La nostra uscita da Rifondazione comunista
10 Gennaio 2016La catastrofe imminente e come lottare contro di essa
11 Gennaio 2016di Alan Woods (Tendenza marxista internazionale, www.marxist.com)
“Il regno della libertà inizia davvero solo
laddove il lavoro, determinato da necessità
e considerazioni terrene, cede il passo.”
(Karl Marx)
L’arte è molto importante per gli esseri umani. È stato così sempre, fin dalle prime società umane, quando questa era indissolubilmente legata alla magia; magia che, di fatto, possiamo considerare come il primo, rozzo, primitivo, sforzo che gli uomini hanno fatto per comprendere e controllare il mondo in cui vivono. E sebbene potrebbe sembrare che nella società moderna l’arte svolga un ruolo meno centrale, in realtà non è così.
La Bibbia dice “non di solo pane vive l’uomo”. Sebbene l’importanza dell’arte non appaia rilevante a molte persone, questa diventa subito evidente se proviamo a immaginare un mondo senza arte, cioè un mondo senza colore, senza musica, senza fantasia né immaginazione. Un mondo così sarebbe assolutamente insopportabile, perché sarebbe un mondo del tutto inumano. Le condizioni in cui viviamo e lavoriamo sono già abbastanza insopportabili. Eppure milioni di persone trovano conforto nella musica e nella danza, e vengono emotivamente coinvolte dal mondo del cinema, delle star dei film e degli sceneggiati televisivi. Tutto ciò è un’espressione dell’arte: che poi si tratti di arte di buona o cattiva qualità questa è un’altra questione, ma il fatto che essa comunichi qualcosa alle persone, che tocchi le corde più sensibili nei loro cuori e nelle loro anime, cosa che è fondamentale per le nostre vite, è al di là di ogni questione.
In un mondo senza colori, l’arte porta un elemento di colore. A vite “senza senso”, dà un raggio di speranza. L’arte in tutte le sue forme ci fa aprire gli occhi, anche se solo per qualche fugace istante, oltre la cupa esistenza quotidiana, e ci fa sentire che c’è qualcosa di più nella vita, che possiamo essere migliori, che le relazioni fra le persone possono essere umane, che il mondo potrebbe essere migliore di quello che è. L’arte è perciò il sogno collettivo dell’umanità, l’espressione di un sentimento profondamente radicato che le nostre vite non siano come dovrebbero essere, e un appassionato, anche se spesso inconsapevole, sforzo verso qualcosa di diverso.
Fin dalle sue origini primordiali l’arte ebbe chiaramente un carattere non individuale, ma sociale. Le splendide pitture rupestri in Spagna e in Francia furono create nelle parti più profonde e più inaccessibili delle grotte. Esse dunque non erano concepite come mere decorazioni, ma come parti di un rituale mirante ad esigenze squisitamente pragmatiche: riuscire cioè a “controllare” i bisonti, i cervi ed i cavalli selvaggi che venivano cacciati per nutrirsi. Finalità sociali ugualmente pratiche si ritrovano nelle origini della danza e della musica.
Con lo sviluppo della divisione del lavoro, la base della società compie un grande salto in avanti ma, allo stesso tempo, questa conquista per l’umanità comporta anche una perdita. La separazione dei vari aspetti della produzione, culminante nella divisione tra lavoro mentale e manuale, è la prima condizione per la separazione del genere umano in classi, con tutto quello che ciò implica per l’umanità. Nel corso degli ultimi dieci millenni, il prezzo da pagare per il più sbalorditivo progresso economico e sociale è stata la forzata alienazione della maggior parte della razza umana dai frutti del suo lavoro, e, allo stesso tempo, la forzata esclusione della maggioranza degli uomini e delle donne dal mondo della cultura.
Engels ci spiega che in qualsiasi società in cui arte, scienza e governo sono monopolio di pochi, questa minoranza userà e abuserà di questa posizione per i propri interessi. Questa è la base effettiva di tutte le società di classe. E sarà sempre così, fin quando la maggioranza sarà costretta a lavorare molte ore per soddisfare i bisogni primari della vita. Aristotele, molto tempo fa, ha spiegato come l’uomo inizia a filosofare solo dopo che i bisogni materiali più elementari siano soddisfatti. La creazione di una classe agiata attraverso la schiavitù è stata l’effettiva base materiale sulla quale arte, scienza e tecnologia sono state sviluppate. Ma queste conquiste servono a nascondere il lato oscuro della storia umana, cioè l’esclusione di milioni di uomini e donne dai benefici della cultura. Potenzialità immense sono state sistematicamente sprecate e distrutte. È compito del socialismo mettere fine a questo terribile crimine contro l’umanità, spianando la strada ad una nuova e gloriosa pagina dello sviluppo umano.
Il materialismo storico
Non è possibile comprendere lo sviluppo dell’arte da un punto di vista puramente biologico, psicologico o genetico. Una delle differenze fondamentali tra gli essere umani e le altre specie è proprio l’importanza della cultura, che non viene trasmessa ereditariamente ma, principalmente, attraverso lo strumento del linguaggio. È proprio l’uso del linguaggio che ci rende ciò che siamo ma, come spiega Engels nel suo capolavoro La parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia, è stata la mano a creare il cervello e non viceversa. Il genere umano si è sviluppato attraverso il lavoro e la produzione di utensili, e questa è un’attività sociale e non individuale. Lo sviluppo della cultura, a sua volta, dipende dallo sviluppo di ciò che i marxisti chiamano forze produttive. Non si tratta, ancora una volta, di un fenomeno biologico ma sociale.
Non bisogna essere dei geni per comprendere che le idee, le opinioni e le concezioni delle persone (in una parola, la coscienza) variano con il variare delle condizioni materiali di vita. Si dice che gli uomini si distinguano dagli altri animali perché hanno sviluppato le religioni, ma allo stesso modo si può dire che gli esseri umani si distinguono dagli altri animali perché possiedono l’arte, la letteratura, la scienza o la filosofia. Tuttavia, ciò che è evidente è che uomini e donne iniziarono a sviluppare queste differenze solo nel momento in cui iniziarono a produrre attrezzi, così da liberarsi dalla totale dipendenza dalle forze della natura. Tutto questo è abbastanza ovvio ed è la base del materialismo storico: il metodo marxista di interpretazione della storia. Il marxismo spiega che la sostenibilità di un sistema socio-economico dipende in ultima analisi dallo sviluppo delle forze produttive, ma Marx ed Engels non dissero mai che tutto ciò che riguarda lo sviluppo umano potesse essere ridotto a mera questione economica, perché la relazione fra “struttura” economica e “sovrastruttura” ideologica non è semplice e diretta, bensì dialettica e contraddittoria.
In una lettera a Paul Ernst datata 5 giugno 1890, Engels ripeteva il suo monito contro una interpretazione dogmatica del materialismo storico: “Per quanto riguarda il tuo tentativo di trattare la cosa in maniera materialista, debbo dire innanzitutto che il metodo materialista si trasforma nel suo opposto, se non lo si utilizza come proprio principio guida nell’indagine storica, ma come un modello preconfezionato con il quale piegare gli eventi storici alla propria analisi.”
Come le leggi che governano il progresso sociale devono derivare dallo studio scrupoloso dei fatti, così deve avvenire per l’arte. Ogni tentativo di spiegazione dello sviluppo dell’arte, della letteratura e della musica, deve essere il risultato di uno studio oggettivo della materia stessa in oggetto. Presentare uno studio di questo genere va oltre lo scopo del nostro articolo, dal momento che richiederebbe molti volumi. Qui sia sufficiente dire che l’analisi marxista sul rapporto fra cultura e sviluppo economico non ha niente in comune con il determinismo economicista volgare, come chiarisce bene il seguente brano tratto dalla corrispondenza di Marx ed Engels:
“Per quel che concerne poi gli ambiti ideologici maggiormente campati in aria, religione, filosofia, ecc., questi hanno a che fare con un patrimonio che risale alla preistoria e che il periodo storico ha trovato e si è accollato – quella che oggi chiameremmo stupidità. Il fattore economico è alla base di queste varie idee sbagliate sulla natura, sulla stessa condizione umana, su spiriti, forze magiche, ecc. per lo più solo in modo negativo; il basso sviluppo economico del periodo preistorico ha come complemento, ma talvolta come condizione e persino causa, le idee sbagliate sulla natura. E anche se l’esigenza economica era ed è sempre più divenuta il principale impulso per la progressiva conoscenza della natura, sarebbe da pedanti voler cercare cause economiche per tutte queste stupidità primitive. La storia delle scienze è la storia della graduale eliminazione di questa stupidità, ovvero della sua sostituzione con stupidità nuove, ma sempre meno assurde. Coloro che provvedono a ciò appartengono a loro volta a determinate sfere della divisione del lavoro, e presumono di trattare un ambito indipendente. Ed in quanto essi formano all’interno della divisione sociale del lavoro un gruppo autonomo, le loro produzioni, compresi i loro errori, hanno un influsso che si ripercuote sull’intero sviluppo sociale, persino su quello economico. Con tutto ciò sono però a loro volta essi stessi sotto l’influsso dominante dello sviluppo economico”.1
Più in là leggiamo: “Ma come determinato ambito della divisione del lavoro la filosofia di ogni epoca presuppone un determinato materiale concettuale, che le è stato tramandato dai suoi predecessori e da cui essa prende le mosse. E accade perciò che paesi economicamente arretrati possano avere tuttavia in filosofia una parte di primo piano”.2
Le stesse osservazioni sono valide nella sfera dell’arte e della letteratura. Le radici di queste affondano nella più remota antichità. Gli stili artistici variano costantemente e ciò riflette in gran parte i profondi processi di cambiamento che avvengono all’interno della società, le cui cause ultime possono essere individuate nel modificarsi dei modi di produzione e dei loro corrispondenti rapporti di classe, con tutte le varie manifestazioni legali, politiche, religiose, filosofiche ed estetiche. Tuttavia, il rapporto fra questi elementi è tutt’altro che semplice, al contrario è complesso e contraddittorio e coinvolge molti aspetti diversi. Per usare le parole di Marx, sarebbe da pedanti cercare di delineare il legame fra arte ed economia che, per lo più, è indiretto e complicato. L’arte, come la religione, ha le sue origini nella preistoria. Le idee, gli stili e le scuole d’arte riescono a sopravvivere nella mente degli uomini anche molto tempo dopo che il concreto contesto socio-economico nel quale essi sono nati, è stato consegnato all’oblio. La mente umana, dopotutto, è caratterizzata da un innato conservatorismo. Idee che da molto tempo hanno perso la loro raison d’être restano ostinatamente trincerate nella psiche umana e continuano a giocare un ruolo, spesso determinante, nello sviluppo umano. Tutto ciò è evidente soprattutto per quanto riguarda la religione, ma è anche presente nel regno dell’arte e della letteratura.
Quindi l’arte ha sue proprie immanenti leggi di sviluppo che vanno studiate in quanto specifico campo di indagine. Lo sviluppo economico e sociale chiaramente influisce sullo sviluppo dell’arte in un modo più importante, ma l’uno non può essere meccanicamente ridotto all’altro. Lo studio della storia dell’arte deve procedere empiricamente, tentando di estrapolare le leggi immanenti che ne determinano lo sviluppo. Solo così si può fare luce sul vero rapporto fra arte e società. In altre parole, la connessione dell’arte allo sviluppo delle forze produttive non è semplice e diretta, ma dialettica e contraddittoria.
