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23 Gennaio 2022Questo articolo è stato pubblicato su www.marxist.com in occasione del 30° anniversario della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Offre un’analisi accurata delle cause che portarono alla crollo del blocco sovietico, del processo di restaurazione del capitalismo in Russia e dell’avvento al potere di Vladimir Putin.
La redazione
di Niklas Albin Svensson
La natura dell’Unione Sovietica
La rivoluzione russa del 1917 fu il più grande evento della storia umana. Per la prima volta nella storia, gli oppressi non si sono limitati a insorgere, ma dopo essere insorti, hanno preso il potere e lo hanno mantenuto. Persino le forze congiunte di tutte le nazioni imperialiste del mondo non sono riuscite a spodestare il nuovo stato operaio.
La rivoluzione russa avrebbe dovuto essere l’inizio della rivoluzione mondiale, ma per ragioni che non possiamo approfondire in questo articolo, ciò non è accaduto.
La vittoria dell’Armata Rossa nella guerra civile comportò un costo pesante. La Russia non è mai stata una nazione ricca, ma dopo una guerra mondiale e una guerra civile, sia l’industria che l’agricoltura erano a pezzi.
L’isolamento della rivoluzione in questa situazione di arretratezza economica pose le basi per l’ascesa della burocrazia. Alla fine degli anni ’20, lo stato operaio era degenerato in quello che Trotskij definiva uno stato operaio “deformato”. All’interno del partito e della macchina statale, la nuova burocrazia, composta in gran parte da nemici della rivoluzione del 1917, espropriò il potere politico della classe operaia e dei contadini.
“Due tendenze opposte si sviluppano in seno al regime (…) Nella misura invece, in cui essa [la burocrazia] spinge all’estremo, nella sua compiacenza verso i dirigenti, le norme borghesi di distribuzione, prepara una restaurazione capitalista. La contraddizione tra le forme di proprietà e le norme di distribuzione non può crescere indefinitamente. O le norme borghesi dovranno, in un modo o nell’altro, estendersi ai mezzi di produzione, o le norme di distribuzione devono essere adattate alla proprietà socialista.” (Trotskij, La Rivoluzione Tradita, AC Editoriale 200, pp. 289-290).
Questa nuova casta burocratica viveva sulle spalle dei lavoratori in un modo che somigliava molto ai capitalisti dell’Occidente. Possedevano ville, auto di lusso, pellicce di visone, gioielli, orologi costosi. Ma ovviamente avevano acquisito la loro ricchezza non attraverso la proprietà privata, ma saccheggiando le casse dello stato.
Questo è anche il motivo per cui hanno dovuto soffocare ogni tipo di discussione democratica. Perché nel momento in cui si fosse sollevato il coperchio, i privilegi della burocrazia sarebbero diventati oggetto di critiche. I capitalisti, almeno storicamente, hanno svolto un ruolo progressivo sviluppando la produzione industriale e ricevendo in cambio i loro profitti. La burocrazia, d’altra parte, non ha svolto tale ruolo. Era completamente parassitaria.
I piccoli burocrati collocati a tutti i livelli dell’amministrazione non avevano alcun interesse a sviluppare l’economia. Erano solo interessati alla propria posizione. Quindi, se i loro superiori richiedevano una tonnellata di chiodi, consegnavano una tonnellata di chiodi, se poi questi chiodi fossero adatti o meno per il lavoro di falegnameria era una considerazione del tutto secondaria. Più richieste faceva la burocrazia centrale, peggiore era l’imbroglio.
Un’economia moderna è un organismo delicato, che richiede una ripartizione equilibrata delle risorse tra i diversi rami produttivi. La burocrazia ha sempre lottato per mantenere questo equilibrio, ma la situazione peggiorava man mano che la rivoluzione affievoliva nella memoria collettiva e la complessità dell’economia aumentava.
Invece di guidare il mondo verso il socialismo, la nuova burocrazia bloccò ogni ulteriore sviluppo e agì persino come un freno agli sviluppi rivoluzionari nel resto del mondo. La burocrazia statale reazionaria si nutriva della demoralizzazione di ogni rivoluzione sconfitta, che rafforzava la sua presa sul potere. Proprio come il burocrate sindacale in Occidente teme i lavoratori più dei padroni, così il burocrate statale in Unione Sovietica temeva i lavoratori russi più degli imperialisti occidentali.
