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28 Agosto 2019Il 23 agosto 1939, 80 anni fa, veniva firmato il patto (definito di “non aggressione”) Molotov-Ribbentrop tra l’Unione Sovietica e la Germania nazista. Questo accordo ignobile, voluto da Stalin, disarmò i partiti della Terza internazionale nella loro propaganda e lasciò totalmente impreparata l’ Armata rossa (già fortemente indebolita dalle purghe dei Processi di Mosca) davanti alla guerra imminente.
Eppure in questi giorni tale patto Hitler-Stalin viene incredibilmente difeso da diversi “intellettuali” e gruppi neostalinisti.
Per ribadire la verità storica su questi fatti, ripubblichiamo qui ampi stralci di un capitolo de “Russia, dalla rivoluzione alla controrivoluzione” di Ted Grant, che sviluppa in maniera molto efficace un’analisi critica di quel periodo.
Ricordiamo che sul nostro sito teorico www.marxismo.net stiamo ripubblicando “Russia, dalla rivoluzione alla controrivoluzione”, una delle opere fondamentali di Ted Grant.
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La Seconda guerra mondiale fu in realtà la continuazione della Prima. L’imperialismo tedesco aveva bisogno di attuare una nuova divisione del mondo. Per dirla con Clausewitz, la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi violenti. Già dal 1931, Trotskij aveva previsto che, se Hitler fosse andato al potere, la Germania avrebbe dichiarato guerra all’Unione Sovietica. Nonostante l’entrata dell’Urss nella Società delle Nazioni (il “covo dei ladri”, per usare le parole di Lenin), gli sforzi diplomatici di Stalin per raggiungere un accordo con le “democrazie” occidentali non approdarono a nulla. Dopo l’accordo di Monaco nel 1938, e con il minimo sforzo, Hitler portò avanti l’Anschluss (riunificazione) con l’Austria, si annesse i Sudeti e poi occupò il resto della Cecoslovacchia nel marzo del 1939. Nel disperato tentativo di evitare una guerra con la Germania, Stalin fece un voltafaccia clamoroso e firmò un patto di non aggressione con Hitler il 23 agosto 1939. Il commissario degli esteri Maxim Litvinov (che era ebreo) fu sostituito con Vjaceslav Molotov.
“Nei fatti” – dichiarò Trotskij – “la firma del trattato con Hitler fornisce solo un altro metro con cui misurare il grado di degenerazione della burocrazia sovietica e il suo disprezzo per la classe operaia internazionale ed anche per il Comintern.”1
Insieme al Patto c’era un “Protocollo aggiuntivo segreto” nel quale la Polonia veniva divisa in sfere di influenza tedesca e sovietica e cessava di esistere come Stato unitario. Questa politica sarebbe stata imbarazzante per il partito comunista polacco, ma per fortuna di Stalin il Pc polacco era stato sciolto nel 1938 col pretesto che vi si erano infiltrati dei fascisti! Quasi tutti i suoi dirigenti, in esilio a Mosca, erano stati fucilati. Il 9 settembre 1939 il ministro degli esteri sovietico mandò il seguente messaggio all’ambasciatore nazista a Mosca:
“Ho ricevuto la vostra comunicazione riguardo l’entrata di truppe tedesche a Varsavia. Per cortesia mandate le mie congratulazioni e saluti al governo del Reich tedesco. Molotov”.
La Gran Bretagna e la Francia erano state disposte ad accettare la politica espansionista tedesca finché questa era diretta contro l’Urss, ma la spartizione della Polonia fra Germania e Urss diede il via alla guerra con queste potenze imperialiste.
Trotskij aveva previsto che la Seconda guerra mondiale avrebbe deciso il destino dell’Unione Sovietica; avrebbe portato o ad una rivoluzione politica vittoriosa contro il regime di Stalin o alla vittoria della controrivoluzione capitalista. La prima variante sarebbe stata conseguenza degli sconvolgimenti rivoluzionari provocati dalla guerra, come era successo nel 1917. La seconda si sarebbe avverata se le potenze capitaliste fossero riuscite a conquistare l’Urss. Queste previsioni furono vanificate dagli esiti inaspettati della guerra, che finì con la vittoria dell’Armata Rossa. Il processo della rivoluzione era stato molto più complicato di quanto anche il genio di Trotskij avesse previsto. L’ondata rivoluzionaria che seguì la guerra fu sviata dai dirigenti stalinisti e riformisti.
Nonostante le menzogne della stampa stalinista, che accusava Trotskij e i suoi sostenitori di essere agenti fascisti, egli non aveva affatto una posizione ostile all’Urss e nemmeno neutrale, nella guerra imperialista. Pur sostenendo l’idea della rivoluzione politica per rovesciare la burocrazia stalinista, avanzò la necessità della difesa incondizionata dell’Urss di fronte all’attacco imperialista. Alcuni dirigenti trotzkisti americani, in particolare Max Shachtman e James Burnham, sostenitori della teoria del “collettivismo burocratico”, presero posizione contro la difesa dell’Unione Sovietica. Riflettevano le pressioni dell’opinione pubblica piccolo borghese che si era rivoltata rapidamente contro Stalin dopo la firma del patto con Hitler. Burnham avrebbe presto abbandonato completamente il movimento trotzkista, proclamando nel suo libro The managerial revolution che il mondo si stava spostando verso una nuova forma di società dominata da una élite manageriale, di cui lo stalinismo, il nazismo e il New Deal erano semplicemente “differenti stadi di crescita” di “ideologie manageriali”.
Il 25 settembre 1939, un mese dopo la firma del Patto e l’inizio della Seconda guerra mondiale, Trotskij espresse la sua posizione in modo assolutamente chiaro:
“Ma supponiamo che Hitler rivolga le sue armi contro l’est ed invada i territori occupati dall’Armata Rossa. In queste circostanze i sostenitori della Quarta Internazionale, senza cambiare in nessun modo il loro atteggiamento verso l’oligarchia del Cremlino, metteranno in prima linea, come compito più urgente del momento, la difesa militare contro Hitler. I lavoratori diranno: «Non possiamo affidare a Hitler il compito di rovesciare Stalin; questo compito è nostro». Durante la lotta armata contro Hitler i lavoratori rivoluzionari faranno ogni sforzo per entrare nei rapporti più stretti e fraterni possibile con la base combattente dell’Armata Rossa. Mentre con le armi alla mano daranno colpi a Hitler, i bolscevichi-leninisti allo stesso tempo condurranno la propaganda rivoluzionaria contro Stalin preparando la sua caduta in una fase ulteriore, forse non lontana (…). Dobbiamo formulare le nostre parole d’ordine in modo che i lavoratori vedano chiaramente ciò che stiamo difendendo nell’Urss (la proprietà statale e l’economia pianificata) e contro chi stiamo conducendo la nostra lotta spietata (la burocrazia parassitaria e il suo Comintern). Non dobbiamo perdere di vista per un solo momento il fatto che la questione del rovesciamento della burocrazia sovietica è per noi subordinata a quella della conservazione della proprietà statale dei mezzi di produzione nell’Urss.”