Lo sviluppo dell’arte, della letteratura e della filosofia non riflette direttamente la linea generale di sviluppo sociale e le forze produttive. L’ascesa e il crollo delle forze produttive trova espressione nelle menti di uomini e donne nei modi più contraddittori. Hegel scrisse: “La civetta di Minerva prende il volo al tramonto”. Quando un certo ordine socio-economico entra in una fase di declino, questa si riflette in una crisi di valori, moralità e religione. Essa è spesso accompagnata da una tendenza generale verso l’introversione che, sotto certe condizioni, può dar luogo a nuove tendenze artistiche e filosofiche. Trotskij tratta di ciò nel suo brillante articolo La curva dello sviluppo capitalistico. Ne aveva già parlato Marx in uno dei suoi primissimi lavori, i Manoscritti economico-filosofici, del 1844: “Per quanto riguarda l’arte, è risaputo che alcune delle sue massime espressioni non corrispondono affatto allo sviluppo generale della società, né pertanto alla struttura materiale sottostante”.
L’artista è un uomo libero?
“L’essere sociale determina la coscienza”. Questo è il grande contributo di Marx ed Engels alla comprensione della storia umana. Tuttavia, il modo in cui questa determinazione prende forma non è per nulla semplice. Ad esempio, sarebbe assolutamente assurdo cercare di derivare le leggi che governano lo sviluppo dell’arte e della letteratura direttamente dallo sviluppo delle forze produttive. Uno sforzo in tal senso sarebbe fallimentare. Come abbiamo visto, infatti, lo sviluppo dell’arte, della musica e della letteratura deve essere specificamente studiato secondo leggi di sviluppo che gli sono proprie. Questo costituisce una specifica branca di analisi, ben distinta da economia, politica e sociologia. Ciò nondimeno, quest’ultima fornisce una linea d’interpretazione dei cambiamenti socio-economici che danno corpo alla natura generale ed alla psicologia del periodo in cui si manifesta lo sviluppo di tutte le branche della cultura umana, e dello “spirito” dei tempi che, sebbene inconsciamente, esercita un potente effetto di condizionamento sull’arte e la letteratura e su ogni altra cosa. Il fatto che individualmente l’artista non sia consapevole di tali influenze e le neghi ostinatamente, è irrilevante. L’artista vive nella società ed è soggetto ad esserne influenzato così come qualunque altro uomo o donna.
La debolezza principale dell’estetica borghese è che essa rifiuta a priori le influenze sociali che plasmano lo sviluppo dell’arte, riducendo lo sviluppo dell’arte ad un fenomeno essenzialmente personale e psicologico. Questo soggettivismo è del tutto tipico dell’attuale approccio della borghesia verso tutte le branche delle scienze sociali: filosofia, economia e sociologia. Infatti, l’idea che in qualche modo l’arte sia al di fuori o al di sopra della società è una chiara contraddizione in termini. Nonostante arte, letteratura e musica abbiano le proprie leggi di sviluppo che non possono essere ridotte a quelle economiche e sociologiche, non sono per questo separate dalla società come da una grande muraglia cinese. L’arte è, in fondo, una forma di comunicazione, sebbene molto particolare. A dispetto di tutti quei pregiudizi che vedono l’artista in comunicazione solo con se stesso, nessun artista dipinge un quadro che non intende far vedere, e nessuno scrittore scrive un romanzo o un poema a suo personale uso e consumo. E affinché arte e letteratura agiscano come forma di comunicazione, deve esserci qualcosa da dire. L’arte collega il particolare all’universale. I personaggi di un romanzo devono essere concreti, devono rassomigliare in qualche modo a uomini e donne veri per essere convincenti. Non solo, affinché questi personaggi suscitino il nostro interesse, devono rappresentare qualcosa che vada oltre essi stessi.
L’idea che l’intellettuale o l’artista sia “libero” nasce da un equivoco e da un errore filosofico. Il cosiddetto libero arbitrio non è mai esistito eccetto che nella filosofia idealista e nella religione (che sono, essenzialmente, la stessa cosa). Leibnitz, grande filosofo tedesco, ironizzava a questo proposito, dicendo che se un ago magnetico potesse pensare, sarebbe convinto di puntare a Nord per sua libera scelta. Freud, molto tempo fa, smantellò l’idea secondo la quale il pensiero e le azioni umane sono libere. Studi più recenti sul funzionamento del cervello hanno infine completamente demolito il mito del libero arbitrio. Tutte le nostre azioni sono condizionate, sebbene noi non ne siamo coscienti. Le produzioni intellettuali sono fondamentalmente condizionate dall’ambiente sociale e culturale in cui prendono forma nella mente di uomini e donne.
L’origine di una data scuola di pensiero artistica o letteraria, la sua ascesa e il suo declino, sono destinate a restare misteriose finché verranno studiate separatamente dalle prevalenti inclinazioni e tendenze che circondano l’artista e lo scrittore e ne influenzano in maniera decisiva il modo di pensare. A sua volta è impossibile comprendere la psicologia generale di un dato periodo senza tener conto dei fattori storici e sociali. E alla base, si vedrà che queste inclinazioni e tendenze sono influenzate in maniera decisiva dallo sviluppo delle forze produttive, dalla lotta fra differenti gruppi e classi all’interno della società, e dall’intero corpus di tendenze legali, religiose, morali e filosofiche che da tutto questo derivano.
La creatività artistica rappresenta un aspetto particolare della coscienza umana, con le sue proprie caratteristiche e modelli di sviluppo peculiari. Mettere a nudo le leggi interne di sviluppo di arte, letteratura e musica è il compito di un particolare ramo di studi, ovvero l’estetica e la storia dell’arte. In ogni caso, questa coscienza artistica non è di certo una cosa in sé ed in ultima analisi deve anche tenere conto della coscienza generale della società. Infatti, se così non fosse, l’artista non sarebbe in grado di comunicare con i suoi simili. L’arte di un determinato periodo risuona nell’anima degli uomini e delle donne solo perché riflette i loro più reconditi sentimenti, aspirazioni e modi di pensare. L’arte di ogni determinato periodo è così radicalmente differente da quelle di altri momenti storici perché emerge da un differente ambiente sociale.
La società è divisa in classi antagoniste. Queste danno inevitabilmente luogo a ideologie in conflitto, che ne riflettono gli interessi. La complicata interconnessione di idee, tendenze e correnti filosofiche, morali, religiose e politiche esercita un potente effetto sul pensiero dell’epoca. Perciò ogni epoca ha i suoi ideali estetici e culturali che non coincidono in niente con quelli di altre epoche. I modelli artistici di un’epoca non potranno mai essere soddisfacentemente ripetuti in un’altra epoca che sia sotto l’influsso di differenti classi, con un differente senso estetico e psicologico. Marx si chiede: “Possiamo ritenere valida la concezione delle relazioni sociali e naturali che soggiace all’immaginazione greca, e quindi all’arte greca, in un’epoca in cui ci sono macchine, ferrovie, locomotive e telegrafi?”.
Esiste ovviamente un aspetto ulteriore e più complicato. Nella storia dell’arte, sebbene certi tipi di arte muoiano o scompaiano, essi tuttavia lasciano dietro una serie di residui e tradizioni che a loro volta condizionano le successive generazioni di artisti. Come per l’economia, la filosofia, la scienza o la tecnologia, l’arte non ricomincia da capo ad ogni generazione. Ogni periodo deve fondarsi sulle spalle delle precedenti generazioni. Il modo in cui una scuola d’arte, musica o letteratura è connessa con un’altra può essere positivo o negativo. Qui abbiamo un buon esempio della legge dialettica di attrazione e repulsione: una nuova scuola di arte può ripetere o copiare antichi modelli o, al contrario, rifiutarli e sviluppare nuove forme. Ma anche rifiutandola, la nuova scuola resta condizionata dalla vecchia. Inoltre capita spesso che, nella sua ricerca di qualcosa di nuovo, l’artista finisca per tornare a forme espressive precedenti. Stili apparentemente estinti ricompaiono, come quando, ad esempio, l’Europa rinascimentale riscoprì l’arte dell’antica Grecia o quando gli artisti della rivoluzione francese riscoprirono il classicismo. Più vicini ai nostri tempi, i primi esperimenti cubisti di Picasso riflettono l’influenza dell’arte tribale africana, mentre i ritmi dell’Africa portati in America centinaia di anni fa dagli schiavi neri formarono la base del jazz moderno e della pop music in tutte le sue forme.
La partigianeria nella letteratura
“Io non sono assolutamente un avversario della poesia di tendenza in quanto tale”, scriveva Engels. “Eschilo, il padre della tragedia, e Aristofane, il padre della commedia, furono entrambi poeti decisamente di tendenza; non meno lo furono Dante e Cervantes e la cosa migliore in ‘Kabale und Liebe’ [Amore e raggio] di Schiller è che esso rappresenta il primo dramma tedesco di tendenza. I russi e i norvegesi moderni, che ci danno romanzi eccellenti, sono tutti poeti di tendenza. Ma secondo me la tendenza deve sorgere dalla situazione e dall’azione stesse senza che vi si faccia esplicitamente riferimento, e il poeta non deve dare al lettore già bella e pronta la futura soluzione dei conflitti sociali che descrive”.3
Un tipo particolare di arte è quella “impegnata”. In molti casi artisti e scrittori si sentono appassionatamente coinvolti dal soggetto della loro produzione. Ciò avviene specialmente nell’arte più elevata, che è inevitabilmente connessa in un modo o nell’altro alle grandi questioni, quelle della vita e della morte che toccano le vite ed i pensieri di milioni di persone. Quello che Engels criticava era la degradazione di tale arte ad una semplice produzione di vuoti pamphlet. In un lavoro artistico può essere presente un grande messaggio, ma questo non deve essere qualcosa imposto dall’esterno, deve invece emergere naturalmente dalla questione stessa che si sta trattando. Nel grande romanzo di Lev Tolstoj Anna Karenina, troviamo una potente accusa verso il trattamento delle donne nella società, così come una secca critica della crudele natura della società zarista, schiavista e burocratica. Tuttavia il messaggio non è imposto dall’esterno o aggiunto alla fine arbitrariamente, ma viene fuori con forza straordinaria dallo svolgersi della narrazione. Inoltre i personaggi di Tolstoj non sono semplici figure simboliche, ma uomini e donne viventi che ci colpiscono sia perché fatti di carne e sangue e sia perché sono allo stesso tempo personaggi tipici che rappresentano specifici tipi di individui.
Questa è arte impegnata. Esiste anche quella che potremmo chiamare “arte didattica”, che più chiaramente divulga un messaggio per “educarci”. Lo vediamo nei peggiori esempi del cosiddetto “realismo socialista”. Questo tipo di arte è sempre fallimentare, poiché l’arte non è adatta a questo scopo, per il quale ci sono la politica e la filosofia. Infine, c’è la propaganda. La propaganda non è generalmente considerata come arte, o nel migliore dei casi è vista come una forma d’arte “inferiore”, ma anche qui possono esserci delle eccezioni. La migliore “poster art” del periodo immediatamente successivo alla rivoluzione russa può essere legittimamente considerata una forma d’arte, che deriva dalla scuola costruttivista russa. In generale, comunque, la propaganda è interessata soprattutto a trasmettere un messaggio che è completamente esterno alla forma d’arte utilizzata. Perciò il mezzo di espressione artistica utilizzato è secondario, è come un gancio a cui il messaggio è appeso, ed è improbabile che da uno strumento di questo tipo possa emergere arte elevata.
È altresì chiaramente assurdo giudicare l’arte dal punto di vista di una disciplina intellettuale completamente differente come la filosofia o la politica, per la stessa ragione per cui nessuno giudicherebbe la fisica nucleare dal punto di vista della filosofia o della sociologia. Un lavoro filosofico può essere scritto con un buon stile letterario, può toccarci emotivamente o meno, ma non è questo il suo scopo principale. La filosofia si rivolge innanzitutto all’intelletto, mentre l’arte e la letteratura principalmente alle nostre emozioni.
