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Il KKE e la lotta per la liberazione della Palestina: un dibattito necessario

di Jorge Martín

Come nel caso della guerra in Ucraina, diversi partiti comunisti nel mondo hanno assunto posizioni diverse e addirittura opposte riguardo all’attuale massacro a Gaza da parte di Israele dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. La posizione del Partito Comunista Greco (KKE) è quella di un sostegno di principio alla lotta del popolo palestinese, cosa molto diversa rispetto agli altri partiti comunisti che hanno ceduto alla pressione dell’opinione pubblica borghese. Tuttavia, ci sono diversi aspetti della posizione del KKE sulla questione Palestina-Israele con cui non siamo d’accordo e che riteniamo siano in contrasto con un’autentica posizione comunista.

Alcuni partiti comunisti hanno assunto una posizione completamente errata. Così, nel momento in cui le bombe israeliane piovono su Gaza, uccidendo migliaia di civili e distruggendo case e infrastrutture, il Partito Comunista Francese (PCF) e il suo leader Fabien Roussel decidono che è giunto il momento di unirsi al coro della classe dominante nella condanna… non di Israele, ma del leader della France Insoumise, Jean-Luc Melenchon. Perché? Perché non si è piegato alla richiesta della classe dominante: ogni commento sulla situazione deve iniziare con una condanna di Hamas come organizzazione “terroristica”.

Allo stesso modo, il Partito Comunista Austriaco (KPÖ) insiste in questo conflitto sull’uguaglianza tra oppressi ed oppressori e si è nettamente astenuto dal partecipare al movimento di solidarietà con la Palestina, rimanendo in gran parte in silenzio. Hanno ceduto alle pressioni dell’opinione pubblica borghese che demonizzava la solidarietà con il popolo palestinese come pieno sostegno ad Hamas: una calunnia particolarmente forte nei paesi di lingua tedesca. Ciò ha portato a manifestazioni di malcontento tra i suoi iscritti, soprattutto nell’organizzazione giovanile, che giustamente tenta di resistere alla linea del partito su questo tema.

Come leninisti, comprendiamo che la politica estera non può essere separata dalla politica interna. Pertanto, non è una sorpresa che quei partiti comunisti che hanno una politica socialdemocratica in patria, una politica di gestione della crisi del capitalismo che non punta al suo rovesciamento, difendano una posizione socialsciovinista o, nella migliore delle ipotesi, pacifista piccolo-borghese fuori dai confini dei rispettivi paesi.

Pertanto, molti partiti comunisti hanno adottato una posizione che sostanzialmente equivale a un appello alla “comunità internazionale” e alle istituzioni internazionali affinché facciano pressione su Israele perché rispetti il “diritto umanitario internazionale”. Al contrario, Lenin era feroce riguardo al ruolo della Società delle Nazioni, il predecessore dell’ONU, che egli definì una “cucina di ladri”.

Il ruolo dei comunisti non è quello di seminare illusioni nelle Nazioni Unite, che per decenni hanno approvato innumerevoli, quanto inutili, risoluzioni sulla Palestina, ma piuttosto di spiegare come il “diritto internazionale” e le “regole internazionali” siano una farsa totale, progettata per ingannare i lavoratori e nascondere la reale natura della dominazione imperialista e dei conflitti tra i diversi imperialismi.

La posizione del KKE

Vale quindi la pena esaminare la posizione del KKE, che si distingue da molti altri partiti comunisti. Il 9 ottobre, il partito ha rilasciato una dichiarazione dai toni forti, con una linea politica chiara, in cui condanna “l’occupazione pluriennale da parte dello Stato israeliano e i crimini che commette sistematicamente contro il popolo palestinese”. Condanna “il sostegno degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e dei loro alleati” ai crimini israeliani, denunciando la complicità del proprio governo in Grecia e offrendo una chiara solidarietà alla lotta palestinese:

Il popolo palestinese ha il diritto di difendere i propri diritti e ha bisogno di maggiore sostegno e solidarietà popolare per continuare la lotta per porre fine all’occupazione israeliana” (Il popolo palestinese ha il diritto di difendere i propri diritti e ha bisogno di maggiore sostegno e solidarietà popolare – Ufficio Stampa del KKE, 9 ottobre).