La burocrazia passò dall’essere un ostacolo relativo allo sviluppo dell’economia a un ostacolo assoluto. Cioè, sotto il controllo dei lavoratori l’economia avrebbe potuto svilupparsi più velocemente e in modo più sostenibile. Tuttavia, anche sotto la burocrazia, dagli anni ’30 agli anni ’60 ci fu uno sviluppo, a volte anche rapido. Ma alla fine degli anni ’70 l’economia era stagnante e il crollo era dietro l’angolo.
I tentativi di riforma di Gorbaciov
Mikhail Gorbaciov divenne leader del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS) nel 1985. Rifletteva un settore della burocrazia che cercava la via delle riforme per uscire dall’impasse economica. Gorbaciov parlava di controllo operaio e democrazia, ma nulla di tutto ciò avrebbe potuto essere attuato finché la burocrazia manteneva la sua stretta asfissiante sulla società.
In effetti, per la burocrazia la scelta tra il controllo operaio e il ritorno al capitalismo non era difficile. Preferivano il capitalismo. Ma all’inizio questa non era una scelta consapevole. Tentavano ancora la via delle riforme per cercare di preservare il sistema esistente. Gorbaciov cercava di appoggiarsi alla classe operaia per frenare i peggiori eccessi della casta burocratica, non per rovesciarla, ma per preservare il regime nel suo insieme. Come spiegò Ted Grant: “Questo era il difetto fondamentale nella posizione di Gorbaciov. Incoraggiare una maggiore iniziativa e quindi una maggiore produttività da parte dei lavoratori, difendendo contemporaneamente i privilegi e i vantaggi della burocrazia, era come tentare di quadrare il cerchio.”
Gorbaciov sottolineava che i privilegi “legittimi” dovevano essere mantenuti: “Stiamo ripristinando interamente il principio del socialismo: da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo il suo lavoro.” (Ted Grant, Russia: dalla rivoluzione alla controrivoluzione, AC Editoriale 1999, p. 309 )
Se ci si chiede da dove venga questo “principio”, si sappia che rappresenta un imbastardimento del principio “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Questo non era un caso. Era la giustificazione ideologica per il governo della burocrazia.
Mikhail Gorbaciov rifletteva uno strato della burocrazia che stava tentando di riformare se stessa per uscire dall’impasse economica. Circa 200.000 dei funzionari più corrotti furono licenziati, ma questo significava solo grattare la superficie dello zoccolo duro di 19 milioni di burocrati. Per i lavoratori, la pressione aumentò. Il programma di riforme comportò un peggioramento del tenore di vita e delle condizioni di lavoro. L’alcolismo diventò un problema serio, al punto di provocare una situazione di assenteismo dilagante. I tentativi di limitare la fornitura di alcool crearono un enorme mercato nero di alcool distillato illegalmente e dovettero essere abbandonati. Allo stesso tempo la burocrazia si arricchiva ancora di più.
Il monopolio statale sul commercio estero fu allentato nella seconda metà degli anni ’80. Ciò fornì enormi opportunità per un ulteriore saccheggio dei beni statali. Le aziende ora potevano trattenere parte dei proventi del commercio estero. In pratica, ciò significava che i manager delle industrie di esportazione o gli intermediari si intascavano una parte sostanziale dei proventi, che poi venivano trasferiti nei conti bancari in Occidente. La contemporanea deregolamentazione del settore bancario agevolò questo processo.
Khodorkovsky era un consigliere di Eltsin con connessioni in Occidente. La sua carriera è esemplificativa di quella di molti della nuova classe di oligarchi. Divenne funzionario per il Komsomol (organizzazione giovanile del Partito Comunista) nel 1986, poi nel 1987 avviò un “Centro per la creatività scientifica e tecnica della gioventù”, legato al Komsomol, che commerciava con l’Occidente. In poco più di un anno questo lo portò a fondare una banca, Menatep, con l’aiuto di banchieri occidentali. Questa banca divenne rapidamente una delle più grandi banche private russe, attraverso la quale Khodorkovsky ottenne il controllo della Yukos, l’azienda del petrolio e del gas. Alla fine degli anni ’90, Khodorkovsky aveva una quota di controllo in 30 società e nel 2004 era il sedicesimo uomo più ricco del mondo, con un patrimonio di 16 miliardi di dollari.