Plekhanov, polemizzando contro Tolstoj, insisteva sul fatto che l’arte non si rivolge solo alle emozioni ma anche alla mente. In linea generale ciò è corretto ma non centra il punto. La domanda che dobbiamo porci è: cosa è essenziale e cosa non lo è nell’arte e nella letteratura? È vero che alcuni lavori letterari, presumibilmente i più grandi, si rivolgono anche alla ragione e contengono profonde idee filosofiche. La tragedia shakespeariana ne è il miglior esempio. Ma non bisogna giudicare l’arte dal punto di vista filosofico, né la filosofia dal punto di vista artistico. Un buon filosofo può avere uno stile scadente, ma uno scrittore con un brutto stile è solo un cattivo scrittore e nient’altro, per quanto corrette possano essere le sue idee filosofiche. E se ci trovassimo a giudicare l’arte e la letteratura sulla base della “correttezza politica”, ci ritroveremmo di certo con risultati molto magri! No, la letteratura e l’arte vanno giudicate in base alle loro proprie leggi e allo loro essenza, e non secondo considerazioni estranee allo scopo dell’arte stessa.
Ora, tutto questo significa che l’artista e lo scrittore sono esonerati dall’oneroso compito di pensare? O che essi sono fuori dal tempo e dallo spazio, derivando i loro concetti liberamente dalle loro indipendenti immaginazioni? La domanda è retorica: in nessun luogo ed in nessuna epoca artisti e scrittori sono stati fuori o al di sopra della società. Essi sono, consciamente o inconsciamente, plasmati dalle generali tendenze sociali. Nella società di classe ciò significa che cadono sotto l’influenza dell’una o dell’altra delle classi contendenti. Ovviamente quest’influenza è raramente semplice o diretta. Né da quanto detto deriva che un artista o uno scrittore che abbiano un punto di vista conservatore o reazionario producano necessariamente cattiva arte. Uno degli scrittori preferiti di Marx era il grande romanziere realista francese Balzac. La sua voluminosa Commedia umana contiene una descrizione molto precisa della società francese nei primi anni del XIX secolo e in particolare un dettagliato ritratto di un nuovo tipo sociale in ascesa, il borghese francese. Da un punto di vista politico, Balzac simpatizzava con i vecchi nobili francesi e in questo senso era un conservatore. Ma il suo genio artistico era così grande, e la sua descrizione di quei processi così veritiera, che fu obbligato ad andare oltre il proprio punto di vista. Engels scrisse al riguardo che Balzac è stato “costretto ad agire contro le simpatie di classe e i pregiudizi politici a lui propri”, che ha “visto la necessità del tramonto dei suoi diletti nobili” e li descrive “come uomini che non meritavano alcuna sorte migliore”.4
Gli scritti di Trotskij sull’arte e la letteratura
Di tutti i più grandi pensatori marxisti, Trotskij fu quello che mostrò il più vivo interesse per l’arte, inclusa quella moderna. I suoi lavori al riguardo comprendono Cultura e socialismo, Arte e rivoluzione, e soprattutto Letteratura e rivoluzione, che qui riprendiamo in toto. Tutti questi lavori furono scritti dopo la rivoluzione ma, di fatto, i suoi scritti sull’arte e la letteratura risalgono a molto tempo prima. Da giovane scrisse degli articoli su Ibsen e Gogol. Prima della Prima guerra mondiale scrisse molto sulle ultime tendenze artistiche, ad esempio sull’impressionismo: “Il naturalismo ha trasceso se stesso ed è divenuto impressionismo, che non tradì affatto la sua fedeltà alla natura e la rappresentazione della verità della vita ma, al contrario, lo fece proprio nel nome di questa verità, delle sue forme eternamente cangianti, e pretese libertà per la concretezza della percezione soggettiva. Mentre il vecchio stile accademico diceva ‘queste sono le regole (o immagini) secondo le quali la natura deve essere descritta’, e il naturalismo diceva ‘questa è la natura’, in seguito l’impressionismo disse ‘così è come io vedo la natura’, ma questo ‘io’ dell’impressionismo è una personalità nuova in circostanze nuove, con un nuovo sistema nervoso, con nuovi occhi, una persona moderna, ed è perciò che questa pittura è modernismo, non certo pittura “di moda”, ma moderna, contemporanea, emergente dalla percezione contemporanea”.5
Ecco ciò che Trotskij scrisse riguardo alla scultura di Rodin: “La scultura classica riproduceva il corpo umano in uno stato di pace armoniosa. La scultura rinascimentale potenziò l’arte del movimento, ma Michelangelo usò il movimento per esprimere l’armonia del corpo più vividamente. Rodin, da parte sua, fece del movimento il soggetto stesso della scultura. In Michelangelo il corpo crea per se stesso i suoi propri movimenti individuali, mentre in Rodin, al contrario, il movimento trova per se stesso il corpo di cui necessita”.6
Negli anni ’30 mostrò un enorme interesse per il surrealismo, in cui scorgeva elementi rivoluzionari. In generale Trotskij comprese la necessità di una completa libertà da parte dell’artista: libertà di sperimentare con nuove forme e idee, libertà di lottare contro la soffocante routine e il conservatorismo. Agli inizi del 1913 scriveva: “Il modernismo in pittura, che fu accusato dai rappresentanti della vecchia religiosità accademica di malizioso appiattimento e falso manierismo fu, di fatto, una vivificante protesta contro il vecchio stile che era sopravvissuto a se stesso trasformandosi in una posa”.7
Il poeta francese Guillaume Apollinaire scrisse nel 1908: “Non ci si può sempre portare appresso il corpo del proprio padre. Lo si lascia in compagnia degli altri morti. Lo si ricorda e ci si dispiace per lui, se ne parla con ammirazione. E divenendo a propria volta padre, non ci si aspetta che uno dei propri figli si faccia carico perpetuamente del proprio cadavere”. E ancora: “La verità sarà sempre nuova”. Tutto ciò è esattamente in linea con le idee di Trotskij. Tuttavia, pur difendendo il diritto alla libertà dell’artista, Trotskij si oppose sempre a quel tipo di snobismo artistico che maschera la sua miseria dietro un velo di misticismo: “(…) L’auto-elevazione mistica al di sopra del mondo significa, in ultima analisi, riconciliare se stessi con ciò che esiste, in tutta la sua bruttezza”. Tale arte “vive nel marcio, ma contro ciò che è reale, vero, in altre parole contro il genere umano stesso, contro le sue future vittorie, contro il suo grande domani!”.8
Trotskij tentò di stabilire dei punti di contatto fra l’artista e il movimento rivoluzionario, per convincere artisti e scrittori che al fine di divenire libera, l’arte deve divenire rivoluzionaria, deve combattere per l’emancipazione di tutta l’umanità. Da questo punto di vista, il concetto sterile (ed essenzialmente vuoto) dell’“arte per l’arte” giocava un ruolo negativo. La separazione dell’arte dalla vita ha raggiunto un tale livello che questa contraddizione reclama una soluzione che, però, non può provenire dagli angusti limiti dell’arte stessa, ma solo dal più ampio quadro della lotta di uomini e donne per trasformare la società, e dal processo di cambiamento di se stessi.
Nel 1908 Trotskij scrisse queste righe profetiche: “Sai, visitare le mostre d’arte è un terribile atto di violenza che perpetriamo su noi stessi. Questo modo di godere del piacere artistico esprime una terribile barbarie da capitalista mentecatto (…). Prendiamo un paesaggio per esempio. Che cos’è? Un pezzo di natura, arbitrariamente amputato che è stato incorniciato e appeso a un muro. Fra questi elementi, la natura, la tela, la cornice e il muro, esiste una relazione puramente meccanica: il quadro non può essere infinito, la tradizione e considerazioni pratiche lo hanno condannato ad essere quadrato. Affinché non possa essere sgualcito o piegato viene incorniciato, e affinché non giaccia per terra la gente mette un chiodo nel muro, lo fissano a una corda e con questa appendono il quadro. Quindi quando tutti i muri sono coperti di quadri, a volte disposti in due o tre file, la gente definisce tutto ciò una mostra o una galleria d’arte. E poi noi siamo costretti ad ingoiare tutto in un sol boccone: paesaggi, scene letterarie, cornici, corde e chiodi…
Ma ciò che io voglio è che la pittura rinunci al suo assolutismo e ristabilisca il suo legame organico con l’architettura e la scultura, da cui è stata a lungo separata. Questa separazione non è avvenuta per caso! No! Fin da quel periodo la pittura è stata sottoposta ad un viaggio lungo ed istruttivo, ha conquistato i paesaggi, è divenuta interiormente mobile e intima, e ha sviluppato una sorprendente tecnica. Ma ora, arricchita da tutti questi doni, essa deve ritornare al ventre materno, l’architettura… Io voglio che i quadri siano legati non da corde ma dal loro significato artistico ad una parete o ad una cupola, allo scopo di un palazzo, al carattere di una stanza… e non appesi come un cappello su un attaccapanni. Le gallerie d’arte, quei campi di concentramento per colori e bellezza, non sono nient’altro che un’appendice mostruosa alla nostra realtà quotidiana senza luce né colori” […].9
L’emancipazione dell’umanità non può essere acquisita solo attraverso mezzi rivoluzionari. Nel 1917, operai e contadini russi insorsero nella prima rivoluzione socialista della storia sotto la leadership di Lenin e Trotskij.
Arte e Ottobre
“Né la scienza, né la letteratura possono servire da trampolino di lancio per una carriera. Siamo nati negli anni della borghesia, ma siamo stati resi liberi dall’altruismo della rivoluzione che ci ha fatto riemergere e ci ha reso di nuovo in grado di pensare.” (Victor Shklovskij)
La Rivoluzione d’Ottobre è stato il più grande momento di liberazione della storia umana, mentre il ruolo guida veniva gestito dalla classe operaia, la rivoluzione attraeva fra le sue fila quanto c’era di vivo e progressista nella società russa. I migliori intellettuali combatterono fianco a fianco alle masse. C’era un nuovo spirito nell’aria, galvanizzante ed elettrificante: ispirazione a sufficienza per lo scrittore e l’artista. Quando tutto è già detto e fatto, nessun lavoro artistico può adeguatamente comunicare la qualità epica e la tensione della rivoluzione: la lotta di milioni di uomini e donne comuni per la loro emancipazione sociale. La vita stessa, quando arriva a certi livelli, è infinitamente più ricca ed emotivamente rilevante dell’arte, ma il desiderio di esprimere le emozioni che questi momenti elettrizzanti trasmettono dà vita ad un’arte dal carattere molto speciale.
In contrasto col grigiore e il conformismo, che sono il marchio distintivo del “realismo socialista” stalinista, l’arte che emerse dalla Rivoluzione d’Ottobre era lo sfogo di uno spirito libero. Le rivoluzioni sono sempre instabili. Le masse, così a lungo obbligate a sottomettersi in silenzio, improvvisamente ritrovano la loro voce. Vi è un fiume di parole, di discorsi agli angoli delle strade, di dubbi e discussioni ovunque, nelle piazze, nelle fabbriche, nelle caserme. Improvvisamente la società prende vita. Questo nuovo spirito di libertà e sperimentazione trovò inevitabilmente la sua immagine riflessa nell’arte e nella letteratura. La rivoluzione si diede subito da fare per rendere l’arte accessibile alle masse. Le grandi collezioni d’arte, come la galleria Tretyakovskij e le collezioni di Sergej Shchukin e Ivan Morozov, furono nazionalizzate.