Il KKE e la sua organizzazione giovanile (KNE) hanno svolto un ruolo molto importante nel movimento di solidarietà con la Palestina e non si sono piegati alla pressione dell’opinione pubblica borghese. Siamo pienamente d’accordo con questa posizione e ci congratuliamo con il KKE per la sua presa di posizione ferma contro l’imperialismo e contro la sua stessa classe dominante.

Riteniamo tuttavia che la posizione politica e strategica adottata dal KKE riguardo al conflitto israelo-palestinese presenti diversi limiti. È dovere dei comunisti sollevare le differenze di opinione in modo amichevole e discuterle. Ai tempi di Lenin questa era la norma. Condusse polemiche molto aspre con le persone a lui più vicine, poiché attribuiva alla chiarezza teorica la massima importanza.

I principali disaccordi che abbiamo con il KKE sono i seguenti: il suo sostegno alla soluzione dei due Stati, la mancanza di un programma socialista per la Palestina e la sua posizione poco chiara riguardo al sostegno di Stalin alla partizione della Palestina nel 1947-48.

I due Stati sono una soluzione?

Il primo punto che vorremmo sollevare riguarda ciò che il KKE definisce lo scopo della lotta palestinese: “continuare la lotta per porre fine all’occupazione israeliana, per uno stato indipendente entro i confini definiti nel 1967, con Gerusalemme Est come capitale” (KKE, dichiarazione del 9 ottobre).

In altre parole, il KKE difende chiaramente la soluzione dei due Stati sulla base dei confini del 1967, cioè uno Stato palestinese accanto a uno Stato israeliano. Ciò è sottolineato in un altro articolo più lungo del 20 ottobre 2023, scritto da Giorgos Marinos, membro dell’Ufficio Politico del partito:

Il KKE è chiaramente, con responsabilità e sulla base della lotta comune dei popoli, dalla parte dei palestinesi e lotta per la fine dell’occupazione israeliana, per uno Stato palestinese indipendente, unito e vitale, accanto a Israele, nei confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale, per il ritorno dei rifugiati e per la liberazione dei prigionieri politici dalle carceri israeliane” (“Intensificare la lotta per porre fine all’occupazione israeliana – Solidarietà con il popolo palestinese”, il corsivo è nostro).

La posizione è ripetuta in un articolo del segretario generale del partito Dimitris Koutsoumbas sul giornale ufficiale del partito, Rizospastis (20-21 ottobre):

Il contenuto delle richieste e degli slogan può essere riassunto come segue: sottolineiamo il diritto del popolo palestinese a una Palestina libera e indipendente basata sui confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale. Chiediamo il ritorno di tutti i profughi palestinesi alle loro case, sulla base delle relative risoluzioni delle Nazioni Unite” (Sul conflitto militare tra Israele e Palestina e gli sviluppi nella regione).

A nostro avviso ci sono diversi problemi con questa posizione.

Innanzitutto è stato dimostrato che la soluzione dei due Stati si è rivelata nei fatti impraticabile, come abbiamo spiegato in dettaglio altrove. Gli accordi di Oslo del 1993 erano visti dalla leadership palestinese proprio come una tabella di marcia verso una soluzione a due Stati. In realtà, hanno rappresentato un tradimento totale e una svendita della lotta palestinese. Israele ha mantenuto il controllo di un’ampia parte della Cisgiordania e dei confini esterni, ai coloni ebrei è stato permesso di rimanere in territorio palestinese e gli insediamenti hanno continuato ad espandersi.

Nel frattempo, le questioni del diritto al ritorno e dello stato di Gerusalemme Est sono state rinviate per essere discusse in un futuro molto lontano (leggasi: mai) e in cambio è stata creata una patetica “Autorità” palestinese senza alcun potere reale che ha come unico scopo quello di subappaltare il controllo delle masse palestinesi alla leadership corrotta dell’OLP (L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina).

Il KKE potrebbe sostenere che ciò che ha fallito sono gli accordi di Oslo, ma che una vera soluzione a due Stati è ciò per cui i palestinesi dovrebbero lottare. Tuttavia, anche questa posizione alla fine porterebbe a un vicolo cieco.

