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La dittatura delle grandi imprese
“Tutti i governi sono, chi più chi meno, coalizioni contro il popolo e siccome i governanti non hanno maggiore virtù dei governati il potere del governo può essere mantenuto nei propri confini costituiti dalla presenza di un potere analogo, il sentimento congiunto del popolo” (Benjamin Franklin, in un editoriale Philadelphia Aurora 1794).
Al giorno d’oggi, nulla è rimasto della vecchia America di cui parlava de Tocqueville. Eppure la coscienza umana è sempre in ritardo sull’evoluzione della storia. Lo sviluppo delle forze produttive negli Stati Uniti nel secolo scorso ha raggiunto vette vertiginose. L’industria, l’agricoltura, la scienza e la tecnica si sono sviluppate ad un punto tale che potrebbero facilmente permettere alla società di compiere un gigantesco balzo in avanti. Il solo potenziale produttivo degli Stati Uniti, se fosse sfruttato per un piano di produzione razionale e democratico, sarebbe sufficiente a sradicare la povertà, l’analfabetismo e le malattie su scala mondiale.
Tuttavia, anche qui ci imbattiamo in una contraddizione dialettica. Nel primo decennio del XXI secolo, negli stessi Stati Uniti, vediamo un divario enorme e crescente tra ricchi e poveri. La divisione di classe, che secondo le teorie ufficiali sarebbe dovuta scomparire molto tempo fa, o almeno ridotta a livelli insignificanti, ha raggiunto proporzioni inaudite. Non diminuisce, ma aumenta anche in tempi di boom economico. Oggi, il 20 per cento più ricco degli americani possiede metà della ricchezza del paese, mentre il 20 per cento più povero possiede appena il 4 per cento.
Nel Manifesto del partito comunista, Marx ed Engels prevedevano che la libera concorrenza sarebbe inevitabilmente finita nella costituzione di monopoli. Per molto tempo, gli economisti ufficiali hanno provato a negare che la concentrazione del capitale predetta da Marx avesse effettivamente avuto luogo. In particolare, negli ultimi due decenni, hanno insistito sul fatto che la tendenza sarebbe stata nella direzione opposta, cioè verso le piccole imprese, in cui i piccoli imprenditori avrebbero avuto successo. Hanno anche coniato una frase: “piccolo è bello”. Come suonano assurdamente fuori luogo queste parole ora! Il processo di concentrazione del capitale ha raggiunto ovunque livelli inauditi. L’intero commercio mondiale è oggi dominato da non più di 200 imprese di proporzioni gigantesche, la maggior parte delle quali ha sede negli Stati Uniti, dove questo processo si è spinto più in là di tutti gli altri paesi. Oggi, le vite e i destini di milioni di americani sono nelle mani di una piccola manciata di multinazionali, che a loro volta sono gestite da un numero ristretto di dirigenti molto ricchi. L’unico obiettivo di questa nuova casta di baroni predatori è quello di arricchire se stessi, e di aumentare il potere delle loro rispettive aziende. Gli interessi della stragrande maggioranza dei cittadini americani sono di scarso interesse per loro; quelli degli abitanti del resto del mondo, di nessun interesse.
Nel suo recente best seller “Stupid white man”, Michael Moore riporta alcuni fatti molto significativi sul mondo in cui viviamo ora:
• “Dal 1979 ad oggi, l’1% più ricco del paese ha visto i propri salari aumentare del 157%; chi di voi è nel 20% più povero sta realmente guadagnando 100 dollari in meno all’anno (tenuto conto dell’inflazione) di quel che guadagnava all’alba dell’era Reagan.
• Le duecento aziende più ricche del mondo hanno visto i loro profitti crescere del 362,4% dal 1983; le loro vendite combinate sono ora superiori al prodotto interno lordo combinato di tutte le nazioni della terra, tranne dieci.
• Nell’anno più recente per cui ci sono dati disponibili, 44 delle 82 aziende principali negli Stati Uniti non hanno pagato la percentuale standard del 35% delle tasse che le società sono tenute a pagare. In particolare, il 17% di queste aziende non affatto ha pagato tasse e 7 di queste, tra cui General Motors, hanno rivoltato le regole fiscali come un’arpa, manipolando spese aziendali e crediti d’imposta al punto che il governo effettivamente ha dovuto loro milioni di dollari!
• Altre 1.279 società con attività di 250 milioni di dollari o più, anch’esse non hanno pagato tasse e hanno indicato per il 1995 (l’anno più recente per cui le statistiche erano disponibili), nessun reddito” (Stupid White Men, pp. 52-3).
Queste signore e signori (perché ora ci sono anche alcune donne tra loro) sono i veri governanti dell’America. La famosa democrazia di cui de Tocqueville scriveva è diventata solo una copertura per la dittatura delle grandi multinazionali. Poco importa chi votano gli americani alla Casa Bianca o al Campidoglio, perché tutte le decisioni importanti saranno prese a porte chiuse da queste piccole e non rappresentative cricche che in pratica sono responsabili solo verso se stesse.
Gli interessi acquisiti da questo strato dirigente sono sostenuti dalla più potente macchina militare della storia. Essa rivendica il diritto di intervenire ovunque, di rovesciare governi legalmente eletti, di scatenare guerre e guerre civili, di bombardare e distruggere Stati apparentemente sovrani, senza nessun ostacolo. C’è da meravigliarsi che questa America si sia guadagnata l’odio di milioni di persone in tutto il mondo? Non è difficile da capire. Eppure questa non è la vera America, o la vera gente d’America che ha combattuto l’imperialismo britannico per conquistare la libertà e poi ha combattuto una guerra civile per estendere quella libertà (almeno sulla carta) agli schiavi neri.
Le illusioni sono dure a morire. Per molti americani, gli Stati Uniti, nonostante tutto, rimangono la terra del coraggio e della libertà. Non riescono a capire perché gli Stati Uniti siano così poco amati dal resto del mondo. Lentamente, ma inesorabilmente, ci si sta rendendo conto che non tutto va così bene in America. Un recente sondaggio della Business Week ha rivelato che il 74% degli americani pensava che le grandi imprese avessero troppo potere sulle loro vite. Il resto di questa interessante indagine ha anche mostrato che sotto la superficie della calma e della soddisfazione, c’è un crescente sentimento di insoddisfazione per la situazione attuale. Le massicce dimostrazioni iniziate tre anni fa a Seattle hanno fatto capire alla classe dirigente degli Stati Uniti che qualcosa sta cominciando a muoversi. E questo è solo l’inizio.
Il crescente malcontento
“Lo spirito di resistenza al governo è così prezioso in alcune occasioni, che desidero che sia sempre mantenuto vivo. Spesso lo si eserciterà quando sarà sbagliato farlo, ma meglio così che non essere esercitato affatto. Mi piace un po’ di ribellione ogni tanto” (Thomas Jefferson, lettera ad Abigail Adams, 1787).