La rivoluzione attrasse dalla sua parte molti dei più talentuosi artisti e scrittori. Nel primo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, l’attrice e attivista sociale Maria Andreyevna pronunciò le seguenti parole: “La Rivoluzione d’Ottobre è il più grande evento nella storia del mondo. Essa è la vittoria e la festa del proletariato, è una gioia e una ferma e lucente fede nel suo trionfo finale, ma la lotta non è ancora finita. Il sangue nostro e quello di altri scorre ancora, perciò per noi questa ricorrenza deve essere celebrata in maniera seria e composta. Dopo tutto, esiste ancora un proletariato, ed esiste ancora il capitale…”. Grandi poeti come Aleksander Blok, il celebrato simbolista, cantarono le lodi della rivoluzione ne I dodici e Gli sciti. È vero che la comprensione di Blok della rivoluzione è su un livello molto basso e primitivo, ma il desiderio della piccola borghesia di identificarsi con la rivoluzione era robusto e progressista. Con tutto se stesso, Blok si sforzò di unire la sua arte con il movimento delle masse per l’emancipazione:
“Noi russi stiamo attraversando un’epoca che ha pochi precedenti con cui paragonarsi… Il compito di un artista è capire cosa si è generato, ascoltare questa musica di cui ‘l’aria viene lacerata dal vento’ risuona…
Cosa si sente? Cosa si pensa?
Rifare tutto da capo. Sistemare le cose affinché tutto diventi nuovo: affinché la falsa, sporca, ottusa e ripugnante vita che era la nostra diventi vita vera, felice, bella…
‘pace e fratellanza fra le nazioni’: questa è la bandiera sotto la quale la Rivoluzione russa prende piede. Per questo il suo torrente rumoreggia. Questa è la musica che coloro che non hanno orecchie per sentire devono sentire…
Con tutto il vostro corpo, con tutto il vostro cuore e con tutta la vostra mente, ascoltate la Rivoluzione.”
Queste righe furono scritte da Blok nel 1918 nel suo articolo L’intellighenzia e la rivoluzione. Erano anni turbolenti e pieni di tensione, l’eroico periodo in cui la rivoluzione era in pieno corso, e non aveva ancora iniziato a degenerare. “Eterna lotta” scriveva Blok “la pace noi soltanto sogniamo”. Tali periodi richiedono un particolare tipo di poesia, non quella di amori e rose, ma una poesia d’acciaio che chiama uomini e donne alla battaglia. L’arte e la letteratura dell’Ottobre riflettono perfettamente questo sentimento. Quest’eroica poesia è di amplissimo respiro, scritta non per una minoranza di persone, ma per le masse impegnate in una titanica lotta all’ultimo sangue.
Anche Majakovskij, il “tamburino della rivoluzione”, ne fu parte. Nel 1918 scrisse La marcia a sinistra:
Serrate i ranghi in una marcia!
Non è tempo di cavillare o scartabellare
silenzio, voi retori!
La scena
è tua,
compagno Mauser.
Basta vivere con le leggi
che Adamo ed Eva hanno lasciato.
Sprona il cavallo della storia vecchia.
A sinistra!
A sinistra!
A sinistra!
Olà, tute blu!
Liberi verso il cielo!
Oltre gli oceani!
Fin quando
Le vostre corazzate sulle strade
consumino le loro chiglie combattendo con ardore!
Mostrando i denti della sua corona,
lasciate che il leone britannico si disperi, in balia dei flutti,
la Comune non potrà mai affondare.
A sinistra!
A sinistra!
A sinistra!
Lì
oltre i mari della disperazione
verso terre soleggiate da scoprire.
Oltre la fame,
oltre le vette scure delle calamità,
con passo imponente la marcia di milioni!
Lascia che gli eserciti di mercenari ci tendano agguati,
grondando freddo acciaio da ogni fessura.
L’Intesa non può conquistare i russi.
A sinistra!
A sinistra!
A sinistra!
Si affievolisce la vista dell’aquila?
Ci volteremo a guardare il vecchio?
Dita proletarie
afferrate saldamente
alla gola del mondo:
Petto in fuori! Spalle dritte!
Sbandierate al cielo le bandiere rosse da ogni dove!
Chi può andarci con la destra?
A sinistra!
A sinistra!
A sinistra!
Ogni poesia perde nella traduzione, e tanto più quella di Majakovskij, che andrebbe declamata in russo, ma anche nella traduzione, il potere di questi versi s’impone chiaramente. Questa poesia, mescolando immagini forti, ritmi muscolari, iperboli, comunica perfettamente lo spirito della rivolta popolare, cattura lo spirito ed i toni di quel periodo. Non ci si meraviglia, dunque, per il fatto che abbia colpito i cuori e stimolato reazioni emotive anche in chi non aveva mai letto una riga di poesia nella sua vita. Così è la poesia della Rivoluzione.
Non meno di poeti e scrittori, gli artisti della Rivoluzione produssero lavori di alta qualità e di una straordinaria varietà di stili, spesso singolari nella loro originalità, ma tutti creati attorno al tema centrale della lotta rivoluzionaria. Aleksander Blok scrisse: “Anche se lo stiamo distruggendo, siamo ancora schiavi del nostro vecchio mondo: la stessa violazione della tradizione è parte di quella tradizione…” Alcuni di quei “compagni di viaggio” presto divennero disillusi della vita sovietica e se ne andarono all’estero. Altri divennero apertamente ostili. Il poeta Gumilijov, ad esempio, era con i bianchi (profetizzò la sua morte in un poema intitolato L’operaio). Molti artisti e scrittori di prim’ordine furono sinceri simpatizzanti e spesso entusiasti della rivoluzione, proprio come Wordsworth e Shelley nei confronti della rivoluzione francese.
Una miriade di artisti
La rivoluzione fornì molto materiale agli artisti. Nelle parole di Majakovskij, “i colori di una vita monotona furono completamente ridipinti una volta per tutte”. Un universo di artisti crebbe nel fuoco della rivoluzione: Marc Chagall, Larianov, Tatlin, Malevich, Boris Kustodiev, Kuzma Petrov-Vodkin, Isaac Brodskij, Vladimir Lebedev, Mitrofan Grekov, Sergei Konionov, Matveij Mantzer, e anche alcune donne come Vera Mukhina.
Dopo l’Ottobre la gente iniziò a partecipare in nuove forme di arte da strada: dimostrazioni di massa e performance di strada. Questi fenomeni riproducono l’esperienza dei festeggiamenti di massa della rivoluzione francese. Lenin stesso mostrò un vivo interesse verso tutte quelle forme d’arte che riuscivano a coinvolgere le masse, inclusa la cosiddetta “propaganda monumentale”. Lenin discusse con Lunacharskij l’idea di erigere monumenti ai grandi rivoluzionari del passato e, inoltre, dimostrò grande attenzione nell’aiutare gli artisti in difficoltà.
Diderot diceva che la Musa della scultura è “silenziosa ed elusiva”, ma i monumenti della rivoluzione erano tutto fuorché questo. Tra i nuovi monumenti abbiamo opere come la scultura di Vassalle di Victor Siniaskij, Stepan Razin e i suoi uomini di Konionov e l’impressionante e immaginifica torre-monumento alla Terza Internazionale di Tatlin, mai costruita, di cui esiste solo un modello in legno e cavi. Era stata progettata per essere una gigantesca torre di vetro e metallo che avrebbe fatto impallidire i più alti grattacieli del mondo. Qui abbiamo un’espressione grafica dello spirito indomito e dell’irriducibile internazionalismo dell’Ottobre, Mikhail Guerman scrive:
“L’arte portava ad un’esistenza febbrile. Nell’aprile del 1919, artisti di molte differenti scuole e tendenze, dai membri della Società per le mostre d’arte itineranti, al Gruppo del mondo dell’arte, organizzarono un’enorme mostra nel Palazzo d’Inverno. Furono esibiti più di tremila lavori. all’inizio dell’autunno del 1917, un appello al Soviet dei deputati operai e dei soldati diceva: ‘Cittadini, i nostri vecchi padroni sono andati via, lasciandosi dietro un’enorme eredità. Essa ora appartiene a tutto il popolo. Cittadini, abbiate cura di quest’eredità, di tutti i quadri, le statue e le costruzioni. Essi rappresentano la forza spirituale vostra e dei vostri antenati”.10
“Ogni manifesto” aggiunge Mikhail Guerman, “stimolava il pensiero, esprimeva indignazione, traboccava di entusiasmo, provocava risate, rispondeva agli eventi sull’istante e comunicava le notizie tempestivamente. Venivano disegnati di notte per essere affissi nelle strade di buon mattino, e sebbene venissero pensati con la consapevolezza che la loro vita sarebbe stata di un solo giorno, nella storia dell’arte essi sono resistiti agli anni, conservandosi non solo come una testimonianza di grandi eventi, ma anche per la loro grande e rigorosa perfezione.”11
Questa è arte che comunica immediatamente. È arte che ha qualcosa da dire: “Non appena arrivavano i telegrammi (per i quotidiani che dovevano andare in stampa) poeti e giornalisti scrivevano immediatamente i loro ‘pezzi’, un pungente brano satirico, poesie di qualche verso. Per tutta la notte gli artisti si perdevano in un mare di enormi fogli di carta, sparsi sui tavoli e sui pavimenti, e al mattino, spesso prima che i primi quotidiani fossero usciti, manifesti, volantini, cartelloni satirici venivano affissi nei luoghi in cui la gente più spesso si riuniva: centri di agitazione, stazioni, mercati, ecc. I manifesti erano enormi, di tre metri quadrati, variopinti, tali da attrarre sempre l’attenzione di chiunque vi passasse accanto. Il primo ‘ufficio manifesti’, con Cheremnikh a capo, aprì agenzie ovunque, da Pietroburgo, Kharkov, Rostov, Baku fin nelle più piccole città…”.12
Con la loro freschezza e immediatezza, questi manifesti agitprop hanno tutto il diritto di essere considerati arte. Se si trattasse di pop art, sarebbe del più alto livello. L’agitprop acquisì forme nuove e propriamente artistiche con i poster di Majakovskij, Moor, Cheremnikh e molti altri, i nomi dei quali sono andati perduti, sebbene la loro arte sopravviva. Anche il teatro raggiunse nuovi livelli coi lavori di geni del calibro di Meyerchold e Majakovskij, scrittori e artisti che avevano un insaziabile bramosia di novità, un desiderio di innovazione che rifletteva perfettamente lo spirito di quel periodo così stimolante. A volte questa tendenza dava luogo a egli eccessi, ma quale rivoluzione non produce eccessi? Era un periodo fatto di estremi che riflettevano la natura dell’epoca: “È più facile, capire le differenze tra due cose diametralmente opposte, ad esempio, l’arte ‘figurativa’ e quella ‘non-figurativa’” scriveva Guerman, “ma in questo periodo, non c’era posto per l’arte ‘a metà del guado’. L’arte indifferente era pertanto arte alienata.”
Questo periodo produsse inoltre notevoli romanzi, come Chapayev di Dmitri Furmanov, che era stato commissario politico nei famosi partigiani di Chapayev. Lo straordinario Cavalleria rossa di Isaak Babel rappresenta uno spartiacque nella prosa, ed è il lavoro di più alto livello degli anni ’20 nella Russia Sovietica. Ma tutto questo meraviglioso potenziale fu schiacciato dalla controrivoluzione burocratica stalinista.