Questo ci porta al secondo punto di critica alla posizione del KKE. Finché esisterà lo Stato capitalista israeliano, la sua borghesia non accetterà mai l’esistenza di un vero Stato palestinese poiché lo considera una minaccia alla sua “sicurezza nazionale”. Ciò è stato dimostrato non nella teoria, ma nella pratica. Dopo gli accordi di Oslo, il numero degli insediamenti sionisti in Cisgiordania è aumentato costantemente, mentre Gaza rimane completamente bloccata dallo Stato israeliano. Le incursioni militari di Israele a Gaza, così come in Cisgiordania, sono diventate sempre più frequenti e violente, minando l’esistenza stessa di quella entità palestinese limitata rappresentata dall’Autorità Palestinese.

Inoltre, è difficile vedere come uno Stato capitalista palestinese possa esistere nel territorio definito dai confini del 1967, fianco a fianco con il potente Stato capitalista e imperialista israeliano. Una Palestina capitalista di questo tipo, se fosse realizzabile, sarebbe dominata economicamente dal suo potente vicino e rimarrebbe, nella migliore delle ipotesi, una sua semi-colonia.

È l’esperienza pratica degli ultimi trent’anni che ha portato la maggioranza dei palestinesi a rifiutare la soluzione dei due Stati. Nel settembre di quest’anno, una rilevazione del Centro Palestinese per la Politica e i Sondaggi ha rilevato che il 67% dei palestinesi rifiuta la soluzione dei due Stati, con solo il 32% che lo sostiene. Lo stesso sondaggio mostra che “il 71% ritiene che la soluzione dei due Stati non sia più praticabile a causa dell’espansione degli insediamenti”. Il 15 novembre, un altro sondaggio condotto dal Mondo Arabo per la Ricerca e lo Sviluppo ha rilevato che il 74% dei palestinesi è a favore di uno Stato, mentre solo il 17% vuole una soluzione a due Stati. La stragrande maggioranza dei palestinesi rifiuta del tutto gli accordi di Oslo.

Per inciso, anche se si accettasse l’idea di una soluzione a due Stati, perché mai dovrebbe essere istituito uno Stato palestinese “sui confini del 1967” (presumibilmente ciò che il KKE intende sono i confini pre-guerra del 1967) che rappresentavano solo il 22% della Palestina così come definita storicamente? Perché non tornare ai confini definiti dal piano di partizione delle Nazioni Unite del 1947, dove lo Stato palestinese rappresentava il 44% del territorio? I confini del 1967 rappresentano, non solo l’accettazione della partizione stessa, ma anche le ulteriori conquiste territoriali da parte dello Stato israeliano nel periodo successivo.

Nessun accenno alla lotta per il socialismo e al potere operaio

Barricate nella prima Intifada (immagine: Abarrategi, Wikimedia Commons)

Ma forse l’omissione più evidente e sorprendente in tutte le dichiarazioni del KKE sulla questione palestinese è che la lotta per il socialismo non viene affatto menzionata. L’unica conclusione che si può trarre dalla lettura delle dichiarazioni ufficiali del KKE e di quelle dei principali compagni del partito stesso nelle ultime settimane è che per loro l’obiettivo strategico della lotta palestinese è la formazione di due Stati capitalisti e non la lotta per il socialismo.

Ciò è in diretta contraddizione con la linea dichiarata dal KKE su tutte le altre questioni nazionali e internazionali. In questi casi il partito sottolinea, correttamente, la necessità di rompere con ogni gradualismo [la teoria delle fasi] e di mettere in primo piano la lotta tra operai e Capitale, e afferma che il carattere della rivoluzione è socialista (vediamo ad esempio “Sul raggruppamento rivoluzionario del movimento comunista e la sua indipendenza dagli interessi delle borghesie e dei loro alleati“, Elisseos Vagenas, Rizospastis, 14-15 ottobre 2023)

Allora come giustificano i compagni del KKE l’assenza di qualsiasi riferimento alla lotta per il socialismo nella lotta per la liberazione della Palestina? In un articolo pubblicato il 10 novembre dalla Sezione Relazioni Internazionali del Comitato centrale del KKE, si tenta di affrontare la questione. Citiamo per esteso l’articolo:

Alcuni criticano il KKE, dicendo che mentre in tutti gli altri casi si parla della necessità e dell’attualità del socialismo, in questo caso ci si concentra solo sul diritto alla creazione di uno Stato palestinese. (…)

Il socialismo è necessario e opportuno per tutto il mondo, in ogni Paese capitalista. Tuttavia, nelle condizioni in cui la lotta operaia e popolare si svolge in ogni Paese, emergono importanti “anelli” che possono dare impulso alla lotta di classe. È una questione cruciale per il Partito Comunista e il movimento operaio tenere conto di questi “anelli” nella lotta per il socialismo, per la preparazione, il raggruppamento e la mobilitazione delle forze operaie e popolari. In Palestina, oggi, l’‘anello’ chiave è la fine dell’occupazione straniera israeliana e la formazione dello Stato palestinese.

Pertanto, è compito della classe operaia palestinese e della sua avanguardia, il PC, formulare una linea che colleghi questo ‘anello’ con la causa della lotta per l’emancipazione sociale, il potere dei lavoratori e la costruzione della nuova società socialista. È nostro compito, dei lavoratori e dei giovani di altri Paesi, sostenere questa lotta e stare al suo fianco nel conflitto con le forze di occupazione” (Articolo della Sezione Relazioni Internazionali del CC del KKE, Brevi risposte alle attuali questioni ideologico-politiche riguardanti l’attacco e il massacro israeliani contro il popolo palestinese nella Striscia di Gaza, 10 novembre).

Tutto ciò è molto confuso e non risponde realmente alla domanda. I compagni del KKE sembrano dire che la lotta per il socialismo è necessaria ovunque nel mondo e che le questioni immediate della lotta di classe devono essere collegate alla questione del socialismo. Ma allora perché le dichiarazioni del KKE sulla Palestina non accennano affatto al socialismo?

Naturalmente siamo d’accordo con il KKE quando afferma che la lotta per la liberazione nazionale è una parte cruciale del programma dei comunisti palestinesi. Sì, siamo d’accordo sul fatto che i comunisti palestinesi debbano formulare una linea che aiuti le masse dei lavoratori, dei giovani e dei poveri a comprendere il legame tra quella lotta e la lotta per il socialismo.

Ma non è così che la domanda viene formulata nel documento “Risposte brevi” della Sezione Relazioni Internazionali del Comitato centrale del KKE. Sebbene il documento affermi che le condizioni per il socialismo sono mature “in tutto il mondo”, non dice nulla sul carattere di classe di un futuro Stato palestinese, né questa questione viene sollevata in nessun’altra parte delle dichiarazioni del KKE sull’argomento, quindi possiamo solo supporre che i compagni parlino di uno Stato capitalista. La logica dell’argomentazione presenta quindi “l’eliminazione dell’occupazione israeliana e la formazione dello Stato palestinese” come una fase separata dalla lotta per il socialismo.

Inoltre, il documento dice che il compito dei comunisti palestinesi è quello di formulare una linea che colleghi l’emancipazione nazionale con la lotta per il potere dei lavoratori, ma poi prosegue dicendo che il compito dei lavoratori e dei giovani di altri paesi è quello di “sostenere la lotta… contro le forze di occupazione”. Sembrerebbe che i compiti dei comunisti palestinesi e quelli dei comunisti nel resto del mondo siano diversi.

Da questo articolo si potrebbe trarre l’impressione che siano solo i comunisti palestinesi a dover spiegare la necessità di lottare per il socialismo e il potere operaio, mentre i comunisti nel resto del mondo devono limitarsi alla solidarietà internazionalista senza parlare di socialismo (come ha fatto il KKE nelle sue recenti dichiarazioni). Una tale posizione sarebbe sbagliata e in contrasto con l’approccio che aveva Lenin e l’Internazionale Comunista ai suoi tempi.

Naturalmente, il compito dei comunisti di tutto il mondo è sostenere la lotta palestinese, ma questo di per sé non è sufficiente. Non siamo semplicemente attivisti della solidarietà. Noi siamo comunisti, e quindi il nostro dovere è anche quello di spiegare come si può realizzare la liberazione della Palestina, quali forze possono condurla alla vittoria, quali classi sono alleate nella causa palestinese, ecc.