Il patto Hitler-Stalin, che Trotskij aveva previsto fin dal 1934, fu senza dubbio un tradimento della classe operaia internazionale. Lo sdegno dei governi di Londra e Parigi fu però del tutto ipocrita. Chi studia i documenti diplomatici di questo periodo vedrà con un colpo d’occhio che la politica dell’imperialismo britannico e francese mirava ad isolare l’Unione Sovietica e a fare concessioni a Hitler a est (Cecoslovacchia) nella speranza che si dimenticasse di loro e attaccasse invece l’Urss. Sognavano una situazione in cui la Germania e l’Urss si esaurissero vicendevolmente, per poi intervenire e dominare entrambi. Stalin semplicemente li prevenne firmando l’accordo con Berlino, lasciando così a Hitler mano libera per impegnarsi invece a occidente.
Come regola generale, anche uno Stato operaio sano dovrebbe manovrare con i regimi capitalisti, utilizzando abilmente le contraddizioni esistenti fra di loro. Per evitare una guerra, può essere necessario firmare un accordo anche con il regime più reazionario, continuando contemporaneamente a sostenere ed incoraggiare il movimento per rovesciarlo. Era il caso, per esempio, del trattato di Brest-Litovsk nel 1918. Ma questa volta, in primo luogo, era stata la politica di Stalin a permettere a Hitler di arrivare al potere e di mettere l’Urss in grave pericolo. In secondo luogo, il modo con cui Stalin portò avanti la sua politica non aveva assolutamente nulla in comune con i metodi internazionalisti di Lenin.
Ancora una volta la classe operaia internazionale veniva sacrificata in nome dei ristretti interessi nazionali della burocrazia russa. Inoltre, come vedremo, questa tattica non salvò l’Unione Sovietica, ma la mise solamente in un pericolo ancora più grave.
Ilja Ehrenburg nelle sue memorie ricorda la propria sorpresa quando, al suo ritorno a Mosca dalla Francia, scoprì che ogni riferimento critico ai nazisti era censurato e che gli era richiesto di tenere conferenze nei locali dell’ambasciata tedesca. Nulla si diceva sulle atrocità dei nazisti. Il commercio con la Germania era in espansione e a tutti veniva dato ad intendere che i rapporti con Berlino erano buoni e amichevoli.3 Dall’autunno del 1939 ci fu una sospensione totale della propaganda antifascista da parte dell’Urss. La Francia e la Gran Bretagna ora divennero i nemici. Come disse Molotov:
“Durante gli ultimi mesi concetti come «aggressione» e «aggressore» hanno acquistato un nuovo contenuto concreto, hanno assunto un altro significato (…). Ora (…) è la Germania che sta facendo degli sforzi per terminare rapidamente la guerra, mentre l’Inghilterra e la Francia, che solo ieri facevano campagna contro l’aggressione, sono per la guerra e contro la conclusione di una pace. I ruoli, come vedete, cambiano (…). Così non solo non ha senso, è criminale fare una simile guerra, come guerra per «la distruzione dell’hitlerismo», sotto la bandiera falsa della democrazia.”4
Stalin e la sua cricca arrivarono agli estremi più incredibili per ingraziarsi Berlino. Il seguente estratto dal diario di un diplomatico tedesco, che descrive il banchetto che ha celebrato la firma del patto, mostra fino a che punto era disposto ad andare Stalin per conciliarsi Hitler:
“Brindisi: nel corso della conversazione, il signor Stalin ne propose spontaneamente uno al Führer, dicendo: «So quanto la nazione tedesca ami il suo Führer; avrei piacere dunque di bere alla sua salute». Il signor Molotov bevve alla salute del ministro degli esteri del Reich e dell’ambasciatore, il Conte Von der Schienburg. Il signor Molotov alzò il suo bicchiere brindando a Stalin, osservando che era stato quest’ultimo – con il suo discorso di marzo di quest’anno che era stato ben compreso in Germania – a determinare un’inversione nei rapporti politici. I signori Molotov e Stalin bevvero ripetutamente al Patto di non aggressione, alla nuova era di relazioni russo-tedesche e alla nazione tedesca. Il ministro degli esteri del Reich (Ribbentrop) a sua volta propose un brindisi al signor Stalin, brindisi al governo sovietico e per uno sviluppo positivo dei rapporti fra la Germania e l’Unione Sovietica (…) Mosca, 24 agosto 1939. Hencke [un diplomatico nazista].”5
Questo va ben oltre quello che sarebbe permissibile ad un autentico governo leninista che, con l’obiettivo di autodifesa, conduce trattative con un regime straniero reazionario. Ma il peggio doveva ancora venire. Per mostrare la sua “buona volontà” Stalin consegnò combattenti antifascisti tedeschi, ebrei e comunisti alle tenere cure della Gestapo. Almeno una di loro, Margaret Buber-Neumann, sopravvisse per miracolo e scrisse un libro dove paragonava i campi di concentramento di Stalin con quelli di Hitler. Lavrentij Beria, ministro degli interni, diede persino un ordine segreto all’amministrazione dei gulag vietando alle guardie di dare del fascista ai prigionieri politici! Questo fu abrogato solo dopo l’invasione di Hitler dell’Urss nel 1941. Tutto ciò non preparava in nessun modo il popolo sovietico e i lavoratori del mondo al terribile conflitto che doveva giungere.
In quella che fu chiaramente una mossa per difendere i suoi confini occidentali, l’Unione Sovietica agì rapidamente per annettere l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, la Bessarabia e la Bukovina settentrionale. Ma non riuscì a prendere la Finlandia in una campagna militare disastrosa che rivelò al mondo intero come l’Armata Rossa si fosse indebolita con le purghe. Hitler prese nota di questo fatto e lo commentò ai suoi generali; si stava già preparando per attaccare l’Urss. Stalin però si rifiutò di ammetterne anche solo la possibilità e continuò ad agire in collusione con la Germania. Quando Hitler marciò sulla Jugoslavia, Stalin chiuse le ambasciate di Jugoslavia, Grecia e Belgio, segnalando così la sua approvazione alle autorità tedesche. Quando la Germania invase la Francia nel 1940, Stalin era convinto che le sue manovre avessero indotto Hitler ad occuparsi dell’occidente invece di attaccare l’Unione Sovietica. Molotov mandò persino le sue congratulazioni al Führer! A tutte le sezioni del Comintern fu ordinato di seguire la stessa linea. Questa politica portò i dirigenti del partito comunista francese a sperare in una esistenza legale con la possibilità di pubblicare L’Humanité nella Francia occupata. Tale speranza fu dissipata quando i militanti di base del partito comunista furono arrestati e fucilati in massa. Nel frattempo la Pravda citava dichiarazioni della stampa nazista per cui l’accordo con la Russia aveva permesso alla Germania “di sviluppare con successo la sua offensiva in occidente”.6
La cricca del Cremlino pensava veramente di potersi mettere comoda e godersi lo spettacolo di una guerra fra Germania e Gran Bretagna. Avendo abbandonato ogni traccia di prospettiva internazionalista rivoluzionaria, era ebbra di illusioni, mentre Hitler le stava preparando un colpo devastante. Questo disarmò l’Unione Sovietica di fronte al suo nemico più terribile. Dallo scoppio della Seconda guerra mondiale fino al giugno 1941 quando Hitler attaccò la Russia, ci fu un grande incremento di esportazioni sovietiche verso la Germania nazista. Fra il 1938 e il 1940 queste crebbero da 85,9 milioni di rubli a 736,5 milioni, aiutando molto lo sforzo bellico di Hitler.