Trotskij e il Proletkult
“La cultura proletaria deve consistere nel logico sviluppo della conoscenza che il genere umano ha acquisito sotto il giogo della società capitalista, sotto il giogo dei feudatari e dei burocrati.” (Lenin)
Il Partito bolscevico sotto Lenin e Trotskij garantì la massima libertà di espressione artistica, mentre si sforzava di vincere scrittori e artisti alla causa comunista. Questa tradizione proseguì per pochi anni dopo la morte di Lenin. Il primo luglio 1925 il Comitato centrale approvò una risoluzione sulla politica del partito verso la letteratura, che diceva fra le altre cose: “La critica comunista deve bandire qualsiasi tono di comando. Essa otterrà risultati significativi educativi solo se procede sulla base della sua superiorità ideologica. Deve risolutamente interdire qualsiasi pretenziosa vanità comunista o presuntuoso autocompiacimento. Essa deve imparare…”. Inoltre il partito si dichiarava a favore della libera emulazione delle scuole letterarie, “qualsiasi altra decisione sarebbe inevitabilmente burocratica”. Il partito si rifiutava di garantire a qualunque gruppo un monopolio sui diritti di pubblicazione. “Conferire un siffatto monopolio, persino alla letteratura proletaria, equivarrebbe ad uccidere tutta la letteratura”. Inoltre proclamava la necessità di “mettere fine a qualsiasi interferenza amministrativa, arbitraria e incompetente, nella letteratura”. Allo stesso tempo, esortava gli scrittori a rompere con i pregiudizi aristocratici e a mettere a disposizione delle masse le acquisizioni dei grandi maestri.13
In ogni caso, il riconoscimento della massima libertà non significava una politica di astensione dalla critica delle tendenze nocive e delle teorie errate, come, ad esempio, la cosiddetta teoria della “cultura proletaria”, contro la quale Trotskij polemizzò in Letteratura e rivoluzione.
L’idea di “arte proletaria” era nata non in Russia, ma in Francia, dove nel 1913 Marcel Martinet pubblicò un articolo intitolato “L’art proletarien” sulla rivista L’effort libre. Ancor prima di quest’articolo il vecchio anarchico Charles Albert aveva coniato l’espressione “arte proletaria”. Le origini di questo concetto risiedono dunque non nel marxismo ma nell’anarchismo e risentono di tutta l’unilateralità rozza e confusa caratteristica del pensiero anarchico in generale. Lo spirito rivoluzionario primitivo che sostiene che la classe lavoratrice debba distruggere tutte le vestigia della vecchia società di classe può avere ascendente sulle menti immature, ma manca di una qualsiasi reale base scientifica. Al contrario, come spiega Trotskij, al fine di trasformare la società è necessario che la classe lavoratrice possa prima padroneggiare tutta la conoscenza, l’arte, la scienza e tutte le capacità amministrative della vecchia società, che possa esaurientemente assimilarle per poterle poi superare e sorpassare.
Martinet prese spunto dalla celebre frase di Marx: “L’emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi”. Ma queste parole di Marx, profondamente corrette, non implicano che la classe lavoratrice, nella sua lotta per il socialismo, debba fare a meno delle armi culturali forgiate dalla borghesia. Lungi da ciò. Marx ed Engels stessi (è necessario spiegarlo?) non erano membri della classe lavoratrice, ma provenivano dall’intellighenzia borghese, si separarono nettamente dalla loro classe e si posero dalla parte del proletariato. I loro scritti penetrarono l’essenza del sistema capitalista e la natura dello sfruttamento della classe lavoratrice. Per far questo si basarono sulla più avanzata elaborazione dei maggiori intellettuali prodotti dalla società di classe: la filosofia classica tedesca, l’economia classica inglese e il socialismo utopico francese. È vero che il socialismo si basa sull’enorme creatività rivoluzionaria della classe lavoratrice. Questo può fare, e fa, miracoli, ma anche i più grandi miracoli del proletariato non potranno mai rinunciare ai tre volumi del Capitale. Pretendere una cosa del genere sarebbe, come dicono gli spagnoli, “aspettarsi pere da un olmo”.
Celandosi dietro l’adorazione del proletariato, infatti, gli anarchici mostrano solo disprezzo piccolo borghese verso il proletariato, negandogli la capacità di comprendere idee e teorie “complicate”. Il ridicolo atteggiamento che eleva l’ignoranza allo status di etichetta “proletaria” e venera l’arretratezza e la mancanza di cultura non ha niente a che vedere con una mentalità veramente proletaria o con il marxismo, che si basa sui più avanzati elementi della classe, non sui più arretrati. Anche la classe lavoratrice ha un’avanguardia e una retroguardia e il triste destino degli anarchici è quello di contemplare eternamente le retroguardie della classe lavoratrice. Appellandosi ai più arretrati pregiudizi della classe, non l’aiuteranno mai a crescere al livello dei compiti posti dalla storia.
Il movimento per la “cultura proletaria” si diffuse durante gli aspri anni della guerra civile. Dopo il 1920 i membri di queste organizzazioni erano circa 400mila e pubblicavano 15 differenti giornali. Per un certo verso questo fu uno sviluppo positivo ma, in generale, soffriva dell’immaturità che caratterizzava molti aspetti del pensiero di quel periodo. La Rivoluzione d’Ottobre risvegliò interi nuovi strati della popolazione dalle loro abitudini di torpore e passività, le menti furono aperte a nuove idee, dominava uno spirito di sperimentazione, ma non tutti quegli esperimenti ebbero successo. Mescolate a poche preziose pepite d’oro vi era tanto materiale di scarto. Distinguere e separare le une dall’altro era un compito necessario, ma per capire quanto e quale era veramente valido e per stabilire nuovi criteri artistici in armonia con la nuova realtà sociale e culturale, erano indispensabili esperienza e libero dibattito. L’idea che l’arte e la letteratura potessero in qualche modo essere irreggimentate e disciplinate era del tutto aliena al giovane Stato operaio con il suo spirito di rivoluzionaria democrazia. Lenin e, in particolare, Trotskij cercarono di persuadere con la discussione i loro interlocutori, mai le loro menti pensarono, anche solo per un istante, che il partito potesse imporre il suo volere con la forza o qualunque altro tipo di coercizione.
Ai tempi della rivoluzione, la Russia era un paese analfabeta. La maggioranza della popolazione era composta da contadini, molti dei quali non sapevano né leggere né scrivere, anche fra gli operai delle città il tasso di analfabetismo era del 30%. I principali sforzi dei bolscevichi furono quindi rivolti alla lotta all’analfabetismo ed all’arretratezza. In questo contesto era necessario per il proletariato assorbire e assimilare il meglio della cultura della vecchia società. La stridula propaganda dei sostenitori della cosiddetta “cultura proletaria” (proletkult) che pretendevano una radicale rottura con il passato e la creazione di una nuova cultura interamente “proletaria” che possedesse poco o niente del passato borghese non era d’aiuto, e non fece altro che introdurre confusione proprio quando ciò di cui c’era maggior bisogno era la chiarezza.
Il principale fautore della “cultura proletaria” era Bogdanov, ex bolscevico di estrema sinistra che aveva rotto con Lenin dopo la sconfitta della Rivoluzione del 1905 non solo per questioni politiche ma anche per divergenze sulla filosofia marxista. La posizione di Lenin, riportata nel brano sopra citato, era identica a quella di Trotskij: la classe lavoratrice deve padroneggiare tutto il meglio della cultura borghese per elevarsi al compito di trasformare la società secondo le idee socialiste. Strada facendo, emergerà una nuova cultura socialista, quando sarà così il proletariato avrà cessato di esistere come classe. La teoria della “cultura proletaria” manca quindi di qualsiasi base scientifica.
Trotskij, con il suo brillante stile e il suo potente uso della dialettica, affrontò gli artisti e gli scrittori russi sul loro terreno e replicò loro con il loro stesso linguaggio. In questo modo consolidò l’autorità dei bolscevichi e della Rivoluzione d’Ottobre, riuscendo ad attrarre il meglio degli artisti e degli scrittori alla causa rivoluzionaria. La prepotenza e l’intimidazione burocratiche, per non parlare della violenza amministrativa, non facevano parte dei suoi metodi.
Stalinismo e arte
“L’essere sociale determina la coscienza”. Queste parole sono l’Abc del materialismo storico. In generale il mondo della cultura resterà per sempre un libro sigillato da sette sigilli finché la maggioranza degli uomini e delle donne saranno obbligati ad affaticarsi ore ed ore sotto condizioni intollerabili per ottenere lo stretto necessario per vivere. Nell’impeto della rivoluzione, e immediatamente dopo, i lavoratori russi erano troppo assorbiti dai compiti urgenti di vincere la guerra e sopravvivere fisicamente per poter prestare attenzione alle questioni culturali.
L’isolamento della rivoluzione in condizioni di spaventosa arretratezza creò enormi difficoltà. Molti lavoratori abbandonarono le città in cerca di cibo per sopravvivere. Victor Shklovskij scrive: “La città (Pietroburgo) era vuota. Le strade erano cresciute così ampiamente che sembrava come se un fiume di pietre stesse avvolgendo gli argini delle case”. Ma poi aggiunse: “La città viveva. Ardeva della fiamma rossa della Rivoluzione”.14
Solo con l’introduzione della Nep la rivoluzione riuscì a trovare un attimo di respiro che permetteva di interessarsi all’arte e alla letteratura, ma a quel punto, il processo della degenerazione burocratica era già cominciato.
Gli artisti rivoluzionari che emersero dall’Ottobre poterono basarsi su una tradizione molto ricca. C’era l’influenza dei cubisti francesi e dei futuristi italiani. Simbolisti, futuristi, costruttivisti, proletkult e una miriade di altre scuole competevano in uno stupefacente spiegamento di varietà artistiche. Anche prima della Rivoluzione la Russia era un focolaio di creazioni artistiche, sperimentazioni e avanguardismo. La strada era stata aperta dagli artisti pre-rivoluzionari russi come Valentin Serov, Mikhail Vrubel e Victor Borisov-Musatov, che avevano sperimentato nuove avvincenti forme d’arte. Un’appassionata ricerca del vero motivava questi artisti sovietici, e sebbene i risultati fossero spesso eterogenei, c’è, in tutti, una certa forma d’intrepida onestà ed integrità. Questa era una tradizione dal valore inestimabile sulla quale si sarebbe potuto costruire molto ma questo splendido fiore fu calpestato nella polvere della contro-rivoluzione politica stalinista, e solo negli ultimi anni ha ricevuto l’indubbia attenzione che merita, sia in Russia che in Occidente.
Il lancio dell’Aarr (Associazione degli artisti della Russia rivoluzionaria) rappresentò il primo passo della burocrazia per “ristabilire l’ordine”, ovvero per stabilire il suo controllo sugli artisti e gli scrittori della Repubblica Sovietica. La casta dei burocrati sovietici, conservatrice e senza fantasia, nell’arte come in tutte gli altri ambiti, guardava con diffidenza e sospetto alle nuove scuole sperimentali di pittura e scultura. Il suo atteggiamento verso questo “caos” era l’altro aspetto della sua reazione al fermento e alla concitazione della rivoluzione stessa. L’idea del “socialismo in un paese solo” era solo l’espressione teorica di questa reazione piccolo-borghese contro l’Ottobre.