I lunghi anni di ripresa economica che seguirono la Seconda guerra mondiale sbarrarono la strada al movimento rivoluzionario che si stava sviluppando negli anni ’30 negli Stati Uniti e in qualche modo attenuarono la coscienza di classe del proletariato. Ma ora la crisi mondiale del capitalismo sta colpendo seriamente gli Stati Uniti. Milioni di persone rischiano chiusure delle fabbriche in cui lavorano e licenziamenti. Si tratta di un cambiamento fondamentale. Era dagli anni ’60 che gli Stati Uniti non registravano una disoccupazione come quella registrata nel 2000. Il tasso di disoccupazione si attesta ora intorno al 6 per cento, senza che ci sia alcun miglioramento in vista. Inoltre, i lavoratori che hanno perso il lavoro hanno avuto più difficoltà a trovarne di nuovi. Un recente articolo del New York Times (28 novembre 2002) ha sottolineato che la percentuale di coloro che sono disoccupati da più di 27 settimane è molto elevata:
“Ora, circa 800mila lavoratori in più sono senza lavoro da sei mesi o più, rispetto alla cifra che si registrava nel 2000. Ecco perché è così importante estendere le indennità di disoccupazione. Inoltre, il numero di lavoratori part time che vorrebbero un lavoro a tempo pieno è aumentato di un milione. E l’aumento della forza lavoro è rallentato notevolmente perché molte altre persone hanno smesso di cercare lavoro. Non compaiono nei dati sulla disoccupazione. Nelle recessioni dei primi anni ’80 e ’90, la forza lavoro era cresciuta molto più rapidamente, spingendo in alto il tasso di disoccupazione ufficiale.“
Il boom degli anni ’90 ha significato un certo miglioramento per molti lavoratori e per la classe media e mirabolanti fortune per una piccola minoranza. Anche in questo periodo, i ricchi hanno guadagnato molto di più dei poveri, la cui posizione è migliorata molto più lentamente. Ma ora, con la recessione iniziata due anni fa, i redditi delle famiglie stanno nuovamente diminuendo in modo generalizzato. Ma stanno cadendo più rapidamente per il 20-30 per cento della società coi salari più bassi. La disuguaglianza sta aumentando, e il contrasto tra i pezzi grossi che si ingrassano nell’opulenza ai piani alti della società e i nullatenenti negli strati inferiori è più evidente che mai.
I ricchi trovano il modo di evitare il pagamento delle tasse così l’onere della tassazione ricade pesantemente sulle spalle della classe media e della classe operaia. Un buon esempio di questo è la tassa di successione che è, nella maggior parte dei casi, una tassa sulla ricchezza. Nel 1999, solo il 2% più ricco dei proprietari immobiliari hanno pagato una qualche tassa; in 3.300 (pari ad appena lo 0,16 per cento del totale) hanno pagato metà del totale delle tasse di successione, con un valore minimo di 5 milioni di dollari e un valore medio di 17 milioni di dollari. Un quarto del totale è stato pagato da appena 467 proprietà che valgono più di 20 milioni di dollari.
Paul Krugman in un recente articolo sul New York Times (20 ottobre 2002.) con il titolo significativo “La guerra di classe: la fine della classe media in America”, scrive:
“La disuguaglianza di reddito in America è tornata ai livelli degli anni ’20. La ricchezza accumulata con le eredità non ha ancora un grande ruolo nella nostra società ma, visti i tempi (e l’abrogazione della tassa di successione) ci svilupperemo anche noi stessi come un’élite di ereditieri, un’entità lontana dalle preoccupazioni dei comuni americani come il vecchio Horace Havemeyer (la famiglia Havemeyer è una delle più riche degli Usa, Ndt). E la nuova élite, come la vecchia, avrà un enorme potere politico.“
Anche coloro che mantengono ancora il loro lavoro sono insoddisfatti. Hanno poca fiducia nel futuro. Nessuno si sente più al sicuro. C’è una nuova volatilità e un clima di critica e malcontento a tutti i livelli. C’è un’enorme e crescente alienazione tra il popolo americano e coloro che governano le loro vite. E un numero crescente di americani sta diventando consapevole di questo stato di cose e sono insoddisfatti di questo. Forse non sanno esattamente ciò che vogliono, ma certamente sanno ciò che non vogliono. Il senso di alienazione si riflette in un gran numero di persone che non votano alle elezioni. La sconfitta di Al Gore alle ultime elezioni presidenziali, nonostante il fatto che l’economia americana fosse in piena espansione (“è l’economia, stupido!”) è stato un avvertimento per l’establishment politico che non tutto va poi così bene nella società americana.
C’è un’ondata di malcontento che viene dal cuore stesso dell’America. Milioni di uomini e donne sono infelici per il tipo di vita che conducono: le lunghe ore passate al lavoro, la pressione senza fine a cui si è sottoposti, gli atteggiamenti autoritari dei manager, l’insicurezza cronica. Questi stati d’animo stanno cominciando ad influenzare anche gli strati della classe media che in precedenza potevano essere considerati ricchi e benestanti. E anche ad un livello più alto, c’è chi comincia a mettere in discussione i valori di una società in cui le leggi della giungla sono presentate come un modello: il lupo mangia il lupo! Ognuno per sé e chi rimane indietro il diavolo lo prenda! La vita nel XXI secolo si è davvero ridotta così?
J. K. Galbraith qualche anno fa ha scritto un libro intitolato La cultura dell’appagamento, in cui ha messo nero su bianco un avvertimento per l’America:
“La recessione e la depressione aggravate da un decadimento di lungo corso dell’economia, il pericolo implicito in un forte potere militare indipendente e la crescente agitazione nelle baraccopoli urbane, causate da un approfondimento della condizione di miseria e di disperazione vengono citate come traiettorie separate l’una dall’altra. Nei fatti tutto potrebbe intrecciarsi. Una profonda recessione potrebbe causare maggiore malcontento nelle aree urbane più disastrate in seguito a qualche disavventura militare in cui, nella natura delle moderne forze armate, i disgraziati fossero sproporzionatamente impegnati” (La cultura dell’appagamento, pp. 172-3).
Finora, l’America ha evitato la profonda recessione di cui parlava Galbraith. Ma il rinvio non significa averla evitata. L’attuale ripresa dell’economia americana, basata sul consumo e sul debito piuttosto che sugli investimenti produttivi, potrebbe non essere duratura e potrebbe essere solo il preludio di una caduta ancora più ripida. In ogni caso, il futuro dell’economia capitalista, sia negli Stati Uniti che su scala mondiale, ha un aspetto cupo. Nuovi shock sono inevitabili, con conseguenze impreviste.
Il punto è che nessuno può controllare le forze che si sono scatenate su scala globale negli ultimi dieci o vent’anni. Le contraddizioni fondamentali del capitalismo non sono state abolite, come alcuni economisti americani hanno sostenuto, ma riprodotte solo su una scala molto più vasta come mai si era visto in passato. Non c’è nessuna legge in base alla quale si possa prevedere che queste forze di mercato raggiungeranno prima o poi, in maniera automatica, un certo equilibrio. Al contrario, il carattere anarchico e non pianificato del capitalismo si dovrà manifestare nelle convulsioni più tremende. La globalizzazione si manifesterà come una crisi globale del capitalismo. A dire il vero, lo sta già facendo.
George Soros, che certamente non è marxista ma un grande esperto del funzionamento del mercato mondiale, ha sottolineato che il mercato non funziona come un pendolo, ma piuttosto come una palla da demolizione. E in effetti demolisce tutto ciò che trova sulla sua strada. Di recente abbiamo visto i risultati di questa azione distruttrice in Argentina. Non rimarrà l’ultimo caso.
Il cuore marcio del Capitale americano
Lo scandalo Enron, con l’ondata di scandali societari che l’hanno seguito, ha completamente rivelato la menzogna che l’economia di mercato sia il sistema più efficiente, il modo migliore per evitare burocrazia e corruzione, che sia, in qualche forma, “più democratica” e permetta a più persone di dire la loro su come vengono gestite le cose. Il fatto è che, all’interno delle grandi multinazionali statunitensi, la corruzione è dilagante, regna la tirannia, e i posti di lavoro, le vite e le pensioni di milioni di persone sono nelle mani di minoranze potenti e autoritarie di dirigenti straricchi.