Conseguenze delle Purghe
Nel 1941, l’Urss era in condizioni molto difficili per affrontare una guerra. Le epurazioni staliniste avevano sterminato la maggioranza dei generali, compresi gli ufficiali più capaci. Il danno non si limitava al potenziale militare dell’Urss; rappresentava anche un colpo terribile per l’economia. Questo oggi è riconosciuto anche da coloro che allora giustificarono le purghe e tutto l’operato di Stalin. Uno studio pubblicato all’epoca dall’Università di Yale attirò l’attenzione sugli effetti dannosi delle purghe sull’economia sovietica. Questo venne riportato senza commento nel quotidiano del Partito comunista della Gran Bretagna nei primi anni ’80:
“Inoltre, nelle purghe del 1937-38 molti dei più abili amministratori e scienziati dell’industria chimica furono incarcerati e condannati”, scrive Robert Amann. “Per coloro che non le subirono direttamente, le purghe ebbero un effetto inibitorio. Le sanzioni per l’insuccesso erano così estreme che le decisioni che comportavano rischio, novità e iniziativa personale venivano evitate a tutti i costi.”
“Sarebbe difficile esagerare il livello a cui questi atteggiamenti prolungati abbiano esercitato un effetto deterrente sullo sviluppo a lungo termine dell’industria chimica e su altre industrie sovietiche” Né erano immuni le industrie per la difesa: “Per quanto la politica di Stalin avesse costruito una potenza sovietica militare e industriale, le purghe e la repressione degli anni ’30 indebolirono in grande misura la capacità dell’Unione Sovietica di difendersi”, scrive David Holloway.7
Il fattore principale che minò la capacità dell’Armata Rossa di combattere all’inizio della guerra fu l’eliminazione, attraverso le purghe, dei suoi generali e dei suoi migliori quadri. La Rivoluzione d’Ottobre aveva messo in luce tanti giovani ufficiali di talento, alcuni dei quali, come Tuchacevskij, Jakir e Gamir, furono dei pensatori brillanti e originali in materia di teoria militare. Pochi sanno che la teoria della Blitzkrieg (la “guerra lampo”) non fu un’invenzione tedesca; la Wehrmacht la copiò dai sovietici. Ben prima dello scoppio delle ostilità, quando i generali degli eserciti britannici e francesi erano ancora convinti che la successiva guerra sarebbe stata di posizione come la Prima guerra mondiale, il genio di Tuchacevskij lo portò a concludere che la Seconda guerra mondiale si sarebbe combattuta con i carri armati e gli aeroplani. Quando Tuchacevskij e i suoi compagni furono assassinati nelle purghe, vennero sostituiti da compagnoni di Stalin della risma di Voroscilov, Timoscenko e Budjonnij, che pensavano che la guerra successiva si sarebbe combattuta con la cavalleria! Voroscilov, uomo inetto e mediocre, fu messo a capo del Commissariato della difesa, circondato da altri della stessa categoria. Queste creature di Stalin venivano promosse non per le loro capacità personali, ma per la loro lealtà servile alla cricca dominante.
L’ex generale Grigorenko, in servizio all’epoca come professore all’accademia militare sovietica centrale, ricorda gli effetti disastrosi delle purghe sulla qualità dell’addestramento militare:
“Non appena l’accademia intraprese i primi passi incerti, il processo truccato a Tuchacevskij, Uborevic, Jakir e altri gettò il sospetto su tutte le cose progettate da Tuchacevskij. Stalin vedeva l’accademia come un «centro anti-stalinista» e cominciarono i pogrom. Gli arresti iniziarono nel 1936. Il corpo di docenti altamente qualificati, messo insieme da Tuchacevskij, fu quasi del tutto annientato.
Le cariche vennero prese da gente senza talento e senza esperienza. A sua volta qualcuno dei nuovi docenti venne arrestato, il che spaventò i restanti e li lasciò con poco entusiasmo per il loro nuovo lavoro. I testi che erano stati scritti dai «nemici del popolo», i primi insegnanti, ora non si potevano usare. Nuovi docenti scrissero prospetti di ognuna delle loro lezioni, ma temendo di essere accusati di offrire idee ostili a Stalin, riempirono le loro lezioni dei dogmi del momento.” E aggiunge: “La teoria della «battaglia in profondità» sviluppata da Tuchacevskij, Jegorov, Uborevic e Jakir, venne messa da parte.”8
Tutto questo venne ammesso da Kruscev nel 1956:
“Si ebbero conseguenze molto penose, specialmente per quanto riguarda l’inizio della guerra, a causa dell’eliminazione di molti comandanti militari e commissari politici compiuta da Stalin nel periodo 1937-1941, dovuta ai sospetti da lui nutriti e attraverso accuse calunniose. Durante questi anni vennero esercitate repressioni nei confronti di alcuni settori dei quadri militari, partendo letteralmente dal livello dei comandanti di compagnia e battaglione per giungere ai comandi più elevati; durante questo periodo il quadro dei comandanti che avevano acquistato una certa esperienza militare in Spagna e nell’Estremo Oriente fu quasi completamente distrutto.
La politica delle repressioni su vasta scala negli ambienti militari minò anche la disciplina visto che per molti anni si insegnò agli ufficiali di ogni grado e anche ai soldati, nelle cellule del partito e del Komsomol, a «smascherare» i superiori come nemici nascosti (brusio nell’aula). È naturale che ciò esercitasse un’influenza negativa sull’efficienza della disciplina militare nel primo periodo della guerra.
Prima della guerra, come ben sapete, noi possedevamo degli ottimi quadri militari che erano, senza alcun dubbio, fedeli al partito e alla patria. Basterà dire che quelli che riuscirono a sopravvivere, nonostante le tremende torture loro inflitte nelle carceri, si sono dimostrati fin dai primi giorni della guerra veri patrioti ed hanno combattuto eroicamente per la gloria della patria; penso a compagni come Rokossovskij, che, come ben sapete, era stato imprigionato, come Gorbatov, Marecov, oggi delegato al nostro Congresso, Podlas, comandante di prim’ordine che perì al fronte, e molti, molti altri.
Ma un gran numero di essi perì in campi di concentramento e in prigione e l’esercito non li vide più nelle sue file.
Tutto ciò provocò la situazione esistente al principio della guerra, che costituì un grave pericolo per la patria.”9
Ci sono ancora molti malintesi sulla Seconda guerra mondiale, in particolare per quanto riguarda il ruolo di Stalin. Secondo Alec Nove (di solito un commentatore piuttosto avveduto sull’Urss),
“la Germania era una potenza gigantesca assai più forte della Russia, essa aveva inoltre a sua disposizione le industrie dell’Europa occupata. I suoi eserciti erano ben equipaggiati e l’attrezzatura era stata provata sul campo di battaglia. Nonostante gli sforzi molto più grandi e i sacrifici nei decenni precedenti, l’Unione Sovietica si trovava, sia economicamente, sia militarmente, in svantaggio.”10
In realtà all’epoca dell’attacco nazista all’Unione Sovietica, la potenza di fuoco combinata dell’Armata Rossa era maggiore di quella della Wehrmacht. Eppure, le forze sovietiche furono rapidamente accerchiate e decimate. Questa catastrofe senza precedenti non era il risultato di una debolezza oggettiva, ma di una cattiva direzione. Dopo aver distrutto i migliori quadri dell’Armata Rossa, Stalin ripose una grande fiducia nella sua “furbesca” manovra con Hitler ignorando numerosi rapporti secondo i quali i tedeschi si stessero preparando ad attaccare.