Il cosiddetto realismo socialista era infatti l’arte della burocrazia, immagini di “eroici operai” e felici contadini collettivizzati, tutti rappresentati in stile tradizionale, simile a quello che in occidente è conosciuto come “pittura da scatola di cioccolatini”. Ernst Fischer, marxista austriaco, noto critico d’arte, descrisse il realismo socialista come il “fondamentale accordo dell’artista o scrittore con gli scopi principali della classe lavoratrice e l’emergente mondo socialista”. Questa descrizione è ben lontana dal vero: va da sé che i lavoratori russi non furono mai consultati circa la dottrina ufficiale dell’arte o su qualsiasi altra questione. Tale arte non era né realista né socialista, non comunicava la realtà della vita in Unione Sovietica, ma solo una zuccherosa utopia corrispondente ai sogni e alle delusioni della burocrazia stalinista.
Bolscevismo e stalinismo sono opposti che si escludono a vicenda. Come Stalin dovette uccidere tutti i vecchi bolscevichi per poter affermare il dominio di una burocrazia privilegiata, anche nel campo dell’arte, della musica e della letteratura, la controrivoluzione stalinista non lasciò una pietra sull’altra dei progressi artistici della rivoluzione d’Ottobre. La principale caratteristica distintiva del burocrate è il filisteismo conservatore, la ristrettezza nazionale, la totale mancanza di immaginazione, un’avversione nei confronti delle innovazioni e delle sperimentazioni, e una forte tendenza verso il conformismo e il controllo. Dopo tutto, la routine conservatrice è il principio guida di ogni burocrazia. Leggi e regolamenti prendono il posto dell’iniziativa rivoluzionaria, la routinarietà dell’apparato rimpiazza la libertà dell’innovatore. La Rivoluzione soccombe alla reazione, il filisteo rimpiazza il ribelle. Su un terreno così arido, le promesse dei primi anni dell’arte sovietica furono soffocate. Il suicidio di Majakovskij nel 1930 è un chiaro punto di svolta. Il suo suicidio è l’epigrafe sulla tomba dell’arte rivoluzionaria.
Sotto Stalin l’arte e la letteratura vennero messe al servizio della regnante casta burocratica, proprio come ogni altro aspetto della vita. Il totalitarismo e la burocrazia sono la morte dell’arte. I nazisti impedivano ad alcuni artisti di lavorare e censuravano le loro opere come “arte degenerata”. Una mostra di queste opere fu allestita a Monaco, dove l’arte costruttivista e astratta fu presentata come “follia totale e apice della degenerazione”. Nella Russia stalinista, sebbene la burocrazia non fosse riuscita a distruggere l’economia pianificata nazionalizzata (la fondamentale conquista socio-economica dell’Ottobre), il regime democratico di potere operaio costituito da Lenin e Trotskij nel 1917 fu rimpiazzato da una orrenda caricatura, che danneggiò lo sviluppo dell’arte e della letteratura sovietica. La burocrazia, con le sue inevitabili conseguenze di servilismo e conformismo minò ogni pensiero o azione creativa. Questa è l’esatta antitesi delle tradizioni democratiche dell’Ottobre, non ha niente a che vedere con il socialismo.
Le basi di classe della cultura
La caduta dell’Urss ha costretto molti a rivedere le loro posizioni. Naturalmente, la borghesia ha tratto vantaggio da questa confusione per lanciare un’offensiva ideologica senza precedenti contro le idee del socialismo ma, di fatto, oggi il sistema capitalista si trova in uno stato di profonda crisi che incide su tutti gli aspetti culturali.
La cultura della società di classe ha una base di classe. Marx ed Engels spiegavano che le idee dominanti di ogni epoca sono le idee della classe al potere. Ne L’ideologia tedesca leggiamo: “Le idee della classe al potere sono in ogni epoca le idee dominanti, cioè la classe che è la forza materiale dominante della società ne è allo stesso tempo la forza intellettuale dominante. La classe che ha a sua disposizione i mezzi della produzione materiale così che le idee di coloro a cui mancano i mezzi della produzione mentale sono ad essa interamente soggetti”.
La classe capitalista controlla le scuole e le università, la carta stampata, le chiese, l’industria pubblicitaria, librerie e editori, gli studi di registrazione, le grandi imprese di produzione ed i centri di vendita, i teatri e le sale per concerti, la radio, il cinema e la televisione. Sono loro a pagare i salari degli scrittori, degli editori di quotidiani, degli artisti e decidono loro chi lavora e chi no. Perciò dietro l’ipocrita maschera di democrazia formale, i padroni della società esercitano una dittatura di ferro, la dittatura della ricchezza.
Per la classe capitalista, l’arte non è altro che una fonte di profitto come qualsiasi altro settore della produzione. Inoltre è anche particolarmente proficuo. Un quadro può raggiungere il valore di milioni di dollari sul mercato dell’arte di Londra. Molte di queste opere, parte dell’inestimabile patrimonio dell’umanità, vengono conservate nel caveau di qualche banca o nascoste nella collezione privata di qualche tirchio riccone che può vegliare avidamente sui suoi beni, non per proteggerli in quanto opere d’arte, ma come investimenti speculativi. A questo punto qualsiasi illusione viene spietatamente smantellata: l’arte come merce non è diversa da qualsiasi altra merce. Il suo valore è determinato dall’ammontare del lavoro socialmente necessario speso per la sua produzione (ed è risaputo che un lavoro artistico può necessitare di molto tempo per essere prodotto), ma il suo prezzo sarà determinato sul mercato in base alle leggi della domanda e dell’offerta.
Un quadro di Rubens o Velasquez viene ridotto allo stesso valore della somma corrispondente di zucchero, olio o mutande. Solo il valore che traggono dalla scarsità e la mania speculativa che porta la borghesia a cercare quei beni che mantengono o acquistano maggior valore, li pone a parte come qualcosa che è fuori dall’ordinario. Si fanno fortune dalle opere di artisti, molti dei quali vissero tutta, o quasi, la loro vita in condizioni di povertà e ristrettezze. L’acquirente può essere un esperto o un completo ignorante, può trarre grande piacere artistico dal loro possesso o esservi del tutto indifferente, non importa, perché l’opera d’arte è posseduta non in quanto tale, ma solo come merce, a scopi speculativi. Ciò che qui è venerato non è il lavoro artistico, ma solo il suo valore astratto. Questa è la sola e vera arte e religione del mercato.
Il capitale è nemico dell’arte. Essa si confronta con una forza aliena che la domina e la opprime, distorcendola in tutte le possibili espressioni grottesche. Si tratta di una specifica manifestazione dell’alienazione che rovina e distorce la vita e le relazioni umane all’interno del capitalismo. Su un terreno così sterile, l’arte e l’espressione artistica non potranno mai fiorire, non potranno mai raggiungere la loro vera statura (che è umana).
Questo dominio e oppressione suscita uno spirito di ribellione e protesta fra gli artisti, non solo fra la maggioranza senza privilegi che lotta per far sentire la sua voce (e sicuramente fra coloro ci sono molti con qualcosa da dire), ma anche tra alcuni di quelli (una minoranza, sfortunatamente) che “ce l’hanno fatta” ma non hanno dimenticato da dove provengono e non hanno ancora venduto l’anima al diavolo. Questa protesta può prendere molte forme, dalla protesta anarchica dei Sex Pistols (“Dio salvi la regina, il regime fascista”) alla musica più coscientemente rivoluzionaria di John Lennon, probabilmente il miglior rappresentante di questa tendenza che si stava muovendo in direzione del trotskismo rivoluzionario quando fu tragicamente ucciso, apparentemente da un folle.
Di certo, i grandi monopoli che controllano le nostre vite possono tollerare queste proteste entro certi limiti. Possono addirittura essere utili come un’innocua valvola di sfogo per i giovani, mantenendo il dominio degli sfruttatori. Hanno migliaia di modi per corrompere e comprare i giovani ribelli, così come possono comprare i parlamentari. Nel momento in cui l’artista o musicista viene incorporato nel mondo dei ricchi e famosi, può essere sottomesso alla disciplina, appianare le proteste, “addolcirsi con l’età”… fino ad andare ad ingrossare le fila degli sfruttatori. Quando alcuni artisti provano a opporre resistenza a questo andazzo si ritrovano esclusi, le porte che un tempo erano aperte vengono sbattute con violenza, così da farli scivolare nel fallimento e nell’oblio.
La protesta degli artisti e dei musicisti contro il capitalismo e i valori del mercato (o, più precisamente, i valori della giungla) continua ancora. Un articolo di Business Week, recentemente, sottolineava come molti giovani musicisti negli Usa stiano protestando contro il soffocante controllo dei grandi monopoli sul mondo della musica che impedisce loro di accedere alle case discografiche.
Questa è un’altra prova del fatto che il capitalismo, specialmente nella sua fase moderna di capitalismo monopolistico senile, è nemico dell’arte, e che i migliori e più consapevoli artisti debbono combatterlo. Nella misura in cui essi arriveranno alla coscienza che i loro problemi non possono essere risolti all’interno della struttura sociale capitalista e che la loro alienazione è solo una particolare manifestazione della generale alienazione della classe lavoratrice sotto il capitalismo, capiranno che al fine di riuscire a rovesciare l’ordine esistente, devono necessariamente unirsi alle lotte della classe lavoratrice.
Nessun futuro per l’arte sotto il capitalismo
L’arte ha giocato un ruolo molto importante nella società umana, praticamente fin dalla nascita della nostra specie, e non solo continuerà a essere così, ma lo sarà ancor di più con il socialismo, quando l’arte avrà perso il suo carattere speciale ed esclusivo e diverrà patrimonio di tutti. Non c’è via di uscita per l’arte sotto il capitalismo.
Sotto il capitalismo il lavoratore non è considerato come un essere umano con gusti e bisogni umani. Per la borghesia egli è una mera astrazione: un “operaio”, un “fattore di produzione” o un “consumatore”. È l’equivalente moderno dello schiavo a cui in età romana ci si riferiva come ad un instrumentum vocale, un attrezzo con voce. Il lavoratore viene ammaestrato ad accontentarsi di poco: alloggi pessimi, cibo scadente, case brutte e malmesse, cattiva musica, quotidiani spazzatura. Come se non bastasse, deve piegarsi ad amare queste cose e a credere che non c’è niente di meglio nella vita. Questa tattica, simile al lavaggio del cervello, può funzionare a lungo. Dopo tutto, c’erano schiavi romani e servi russi che impararono ad amare le loro catene ma, prima o poi, gli schiavi si danno da fare per spezzare le loro catene, non solo quelle fisiche ma anche quelle mentali, iniziano a capire che sono esseri condannati a un’esistenza meno che umana, e scelgono la vita di uomini e donne liberi. Gli elementi di questa rivolta possono essere visti in ogni sciopero, e una rivoluzione è come uno sciopero dell’intera società contro gli schiavisti.