Ci fu un sussulto temporaneo di ripresa economica, ma poi le cose rapidamente presero una brutta piega. I prodotti alimentari venivano lasciati marcire nei campi, il furto e l’appropriazione indebita erano problemi sempre più gravi. Il mercato nero divenne la principale fonte di beni per fabbriche, negozi e consumatori. Gli scaffali erano vuoti e, nel 1990, 70 milioni di persone vivevano in condizioni di povertà. Un’ondata di scioperi attanagliò l’Unione Sovietica, culminando in uno sciopero di 300.000 minatori. C’erano resoconti di lavoratori che avevano preso il controllo delle città minerarie durante questi scioperi: “Il comitato di sciopero, in sostanza, è diventato l’autorità nelle città. Si occupano delle questioni del commercio, dei trasporti e del mantenimento dell’ordine. Dalla mattina alla sera si sono presentate ai comitati delle persone che per lungo tempo non erano riuscite a ottenere aiuto o sostegno da nessun’altra organizzazione. E i loro membri hanno studiato ogni problema, consultato specialisti e aiutato dove potevano con cure mediche, riparazioni, collocamento…” (Trud, 3 agosto 1989)
Queste azioni dei lavoratori portavano i semi della rivoluzione politica. Tuttavia, la classe operaia non aveva un’organizzazione che potesse unire le varie lotte e consentirle di imporre le proprie rivendicazioni di classe. Invece, la mobilitazione venne dirottata e usata come pretesto per ulteriori privatizzazioni.
Nel 1990, The Soviet Weekly pubblicò un sondaggio secondo il quale solo il 15-20 % dei giovani credeva nel socialismo. La parola ora puzzava, contaminata dalla burocrazia. Le proteste erano diventate quotidiane e le masse stavano scrollandosi di dosso la paura dell’apparato repressivo dello stato, arrivando persino ad attaccare e respingere la polizia.
Lo scetticismo e la disillusione diffusi tra le persone si riflettevano in battute come “abbiamo già raggiunto il vero comunismo o c’è di peggio in arrivo?” Tuttavia, nel 1990, più del 40% della popolazione era favorevole a un ritorno a una gestione economica più centralizzata e solo il 25% desiderava un sistema orientato al mercato. Quindi, la transizione al capitalismo non era popolare.
Ma la burocrazia ora iniziava seriamente a dirigersi verso il capitalismo. Aveva perso ogni fiducia nel “socialismo”, cioè in se stessa, e guardava con ammirazione e timore reverenziale l’Occidente. Trotskij aveva previsto che i membri della burocrazia avrebbero tentato di garantirsi la propria posizione e quella dei loro figli trasformandosi in capitalisti. Questo è ciò che accadde. I burocrati a ogni livello cercarono di accaparrarsi tutto il bottino su cui potevano mettere le mani. La corruzione era dilagante. Fu avviato un programma di austerità, che comprendeva la privatizzazione (inizialmente delle piccole imprese) e la deregolamentazione dei prezzi e dei salari.
Eltsin entra in scena
Nel 1990, il Comitato di pianificazione statale (Gosplan) metteva in guardia rispetto a un completo crollo dell’economia. Eltsin – un ex membro del Politburo che era stato messo da parte per aver denunciato la burocrazia e la corruzione – emerse come il leader dell’ala filocapitalista. Lui e la sua frazione stavano spingendo per “riforme” più rapide per risolvere la situazione.
La disintegrazione dell’Unione Sovietica iniziò a concretizzarsi e Eltsin usò la sua posizione di presidente del Soviet supremo russo per aumentare i propri poteri (rispetto al governo dell’Unione Sovietica) e porsi in competizione con Gorbaciov.
Gorbaciov e i suoi ministri non avevano deciso di passare al capitalismo. Erano in una situazione di stallo, tentando di trovare un equilibrio tra l’ala pro-capitalista e l’ala intransigente della burocrazia. Nel 1990 Gorbaciov tornò a introdurre una serie di riforme a favore del mercato. In un discorso attaccò la burocrazia, ma insistendo sul fatto che non si stavano dirigendo verso un’economia di mercato. Dopo di questo, Eltsin si dimise dal PCUS. Gorbaciov continuò a cercare di trovare un equilibrio tra le due fazioni, ma la situazione stava sfuggendo al suo controllo. In Unione Sovietica c’erano ora due partiti legali alla luce del sole: il vecchio partito della burocrazia, il PCUS, e un’alleanza di partiti a favore delle “riforme” con Eltsin a capo.