La zona fortificata di Minsk, una potente linea difensiva che era stata costruita sul confine occidentale dell’Urss in previsione di un attacco tedesco, fu addirittura demolita su ordine di Stalin, presumibilmente come atto di fiducia nei confronti di Berlino. Grigorenko, che aveva lavorato prima della guerra nella costruzione di queste fortificazioni, descrive il suo sentimento di indignazione quando vennero distrutte:
“[Queste] fortificazioni dovevano difendere in modo efficace lo spiegamento dei gruppi d’assalto e impedirne la dispersione da parte del nemico. Quando l’esercito attaccava, le zone fortificate dovevano sostenere le truppe con la potenza di fuoco. Invece, le nostre zone fortificate occidentali non svolsero nessuno di questi compiti. Sono saltate in aria senza aver fatto fuoco neppure una volta contro il nemico.
Non so come gli storici futuri motiveranno questo crimine contro il nostro popolo. Gli storici contemporanei lo ignorano e io stesso non riesco a spiegarlo. Il governo sovietico ha spremuto miliardi di rubli (secondo i miei calcoli non meno di 120 miliardi) dal popolo per costruire fortificazioni inespugnabili lungo tutto il confine occidentale dal Mar Baltico fino al Mar Nero. Poi, proprio prima della guerra, nella primavera del 1941, potenti esplosioni rimbombano lungo tutti i 1200 chilometri di lunghezza di queste fortificazioni. Su ordine di Stalin in persona, caponiere e semi-caponiere di cemento armato, fortificazioni con una, due o tre feritoie, posti di comando e di osservazione – decine di migliaia di fortificazioni permanenti – sono saltate in aria. Il piano Barbarossa di Hitler non poteva ricevere regalo migliore.”11
Se non fosse stato per le azioni criminali di Stalin, l’Urss non sarebbe stata colta di sorpresa dal feroce assalto tedesco, come ha ammesso Kruscev:
“Avevamo il tempo e il modo di fare questi preparativi? Sì, avremmo avuto tempo e modo. Lo sviluppo della nostra industria era già tale da poter fornire all’esercito sovietico tutto ciò di cui aveva bisogno. E ciò è provato dal fatto che, sebbene durante la guerra avessimo perduto quasi la metà delle nostre industrie e alcune regioni particolarmente importanti per la produzione alimentare e industriale (come conseguenza dell’occupazione nemica dell’Ucraina, del Caucaso settentrionale e di altre zone occidentali del paese), la nazione sovietica poté tuttavia organizzare la produzione degli equipaggiamenti militari nelle regioni orientali del paese, installandovi le attrezzature trasportate dalle zone industriali dell’ovest, e poté altresì fornire alle nostre forze armate tutto quello che era loro necessario per distruggere il nemico.
Se la nostra industria fosse stata mobilitata adeguatamente e tempestivamente per assicurare all’esercito i materiali necessari, le nostre perdite del periodo bellico sarebbero state decisamente inferiori. Questa mobilitazione, peraltro, non ebbe un inizio tempestivo. Già nei primi giorni di guerra risultò evidente che l’armamento del nostro esercito era scadente e che non disponevamo di artiglierie, carri armati e aeroplani sufficienti per respingere il nemico.
La scienza e la tecnologia sovietiche avevano prodotto, prima della guerra, ottimi modelli di carri armati e di pezzi di artiglieria. Ma la loro produzione in massa non era stata organizzata e in definitiva noi cominciammo a modernizzare il nostro equipaggiamento militare soltanto in tempo di guerra. Di conseguenza, al momento dell’invasione nemica del paese dei soviet, non disponevamo di quantitativi sufficienti né dei vecchi macchinari che non venivano più usati per la produzione degli armamenti, né dei nuovi macchinari che si era progettato di impiegare in detta produzione.
La situazione per quanto riguardava l’artiglieria antiaerea era particolarmente grave; non avevamo neppure organizzato la produzione di munizioni anticarro. Molte regioni dotate di fortificazioni si erano rivelate indifendibili non appena attaccate, perché le vecchie armi erano state ritirate e le nuove non erano ancora a disposizione dei difensori.
Ciò riguardava, purtroppo, non solo i carri armati, le artiglierie e gli aeroplani. Allo scoppio della guerra non avevamo neppure un numero sufficiente di fucili per armare le truppe mobilitate. Ricordo che in quei giorni telefonai da Kiev al compagno Malenkov e gli dissi: «La gente si presenta volontaria per il nuovo esercito e chiede armi. Dovete mandarci armi.» Ma Malenkov mi rispose: «Non possiamo mandarvi armi. Stiamo mandando tutti i nostri fucili a Leningrado e voi dovrete armarvi come potete» (reazione nell’aula).
Questa, dunque, era la situazione degli armamenti.”12
Nonostante il fatto che la potenza di fuoco complessiva dell’Armata Rossa fosse maggiore di quella dei tedeschi, le purghe l’avevano di fatto paralizzata. Questo fu l’elemento decisivo che persuase Hitler ad attaccare nel 1941. Al processo di Norimberga, il maresciallo Keitel testimoniò che molti generali tedeschi avevano sconsigliato ad Hitler di attaccare la Russia, sostenendo che l’Armata Rossa fosse un avversario formidabile. Hitler respinse questi avvertimenti e ne spiegò a Keitel la ragione principale: “Gli alti ufficiali di prima classe sono stati spazzati via da Stalin nel 1937, e la nuova generazione non può ancora fornire i cervelli di cui avrebbero bisogno”. Il 9 gennaio 1941 Hitler disse in una riunione dei generali che pianificavano l’attacco alla Russia: “Non hanno dei buoni generali”.13
“La nostra sconfitta iniziale” scrive Grigorenko “fu causata da quelli che stavano nelle posizioni più alte. Migliaia di comandanti capaci dell’esercito erano stati epurati, i nostri aeroporti di confine erano scarsamente sviluppati, avevamo una difesa antiaerea insufficiente, le nostre unità corazzate e di difesa anticarro erano state bruscamente ridotte (al capriccio di Stalin) immediatamente prima della guerra, le nostre zone fortificate erano saltate in aria, e le nostre truppe erano state addestrate per tempo di pace. Non eravamo pronti. Abbiamo pagato per questa impreparazione sia durante che dopo la guerra. Ho indicato Stalin come colpevole principale, ma ho anche parlato di Voroscilov, Timoscenko, Golokov, e Zukov. Non dobbiamo addossare la colpa delle nostre mancanze ai fascisti, ma a noi stessi.”14
“Per gli archivi”
Nel giugno del 1941 Hitler aveva già spostato enormi risorse militari sul confine sovietico. Quattro milioni di soldati tedeschi furono ammassati sul confine, pronti per l’invasione. C’erano anche 3.500 carri armati, circa 4000 aeroplani e 50.000 cannoni e mortai. Si tentò di mantenere segreta questa mobilitazione, ma, vista la sua dimensione, furono trasmessi al governo sovietico numerosi rapporti dalle unità di confine, dai servizi segreti sovietici, persino da ufficiali del governo britannico. Stalin si rifiutò di agire sulla base di questi rapporti; al contrario li catalogò “Per gli archivi”, e “da archiviare”. Tutto questo fu confermato dal Generale Zukov nel suo libro Ricordi e riflessioni.