Ecco come Marx descrive l’alienazione che nega un’esistenza umana alla maggioranza della società:
“[L’economista] fa dell’operaio un essere insensibile e senza bisogni, come fa della sua attività una mera astrazione di ogni attività; e ogni lusso dell’operaio gli appare riprovevole, e gli sembra un lusso tutto ciò che oltrepassa il bisogno più astratto, si tratti di fruizione passiva o di estrinsecazione di attività. L’economia politica, questa scienza della ricchezza, è quindi a un tempo la scienza della rinuncia, della penuria, del risparmio, e giunge in effetti a risparmiare all’uomo persino il bisogno di aria pura o di movimento fisico. Questa scienza della mirabile industria è a un tempo scienza di ascesi. e il suo vero ideale è l’avaro ascetico ma usuraio e lo schiavo ascetico ma produttivo. Il suo ideale morale è l’operaio che porta alla cassa di risparmio parte del suo salario, ed essa ha trovato per questa sua idea favorita persino un’arte servile: si è portato tutto questo in modo sentimentale sulle scene. L’economia è perciò – malgrado il suo aspetto mondano e voluttuario – una scienza realmente morale, la scienza più morale! La volontaria rinuncia, la rinuncia alla vita e a ogni umano bisogno, è il suo assioma capitale. Meno tu mangi, bevi, compri libri, vai a teatro, al ballo, alla birreria, pensi, ami, teorizzi, canti, dipingi, fai scherma, ecc., e più tu risparmi, più grande fai il tuo tesoro, che né tarme né polvere consumano, il tuo capitale.”15
Nella società di classe quindi, l’arte è concepita in modo da escludere le masse e relegarle a un’esistenza di rango inferiore, non solo in senso materiale ma anche spirituale. In età romana al popolo toccavano “panem et circenses”, oggi abbiamo soap opera e pop music. L’arte commerciale, standardizzata sul più basso comune denominatore, è sia utile narcotico per far sprofondare le masse in uno stato di stupida contentezza, sia mezzo per rendere pochi capitalisti enormemente ricchi. Riducendo così il livello artistico della società ai minimi termini, e alienando sempre di più l’“arte seria” dalla realtà sociale, il capitalismo garantisce una continua degenerazione e pauperizzazione dell’arte in generale. Confinata a questa rarefatta atmosfera, dove è obbligata a nutrirsi allo stesso modo in cui vacche e polli vengono nutriti negli allevamenti intensivi con le carcasse morte di altri animali e sviluppando di conseguenza una malattia mortale del cervello, così l’arte diviene sempre più sterile, vuota e senza significato, finché gli artisti stessi non iniziano a sentire il decadimento e diventano sempre più inquieti e insoddisfatti. Il loro malessere, però, non può portare molto lontano se non è collegato alla lotta per una forma alternativa di società in cui l’arte possa ritrovare la via del ritorno verso l’umanità. La soluzione ai problemi dell’arte non va trovata nell’arte, ma solo nella società.
L’apartheid spirituale che esclude le masse dalla cultura e l’impoverimento della cultura stessa sono le due facce della stessa medaglia: sono solo manifestazioni dell’alienazione imposta alla razza umana dal capitalismo. Proprio come il prodotto del lavoratore gli viene alienato dal capitalista e si pone nei suoi confronti come una forza ostile (il capitale), così le ricchezze dell’arte appaiono al lavoratore ostili e aliene. L’estrema divisione fra il lavoro mentale e manuale separa la maggior parte dell’umanità dalla cultura che gli appare per ciò che è essenzialmente: il monopolio di pochi privilegiati. Fin quando questo monopolio continuerà a esistere, la società sarà divisa da un abisso. Il compito del socialismo è abbattere una volta per tutte questa Grande muraglia cinese che separa il lavoro manuale da quello mentale, dando a tutti libero accesso alla cultura, e aprendo così un vasto serbatoio di talento e di potenziale creativo che è stato così a lungo bloccato e distrutto.
Come spiegava Marx in uno dei suoi primi lavori: “È soltanto mediante la dispiegata ricchezza oggettiva dell’essere umano che vengono in parte sviluppati, in parte prodotti, la ricchezza della soggettiva umana sensibilità, un orecchio musicale, un occhio per la bellezza della forma, in sensi capaci di fruizioni umane, sensi che si affermano quali umane forze essenziali. Giacchè non solo i cinque sensi, ma anche i sensi detti spirituali, la sensibilità pratica (la volontà, l’amore, ecc.), in una parola la umana sensibilità, l’umanità dei sensi, c’è soltanto mediante l’esistenza del suo oggetto, mediante la natura umanizzata. L’educazione dei cinque sensi è opera dell’intera storia universale fino a questo tempo. Il senso costretto al rozzo bisogno pratico ha anch’esso soltanto una sensibilità limitata. Per l’uomo affamato non esiste la forma umana del cibo, bensì soltanto la sua astratta esistenza di cibo: questo potrebbe indifferentemente presentarsi a lui nella forma più rozza; e non si può dire in che questa attività nutritiva si distingua da quella bestiale. L’uomo assorbito da cure, bisognoso, non ha sensi per lo spettacolo più bello. Il mercante di minerali vede solo il valore mercantile, non la bellezza e la peculiare natura del minerale; non ha alcun senso mineralogico. Dunque, si richiede l’oggettivazione dell’essere umano, e sotto l’aspetto teorico e sotto quello pratico, tanto per rendere umani i sensi dell’uomo quanto per creare la sensibilità umana corrispondente all’intera ricchezza dell’ente umano e naturale.”16
Oggi, nonostante la cosiddetta libertà di stampa, il tanto vantato marchio distintivo della democrazia borghese, i pochi giornali quotidiani che esistono sono rigidamente controllati da una cricca di miliardari dei media, ed il loro contenuto è fondamentalmente spazzatura. Ciò viene giustificato col fatto che il big business “dà al pubblico ciò che esso vuole”. In realtà, il capitale dà al pubblico ciò che esso ritiene che il pubblico debba avere. Una bella dieta di polpettoni, sesso, sport e scandali, con un minimo di politica e cultura, accuratamente confezionati su richiesta di banchieri e capitalisti. Questo è l’equivalente moderno di ciò che “panem et circenses” erano nella società schiavista, il pane da solo non sarebbe mai stato sufficiente a tenere le masse in uno stato di obbediente meraviglia. Questa è la sola funzione della cosiddetta cultura di massa. La situazione della televisione è tre volte peggio, un atroce spettacolo della bancarotta morale e culturale, povertà di idee, mancanza di originalità e contenuto, capace di produrre solo un senso di tedio e disgusto in ogni mente minimamente istruita. Un insulto all’intelligenza delle persone.
Nella sua gioventù rivoluzionaria, la borghesia svolse un ruolo progressista spostando in avanti gli orizzonti della cultura umana. In questo periodo di decadimento senile, la borghesia è occupata nella distruzione totale della cultura. Essa manca di qualsiasi ampiezza di vedute, di qualsiasi profonda filosofia o visione del futuro, focalizzata com’è sull’estorsione di denaro nel senso più meschino e ripugnante del termine. È come se la borghesia avesse una regressione infantile collettiva verso lo stadio primitivo dell’accumulazione primitiva di capitale, con la meschinità come condizione dell’esistenza e l’avarizia come sola virtù morale.
Il nuovo universale grido di guerra “tagliare le tasse” significa tagliare quelle spese che danno un minimo di semi-umanità all’esistenza, che a carissimo prezzo erano state estorte dalle lotte del passato alla classe dominante: scuole, sale da concerto, teatri, biblioteche pubbliche, tutto cade sotto i colpi della scure. Tutto ciò fa venire in mente una celebre uscita di Goering: “Quando sento la parola ‘cultura’, corro subito a prendere il mio revolver.”
Solo quando la società spezzerà la soffocante stretta dei prestiti, degli interessi e dei profitti, inizieranno a crearsi le condizioni materiali per la vera libertà e per il libero sviluppo degli esseri umani. Arte e scienza hanno bisogno di libertà per potersi sviluppare, in ultima analisi, esse sono del tutto incompatibili con ogni dittatura, compresa la dittatura del denaro.
La rivoluzione: locomotiva della storia
La rivoluzione agisce in generale come la locomotiva della storia. Questa profonda osservazione di Lev Trotskij si applica non solo allo sviluppo delle forze produttive, ma anche, in senso più ampio, alla cultura. La Riforma diede luogo non solo alla moderna democrazia ma anche ad un robusto sviluppo culturale. Lutero stesso praticamente inventò la moderna lingua tedesca e fu autore di numerose poesie che, data la natura del periodo, avevano necessariamente la forma di inni, tra i quali c’era il celebre Ein Feste Burg, che Engels definì la Marsigliese del Medioevo. In Inghilterra, la sublime poesia di Milton rifletteva non solo la lotta fra paradiso e inferno, ma anche la lotta rivoluzionaria fra puritani e monarchici. La Rivoluzione inglese stessa produsse un’immensa letteratura popolare in forma di libri e opuscoli, in particolare i notevoli lavori polemici di Gerard Winstanley. Più tardi, nel XVIII secolo, l’Illuminismo apriva la strada alla grande Rivoluzione Francese.
Anche la Rivoluzione d’Ottobre produsse una vera e propria esplosione di arte e letteratura, che fu più tardi schiacciata, insieme a molto altro, dal gruppo dirigente della controrivoluzione politica stalinista. Oggi, i critici borghesi dell’Ottobre amano ritrarre i Bolscevichi come dei mostri assetati di sangue, tesi alla distruzione di tutti i valori della civiltà umana. Tentano d’identificare l’arte della rivoluzione con la posticcia arte burocratica del “realismo socialista” stalinista. Un’identificazione del genere vale quanto quella fra il totalitarismo stalinista e la democrazia dei lavoratori di Lenin e Trotskij: una rozza menzogna che non ha alcuna relazione con la realtà.
Gli anni immediatamente successivi all’Ottobre liberarono il colossale potenziale creativo, fino ad allora represso, dei russi, non solo dei lavoratori ma anche dei migliori strati dell’intellighenzia. È vero che un certo settore di questa non si adattò, ed alcuni spesso assunsero un atteggiamento ostile. L’innato istinto di conservazione della mente umana non riguarda solo i ‘comuni mortali’. Anche la storia dell’arte e della letteratura ha una lunga schiera di figure di second’ordine, opportunisti, operosi filistei. La routine esiste nell’arte e nella letteratura, come in qualsiasi altra cosa. Abbiamo già parlato del poeta, guardia bianca, Gumilijov. La sua poesia è molto potente, sebbene il messaggio politico è quello di una classe privilegiata condannata. Non c’è niente di nuovo in questo, nella guerra civile inglese c’erano poeti di talento anche dalla parte di Re Carlo. Ma ciò che conta davvero è l’esplosione del talento artistico che scaturì dalla rivoluzione bolscevica, di cui solo ora gli occidentali iniziano a prendere coscienza.
La rivoluzione agì come fonte d’ispirazione per un’intera generazione di scrittori, artisti e compositori. Nomi come Larjonov, Meyerchold, Shostakovich, Majakovskij costituiscono parte di una galassia di talenti, molti dei quali non furono compresi né prima né dopo il XX secolo. Inoltre, la rivoluzione fu capace di coinvolgere profondamente le masse, risvegliando una sete di conoscenza e cultura che era stata a lungo repressa dalla società di classe. La poesia di Majakovskij veniva ascoltata con estrema attenzione da lavoratori e soldati che stavano iniziando a scoprire una nuova dimensione della vita e della loro personalità individuale. Il dramma della rivoluzione si svolse su un palcoscenico gigantesco, ma anche in milioni di cuori e menti umane, una platea ben più grande di quella che aveva visto le tragedie di Eschilo e Shakespeare.
Lo stesso processo può essere osservato in ogni grande rivoluzione nella storia. L’irruzione delle masse sulla scena della storia, il loro intervento attivo nella politica, comportano una brusca rottura con la vita “normale”. Uomini e donne che sono normalmente contenti di lasciare i loro destini individuali nelle mani di altre persone (l’esercito degli esperti, i parlamentari, consiglieri, economisti e burocrati che, secondo quanto ci viene inculcato, sanno come meglio gestire la società), improvvisamente decidono che, d’ora in poi, essi stessi amministreranno i loro propri affari. Questa è l’essenza di una rivoluzione. La prima manifestazione di questo desiderio di sapere è l’esplosione dell’informazione, specialmente la moltiplicazione di giornali. Nella prima rivoluzione russa del 1905-6, la circolazione della stampa, specialmente quella rivoluzionaria e progressista, fece passi da gigante. Arte, scienza e governo, che erano sempre stati off-limits per le masse si sono improvvisamente spalancati davanti a loro. La più tipica manifestazione di una rivoluzione è esattamente questa sete di sapere e comprendere, di sentire e sentirsi esseri umani, non semplici schiavi o animali. È questo il punto in cui l’arte si fonde con la rivoluzione, diventa il suo vero cuore e la sua anima. In Spagna negli anni rivoluzionari fra il 1931 e il 1937, Madrid e Barcellona furono in grado di pubblicare non meno di 18 e 16 quotidiani rispettivamente. La poesia di Machado, Lorca e Miguel Hernandez fu divorata avidamente da uomini e donne molti dei quali mancavano di una qualsiasi istruzione di base.