Le riforme di mercato non riuscirono a fermare il crollo dell’economia. La produzione, nei primi sei mesi del 1991, diminuì del 10% rispetto all’anno precedente. Ci furono altri scioperi nei bacini carboniferi.
Eltsin vinse le elezioni per la presidenza della Federazione Russa nel giugno 1991. Ciò rappresentò una svolta decisiva. Allo stesso tempo, le repubbliche sovietiche più piccole chiedevano l’indipendenza. Gorbaciov fu costretto a redigere un nuovo trattato dell’Unione, con grande indignazione dei sostenitori della linea dura. Gorbaciov stava ora manovrando con Eltsin contro la frazione intransigente per far approvare il trattato, che avrebbe concesso ulteriore autonomia alle repubbliche sovietiche, inclusa, ovviamente, la Federazione Russa. Sarebbe stata nei fatti la fine dell’Unione Sovietica.
I sostenitori della linea dura, nostalgici del vecchio regime, attuarono un tentativo di colpo di stato per fermare la ratifica del trattato. Nonostante il coinvolgimento di funzionari di alto livello, così come del KGB, i golpisti erano notevolmente mal organizzati. Sembravano puntare sul fatto che Gorbaciov si unisse al golpe o si dimettesse in favore del suo vice, ma lui si rifiutò. I golpisti emisero un mandato di cattura per Eltsin, ma non furono in grado di metterlo in pratica.
Eltsin invece approfittò della situazione. Si barricò nel palazzo del parlamento (la Casa Bianca) e lanciò un appello affinché la popolazione si unisse a lui. Ci fu una manifestazione di circa diecimila persone. I golpisti tentarono un assalto alla Casa Bianca, ma dopo qualche scaramuccia che causò la morte di alcuni manifestanti, si ritirarono. Alla fine i cospiratori furono arrestati.
Gorbaciov emerse indebolito da tutta la vicenda. Il settore intransigente era stato sconfitto e così Gorbaciov non poteva più appoggiarsi a loro contro Eltsin. Non poteva più resistere: alla fine dell’anno, il Trattato dell’Unione fu dimenticato, l’Unione Sovietica fu sciolta e con essa terminò la presidenza di Gorbaciov.
Eltsin e la sua fazione non soffrirono della stessa mancanza di determinazione dei golpisti. Le attività del Pcus furono sospese il 29 agosto, una settimana dopo il fallimento del golpe. Eltsin iniziò quindi a smantellare il partito, iniziando con la confisca di tutti i suoi beni. Infine il Pcus fu messo al bando il 6 novembre.
Con la scomparsa dell’Unione Sovietica, Eltsin era ormai senza rivali nel suo ruolo di presidente della Russia e procedeva rapidamente a “liberalizzare” l’economia. Gli furono concessi poteri di emergenza dal Congresso dei Deputati per realizzare riforme economiche, inclusa la deregolamentazione.
Il fattore determinante in questo processo era l’assenza di un movimento indipendente della classe operaia. I lavoratori non furono in grado di svolgere un ruolo indipendente, e di conseguenza tutto lo scontro fu combattuto tra due ali della burocrazia: una che ha combattuto godendo della fiducia e del sostegno dell’imperialismo occidentale, e l’altra completamente demoralizzata e senza un vero piano. I sostenitori della linea dura erano i difensori di uno status quo, che aveva fallito e a cui nessuno credeva più.
I lavoratori non vedevano prospettive in nessuna delle due fazioni. Ci furono scioperi e manifestazioni, ma c’erano anche un’enorme confusione politica e una mancanza di autentiche alternative. Uno sciopero generale indetto da Eltsin ottenne il sostegno dell’ex primo ministro conservatore britannico Margaret Thatcher, ma pochissimi lavoratori vi aderirono. Le persone che si erano radunate a sostegno di Eltsin erano studenti, ingegneri e speculatori che vedevano un vantaggio materiale nel ritorno al capitalismo. La passività della classe operaia fu ciò che permise ad Eltsin e alla sua fazione di prendere il controllo della situazione.
Il golpe di Eltsin
Anche se sembrava che i sostenitori della linea dura fossero stati sconfitti, non ci volle molto perché emergesse un’opposizione. Lungi da migliorare le condizioni di vita della classe operaia, le nuove misure stavano rapidamente provocando un peggioramento della situazione. La rimozione dei controlli sui prezzi in una situazione di penuria di prodotti significò un’inflazione alle stelle. I prezzi aumentarono del 300% in un mese e alla fine del 1992 l’inflazione era del 2.400%.