È del tutto falso che il sistema attuale funzioni bene perché premia l’efficienza. La stragrande maggioranza dei lavoratori americani, che sono costretti a lavorare per molte ore, sotto la spada di Damocle di un’inarrestabile pressione per guadagnare abbastanza per mantenere le loro famiglie, troppo spesso devono fare due o tre lavori per far quadrare i conti. Negli ultimi vent’anni, la produttività negli Stati Uniti è enormemente aumentata e sono stati ricavati enormi profitti dalla spremitura della forza lavoro statunitense. La settimana lavorativa è stata progressivamente prolungata, in media, da 40 a più di 50 ore. La gente sente la tensione. Sta minando la salute fisica e mentale delle persone e sta rovinando la loro vita familiare. Ciò è sempre più vero, non solo per gli operai, ma anche per i professionisti e i quadri inferiori. Ciò che li fa andare avanti non è la libera scelta o la spinta ad andare avanti, ma la pressione incessante per ottenere risultati (es. profitti per i padroni) e la paura di perdere il lavoro.
D’altra parte, è ugualmente falso che i dirigenti superiori delle grandi società siano guidati dal principio secondo cui maggiori ricompense facciano seguito a risultati migliori. Al contrario, negli ultimi decenni, gli amministratori delegati si sono costantemente ricompensati con le somme di denaro più sconcertanti, senza alcuna relazione con le prestazioni effettivamente realizzate o la produttività conseguite. Grandi fortune sono state fatte, e vengono fatte tutt’oggi, da persone che non fanno quasi nulla (e a volte proprio nulla). Anche nell’attuale recessione, quando i profitti delle società sono in calo e gli operai sono licenziati oppure sottoposti a maggiori sacrifici pur di lavorare, i pezzi grossi, i ricconi, continuano a saccheggiare la ricchezza dell’America nel modo più spudorato.
Oltre ai loro lauti stipendi, che non hanno nulla a che vedere con le prestazioni realizzate, gli amministratori delegati ricevono un’ampia gamma di vantaggi, in gran parte attraverso la corruzione. L’esempio migliore è il noto sistema delle stock options. Così, anche se i dirigenti di America On Line Time Warner sono stati puniti con il mancato pagamento dei bonus, hanno comunque ricevuto stock options del valore di circa 40 milioni di dollari a testa. Molti lavoratori americani sarebbero molto lieti di ricevere una tale “punizione” nel bel mezzo di una recessione!
Vi è anche una vasta gamma di vantaggi che non emergono dalle normali indagini sulle retribuzioni dei datori di lavoro. Coca Cola richiede che, sia il suo capo che sua moglie, possano sempre viaggiare con il jet della società, un privilegio che è costato alla società 103.898 dollari solo l’anno scorso. Alla AOL Time Warner, Gerald Levin e Richard Parkins, il suo successore in pectore, hanno ottenuto 97.500 dollari a testa in “servizi finanziari” (la società ha spiegato per la “dichiarazione dei redditi, la preparazione e pianificazione finanziaria”, qualsiasi cosa questo significhi).
È vero, alcuni di loro hanno ora avuto “tagli di stipendio”. In cosa consistono questi “tagli”? Stanford Weill, l’amministratore delegato di Citigroup, ha avuto di recente un 83% di riduzione di stipendio, che ha lasciato il povero con un miserabile ammontare di 36.1 milioni di dollari. L’Economist (6 aprile 2002) ha commentato:
“Una delle preoccupazioni è che la paga dei dirigenti è salita a livelli tali che i tempi brutti assomigliano piuttosto ai bei tempi andati: la compensazione media totale, nell’indagine Mercer [un recente sondaggio su 100 grandi aziende di William M. Mercer e il Wall Street Journal], era ancora 2.16 milioni di dollari. Né la paga è scesa quanto hanno fatto i profitti. Il compenso totale degli amministratori delegati è diminuito del 2,9% rispetto a un anno fa, ma gli utili, al netto delle imposte, sono scesi di quasi il 50% lo scorso anno, tra le aziende incluse nella classifica delle prime 500 aziende stilata da Standard&Poors. Alcune componenti della paga ricevuta da padroni, come il salario di base, hanno continuato ad aumentare bellamente, sullo sfondo di questa terrificante performance.“
L’Economist continua:
“Alcuni dei servizi finanziari che le aziende americane offrono ai loro dirigenti metterebbero le banche normali fuori dal mercato. Comaq, un produttore di computer, ha accettato di abbonare un prestito di 5 milioni di dollari (!) elargito al suo capo, Michael Capellas, e gli sta fornendo un nuovo prestito per aiutarlo quando è arrivato il conto delle tasse. Bernie Ebbers, l’amministratore delegato di WorldCom, una società di telecomunicazioni in difficoltà, ha preso in prestito 341 milioni di dollari dal suo datore di lavoro, una somma sulla quale sta pagando poco più del 2% di interessi.“
Quando sono impiegati questi quadri, responsabili in realtà nei confronti di nessuno, si arricchiscono vergognosamente con profitti che sono gli stipendi non pagati della classe operaia. Quando un lavoratore è licenziato (cosa che a queste persone raramente avviene) o va in pensione, riceve un indennizzo molto scarso, sempre che ottenga qualcosa. Ma queste signore e signori continuano a comportarsi come sanguisughe anche quando sono formalmente in pensione.
“Oltre alla sua pensione, del valore di circa 9 milioni di dollari l’anno, Jack Welch, il capo in pensione di General Electric, ha ricevuto la “richiesta”, secondo i termini del suo contratto, di rimanere consulente della sua società per il resto della vita, un servizio per cui egli addebiterà una tariffa quotidiana [sì, avete letto bene, quotidiana] di 17mila dollari.” (ibidem)
In che cosa consista precisamente questa consulenza non è dato sapere. Ma il quadro generale è piuttosto chiaro. Quello che abbiamo qui non è l’immagine dell’imprenditore americano che si fa da sé, un mito così tenacemente coltivato dai sostenitori del capitalismo, ma l’esatto contrario. Questo è un quadro di saccheggio incondizionato e sfrenato dell’economia americana da parte di piccoli parassiti non rappresentativi di nulla e soprattutto improduttivi. Comodamente chiusi nelle loro torri di vetro lucente, distanti anni luce dalla forza lavoro e dal popolo americano, a capo di vaste e servili burocrazie aziendali, determinano tranquillamente il destino di milioni di persone, sia negli Stati Uniti che su scala globale. Questo è il vero volto dell’America corporativa e la realtà della cosiddetta libera economia di mercato. Enron era solo la punta di un iceberg molto grande, brutto e pericoloso. Se qualcuno pensa che si tratti solo di un’esagerazione e di un allarmismo dei marxisti, lasciamo l’ultima parola a quel campione dell’economia di libero mercato, l’Economist, che abbiamo già citato. Prevede che, alle tendenze attuali, “entro il 2021 emergerà una grande azienda americana dove il capo sarà pagato più di tutte le vendite dell’azienda. Se queste sono le forze del mercato, allora sarebbe meglio ignorarle“.