Questo è ciò che Marx diceva riguardo al ruolo dei comunisti nel movimento operaio:

Quindi in pratica i comunisti sono la parte progressiva più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi, e quanto alla teoria essi hanno il vantaggio sulla restante massa del proletariato, di comprendere le condizioni, l’andamento e i risultati generali del movimento proletario” (Il Manifesto del Partito Comunista, il corsivo è nostro).

Inoltre il KKE non si assume semplicemente il compito di sostenere la lotta contro le forze di occupazione. Nelle sue dichiarazioni, è andato oltre affermando che lo scopo della lotta palestinese dovrebbe essere una soluzione a due Stati, qualcosa che non solo non è praticabile sotto il capitalismo ma oggi è anche rifiutato dalla stragrande maggioranza dei palestinesi. Pertanto, non si tratta solo del fatto che il partito non solleva la questione del socialismo, mentre solleva una prospettiva (una soluzione a due Stati) che, almeno a parole, è condivisa dalle Nazioni Unite e anche dall’imperialismo statunitense!

Negli ultimi tempi il KKE si è occupato di molte questioni internazionali ed ha espresso opinioni su ogni importante sviluppo della lotta di classe. Ciò è corretto. E in tutti questi casi ha sottolineato la necessità di lottare per il socialismo e contro il capitalismo. Anche questo è giusto e su questo siamo d’accordo con i compagni del KKE. Ma sembrerebbe che questo non sia il caso in relazione alla Palestina, dove la posizione del KKE è di solidarietà proletaria internazionale, ma si limita alla lotta per uno Stato palestinese capitalista, senza alcun accenno alla lotta per il socialismo. Questo, a nostro avviso, è un grave errore ed è in contraddizione con la linea politica generale dichiarata dal partito.

Si giustifica la partizione della Palestina del 1948?

Infine, c’è un ultimo aspetto della posizione del KKE sulla Palestina che vale la pena commentare. Nell’articolo del compagno Marinos citato prima, dice:

L’occupazione è stata imposta dal 1947-1948, quando la terra palestinese è stata divisa e lo Stato di Israele è stato fondato, ed è perpetuata fino ad oggi, con il sostegno degli Stati Uniti, della NATO e dell’UE, nella costante e crescente competizione imperialista per il controllo della regione” (“L’intensificazione della lotta per porre fine all’occupazione israeliana – Solidarietà al popolo palestinese”, Giorgos Marinos, membro dell’Ufficio politico del Comitato centrale del KKE, 20 ottobre 2023).

Dice chiaramente che l’occupazione fu imposta nel 1947-48 con la creazione dello Stato israeliano. Capiamo che il compagno Marinos dia una valutazione negativa di questo fatto.

Ma poi, il documento “Risposte brevi” del Comitato centrale del KKE dice:

L’esistenza dello Stato di Israele è oggi una realtà. Il massacro degli ebrei da parte dei nazisti e l’antisemitismo promosso dalle classi borghesi prima della Seconda guerra mondiale in molti Paesi capitalisti hanno portato all’accettazione da parte dell’URSS e del movimento operaio internazionale della creazione dello Stato di Israele accanto allo Stato di Palestina.”

Ciò chiaramente giustifica e sostiene la fondazione dello Stato di Israele nel 1948 e il suo sostegno da parte dell’URSS. Dobbiamo ricordare che al tempo la creazione di Israele si basò sulla pulizia etnica di massa di 700.000 palestinesi che si trovavano sulle loro terre!

L’IDF nel 1948.

Qui dobbiamo dirlo chiaramente: la partizione della Palestina è stata un crimine imperialista con lo scopo di contrapporre gli arabi agli ebrei e di usare gli uni contro gli altri per mantenere il dominio imperialista. Responsabile di questo crimine è stato soprattutto l’imperialismo britannico, che ha promesso a entrambi i popoli lo stesso territorio nel cinico metodo del divide et impera, una tattica che è stata portata avanti durante tutto il mandato britannico sulla Palestina e che in precedenza era stata usata in tutto l’Impero britannico (ad esempio in Irlanda e nella partizione dell’India).