La Russia si trovava nel peggiore di tutti i mondi possibili: gli svantaggi della cattiva gestione burocratica combinati con il capitalismo clientelare. Venivano prodotte le stesse merci scadenti, ma ora a prezzi enormemente gonfiati. Allo stesso tempo, gli stipendi non venivano pagati. Le industrie erano ferme per mancanza di rifornimenti. La situazione stava diventando disperata. Ciò provocò proteste di massa fuori dalla Casa Bianca, che costrinsero il governo a raddoppiare il salario minimo e ad aumentare le pensioni.
Nelle sue memorie, Eltsin commenta che il suo obiettivo era rendere irreversibile la “riforma”. Cioè, voleva rendere irreversibile il ritorno al capitalismo, ma si trovava di fronte a un’opposizione crescente. Divenne chiaro che il Congresso costituiva un serio ostacolo all’avanzamento ulteriore delle “riforme” di Eltsin. Nella primavera del 1992, Eltsin dovette compiere una parziale ritirata nella sua terapia d’urto e licenziare il suo ministro delle finanze, Gaidar. Questo costituiva un avvertimento per Eltsin. Se doveva andare avanti con le sue politiche, doveva fare a meno del Parlamento e assumere invece poteri dittatoriali.
Eltsin passò la maggior parte del 1992 nello scontro con il Parlamento per una nuova Costituzione, ma senza riuscire ad ottenere un accordo. A dicembre, il Congresso approvò un referendum per il mese di aprile su una nuova Costituzione in cambio delle dimissioni del primo ministro Gaidar, che nel frattempo era tornato in auge a giugno. Ma questo accordo non durò a lungo. Nel marzo 1993, Eltsin era passato a governare per decreto, una mossa bloccata dalla corte costituzionale, che l’aveva dichiarata incostituzionale. Eltsin fu anzi oggetto di un procedimento di impeachment, a cui sfuggì per il rotto della cuffia.
Eltsin a quel punto concentrò tutti i suoi sforzi per il successo nel referendum. Le potenze imperialiste sostenevano apertamente Eltsin e ad aprile, poco prima del referendum, furono concordati 42 miliardi di dollari di aiuti. Ciò permise a Eltsin di promettere un altro aumento del salario minimo e delle pensioni…. Eltsin vinse di poco il referendum, con un alto tasso di astensione, probabilmente truccando il voto. Tuttavia, Eltsin usò il risultato come pretesto per procedere contro i suoi nemici. A settembre sospese il Congresso e promise nuove elezioni in base a una nuova Costituzione scritta da lui stesso. Immediatamente, il Congresso votò per mettere sotto accusa il presidente e rimuoverlo dall’incarico. Eltsin riconfermò Gaidar e tentò di ottenere il sostegno per la nuova Costituzione. Non ebbe molto successo. 148 rappresentanti delle regioni su 176 si opposero alle sue manovre, compreso il consiglio comunale di San Pietroburgo. L’imperialismo occidentale, ovviamente, appoggiava Eltsin. Non erano interessati a sottigliezze legali o democratiche, ma bensì alla distruzione dell’economia pianificata e alla possibilità di saccheggiare le aziende statali russe.
Eltsin assediò la Casa Bianca, dove i leader del Congresso si erano barricati. Gli oppositori di Eltsin fecero un appello poco convinto alle masse. Non avevano alcuna volontà di lanciare un vero movimento di massa contro il colpo di stato di Eltsin. Invece, tentarono di fare affidamento sull’esercito e sui servizi segreti. Tentarono quello che doveva essere un contro-golpe, ma anche ora non c’era più volontà di difendere il vecchio ordine di quanta ce ne fosse stata l’anno prima.
Gli operai di Mosca iniziarono a mobilitarsi contro il golpe. Il 3 e il 4 ottobre decine di migliaia di manifestanti sfondarono le linee della polizia e raggiunsero la Casa Bianca. Ma questo non bastò a rompere lo stallo.