Il socialismo e la democrazia
L’idea che il socialismo e la democrazia siano in qualche modo incompatibili è un’altra falsità. Su questa questione, i difensori del capitalismo si comportano come una piovra che si difende spruzzando una grande quantità di inchiostro per confondere il suo nemico. Il fatto è questo: la democrazia negli Stati Uniti è una copertura per la dittatura di una manciata di potenti multinazionali gestite da minuscole cricche di persone non elette da nessuno e completamente irresponsabili nei confronti di chicchessia. Questi non solo possiedono e controllano la ricchezza dell’America, controllano anche la stampa, la televisione e tutti gli altri mezzi di formazione e condizionamento dell’opinione pubblica. Mentre in teoria ci sono due partiti, tutti sanno che la differenza tra i Democratici e i Repubblicani è minima.
La Russia stalinista era una dittatura monopartitica (qualcosa che né Marx né Lenin avevano mai sostenuto). L’America vanta di essere una democrazia pluralistica. In questa democrazia tutti possono dire quello che vogliono (o quasi…) finché sono le banche e le grandi aziende a decidere come devono andare le cose. Le elezioni si svolgono regolarmente, ma di fatto l’elettorato non ha scelta. I Democratici e i Repubblicani difendono gli interessi delle grandi imprese. Non c’è una vera differenza tra di loro: le piccole differenze che esistevano in passato sono quasi scomparse. Per essere eletti bisogna essere miliardari, oppure avere accesso a ingenti somme di denaro. E come dice il proverbio: chi paga l’orchestra decide la musica. Lo scandalo Enron ha semplicemente confermato ciò che tutti già sapevano: che la grande maggioranza dei senatori e dei componenti del Congresso sono sul libro paga dei grandi affaristi. Non c’è da stupirsi che milioni di cittadini americani siano disillusi e non si prendono neanche il disturbo di votare.
I marxisti sostengono la democrazia. Ma noi sosteniamo una vera democrazia, non una sua caricatura truffaldina. E la prima condizione per l’introduzione della democrazia negli Stati Uniti è il rovesciamento della dittatura delle grandi imprese. Il potere delle grandi banche e multinazionali deve essere rotto, e i settori decisivi dell’economia devono essere nazionalizzati sotto il controllo democratico e la gestione degli stessi lavoratori. Ci sarebbe molto spazio per l’iniziativa personale!
I talenti degli ingegneri, dei manager, degli scienziati e dei tecnici svolgerebbero un ruolo cruciale in un’economia pianificata socialista. Una volta che il profitto privato non fosse più il principio guida, si aprirebbe la strada a un boom senza precedenti di invenzioni, innovazioni di ogni genere. Soprattutto, gli uomini e le donne in fabbrica sarebbero incoraggiati a partecipare alle discussioni e ai dibattiti su come migliorare le pratiche di lavoro. In questo modo, ognuno avrebbe un interesse nel funzionamento della società. Il processo decisionale non sarebbe più il privilegio di pochi dirigenti ricchi, ma la proprietà comune di tutti gli americani.
In che modo questa idea contraddice gli ideali americani tradizionali della democrazia e dei diritti individuali cari agli americani? Non li contraddice affatto, ma li riafferma e li porta ad un livello qualitativamente più alto. In realtà, al momento c’è davvero ben poco spazio per il libero sviluppo dell’individuo negli Stati Uniti delle grandi multinazionali. Nessuna delle decisioni importanti che interessano la vita della gente è presa dalla gente. Non vengono nemmeno prese al Campidoglio, ma da individui invisibili dietro porte chiuse a Wall Street, nel Pentagono e nel Dipartimento di Stato, e soprattutto nelle sale di consiglio delle grandi multinazionali che governano realmente gli Stati Uniti.
La burocrazia è forse inevitabile?
Spesso si afferma che la proprietà privata è meglio delle imprese nazionalizzate perché consente l’iniziativa privata. Ma in pratica, le grandi società che dominano l’economia americana sono estremamente burocratiche, inefficienti e spesso corrotte. Non lasciano molto spazio all’iniziativa personale, almeno per quanto riguarda la grande maggioranza della forza lavoro. Sono fondamentalmente anti-democratiche, essendo dirette da una manciata di dirigenti straricchi il cui scopo principale nella vita è di diventare ancora più ricchi.
Il bene pubblico non riguarda questi individui, salvo nel caso in cui la loro indifferenza nei confronti della collettività non li porti ad incappare in una cattiva pubblicità, col rischio di danneggiare le vendite e quindi i profitti.
La soluzione a questo problema, tuttavia, non è quella di agire nell’interesse pubblico, nient’affatto. Quello che succede in queste situazioni è che vengono pagati i servizi di un dipartimento di pubbliche relazioni che viene usato per presentare l’immagine dell’azienda sotto una luce più favorevole; vale a dire, per ingannare il pubblico.
Il caso di Enron è un ottimo esempio reale delle pratiche adottate dalle società statunitensi. Va notato che questa società era così strettamente legata al governo americano, ai livelli più alti, che si è rivelato quasi impossibile indagare sulle sue attività e ancora oggi la verità non è venuta a galla. E ci sono molte altre Enron che non sono ancora venute a galla.
Niente meno che un’autorità come Adam Smith, a suo tempo, già avvertiva dei pericoli del monopolio, quando scriveva:
“Poiché gli amministratori di tali [società per azioni] […] sono i gestori del denaro di altre persone, non ci si può aspettare che essi veglino su di esso con la stessa attenta vigilanza con cui i soci di una società privata spesso vigilano sul proprio […] Negligenza e sperperi, quindi devono sempre prevalere, più o meno, nella gestione degli affari di una tale società” (Adam Smith, Ricchezza delle Nazioni, parte 3, p. 112).
La soluzione a questo problema non può essere un ritorno all’era delle piccole imprese, come alcuni sostengono. Quel periodo è stato consegnato al passato e non tornerà. La moderna economia capitalistica è interamente dominata da grandi monopoli, e nulla può invertire questa tendenza. Chi dubita di questo deve solo esaminare la storia della legislazione anti-trust negli Stati Uniti. Da molto tempo esistono leggi contro i monopoli, ma il loro effetto pratico è del tutto trascurabile. Testimone ne è l’attuale scontro tra Bill Gates e le autorità federali. Nessuno dubita che il Sig. Gates abbia creato il monopolio più grande del mondo, e che questo stia danneggiando il progresso della tecnologia in un settore vitale come quello dell’informatica. Tuttavia, nella pratica, è impossibile mettere in discussione la sua posizione.
Dal momento che non è possibile arrestare l’inevitabile tendenza alla formazione di monopoli, rimane solo un’alternativa: mettere sotto controllo democratico queste grandi società, che al momento sono responsabili solo nei confronti di se stesse. Ma qui ci troviamo di fronte ad una difficoltà insormontabile. Non è possibile controllare ciò che non si possiede. La risposta è molto chiara: per controllare i monopoli, è necessario toglierli completamente dalle mani dei privati, cioè nazionalizzarli. Solo allora sarà possibile garantire che i punti nevralgici dell’economia siano al servizio della società e non il contrario.
Ma questo non creerebbe il pericolo della crescita di una burocrazia, come esisteva nella Russia stalinista? Questa sembra essere un’obiezione molto seria, ma in realtà non lo è. La degenerazione burocratica della rivoluzione russa non fu il risultato della nazionalizzazione, ma dell’isolamento della rivoluzione in condizioni di spaventosa arretratezza. Non va dimenticato che nel 1917 la Russia era un paese semifeudale estremamente arretrato. Su una popolazione totale di 150 milioni di persone, vi erano solo quattro milioni di lavoratori industriali. In uno spazio di tempo straordinariamente breve, l’economia pianificata nazionalizzata ha trasformato la Russia da un paese arretrato come il Pakistan di oggi nella seconda nazione più potente sulla terra. Per molti decenni l’URSS ha ottenuto risultati economici che non sono mai stati eguagliati da nessun altro paese. Non dobbiamo dimenticare che la sua economia ha subito la più terribile devastazione durante la Seconda guerra mondiale quando 27 milioni di cittadini sovietici sono morti.