“Quando il comando militare sovietico chiese il permesso di allertare le truppe sovietiche, Stalin rifiutò. Si rifiutava di credere che Hitler avrebbe invaso l’Urss.”
“Gli aeroplani tedeschi facevano incursioni sempre più frequenti nello spazio aereo sovietico,” racconta il Maresciallo dell’Aeronautica A. Novikov, “ma non ci fu permesso di fermarli”.15
Nel suo discorso al XX Congresso del Pcus, Kruscev fece sapere che il 3 aprile 1941 Churchill, attraverso il suo ambasciatore in Urss, il ministro britannico Stafford Cripps, avvertì personalmente Stalin che i tedeschi avevano cominciato a disporre le loro unità armate per sferrare l’attacco all’Unione Sovietica. Churchill afferma nei suoi scritti di aver cercato di “avvertire Stalin e richiamare la sua attenzione sul pericolo che lo minacciava”. Churchill ribadì questo avvertimento a più riprese, nei suoi messaggi del 18 aprile e dei giorni seguenti.
“Tuttavia”, dice Kruscev, “Stalin non tenne conto di questi avvertimenti. Non solo, ma ordinò che non si accordasse alcun credito a informazioni di questo genere, per non provocare l’inizio di operazioni militari.
Va precisato che tali informazioni riguardanti la minaccia di un’invasione armata del territorio sovietico da parte tedesca venivano anche dalle nostre fonti diplomatiche e militari; senonché, dato che il capo supremo era prevenuto contro tali informazioni, le notizie venivano trasmesse con timore e valutate con riserva.
Così, per esempio, una comunicazione inviata il 6 maggio 1941 dall’addetto militare sovietico a Berlino, capitano Vorontsov, diceva: «Il cittadino sovietico Bozer… ha informato il vice addetto navale che, secondo una dichiarazione fatta da un ufficiale tedesco appartenente al quartier generale di Hitler, la Germania si prepara ad invadere l’Urss il 14 maggio attraverso la Finlandia, i Paesi Baltici e la Lettonia. Contemporaneamente, Mosca e Leningrado saranno sottoposte a bombardamenti massicci e truppe di paracadutisti saranno lanciate nelle città di confine».
Nella sua relazione del 22 maggio 1941, poi, Klopov, viceaddetto militare a Berlino, comunicava che «… l’attacco dell’esercito tedesco è presumibilmente fissato per il 15 giugno, ma non è da escludere che possa avere inizio ai primi di giugno…»
Un cablogramma della nostra ambasciata di Londra in data 18 giugno 1941 diceva: «Cripps è ormai profondamente convinto dell’inevitabilità di un conflitto armato fra la Germania e l’Urss che avrà inizio non più tardi della metà di giugno. Secondo Cripps, i tedeschi hanno attualmente concentrato lungo i confini sovietici 147 divisioni (comprese le unità aeree e quelle addette ai servizi logistici)…»
Nonostante questi avvertimenti di particolare gravità, non furono compiuti i passi necessari per preparare adeguatamente il paese alla difesa e impedire che venisse colto alla sprovvista.”16
E ancora:
“A questo riguardo, non possiamo dimenticare, per esempio, il fatto seguente: poco tempo prima dell’invasione dell’Unione Sovietica da parte dell’esercito hitleriano, Korponos, che era capo del distretto militare speciale di Kiev (e che in seguito morì al fronte), scrisse a Stalin che gli eserciti tedeschi erano sul fiume Bug, che preparavano un attacco e che in un futuro assai prossimo avrebbero probabilmente dato il via all’offensiva. A questo proposito Korponos sosteneva la necessità di organizzare un forte sistema difensivo che prevedesse l’evacuazione di 300mila persone dalle zone di confine e la costruzione di fossati anticarro, trincee per i soldati ecc.
Mosca rispose a questo suggerimento affermando che ciò avrebbe costituito una provocazione, che alle frontiere non si doveva intraprendere alcun preparativo di carattere difensivo e che ai tedeschi non si doveva offrire alcun pretesto per iniziare un’azione militare contro di noi. Pertanto, le nostre frontiere non furono munite a sufficienza per respingere il nemico.
Quando gli eserciti fascisti invasero effettivamente il territorio sovietico e le operazioni militari ebbero inizio, Mosca impartì l’ordine di non rispondere al fuoco dei tedeschi. Perché? Perché Stalin, nonostante l’evidenza dei fatti, riteneva che la guerra non fosse ancora cominciata, che si trattasse soltanto di un atto di provocazione da parte di alcuni reparti indisciplinati dell’esercito tedesco e che una nostra reazione avrebbe potuto servire come pretesto ai tedeschi per iniziare la guerra.
È noto un altro fatto: all’epoca dell’invasione del territorio dell’Unione Sovietica da parte dell’esercito hitleriano, un cittadino tedesco attraversò la nostra frontiera e disse che l’Armata nazista aveva ricevuto l’ordine di iniziare l’offensiva contro l’Urss nella notte del 22 giugno alle ore 3. Stalin ne fu informato immediatamente, ma anche questo avvertimento rimase inascoltato.
Come vedete, veniva ignorato tutto; gli avvertimenti di taluni capi militari, le dichiarazioni di disertori dell’esercito nemico e perfino l’apertura delle ostilità da parte del nemico. Era forse una prova di responsabilità quella che veniva fornita dal capo del partito e dello Stato in un momento di così grande importanza storica? Quali furono i risultati di questo atteggiamento di indifferenza, di questo disprezzo per l’evidenza dei fatti? Ne risultò che fin dalle prime ore e dai primi giorni il nemico aveva distrutto gran parte della nostra aeronautica, dell’artiglieria e di altre attrezzature militari nelle regioni di frontiera, annientato gran parte dei nostri quadri militari e gettato nello scompiglio i nostri comandi. Non fu possibile quindi impedire al nemico di avanzare in profondità nel paese.”17
Sembra incredibile, ma non c’erano piani di difesa nel caso di un attacco tedesco. Molti carri armati sovietici erano senza uomini. Persino quando Hitler lanciò realmente la sua offensiva, Stalin ordinò all’Armata Rossa di non resistere. Così, le potenti forze armate sovietiche vennero paralizzate nelle prime, cruciali, 48 ore. L’Aviazione rossa fu distrutta a terra. A causa di questa confusione e paralisi al vertice, ampie distese di territorio vennero perse nelle prime settimane. Milioni di soldati sovietici furono catturati quasi senza resistenza. Con una direzione adeguata non c’è dubbio che gli invasori tedeschi avrebbero potuto essere respinti in Polonia all’inizio della guerra. Hitler avrebbe potuto subire un sconfitta decisiva fin dal 1941. La guerra si sarebbe potuta portare a termine molto prima, evitando le perdite orrende subite dalla Bielorussia, dalla Russia occidentale e dall’Ucraina. L’incubo patito dai popoli dell’Urss fu la diretta conseguenza della politica irresponsabile di Stalin e della sua cricca.