Eltsin invece assaltò la Casa Bianca, dopo aver corrotto un certo numero di deputati per indurli ad abbandonare i loro posti. Tentò di ordinare all’esercito di andare all’assalto, ma su un esercito di due milioni e mezzo di effettivi, “non fu possibile trovare nemmeno un reggimento”, si lamentò Eltsin nelle sue memorie. Alla fine, fu messa insieme una forza d’assalto composta da un misto di ufficiali dell’esercito, del KGB e del ministero degli interni.
La presa del parlamento diede un forte impulso alla transizione verso il capitalismo, ma la resistenza continuò. Eltsin mise al bando i partiti e i giornali dell’opposizione, sospese i parlamenti locali e licenziò consiglieri e governatori. Anche la Corte Costituzionale fu sospesa, tutto in nome della “democrazia”. Le elezioni per il parlamento, ribattezzato Duma (fu ripristinato il nome zarista), avrebbero dovuto fornire una copertura legale per queste manovre, ma il campo di Eltsin si divise in diversi partiti e il regime non riuscì a raggiungere alcuna stabilità.
Negli anni successivi la situazione economica peggiorò. Per un intero decennio l’economia continuò a contrarsi. Nel 1989 la produzione totale dell’economia valeva 1,46 trilioni di dollari, alla fine del 1998 solo 800 miliardi, con un calo del 44 %. La produttività del lavoratore medio russo era del 30% rispetto a quella di lavoratore statunitense nel 1992, ma solo del 19% nel 1999. La restaurazione del capitalismo fu un disastro assoluto. La distruzione dell’economia è paragonabile solo a quella delle potenze sconfitte della seconda guerra mondiale. I salari reali diminuirono di oltre la metà. Nel 2000, il 29% della popolazione viveva in povertà.
Le continue difficoltà economiche provocarono nuovi mobilitazioni della classe operaia, che furono tuttavia tradite. Molti fanno risalire la data per la restaurazione del capitalismo in Russia al 1991, ma la verità è che il nuovo regime non si era ancora stabilizzato. Era lacerato da contraddizioni e crisi e gli operai resistevano ancora.
Un regime in crisi
L’Occidente stava spingendo per ulteriori “riforme”: “più terapia shock”, “la Russia non può tornare indietro” era il messaggio che Eltsin e la sua cricca erano felici di accontentare, assicurandosi ovviamente di riempirsi le tasche nel frattempo. Alcuni degli affari sporchi furono svelati nei tribunali del Regno Unito, mentre gli oligarchi stavano combattendo fra di loro per assicurarsi la proprietà di varie società. The Guardian in un suo reportage descriveva come Eltsin “ha praticamente regalato beni statali a un piccolo gruppo di uomini d’affari con cui aveva buone relazioni” in cambio di un aiuto per truccare le elezioni presidenziali del 1996. Yukos, il gigante petrolifero del valore di 3 miliardi di dollari, fu venduta a Khodorkovsky per 100 milioni di dollari, ad esempio. Questa era la natura della nuova classe dominante in Russia.
La disuguaglianza sociale in Russia è attualmente la più alta tra le principali economie mondiali. Nel 2000 l’1% più ricco della popolazione possedeva il 54% della ricchezza. Negli Stati Uniti la quota era del 33%. Oggi, gli oligarchi russi hanno leggermente aumentato la loro fetta di questa torta e ne possiedono il 58%.
I lavoratori dovettero pagare il prezzo del disastro economico. La disoccupazione aumentò rapidamente, ma in parte ciò fu dovuto al fatto che le aziende tenevano i lavoratori come loro dipendenti, semplicemente senza pagarli: mesi e mesi di salario arretrato e ridotto al minimo dall’iperinflazione. Questo preparò la strada a una nuova ondata di lotte.
Le elezioni del 1995 furono una grande sconfitta per i partiti filocapitalisti, che persero circa metà dei loro seggi. Il Pcfr (Partito comunista della Federazione russa) guadagnò voti in maniera massiccia, e la sinistra ebbe poco meno della metà dei seggi alla Duma. Questo era un segnale del cambiamento dell’umore nella società. Le successive elezioni presidenziali del 1996 furono probabilmente truccate e, in ogni caso, l’Occidente intervenne pesantemente a favore di Eltsin, fornendogli anche fondi in un momento cruciale della campagna elettorale. Ma ciò non portò alla tanto agognata stabilità politica.