Non è possibile capire cosa sia successo nell’Unione Sovietica senza considerare questi fatti. Né è ragionevole fare un’analogia tra il destino dell’economia pianificata nazionalizzata nella Russia arretrata e le prospettive di un’economia socialista pianificata negli Stati Uniti. La burocrazia è un prodotto dell’arretratezza economica e culturale. Non è difficile dimostrare questo. Se si considera la situazione in quei paesi che a volte vengono chiamati del “Terzo Mondo”, gli Stati dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, allora diventa subito evidente che la burocrazia è una caratteristica comune a ciascuno di essi, sia che i mezzi di produzione siano nazionalizzati o no.
È possibile disegnare un grafico che mostra come il grado di burocratizzazione di una data società sia inversamente proporzionale al livello del relativo sviluppo economico e culturale. Lo stesso vale per fenomeni quali la corruzione, l’inefficienza che di solito sono legati alla burocrazia. La società tende a liberarsi di queste cose nella misura in cui si solleva da un basso livello di sviluppo economico e tecnologico e aumenta il livello culturale della popolazione.
Naturalmente, dove una burocrazia diventa una casta dominante radicata, come accadde in Russia dopo la morte di Lenin, può aggrapparsi al suo potere e ai suoi privilegi anche quando il livello di sviluppo economico e culturale la rende del tutto superflua. Ma in quel caso, la burocrazia alla fine arriverà a soffocare e distruggere l’economia pianificata nazionalizzata, che è esattamente ciò che è accaduto nell’Unione Sovietica. Ed è proprio questo il punto. Non solo l’esistenza della burocrazia in Russia non è il prodotto dell’economia pianificata nazionalizzata ma è in una posizione di completo antagonismo rispetto ad essa. Trotskij ha spiegato che un’economia pianificata nazionalizzata ha bisogno della democrazia come il corpo umano ha bisogno di ossigeno.
Senza la democrazia, senza il controllo e l’amministrazione della società da parte della classe operaia, l’economia pianificata alla fine è rimasta come sequestrata e paralizzata dal controllo soffocante della burocrazia.
L’anima dell’America
Nella prima parte de “La Rivolta della Ragione” si fa riferimento alla contraddizione tra i meravigliosi progressi della scienza e lo straordinario ritardo della coscienza umana. Questa contraddizione è particolarmente evidente negli Stati Uniti. Nel paese che ha fatto più di ogni altro per promuovere la causa della scienza nel periodo passato, la stragrande maggioranza delle persone credono in Dio, o sono religiose in qualche modo. Il 36 per cento degli americani pensa che la Bibbia sia letteralmente la parola di Dio, e la metà crede che l’America goda della protezione divina. Dopo l’11 settembre, il 78 per cento pensava che l’influenza della religione sulla vita pubblica stava crescendo. I libri sull’apocalisse sono diventati best seller. Questa situazione è molto diversa da quella della maggior parte dei paesi europei, dove la religione organizzata sta morendo rapidamente (anche se c’è ancora un sacco di superstizione e misticismo attorno ad essa).
Potrebbe sembrare strano ma i Padri Fondatori non erano affatto religiosi. Questi veri figli del XVIII secolo si sono espressi nei termini più aspri circa la religione in generale e il cristianesimo in particolare. I Padri Fondatori George Washington & John Adams, in un messaggio diplomatico a Malta, scrissero: “Gli Stati Uniti non sono in alcun modo fondati sulla religione cristiana.“
John Adams, in una lettera a Thomas Jefferson, andò ancora: “Questo sarebbe il meglio di tutti i mondi possibili, se non ci fosse religione in esso.“
Thomas Jefferson, nel 1814, commentò: “In ogni paese e in ogni epoca, il sacerdote è stato ostile alla libertà. È sempre in alleanza con il despota, favorendo i suoi abusi in cambio di protezione ai suoi.“
E lo stesso Thomas Jefferson scrisse nel 1823: “Verrà un giorno in cui la generazione mistica di Gesù dall’Essere Supremo nel ventre di una vergine, sarà paragonata alla favola della generazione di Minerva dal cervello di Giove” e aggiunse: “Non trovo nel cristianesimo ortodosso una caratteristica redentrice“.
Le cose non andavano meglio con Abraham Lincoln, che era anche apertamente lontano dalla religione: “La Bibbia non è il mio libro, e il cristianesimo non è la mia religione, disse. “Non potrei mai accettare le lunghe e complicate affermazioni del dogma cristiano“.
Questi punti di vista erono il risultato naturale della filosofia razionalista che rappresentava le idee filosofiche più avanzate dell’Illuminismo del XVIII secolo. Il rifiuto della religione è sempre stato il primo passo verso una visione razionale della natura e della società. Fu l’inizio di tutto il progresso moderno, la base delle rivoluzioni americana e francese. Ed è stato anche il punto di partenza per lo sviluppo della scienza e della tecnologia moderne, il vero fondamento della grandezza dell’America. Oggi il grado di progresso scientifico e tecnologico negli Stati Uniti è ineguagliato da qualsiasi altro paese. Qui abbiamo uno sguardo allettante sul futuro – il potenziale sconcertante dello sviluppo umano. Ma vediamo anche una contraddizione: accanto alle idee più avanzate la persistenza di idee tramandate immutate da un lontano e barbaro passato.
La ragione per la persistenza delle credenze religiose è che gli uomini e le donne sentono che le loro vite sono sotto il controllo di strane forze invisibili. Non si sentono in controllo del proprio destino, come dovrebbero essere gli esseri umani veramente liberi. E infatti, le nostre vite sono davvero determinate da forze che non sono sotto il nostro controllo. Le oscillazioni selvagge delle forze del mercato su scala mondiale determinano se milioni di persone avranno un lavoro o no. Le ruote della fortuna, altrettanto selvagge, dei mercati azionari possono rovinare milioni di famiglie in pochi giorni o addirittura in qualche ora. Vi è una generale instabilità e volatilità in tutto il mondo, che si esprime in guerre senza fine, attentati terroristici e altre barbarie. Questo crea un clima generale di paura e incertezza. È quello che viene chiamato il nuovo ordine mondiale.
Nel suo periodo di ascesa, il capitalismo si è basato sul razionalismo. Questo è quanto si esprime nelle idee dei padri fondatori riportate sopra. In generale, quando un particolare sistema socio-economico è in uno stato di collasso, il suo declino si esprime in una crisi generale della moralità, della famiglia, del credo e così via. L’ideologia dell’élite dominante diventa sempre più decrepita, i suoi valori marci. La gente non crede più nei vecchi modi e i vecchi ideali si scontrano con un diffuso scetticismo e una crescente ironia. Alla fine, emerge un nuovo insieme di ideali e una nuova ideologia che riflette la posizione della classe rivoluzionaria nascente. Nel XVIII secolo questa era la borghesia, che aveva generalmente assunto una posizione razionalista. Nel XXI secolo è la classe operaia che deve basarsi sul socialismo scientifico, il marxismo.
In generale, quando la società entra in una fase terminale di declino inarrestabile (ed il capitalismo è sicuramente entrato in questa fase), si può reagire in due modi. Una risposta è rinchiudersi in se stessi, cercare di fuggire da una realtà esterna orribile, chiudendo tutte le porte e le finestre e chiudendo gli occhi su ciò che sta accadendo nel mondo là fuori. Il problema è che il mondo esterno ha un modo impertinente di intromettersi anche negli aspetti più personali della vita degli individui. Prima o poi verrà a bussare alla tua porta, e di solito ad un’ora sconveniente. Non c’è via di scampo.