Verso un Ottobre mondiale!
La rivoluzione socialista è diversa da qualsiasi altra rivoluzione nella storia. Essa presuppone una rottura completa con il passato, una trasformazione radicale dei rapporti di proprietà, e quindi, dell’intera coscienza del periodo precedente. “Nessuna meraviglia”, scrivevano Marx e Engels nel Manifesto del Partito comunista, “se il suo progresso richiede la rottura più radicale con le idee tradizionali”.
Lo sviluppo del capitalismo crea un mercato mondiale. Lo schiacciante dominio del mercato mondiale è il fatto più importante dell’epoca in cui viviamo. Nel periodo attuale il capitalismo è riuscito a unire il mondo intero sotto il suo dominio. Mai nell’intera storia del mondo l’umanità ha avuto di fronte a sé una prospettiva di sviluppo così fantastica come oggi. I progressi dell’industria, della scienza e della tecnologia hanno fornito le basi materiali per una nuova, e qualitativamente più alta, forma di società umana basata sullo sviluppo pianificato e armonioso delle forze produttive su scala mondiale. Ma allo stesso tempo, l’anarchia capitalista e il saccheggio del pianeta da una manciata di rapaci monopolisti con poteri quasi illimitati sta ponendo un grande e minaccioso punto interrogativo sullo stesso futuro della razza umana.
La rottura di tutte le barriere nel modo di comunicare e le interrelazioni in divenire creano le condizioni per un internazionalismo della cultura. La ristrettezza di vedute su basi nazionali diviene sempre più impossibile. Assistiamo agli inizi di una cultura mondiale, di una letteratura mondiale, di arte e musica mondiali. Questo è il punto d’inizio per una nuova fase del progresso umano, ma questo sotto il capitalismo ha inevitabilmente un carattere distorto e univoco, e cioè il dominio di una cultura che subordina tutte le altre a essa stessa. L’“americanizzazione” della cultura appare come una piaga che provoca la morte delle culture nazionali, la commercializzazione e l’impoverimento culturale. Eppure la “cultura americana” non si limita alla Coca Cola e ai MacDonalds, include anche strumenti utili come il computer ed internet, cose che potenzialmente ci forniscono la possibilità di rivoluzionare l’intera base della civilizzazione umana. I marxisti quindi non sono “anti-americani”, tanto quanto non sono anti-russi, anti-francesi o anti-cinesi. Noi siamo contro il capitalismo e l’imperialismo, per il socialismo e l’internazionalismo.
Il capitalismo distrugge la cultura nazionale, così come abbatte le barriere del commercio che trova lungo la strada verso il suo dominio universale. Il vero internazionalismo, che è l’internazionalismo socialista, non significa il dominio e l’oppressione di piccole nazioni da parte delle più grandi, ma un ordine internazionale armonico basato su un piano comune di produzione che comprenda tutte le enormi risorse del pianeta, nell’interesse di tutti. In un tale ordine mondiale, ogni nazione contribuirebbe con tutte le sue risorse per il benessere generale, e per risorse non s’intendono solo quelle economiche, ma anche quelle umane e naturali. Ogni nazione, anche la più povera, è ricca di talenti e di potenziale artistico e culturale. Il metodo per sviluppare questo potenziale non è tuttavia, come sosterrebbero i gretti nazionalisti, staccarsi dal resto del mondo, ma unire il particolare al generale, facendo contribuire le ricchezze culturali di ogni popolo all’insieme della conoscenza umana, arricchendo così l’intera umanità.
La condizione necessaria per il progresso dell’umanità è la lotta per la trasformazione socialista su scala mondiale. Artisti e scrittori possono giocare un ruolo importante in questa battaglia. Durante la Seconda guerra mondiale, quando il pensiero umano era concentrato nella lotta per la vita o la morte in ogni continente, Trotskij trovò il tempo di scrivere un manifesto in collaborazione col famoso surrealista André Breton rivendicando la completa libertà dell’arte. Il manifesto, che mirava a raccogliere il sostegno di artisti e scrittori progressisti alla causa del socialismo internazionale, era una dichiarazione di guerra a tutto campo contro il totalitarismo fascista e stalinista. In parte su sua iniziativa, nel 1939, all’inizio della guerra, si costituì la Fiari (Federazione internazionale di arte rivoluzionaria indipendente in risposta alla pubblicazione del manifesto). Ma, formatasi su basi precarie, collassò presto. Questo testimonia l’enorme importanza che Trotskij attribuiva al ruolo che potevano giocare gli artisti e gli scrittori nella lotta rivoluzionaria per cambiare la società.
La strada verso la rivoluzione socialista sarà accompagnata dalla lotta per difendere le conquiste dell’arte e della cultura contro la minaccia posta dal decadimento e dalla degenerazione del capitalismo. L’arte deve opporsi al giogo della tirannia in tutte le sue forme, non solo al poliziotto col suo manganello e le sue manette, non solo al burocrate senz’anima con un codice in mano, e non solo al custode spirituale della Chiesa, ma anche alla dittatura del Capitale che è madre di tutte le forme di oppressione, sia materiali che spirituali. L’arte vera è sempre rivoluzionaria per definizione.
L’anarchico Kropotkin scrisse un famoso libro intitolato La conquista del pane. Ma la conquista del pane, sebbene sia un primo e indispensabile passo, resta solo questo: un primo passo. Un’economia socialista pianificata sotto il controllo e l’amministrazione democratica della classe lavoratrice, fornirà i mezzi necessari all’abolizione della povertà e all’accrescimento del livello di vita e di cultura ad un punto in cui uomini e donne non saranno più ossessionati dai bisogni materiali. Saranno liberi dall’umiliante ossessione delle cose materiali, prodotto della lotta animale per l’esistenza, e di conseguenza saranno liberi di dedicarsi ad un’esistenza veramente umana.
I progressi della scienza e della tecnologia sono tali che, se venissero utilizzati razionalmente in un’economia pianificata, la giornata lavorativa sarebbe ridotta al minimo. Per la prima volta la maggioranza degli uomini e delle donne potrebbero avere accesso al mondo della cultura, dell’arte e della scienza, liberando così il vasto potenziale, oggi inutilizzato, per il progresso dell’umanità. La conquista del pianeta, che sotto il regno dell’anarchia capitalista ha portato al degrado ambientale, sarebbe riportata a livelli umani e sostenibili, rendendo il mondo un luogo adatto per vivere: aria buona da respirare, cibo buono da mangiare, mari di nuovo brulicanti di vita. Oltre a tutto questo, nuovi cambiamenti si apriranno di fronte alla razza umana: padroni del pianeta, gli uomini tenderanno le loro mani verso le stelle.
Le prospettive di sviluppo umano sono senza fine. E l’arte, il sogno collettivo del benessere umano, troverà nuove e infinite possibilità. Trotskij si chiedeva: “Quanti Aristotele stanno pascendo porci? E quanti porcari stanno sui troni?”. Quando all’umanità sarà permesso finalmente di sviluppare per intero il suo potenziale, non ci sarà carenza di nuovi Leonardo, Beethoven e Einstein. Arte, musica e letteratura rifioriranno come mai prima. E infine, il socialismo vedrà la perfezione della più grande di tutte le arti: l’arte della vita stessa. Proprio come Trotskij scrisse in Letteratura e rivoluzione:
“Gli elementi di oscurantismo si sono inseriti pesantemente nelle relazioni economiche, ma l’uomo li sta eliminando anche attraverso i mezzi dell’organizzazione socialista della vita economica. Ciò rende possibile ricostruire dalle radici la tradizionale vita familiare. Infine, la natura dell’uomo stesso è nascosta nel più profondo e oscuro angolo dell’inconscio, dell’essenziale, del sotterraneo. Non è evidente che i più grandi sforzi del pensiero analitico e dell’iniziativa creativa saranno rivolti verso quell’obiettivo? La razza umana non avrà smesso di strisciare di fronte a dei, re e capitale per sottomettersi alle bieche leggi dell’ereditarietà e della cieca discriminazione sessuale! L’uomo emancipato vorrà raggiungere un equilibrio più avanzato negli sforzi compiuti dal suo corpo, uno sviluppo più armonioso del suo fisico e dei suoi organi e un più proporzionale svilupparsi e logorarsi dei suoi tessuti, al fine di ridurre la paura della morte ad una reazione razionale dell’organismo di fronte al pericolo. Non può esserci dubbio sul fatto che l’estrema disarmonia anatomica e psicologica dell’uomo, cioè dall’estrema sproporzione della crescita e del logorarsi di organi e tessuti, dà all’istinto vitale la forma di un’emaciata, tormentata, morbosa e isterica paura della morte, le cui oscure ragioni e i cui semi alimentano le stupide e umilianti fantasie sulla vita dopo la morte.
L’uomo farà suo il proposito di padroneggiare i suoi personali sentimenti, di accrescere i suoi istinti a livello conscio, di renderli trasparenti, di estendere le redini del suo volere nei più reconditi anfratti della psiche, e con ciò portare se stesso su una nuova dimensione, creare un tipo biologico sociale più elevato o, se preferite, un superuomo.
È difficile prevedere l’estensione dell’autogoverno che l’uomo del futuro può raggiungere o le vette che può raggiungere la tecnologia. La costruzione sociale e l’auto-educazione psico-fisica diverranno i due aspetti di un unico processo. Tutte le arti, letteratura, drammaturgia, pittura, musica e architettura daranno a questo processo una splendida forma. Più correttamente, il guscio in cui la costruzione culturale e l’auto-educazione dell’uomo comunista saranno racchiusi, svilupperà tutti gli elementi vitali dell’arte contemporanea al punto più alto. L’uomo diverrà incommensurabilmente più forte, saggio e acuto; il suo corpo diverrà più armonico, i suoi movimenti più ritmici, la sua voce più musicale. I diversi modi di vivere saranno dinamicamente intensi. Il tipo umano medio crescerà ai livelli di un Aristotele, un Goethe o un Marx. E oltre la cresta spunteranno nuove cime.”
20 dicembre 2000
Note
1. K. Marx, F. Engels, Opere complete, Editori riuniti, 1983, vol. XLVIII, pp. 522-3.
2. Ivi, p. 523.
3. K. Marx, F. Engels, Scritti sull’arte, Universale Laterza, 1967, pp. 156-157.
4. K. Marx, F. Engels, Scritti sull’arte, Universale Laterza, 1967, p. 162.
5. Tradotto da Culture and Revolution in the Thought of Leon Trotskij, Revolutionary History, vol. 7, No. 2, Porcupine Press London 1999, p. 102.
6. Op. cit., p. 80.
7. Ivi.
8. Op. cit., p. 59.
9. Op. cit., pp. 67-8.
10. Tradotto da Art of the October Revolution, a cura di Mikhail Guerman, p.17.
11. Op. cit., p.76.
12. Op. cit. p. 36.
13. da Victor Serge, Litérature e Révolution.
14. Tradotto da The Art of October, p.21.
15. Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, K. Marx, F. Engels, Opere complete, Vol. 3, Editori riuniti, 1975, pp. 336-37.
16. Ivi, p. 329.