Stalin temeva la guerra con la Germania, perché temeva che questa avrebbe portato al suo rovesciamento. Aveva particolarmente paura dall’esercito. Dopo la disastrosa campagna finlandese del 1939-41, ordinò la liberazione di migliaia di ufficiali che erano stati incarcerati nelle purghe, ma Medvedev mette in evidenza come ancora “nel 1942, Stalin ordinava la fucilazione nei campi di un gran numero di ufficiali di spicco; li considerava una minaccia per se stesso nel caso di sviluppi sfavorevoli sul fronte sovietico-tedesco”.18
Dopo la guerra, si fecero sforzi energici per diffondere il mito di Stalin come di un “grande stratega”. Questo non resiste al minimo esame. Abbiamo già visto come la politica di Stalin avesse lasciato l’Unione Sovietica alla mercé di Hitler. Quando Hitler l’invase, i dirigenti sovietici furono colti di sorpresa. Inizialmente Stalin fu colto dal panico e non volle parlare con nessuno; le sue mosse portavano alla capitolazione. Ciononostante egli si fregiò in seguito del titolo di “Generalissimo” e abbellì il proprio ruolo nella Grande Guerra Patriottica. La vera situazione fu espressa da Kruscev nei termini seguenti:
“Sarebbe un errore dimenticare che, dopo i primi gravi disastri e dopo le disfatte al fronte, Stalin pensava che fosse giunta la fine. In un suo discorso tenuto in quei giorni egli disse: «Abbiamo perduto per sempre tutto quello che Lenin aveva creato». Successivamente, per un lungo periodo, Stalin non diresse più le operazioni militari e cessò qualsiasi attività. Egli riprese la direzione attiva solo quando alcuni membri del Politburo si recarono da lui per dirgli che era necessario prendere alcune misure immediate per migliorare la situazione al fronte.
Il pericolo che minacciava la patria nel primo periodo della guerra fu quindi dovuto in gran parte ai metodi errati usati da Stalin sia nel dirigere il paese che il partito.
Questa situazione non rimase circoscritta solo al momento in cui iniziò la guerra provocando una grave disgregazione nell’esercito e gravi perdite al paese. Anche a guerra già incominciata, il nervosismo e l’isteria con cui Stalin interferiva nelle operazioni militari causarono gravi danni al nostro esercito.
Stalin era ben lontano dal comprendere la vera situazione che si era creata al fronte e ciò era naturale perché, durante l’intera durata della guerra patriottica, non visitò mai un settore del fronte o una città liberata, se si eccettua una breve passeggiata in macchina sull’autostrada Mozojsk, in un periodo in cui la situazione al fronte si era stabilizzata. A questo episodio accidentale furono dedicate molte opere letterarie piene di fantastici racconti di ogni genere e un numero infinito di quadri.
Mi permetterò, a tale proposito, di ricordare un fatto caratteristico che dimostra in che modo Stalin dirigesse le operazioni sul fronte. È qui presente al nostro Congresso il maresciallo Bagramjan che, nella sua qualità di ex capo delle operazioni al quartier generale del fronte sud-occidentale, potrà confermare quanto sto per dirvi.
Si venne a creare nel 1942 una situazione eccezionalmente grave per il nostro esercito nella regione di Karkov ed avevamo opportunamente deciso di rinunciare ad una operazione che si proponeva come obiettivo l’accerchiamento di Karkov, visto che la situazione esistente in quel momento avrebbe portato a conseguenze fatali per il nostro esercito qualora l’operazione fosse stata proseguita. Comunicammo ciò a Stalin, precisando che la situazione richiedeva dei mutamenti nei piani operativi onde impedire al nemico di eliminare una fetta importante del nostro esercito. Contro ogni logica, Stalin respinse il nostro suggerimento e ordinò che fosse eseguita l’operazione per l’accerchiamento di Karkov, nonostante molti gruppi dell’esercito fossero in quel momento essi stessi minacciati di accerchiamento e quindi di eliminazione.
Telefonai a Vasilevskij e gli chiesi: «Aleksander Mikajlovic, prendete una carta – Vasilevskij è oggi presente – e spiegate al compagno Stalin la situazione che si è venuta a creare». Bisogna tener presente che Stalin preparava le operazioni su un mappamondo. (Animazione nella sala). Sì, compagni, egli segnava la linea del fronte su un mappamondo.”19
Centinaia di migliaia di soldati sovietici furono catturati nei primi giorni della guerra. Le perdite subite in seguito dall’Armata Rossa furono pesantemente aggravate dall’insistenza di Stalin negli attacchi frontali senza considerare il costo in termini di vite umane. Quando l’Armata Rossa contrattaccò alla fine del 1941, invece di aggirare il nemico con manovre tattiche Stalin ordinò la cattura di un villaggio dopo l’altro.
“Tutto questo ci costò enormi perdite” spiega Kruscev, “fino a quando i nostri generali, sulle cui spalle ricadeva tutto il peso dello svolgimento della guerra, non riuscirono a rovesciare la situazione e a passare a operazioni più flessibili, le quali provocarono immediatamente sul fronte importanti mutamenti in nostro favore.”20
Alla fine del novembre 1941, l’Urss aveva perso dei territori in cui si produceva il 63% del carbone, il 68% della ghisa, il 58% dell’acciaio, il 60% dell’alluminio, l’84% dello zucchero, il 38% del grano e dove si allevava il 60% dei maiali e si trovava il 41% delle linee ferroviarie. Alcune grosse città, la più importante Leningrado, furono isolate. Di conseguenza divennero inaccessibili enormi riserve di materie prime e di macchinari e molto altro fu messo a rischio dalla veloce avanzata tedesca. Di fronte alla prospettiva di una imminente sconfitta e di un rovesciamento, Stalin sostituì di malavoglia i suoi burattini incompetenti con altri comandanti più abili:
“Dopo aver subìto la minaccia della perdita del potere e della vita stessa, Stalin comprese che aveva bisogno di specialisti per condurre con successo la guerra, e andò a cercarli persino fra quelli che aveva arrestato. Alcuni uomini vennero scarcerati e mandati ai posti di comando: Rokossovskij e Gorbatov, fra gli altri; ma questo, naturalmente, non risolse del tutto il problema. Era impossibile riparare con qualche mattone la breccia aperta nella direzione delle forze armate dalla folle attività terroristica di Stalin.”21
Inizia la riscossa
In mezzo alla guerra si organizzò rapidamente un nuovo Stato maggiore. La nuova generazione di generali sovietici venne formata sotto il fuoco, e si basava sui sottufficiali che erano stati educati nelle tradizioni della Rivoluzione d’Ottobre e della guerra civile. I Voroscilov e i Budjonnij furono messi in disparte senza clamori. Uomini che erano stati arrestati durante le purghe vennero scarcerati per subentrare nella direzione dell’Armata Rossa. Questi ufficiali di talento, che erano il prodotto della scuola rivoluzionaria del genio militare di Tuchacevskij, condussero l’Armata Rossa nella più spettacolare delle avanzate di tutta la storia. Così, non solo nella sfera economica, ma anche sul terreno del talento militare, la rivoluzione mostrò di cosa fosse capace. Basta paragonare l’azione dell’Armata Rossa con quella delle forze zariste nel 1914-17 per vedere la differenza. La vittoria brillante dell’Urss nella guerra fu, in sé, la conferma più incontestabile della superiorità dell’economia nazionalizzata e pianificata sull’anarchia capitalista.
