale della Quarta Internazionale nel 1953. Nel 1963 il Swp si riunificò nuovamente formando il Segretariato unificato della Quarta Internazionale. Pablo a sua volte ruppe col Su nel 1964.

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