Nel 1947, l’Unione Sovietica appoggiò il piano di partizione delle Nazioni Unite. Ciò non è stato fatto per solidarietà con il popolo ebraico, come suggerisce l’articolo, ma piuttosto nel tentativo di minare la posizione dell’imperialismo britannico in Medio Oriente. L’URSS fu il primo paese a riconoscere il neonato Stato di Israele e Stalin fornì armi ai sionisti attraverso la Cecoslovacchia. Il sostegno sovietico alla creazione dello Stato israeliano nel 1948 fu un tradimento con conseguenze catastrofiche per tutti i partiti comunisti del Medio Oriente e non solo. Una tale posizione non può essere giustificata e rende l’URSS complice del crimine commesso contro il popolo palestinese.

La posizione leninista sul sionismo e sulla Palestina

La tradizione leninista per quanto riguarda la questione ebraica in generale e l’obiettivo sionista della formazione di uno Stato ebraico in Palestina in particolare, è chiara. In Russia i bolscevichi combatterono incessantemente contro l’antisemitismo, che era uno strumento reazionario dello zarismo russo per dividere la classe operaia e deviare la rabbia dei lavoratori verso una minoranza oppressa, gli ebrei, per distoglierli dalla lotta per la propria emancipazione. Allo stesso tempo, i marxisti russi erano implacabilmente contrari al sionismo, così come lo era il movimento operaio più in generale.

L’Internazionale Comunista si oppose alle macchinazioni imperialiste riguardo alla Palestina e le denunciò. Il Secondo Congresso del Comintern del 1920 approvò le Tesi sulla questione nazionale e coloniale, redatte da Lenin, che comprendevano la seguente sezione:

11.f) È necessario svelare instancabilmente alle masse lavoratrici di tutti i paesi, soprattutto dei paesi e delle nazioni arretrate, la truffa organizzata dalle potenze imperialiste, con l’aiuto delle classi privilegiate nei paesi oppressi, le quali fingono di proclamare l’esistenza di stati politicamente indipendenti che in realtà, dal punto di vista economico, finanziario e militare, non sono altro che vassalli. Come esempio flagrante degli inganni praticati contro la classe lavoratrice nei paesi assoggettati dagli sforzi combinati dell’imperialismo degli Alleati e della borghesia di questa o quella nazione, citiamo la questione dei sionisti in Palestina, dove, col pretesto di creare uno stato ebraico, in un paese dove gli ebrei sono in numero insignificante, il sionismo ha sottoposto la popolazione indigena dei paesi arabi allo sfruttamento da parte dell’Inghilterra. Nell’attuale congiuntura internazionale, non c’è salvezza per i popoli deboli e asserviti se non nella federazione delle repubbliche sovietiche” (il corsivo è nostro).

Inoltre, nel periodo del Secondo e Terzo Congresso del Comintern, c’era un’organizzazione operaia ebraica che partecipò in maniera fraterna ai lavori con dei delegati, la Poale Zion. La direzione del Comintern insisteva che, la precondizione per l’adesione all’Internazionale, era l’abbandono di tutti i residui dell’ideologia sionista. Poale Zion sosteneva che la concentrazione delle masse proletarie ebraiche in Palestina avrebbe fornito le migliori condizioni per una lotta rivoluzionaria per il socialismo, rivelando il loro approccio confuso (vedere: Ai lavoratori dell’Unione dei comunisti ebrei, lettera dell’Esecutivo deIl’Internazionale comunista, 1921). Alla fine, il Poale Zion comunista si divise, con una sezione che tornò al sionismo e un’altra che si unì all’Internazionale comunista entrando a far parte dei partiti comunisti dei paesi in cui vivevano, come richiesto dal Comintern.