Dopo essersi mosso con riluttanza all’inizio, il governo sovietico spostò risorse umane e materiali su scala gigantesca. Dal luglio al novembre 1941, non meno di 1.523 imprese industriali, di cui 1.360 di grande dimensione, furono smantellate e allontanate dalle zone minacciate. Questa fu una mossa brillante, senza paragone nella storia delle guerre. Con l’avanzata tedesca, decine di milioni di persone furono trasferite verso est. L’economia sovietica tuttavia subì un colpo pesante. Nel novembre 1941 oltre trecento fabbriche d’armamenti caddero nelle mani dei tedeschi. Nello stesso anno, 1941, la produzione industriale arrivò solo al 51,7 per cento di quella del novembre 1940. Fra il 1940 e il 1942 ci fu un enorme crollo della produzione: quella di ghisa (in milioni di tonnellate) passò da 14,9 a 4,8; quella di acciaio da 18,3 a 8,1; la produzione dei prodotti laminati da 13,1 a 5,4; del carbone da 165,9 a 75,5; del petrolio da 31,1 a 22,0; e dell’elettricità (in miliardi di Kw) da 48,3 a 29,1.
Nel 1942 i tedeschi occuparono il nord del Caucaso e il bacino del Don, sottraendo all’Urss la più importante riserva di grano rimasta e il giacimento petrolifero di Maikop, e venne a mancare per un certo tempo il petrolio di Baku di importanza fondamentale. I raccolti vennero devastati. Solo nel marzo del 1942 – nonostante continuassero le sconfitte e le ritirate – la produzione mostrò una tendenza stabile al miglioramento.
Engels osservò che in un’economia d’assedio le leggi del capitalismo non sono più applicabili. In situazioni di vita o di morte, la borghesia ricorre a misure di pianificazione, centralizzazione e nazionalizzazione. Questo fatto in sé è una risposta definitiva a tutti coloro che strombazzano la presunta superiorità del mercato. Va detto fra parentesi che, durante la Seconda guerra mondiale, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti il livello di vita addirittura crebbe, nonostante il fatto che un’enorme quantità di produzione venisse consumata dallo sforzo bellico. Così, anche in Occidente, i vantaggi della pianificazione centralizzata (parziale, naturalmente, poiché una vera pianificazione non è possibile in un’economia capitalista) non furono messi seriamente in discussione durante la guerra. Ma nel caso dell’Unione Sovietica, la superiorità dell’economia nazionalizzata e pianificata fu dimostrata in modo schiacciante, in particolare quando subì la prova più seria di tutte, quella sanguinosa della guerra.
Venne attuata una svolta spettacolare ed essa fu la chiave della vittoria. L’industria bellica venne riorganizzata e posta su basi più efficienti. A questo scopo molti tecnici vennero rilasciati dai campi di lavoro di Stalin. Nel 1940, il 15% del reddito nazionale veniva destinato a scopi militari. Nel 1942 questa percentuale salì al 55%, secondo Nove “forse il livello più alto mai raggiunto in qualsiasi paese”. Fu l’economia nazionalizzata a fare la differenza. Come Nove spiega più avanti:
“Senza dubbio l’esperienza della pianificazione centralizzata nei dieci anni precedenti fu di grande aiuto. Nel processo di rafforzamento del controllo sulle risorse, il governo ricorse a piani trimestrali e persino mensili, molto più dettagliati che in tempo di pace. La pratica dell’equilibrio delle risorse venne usata con successo per distribuire fra diversi settori i materiali e il combustibile disponibile a seconda delle priorità decise dal potente Comitato di Stato per la Difesa. Nell’agosto del 1941 venne adottato per la guerra un piano d’emergenza, che copriva il resto di quell’anno e il 1942. C’erano perciò piani economico-militari annuali e piani più a lungo termine, come quello per la regione degli Urali che copriva gli anni 1943-47.”22
Non solo l’industria sovietica era capace di produrre una vasta quantità di attrezzature militari, ma addirittura i carri armati, gli aerei e i fucili erano di qualità molto alta e nettamente superiori agli equivalenti tedeschi. Fu questo, oltre alla determinazione della classe operaia sovietica nel difendere le conquiste della rivoluzione, a decidere l’esito del conflitto e, in definitiva, della Seconda guerra mondiale in Europa che fu in realtà un duello fra titani: l’Urss e la Germania nazista. Hitler, pur avendo un grande vantaggio all’inizio della guerra e avendo alle spalle tutte le risorse dell’Europa occupata, fu sconfitto. Davanti allo sguardo attonito del mondo, l’Armata Rossa si riprese da quello che per qualsiasi altro paese sarebbe stato un colpo mortale, si riorganizzò e passò al contrattacco, cacciando indietro l’esercito tedesco fino a Berlino.
Nonostante la svolta militare iniziata alla fine del 1942, spesso il territorio riconquistato aggiungeva poco alla forza economica sovietica. I nazisti avevano condotto la tattica della terra bruciata. Così, nel 1943 la produzione lorda dell’industria della parte dell’Ucraina sotto il controllo dell’Urss era solo l’1,2% del totale di quella del 1940. Ciononostante le masse stavano combattendo una guerra di liberazione contro gli invasori nazisti. Se gli eserciti nazisti fossero stati vittoriosi, le conseguenze per il popolo russo sarebbero state orrende. Questi elementi diedero all’Armata Rossa l’energia per combattere e per sconfiggere Hitler. Infine l’esercito tedesco fu fermato a Stalingrado. La battaglia di Kursk fu un punto di svolta per il fronte orientale. Fu senza dubbio la battaglia decisiva della guerra: uno scontro titanico, con non meno di 10mila carri armati schierati da entrambe le parti, da cui l’Armata Rossa uscì vittoriosa.
Per inciso, durante questi avvenimenti l’esercito britannico aveva dispiegato molte truppe in Persia, appena di là del confine con l’Urss. Stalin chiese a Churchill di mandare truppe britanniche in aiuto all’Armata Rossa sul fronte orientale. L’amichevole controproposta del suo “alleato” britannico fu che il Generalissimo poteva mandare al fronte le truppe sovietiche dislocate al confine; intanto l’esercito britannico avrebbe badato al confine al posto loro. Di fatto Churchill perseguiva la stessa politica di quando l’esercito britannico aveva invaso il Caucaso durante la guerra civile; aspettava che l’Armata Rossa venisse sconfitta, per poter occupare Baku con le sue risorse petrolifere. Lo capiva persino Stalin!
Il risultato finale fu che le due parti rimasero al loro posto, mentre le battaglie più significative della guerra venivano combattute in territorio sovietico. Per sfortuna di Churchill, la battaglia finì con la vittoria dell’Armata Rossa, che rapidamente avanzò verso il cuore dell’Europa. I tedeschi furono gradualmente respinti, sebbene con perdite spaventose da parte sovietica. Ciò si può spiegare in termini più politici che militari; se l’Unione Sovietica avesse adottato una politica internazionalista, facendo appello ai lavoratori tedeschi perché rovesciassero Hitler, questo avrebbe avuto enormi ripercussioni, particolarmente dopo la prima sconfitta tedesca. La prospettiva di una Germania unita e socialista in una federazione con l’Urss avrebbe senza dubbio avuto presa sui lavoratori e sui soldati tedeschi. Sarebbe stato possibile evitare le perdite terribili subite dall’Armata Rossa nella sua avanzata verso Berlino. Si sarebbe potuta raggiungere la vittoria in tempi più brevi e a costi molto minori. Ma la politica perseguita da Stalin aveva un carattere completamente sciovinista. In base a questa politica Ilja Ehrenburg annunciò che “se i lavoratori tedeschi ci verranno incontro con una bandiera rossa, saranno i primi ad essere fucilati”. Con una tale politica era inevitabile che l’esercito tedesco combattesse per ogni centimetro di territorio. Questo spiega le orribili perdite subite da entrambe le parti.