Il secondo modo è guardare la realtà in faccia per quella che è, cercare di capirla e prepararsi così a cambiarla. Hegel disse molto tempo fa che la vera libertà è il riconoscimento della necessità: se vogliamo cambiare il contesto in cui viviamo, dobbiamo prima capirlo. Il marxismo ci fornisce uno strumento meraviglioso per comprendere la natura del mondo in cui viviamo e farci capire da dove siamo venuti e dove stiamo andando. A differenza della religione, che offre la consolazione di una visione della felicità e della propria realizzazione futura oltre la tomba, il marxismo orienta il nostro sguardo non verso il cielo, ma verso la vita attuale e ci aiuta a comprendere le forze apparentemente misteriose che determinano il nostro destino.
Da quando il libro “La Rivolta della ragione” è apparso per la prima volta, ci sono stati un certo numero di altri progressi spettacolari nella scienza, in particolare la mappatura del genoma umano. Questi risultati hanno completamente demolito le posizioni di determinismo genetico che abbiamo criticatoal suo interno. Inoltre hanno tolto il terreno da sotto i piedi alle teorie razziste proposte da alcuni scrittori negli Stati Uniti, che hanno tentato di arruolare il servizio dei genetisti per propugnare le loro teorie pseudo-scientifiche e reazionarie secondo le quali i neri sono geneticamente predisposti all’ignoranza e alla povertà. Hanno anche inferto un colpo mortale alle assurdità dei creazionisti che vogliono respingere il darwinismo a favore dei primi capitoli della Genesi imponendoli alle scuole americane.
Per molti americani, il marxismo è un libro chiuso perché è visto come anti-religioso. Dopo tutto, non è stato Marx a descrivere la religione come l’oppio dei popoli? Di fatto, poco tempo prima di queste famose parole, Marx scrisse: “La sofferenza religiosa è allo stesso tempo l’espressione di una vera angoscia e la protesta contro la vera sofferenza.” In sostanza, la religione è l’espressione del desiderio di un mondo migliore e la convinzione che ci debba essere qualcosa di più della valle di lacrime che attraversiamo nell’ intervallo di tempo troppo breve che intercorre per ognuno di noi dalla culla alla tomba.
Molte persone sono insoddisfatte delle loro vite. Non è solo una questione di povertà materiale, che tuttavia esiste, negli Stati Uniti come in tutti gli altri paesi. È anche una questione di povertà spirituale: la vacuità della vita delle persone, la angosciante routine del lavoro che occupa così tante ore delle nostre giornate; l’alienazione che divide uomini e donne l’uno dall’altro; l’assenza di relazioni umane e di solidarietà in una società che proclama con orgoglio le leggi della giungla e la cosiddetta sopravvivenza del più forte (leggasi del più ricco); la dilaniante banalità di una cultura sottoposta alle regole del commercio. In un mondo siffatto la domanda che dovremmo porci non è: c’è una vita dopo la morte, ma c’è una vita prima della morte?
Il sistema capitalista è un sistema mostruosamente oppressivo e disumano, che comportamiseria, malattie, oppressione e morte per milioni di persone nel mondo a livelli indicibili. È certamente dovere di ogni persona umana sostenere la lotta contro tale sistema. Tuttavia, per combattere efficacemente, è necessario elaborare un programma serio, una politica e una prospettiva che possano garantire il successo. Noi crediamo che solo il marxismo (il socialismo scientifico) fornisca tale prospettiva.
Il problema che un marxista ha con la religione è fondamentalmente il seguente. Noi crediamo che gli uomini e le donne dovrebbero lottare per trasformare le loro vite e creare una società autenticamente umana, che permetterebbe alla razza umana di elevarsi alla sua vera statura. Crediamo che gli esseri umani abbiano una sola vita e dovrebbero dedicarsi a rendere questa vita bella e appagante. Se volete, stiamo lottando per un paradiso su questa terra, perché non pensiamo ce ne siano altri.
Anche se da un punto di vista filosofico, il marxismo è incompatibile con la religione, va da sé che siamo contrari a qualsiasi idea di proibire o reprimere la religione. Noi sosteniamo la completa libertà dell’individuo di avere qualsiasi credo religioso, o nessuno. Quello che diciamo è che ci dovrebbe essere una separazione radicale tra Chiesa e Stato. Le chiese non devono essere sostenute direttamente o indirettamente dalla tassazione, né la religione deve essere insegnata nelle scuole statali. Se le persone vogliono la religione, dovrebbero mantenere le loro chiese esclusivamente attraverso i contributi della loro congregazione e predicare le loro dottrine negli spazi di tempo privati.
Nella misura in cui gli uomini e le donne saranno in grado di prendere il controllo della loro vita e di svilupparsi come esseri umani liberi, credo che l’interesse per la religione – cioè la ricerca di consolazione in un aldilà – decadrà spontaneamente. Naturalmente, potreste non essere d’accordo con questa previsione. Il tempo ci dirà chi di noi ha ragione. Nel frattempo, i disaccordi su tali questioni non dovrebbero impedire a tutti i cristiani onesti di unirsi ai marxisti nella lotta per un mondo nuovo e migliore.
Religione e Rivoluzione
Il cristianesimo stesso ha mosso i suoi primi passi come movimento rivoluzionario circa 2mila anni fa, quando i primi cristiani organizzarono un movimento di massa nei settori più poveri e più oppressi della società. Non è un caso che i Romani accusassero i cristiani di essere un movimento di schiavi e di donne. I primi cristiani erano anche comunisti, come saprete dagli Atti degli Apostoli. Cristo stesso lavorò tra i poveri e i diseredati e spesso attaccò i ricchi. Diceva che è più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago che per un uomo ricco di entrare nel Regno di Dio. Ci sono molte espressioni di questo nella Bibbia.
Il comunismo dei primi cristiani è dimostrato anche dal fatto che nelle loro comunità tutte le ricchezze erano comuni. Chiunque desiderasse aderire doveva in primo luogo rinunciare a tutti i suoi beni mondani. Certo, questo comunismo aveva un carattere un po’ ingenuo e primitivo. Questa non è una riflessione sugli uomini e le donne di quel tempo, che erano persone molto coraggiose, che non avevano paura di sacrificare la loro vita nella lotta contro il mostruoso impero romano basato sulla schiavitù. Ma la vera realizzazione del comunismo (cioè una società senza classi) era allora impossibile, poiché ne mancavano le basi materiali.
Marx ed Engels diedero per la prima volta al comunismo un carattere scientifico spiegando che la vera emancipazione delle masse dipende dal livello di sviluppo delle forze produttive (industria, agricoltura, scienza e tecnologia), che creeranno le condizioni necessarie per una riduzione generale della giornata lavorativa e l’accesso alla cultura per tutti, come l’unico modo per trasformare il modo in cui le persone pensano e si comportano l’uno verso l’altro.
Le condizioni materiali ai tempi del cristianesimo primitivo non erano sufficientemente avanzate per permettere un tale sviluppo, e quindi il comunismo dei primi cristiani rimase ad un livello primitivo: il livello di consumo (la condivisione di cibo, vestiti, ecc.) e non un vero comunismo basato sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione.