L’Olocausto nazista in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale diede un enorme impulso al movimento sionista, ma ciò non giustifica alcun sostegno alla formazione di uno Stato sionista nella Palestina del Mandato, una terra che era già popolata. Trotskij, nel 1940, avvertì ripetutamente che la creazione di uno stato ebraico nella Palestina del mandato britannico non sarebbe stato un rifugio sicuro per gli ebrei in fuga dalle persecuzioni in Europa, ma una trappola sanguinosa:

Il tentativo di risolvere la questione ebraica attraverso l’emigrazione degli ebrei in Palestina può ora essere visto per quello che è, una tragica presa in giro del popolo ebraico. Interessato a conquistare le simpatie degli arabi, che sono più numerosi degli ebrei, il governo britannico ha drasticamente modificato la sua politica nei confronti degli ebrei e ha addirittura rinunciato alla promessa di aiutarli a fondare la propria “casa” in una terra straniera. Lo sviluppo futuro degli eventi militari potrebbe trasformare la Palestina in una trappola sanguinosa per diverse centinaia di migliaia di ebrei. Non è mai stato così chiaro come lo è oggi che la salvezza del popolo ebraico è indissolubilmente legata al rovesciamento del sistema capitalista” (luglio 1940).

Nessun popolo può essere libero finché ne opprime un altro. Nel 1947-48, la posizione dei trotskisti in Palestina e non solo, era contro la partizione e a favore dell’unità della classe operaia contro l’imperialismo.

Una soluzione rivoluzionaria per la lotta palestinese

Intifada (immagine: Efi Sharir Wikimedia_Commons)

L’unico modo per trovare una soluzione al conflitto è rovesciare la classe dominante sionista israeliana. Ciò richiede una lotta rivoluzionaria, che colleghi la liberazione nazionale delle masse palestinesi con la loro emancipazione sociale, unendo rivendicazioni e obiettivi democratici e socialisti. Solo una lotta di questo tipo avrebbe una qualche possibilità di dividere Israele su linee di classe, indebolendo così la sua classe dominante, una condizione necessaria per la vittoria.

Ecco perché la lotta delle masse palestinesi può avere successo solo come lotta rivoluzionaria per rovesciare tutti i regimi capitalisti reazionari nella regione, nei paesi arabi e in Israele. La strada verso la liberazione dei palestinesi passa attraverso il Cairo, Amman e Beirut. Un rovesciamento rivoluzionario dei regimi arabi reazionari, che sostengono solo a parole la causa palestinese, ma di fatto sono complici del capitalismo israeliano, cambierebbe l’equilibrio delle forze nella regione.

Una serie di Stati operai nella regione metterebbero all’ordine del giorno la questione del socialismo. Sulla base di tale lotta socialista e rivoluzionaria sarebbe possibile immaginare uno Stato democratico e laico in cui non esisterebbe alcuna oppressione nazionale. Sotto il capitalismo, ciò sarebbe impossibile da realizzare. Un unico Stato capitalista democratico e laico è altrettanto utopico quanto due Stati capitalisti. Uno Stato laico e democratico potrebbe nascere solo come Stato operaio. I comunisti sostengono una Federazione socialista del Medio Oriente come unico modo per liberare la regione dal giogo dell’imperialismo.

Naturalmente, a causa dell’ostilità e della sfiducia che sono montate nel corso di decenni tra palestinesi ed ebrei israeliani, potrebbe essere necessario per un certo periodo di tempo che tale stato unico contenga disposizioni per l’autonomia di entrambi i gruppi nazionali, magari sotto forma di uno Stato socialista federale. Questa era la struttura statale proposta da Lenin per lo Stato operaio fondato dopo il 1917: una Repubblica socialista federale sovietica russa. Ma in ogni caso, il rovesciamento rivoluzionario della classe dominante capitalista sionista israeliana è l’unico modo per rendere tutto ciò possibile.

Queste sono tutte questioni importanti della strategia rivoluzionaria, che devono essere chiarite. Il KKE, a suo merito, ha assunto una posizione di principio a sostegno della lotta dei palestinesi oppressi, che lo distingue dalla maggior parte degli altri partiti comunisti nel mondo, e su questo siamo uniti. Ma sulla questione della strategia rivoluzionaria e degli obiettivi della lotta dei lavoratori e del popolo palestinese, la posizione del KKE ritorna al gradualismo della teoria delle fasi, sostiene una soluzione fallita che le masse palestinesi rifiutano e viene giudicata carente.

Invitiamo i compagni del KKE a considerare queste questioni, che vengono sollevate in uno spirito fraterno con l’obiettivo di affinare la comprensione e l’intervento dei comunisti nel movimento in solidarietà con la Palestina così come nella lotta delle forze comuniste in Palestina, Israele e in tutto il Medio Oriente.

24 Novembre 2023

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