A causa di un errore di calcolo gigantesco da parte delle potenze imperialiste, furono i sovietici e non gli alleati a raggiungere Berlino per primi. Trotskij aveva spiegato che il pericolo principale per l’economia pianificata non era tanto una sconfitta militare, quanto i beni di consumo a buon mercato che sarebbero arrivati dietro l’esercito imperialista. Invece gli eserciti di Hitler non portarono beni di consumo economici, ma camere a gas. Di conseguenza non solo la classe operaia, ma anche i contadini combatterono accanitamente per difendere l’Unione Sovietica.
La vittoria dell’Urss nella guerra fu uno dei principali fattori che permise al regime stalinista di sopravvivere per decenni dopo il 1945. Ai lavoratori dell’Urss e del mondo apparve che la burocrazia stesse giocando un ruolo progressista, non solo nel difendere l’economia pianificata contro Hitler, ma estendendo le forme di proprietà statalizzata all’Europa orientale e, successivamente, alla Cina. In realtà queste rivoluzioni iniziarono dove la Rivoluzione russa era finita, ovvero come mostruosi regimi deformati di bonapartismo proletario. L’insediamento di tali regimi, lungi dall’indebolire la burocrazia di Mosca, la rafforzò enormemente per tutto un periodo storico.
Manovre di Stalin
I progetti di tutte le potenze imperialiste si erano ritorti contro loro stesse. Churchill aveva sbagliato totalmente i suoi calcoli, ma lo stesso avevano fatto Stalin, Hitler e Roosevelt. Hitler credeva che la resistenza sovietica si potesse spezzare facilmente. Il generale Halder, capo dello stato maggiore tedesco, si aspettava che l’Urss venisse sconfitta in quattro settimane, Von Ribbentrop, ministro degli esteri tedesco, in otto settimane, e il Dipartimento di Stato degli Usa fra le quattro e dodici settimane. I militari britannici davano all’Urss sei settimane al massimo. Eppure la guerra – nonostante il regime di Stalin e i sacrifici tremendi – dimostrò oltremodo la vitalità dei nuovi rapporti di proprietà stabiliti dalla Rivoluzione d’Ottobre.
La vittoria dell’Urss infranse i sogni degli alleati che speravano che la Germania nazista e la Russia di Stalin si dissanguassero a vicenda, lasciando loro campo libero. Nelle parole di Harry Truman:
“Se vediamo che la Germania sta vincendo la guerra, dobbiamo aiutare la Russia; se sta vincendo la Russia, dobbiamo aiutare la Germania, e in questo modo facciamo che si massacrino fra di loro il più possibile.”23
Il Primo maggio del 1945 la bandiera rossa sventolava sul Reichstag di Berlino. Pochi giorni dopo l’alto comando tedesco si arrendeva. Ma già gli imperialisti manovravano contro l’Unione Sovietica. Le bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki, in un momento in cui il Giappone era chiaramente sconfitto e sollecitava già la pace, non ebbero alcun ruolo militare, se non quello di dare un chiaro avvertimento all’Urss da parte dei suoi “alleati”.
Stalin aveva tentato di arrivare ad un accomodamento con le potenze imperialiste fra il 1944 e il 1945 alle Conferenze dei Tre Grandi a Teheran, Mosca, Jalta e Potsdam. Churchill annotò la sua conversazione con Stalin nell’ottobre del 1944:
“Il momento era adatto per aprire le trattative, quindi dissi: «sistemiamo i nostri affari nei Balcani. I vostri eserciti sono in Romania e in Bulgaria. In quei paesi noi abbiamo interessi, missioni ed agenti. Non entriamo in contrasto per cose piccole. Per quanto riguarda la Gran Bretagna e la Russia, andrebbe bene se voi aveste il 90% della Romania, noi il 90% della Grecia e dividendo al 50% la Jugoslavia?» Mentre questo veniva tradotto, scrissi su un foglio:
Romania Urss 90%; altri 10%
Grecia Gran Bretagna (in accordo con gli Usa) 90%
Jugoslavia 50-50%
Ungheria 50-50%
Bulgaria Urss 75%; altri 25%
Spinsi questo foglietto verso Stalin, che nel frattempo aveva sentito la traduzione. Ci fu una piccola pausa. Poi prese la sua matita blu, vi tracciò una grossa sigla e lo ripassò a noi. Era tutto sistemato in meno tempo di quanto non servisse per metterlo per iscritto (…). Ne seguì un lungo silenzio. Il pezzo di carta segnato con la matita giaceva al centro del tavolo. Alla fine chiesi: «Non potrebbe apparire piuttosto cinico l’avere sistemato questa faccenda, così decisiva per milioni di persone, in un modo talmente sbrigativo? Bruciamo il foglio.» «No, lo conservi pure», disse Stalin.”24
Così certi paesi entrarono nella sfera di influenza dello stalinismo, altri dell’imperialismo. Stalin si lavò le mani della rivoluzione in Grecia. Disse al dirigente dei partigiani jugoslavi Milovan Djilas:
“La sommossa in Grecia dovrà ripiegare (…). Deve essere fermata, e il più velocemente possibile”.25
E secondo Churchill,
“Stalin aderì rigorosamente e fedelmente al nostro accordo di ottobre e nelle lunghe settimane in cui combattemmo i comunisti per le strade di Atene nemmeno una parola di rimprovero venne dalla Pravda o dalle Izvestia”.
Voleva che Mao arrivasse ad un modus vivendi con Ciang Kai-shek. In Jugoslavia Stalin era favorevole alla restaurazione della monarchia sotto il re Pietro.
Come previsto da Trotskij, la guerra finì con il movimento dei lavoratori dei paesi avanzati nella direzione della rivoluzione socialista e con il risveglio straordinario delle masse dei paesi coloniali. Ma questo potente movimento di milioni di persone fu mandato allo sbaraglio. In molte zone dell’Europa occupata i partiti comunisti avevano guadagnato un consenso di massa dopo il 1941 come conseguenza del ruolo coraggioso dei lavoratori comunisti nella resistenza ai nazisti. Le masse cercavano in questi partiti una via d’uscita rivoluzionaria dopo la lezione sanguinosa della guerra. Ma Stalin aveva altre idee; su istruzioni di Mosca, i dirigenti dei partiti comunisti entrarono in governi di coalizione con la borghesia in Francia, in Italia, in Belgio e in Finlandia come mezzo per bloccare il movimento rivoluzionario dei lavoratori. In Gran Bretagna un ruolo simile fu giocato dal governo laburista. La mancata presa del potere da parte della classe operaia dei paesi capitalisti avanzati costituì la premessa politica della successiva ripresa e crescita economica del dopoguerra. Essa plasmò e predeterminò il destino anche delle rivoluzioni che si svilupparono nei paesi coloniali.
Tratto dal capitolo “Dalla guerra alla destalinizzazione” del libro di Ted Grant “Russia, dalla rivoluzione alla controrivoluzione”