Tuttavia, le tradizioni rivoluzionarie del cristianesimo primitivo non hanno assolutamente alcuna relazione con la situazione attuale. Fin dal IV secolo, quando il movimento cristiano fu dirottato dallo Stato e trasformato in uno strumento degli oppressori, la Chiesa cristiana è stata dalla parte dei ricchi e dei potenti e contro i poveri. Oggi le chiese principali sono istituzioni estremamente ricche, strettamente legate alle grandi imprese. Il Vaticano possiede una grande banca e detiene enormi ricchezze e potere; la Chiesa d’Inghilterra è il più grande proprietario terriero in Gran Bretagna, e così via.
Politicamente, le chiese hanno sistematicamente sostenuto la reazione. I sacerdoti cattolici benedissero l’esercito di Franco nella loro campagna per schiacciare gli operai e i contadini spagnoli. Il Papa, è un fatto, ha sostenuto Hitler e Mussolini. Infine, oggi, negli Stati Uniti, la destra religiosa, sostenuta da milioni di dollari, sta conducendo una campagna a favore di tutte le cause più reazionarie. Ha a sua disposizione stazioni televisive e radiofoniche, dove i ciarlatani religiosi fanno fortuna giocando sulla paura e la superstizione della gente. Il Regno di Dio può essere riservato ai poveri, ma intanto queste signore e signori si sono assicurati una vita molto confortevole su questa terra. Il primo atto di Gesù entrando a Gerusalemme fu quello di cacciare i trafficanti di denaro dal Tempio. Ma coloro che pretendono di parlare in suo nome, prendono sempre le parti dei ricchi e dei potenti contro i poveri e gli oppressi di questa terra. Sono i più ferventi sostenitori dei tagli allo stato sociale e di altre politiche dirette contro i settori più indifesi della società, come i genitori single. Cristo difese la donna sorpresa nell’atto di commettere un adulterio, ma i farisei contemporanei si schierano per lapidare i poveri e gli indifesi.
Per questo tipo di “religiosi” non abbiamo altro che disprezzo. Ma per quegli onesti cristiani che desiderano unirsi a noi nella lotta per cambiare la società, noi porgiamo un caloroso e fraterno benvenuto. Possiamo non essere d’accordo sulla filosofia, ma siamo d’accordo che la società attuale è indegna dell’umanità e dovrebbe essere cambiata. E sappiamo che molti combattenti della classe operaia, dediti alla causa, negli Stati Uniti sono cristiani praticanti. Questo è sempre successo, come possiamo vedere da questo estratto de “La Giungla”, il grande romanzo socialista di Upton Sinclair:
“‘Non sto difendendo il Vaticano’, esclamò con forza Lucas.
Io difendo la parola di Dio, che è un lungo urlo dello spirito umano per la liberazione dall’influenza dell’oppressione. Prendete il ventiquattresimo capitolo del Libro di Giobbe, che sono abituato a citare nei miei discorsi come ‘la Bibbia nella fiducia della carne’; o prendete le parole di Isaia o del Maestro Stesso. Non l’elegante principe della nostra arte dissoluta e viziosa, non l’idolo prezioso delle nostre chiese della società ma il Gesù della terribile realtà, l’uomo del dolore e del dolore, l’emarginato, disprezzato dal mondo, che non aveva un posto dove posare il suo capo.’
‘Ti concederò Gesù’, interruppe l’altro.
‘Bene, allora’, gridò Lucas, ‘e perché Gesù non dovrebbe avere nulla a che fare con la sua Chiesa, perché le sue parole, la sua vita non dovrebbe avere alcuna autorità tra coloro che professano di adorarlo? Ecco un uomo che è stato il primo rivoluzionario del mondo, il vero fondatore del movimento socialista; un uomo il cui intero essere era una fiamma di odio per la ricchezza e tutto ciò che la ricchezza rappresenta, per l’orgoglio e il lusso della ricchezza e la tirannia della ricchezza; che era lui stesso un mendicante e un vagabondo, un uomo del popolo; che ancora e ancora, nella lingua più esplicita, denunciava il possesso delle ricchezze: ‘Non tenete per voi tesori sulla terra! – ‘Vendi quello che hai e fai l’elemosina!’ – ‘Beati voi poveri, perché il vostro è il regno dei cieli!’ – ‘Guai a voi che siete ricchi, poiché avete ricevuto la vostra consolazione’ – ‘In verità, vi dico che un uomo ricco difficilmente entrerà nel regno dei cieli!’
Che denunciò in termini non misurati gli sfruttatori del suo tempo: ‘Guai a voi, scribi e farisei, ipocriti!’ – ‘Guai anche a voi, avvocati!’ – ‘Voi serpenti, generazione di vipere, come potete sfuggire alla dannazione dell’inferno?’
Che ha cacciato affaristi e mercanti dal tempio con una frusta!
Che è stato crocifisso – pensaci – come fosse un incendiario e un disturbatore dell’ordine sociale! È quest’uomo che hanno fatto diventare il sommo sacerdote della proprietà e della rispettabilità, una sanzione divina di tutti gli orrori e gli abomini della moderna civiltà mercantile! Sono fatte di Lui immagini preziose, preti lussuriosi gli bruciano incenso e moderni pirati dell’industria portano i loro dollari, strappati dal lavoro di donne e bambini indifesi, costruiscono templi, siedono su sedili imbottiti e ascoltano i suoi insegnamenti esposti dai dottori della divinità polverosa.“
La voce della rivolta degli oppressi contro l’ingiustizia e l’oppressione ha parlato questo linguaggio per almeno 2mila anni. Ciò che conta non è il linguaggio, ma il significato. Ciò che conta non è la forma, ma il contenuto. Il messaggio originale del movimento cristiano di 2mila anni fa era sia rivoluzionario che comunista. Nessuno poteva essere cristiano se prima non rinunciava a tutte le sue ricchezze mondane, rinunciava alla proprietà privata e abbracciava la dottrina della fratellanza (e della sorellanza) universale e dell’uguaglianza di tutti. Questo messaggio rivoluzionario è stato riaffermato dall’ala sinistra dei puritani nei secoli XVI e XVII. È riemerso molte volte da allora, come espressione dell’istintivo spirito rivoluzionario delle masse. Il marxismo prende come punto di partenza questo istinto ma gli dà un’espressione scientifica e razionale.
Il nostro primo compito è quello di unirci per mettere fine alla dittatura del Capitale che mantiene la razza umana in uno stato di schiavitù. Il socialismo permetterà il libero sviluppo degli esseri umani, senza il vincolo dei bisogni materiali. Per quanto riguarda il futuro della religione, si può dire questo: il socialismo, essendo basato sulla piena libertà umana, non cercherà mai di impedire alle persone di pensare e credere, in qualsiasi modo essi scelgano. Alle persone dovrebbe essere permesso di avere tutte le credenze religiose che desiderano, o nessuna.
Come abbiamo già sottolineato in precedenza, la religione deve naturalmente essere completamente separata dallo Stato. Coloro che desiderano praticare la religione devono pagarla di tasca propria. E non ci dev’essere posto per la religione nelle scuole. Una volta che abbiamo stabilito una società realmente libera, in cui gli uomini e le donne prendano il controllo delle loro vite e dei loro destini, in cui siano in grado di sviluppare al massimo tutte le loro capacità fisiche e mentali, e relazionarsi l’uno con l’altro in modo realmente umano, non ci sarà più spazio per le superstizioni del passato, e queste scompariranno gradualmente.
Non sei d’accordo? Beh, è un tuo diritto. La storia deciderà chi di noi ha ragione. Ma prima di tutto, concordiamo di unire tutte le nostre forze in un potente movimento dedicato a scacciare i trafficanti di denaro dal tempio, o piuttosto, dalle nostre case, strade e posti di lavoro. Ripuliamo questa società da ogni oppressione, sfruttamento e ingiustizia. Allora possiamo lasciare che il futuro si occupi di se stesso.
Il marxismo e il futuro
Il marxismo è una filosofia, ma è molto diversa da altre filosofie. Il materialismo dialettico è sia un potente strumento metodologico per comprendere il funzionamento della natura, del pensiero e della società umana, sia una guida all’azione. Come disse il giovane Marx: “I filosofi hanno finora solo interpretato il mondo in vari modi; il punto è, tuttavia, di cambiarlo.“
Ora, può darsi che voi siate abbastanza felici del mondo in cui viviamo e non desiderate cambiarlo. In questo caso, si può trovare questo saggio educativo, persino piacevole. Ma non l’avrete capito, fondamentalmente perché parliamo lingue diverse.
Tuttavia, se mai ci fosse un momento in cui gli Americani dovrebbero seriamente rivedere il loro punto di vista sul mondo e il loro posto al suo interno, quel momento è proprio adesso. E per arrivare ad una visione razionale di questo mondo è di grande importanza la conoscenza del materialismo dialettico.
La caratteristica più importante del materialismo dialettico è il suo carattere dinamico. Vede il mondo come un processo in continuo cambiamento, guidato da contraddizioni interne in cui, prima o poi, le cose si trasformano nel loro contrario. E questa linea di sviluppo non è un processo liscio e lineare, ma una linea che viene periodicamente interrotta da improvvisi salti, esplosioni che trasformano la quantità in qualità. Questo è un quadro preciso dei due processi che si ritrovano entrambi in natura e nel processo dello sviluppo sociale che chiamiamo storia.
La maggior parte della gente immagina il mondo in cui nasce come qualcosa di fisso e immutabile. Raramente ne mettono in discussione i valori, la moralità, la religione, le istituzioni politiche e statali. Questa inerzia mentale, rafforzata dal peso morto della tradizione, dei costumi, dell’abitudine e della routine, è un potente cemento che permette ad un dato ordine socioeconomico di continuare ad esistere molto tempo dopo aver perso la sua base razionale. Negli Stati Uniti, forse più che in qualsiasi altro paese al mondo, questa inerzia esercita un ruolo importante e impedisce alle persone di rendersi conto di ciò che sta accadendo loro.
In realtà, le società non sono immutabili. Tutta la storia ce lo insegna. I sistemi socioeconomici, come i singoli uomini e donne, nascono, maturano, raggiungono un punto alto del loro sviluppo, per poi entrare in una fase di declino e decadimento. Quando una società cessa di svolgere un ruolo progressivo (che, in ultima analisi, è quel punto in cui non è in grado di sviluppare le forze produttive come faceva in passato), la gente può rendersene conto poiché questo si manifesta in tutti i modi, non solo in campo economico. La vecchia morale comincia a crollare. C’è una crisi dei rapporti familiari e personali, una crescente mancanza di solidarietà e coesione sociale, un aumento della criminalità e della violenza. La gente non crede più nelle vecchie religioni e guarda verso il misticismo, la superstizione e le sette esoteriche. Abbiamo visto queste cose molte volte nella storia, e stiamo vedendo le stesse cose ora – anche negli Stati Uniti.
Viviamo in un momento in cui molte persone hanno iniziato a farsi domande sul mondo in cui vivono, e porre domande non è mai una cosa negativa. I terribili eventi dell’11 settembre 2001 hanno fatto sì che molti americani pensassero seriamente a questioni verso le quali, in precedenza, avevano mostrato scarso interesse. All’improvviso si sono resi conto che nel mondo non tutto non va bene e che l’America è profondamente coinvolta in una crisi mondiale dalla quale nessuno può fuggire e in cui nessuno può dirsi al sicuro. La distruzione delle torri gemelle getta un’ombra oscura sull’America. Per un certo tempo, Bush e l’ala più reazionaria della classe dominante hanno fatto e disfatto le cose (o, meglio, pensato di poterlo fare) a loro piacimento. Ma questa situazione non durerà per sempre. Prima o poi la fitta nebbia della propaganda e delle menzogne si disperderà e la gente diventerà consapevole della reale situazione sia negli Stati Uniti che su scala mondiale.
Anche se molte persone sentono nel loro profondo che c’è qualcosa che non va affatto, non trovano alcuna spiegazione logica a questo. Questo non sorprende. L’intero modo in cui sono stati educati a pensare, fin dai primi anni, li porta a respingere l’idea che ci sia qualcosa di fondamentalmente sbagliato nella società in cui vivono. Così, chiuderanno gli occhi e cercheranno di evitare di trarre conclusioni scomode il più a lungo possibile.
Questo è del tutto naturale. È molto difficile per le persone mettere in discussione le credenze con cui sono state cresciute. Ma prima o poi gli eventi le raggiungono; eventi catastrofici che le costringono a ripensare molte cose che prima davano per scontate. E quando questo momento arriva, le stesse persone che ostinatamente si erano rifiutate di prendere in considerazione nuove idee, cominciano a considerare con impazienza concetti che solo fino a ieri ritenevano essere eresie. E troveranno in essi le spiegazioni e le alternative alle quali si stavano sforzando di arrivare.
Oggi, il marxismo è visto come una tale eresia. Ogni indice è puntato contro questa dottrina. Si dice qualsiasi cosa: che non ha basi materiali, che ha fallito, che è obsoleto. Ma se è davvero così, perché gli apologeti del capitalismo continuano ad attaccarlo? Sicuramente, se è così morto e irrilevante, dovrebbero ignorarlo. Il potere delle idee del marxismo risiede invece proprio nel fatto che esse – e solo loro – possono fornire una spiegazione coerente, rigorosa e, sì, scientifica dei fenomeni più importanti che si verificano nel mondo in cui viviamo.
È motivo di grande rammarico che così tante persone, soprattutto negli Stati Uniti, abbiano lo stesso atteggiamento verso il marxismo dei rappresentanti della Chiesa Cattolica Romana verso il telescopio di Galileo. Quando Galileo li pregò di guardare con i propri occhi ed esaminare le prove, essi si rifiutarono ostinatamente di farlo. Sapevano solo che Galileo si sbagliava e basta. Allo stesso modo, molte persone sanno solo che il marxismo è sbagliato, e non vedono alcuna ragione per indagare ulteriormente la questione. Ma se il marxismo sbaglia, studiandolo, sarete più fermamente convinti della sua erroneità. Non avete nulla da perdere a farlo, avrete solo accresciuto le vostre conoscenze. Ma l’autore di questo articolo è fermamente convinto che se più persone si prendessero la briga di leggere le opere di Marx, Engels, Lenin e Trotskij, si convincerebbero presto che il marxismo ha davvero un sacco di cose importanti da dire. E che queste cose sono di grande rilevanza per il mondo moderno.
Nel raccomandare le idee del marxismo al pubblico americano, è mia fervida speranza convincere il lettore della correttezza e della pertinenza delle idee di Marx ed Engels nel mondo del XXI secolo. Se riuscirò anche solo in parte a convincervi, ne sarò molto lieto. In caso contrario, spero di aver dissipato molte idee sbagliate sul marxismo e di aver dimostrato che ha almeno alcune cose interessanti da dire sul mondo in cui viviamo. In ogni caso, mi auguro che ciò faccia riflettere più criticamente sulla nostra società, il suo presente e il suo futuro.
Londra, 24 novembre 2002