Nell’autunno del 1996 seguì una massiccia ondata di scioperi, inclusa la creazione di “comitati di salvezza”, che erano dei soviet a tutti gli effetti. Le fabbriche furono occupate e iniziarono a essere gestite sotto il controllo dei lavoratori. Il movimento di scioperi riemerse di nuovo nel 1998. I sondaggi mostravano una forte opposizione alle riforme di mercato. Nel gennaio 1997 un sondaggio rivelò che il 48% considerava il socialismo preferibile al capitalismo per la Russia, mentre il 27% pensava il contrario. Se fosse stato presente un partito comunista degno di questo nome, il movimento avrebbe potuto essere generalizzato in tutta la Russia e i lavoratori avrebbero potuto prendere il potere, ma la dirigenza del Pcfr aveva altre idee.
Il Pcfr godeva di un ampio sostegno, ma la sua direzione era costituita da ciò che rimaneva della vecchia burocrazia e, come i sostenitori della linea dura del 1991-1993, in realtà non aveva un’alternativa al capitalismo. Questi leader non avevano un’esperienza di lavoro di massa, essendo abituati a fare intrighi nei corridoi del potere. L’ultima cosa che questo gruppo dirigente voleva era che i lavoratori prendessero il potere. Pertanto, non potevano fornire alcuna alternativa ai lavoratori in cerca di una via d’uscita.
Nel 1991 la restaurazione del capitalismo era tutt’altro che certa e avrebbe potuto essere fermata. Con il fallimento del Partito comunista, la mancanza di un fattore soggettivo che avrebbe potuto portare i lavoratori al potere, il regime riuscì a trovare quella stabilità tanto cercata in un nuovo leader: Putin.
La peculiare ascesa di Putin
Nel 1998 Eltsin aveva esaurito la sua forza. A coronamento del disastro nella situazione economica e della svendita a prezzi stracciati dei beni pubblici, la famiglia di Eltsin fu coinvolta in uno scandalo di corruzione. Non fu in grado di tenere insieme il suo governo e la sua popolarità nei sondaggi d’opinione si attestò intorno al 3%.
I successori di Eltsin sgomitavano per subentrare al suo posto e, ancora una volta, c’era il rischio reale che il leader del Partito comunista Zhuganov potesse vincere le imminenti elezioni presidenziali. Sebbene Zhuganov si presentasse come un politico affidabile, opponendosi alla proprietà statale, l’oligarchia non aveva fiducia nel fatto che potesse fermare le lotte operaie. Putin emerse in questa situazione.
Era un funzionario minore del KGB che si era ritirato dal servizio attivo nel 1991 e aveva iniziato una presunta carriera da civile lavorando per il sindaco di San Pietroburgo, che lo nominò responsabile delle relazioni estere della città. E’ stato calcolato che l’80% di tutte le joint venture con l’Occidente coinvolgeva funzionari del KGB. A San Pietroburgo, Putin fu coinvolto in uno scandalo di corruzione che riguardava l’esportazione di materie prime all’estero per un valore di 100 milioni di dollari dietro l’impegno a importare generi alimentari, importazione mai avvenuta. Il sospetto era, ovviamente, che, invece di consegnare gli alimenti, fossero state versate tangenti a Putin e ad altri funzionari.
Eltsin fece entrare Putin nel suo staff presidenziale nel 1997 e poi, un anno dopo, lo nominò capo dell’FSB (i servizi segreti eredi del KGB). L’anno successivo Putin diventò primo ministro. Tutto ciò dovrebbe sollevare qualche dubbio. Certamente l’intera società russa era nel caos, il che apriva prospettive di promozione per persone come Putin e altri, dotati di una particolare mancanza di scrupoli morali. Questo rivelava anche la mancanza di persone affidabili ai vertici del regime.
Tuttavia, Putin aveva conservato tutti i legami giusti e probabilmente non lasciò mai veramente il servizio né del KGB né in seguito dell’FSB. Quanto fosse vicino ai servizi segreti emerse quando fu elevato al ruolo di primo ministro nel 1999.
Il conflitto ceceno fornì carburante utile al sentimento patriottico. Una serie di misteriosi attentati dinamitardi scossero la Russia nel settembre 1999, solo un mese dopo che Putin era arrivato al potere. Oltre alle esplosioni, fu scoperta e disinnescata una bomba, ma l’FSB dichiarò che era parte di un’esercitazione di addestramento. Il presidente della Duma annunciò uno degli attentati tre giorni prima che avvenisse. Qualche agente molto astuto aveva confuso le date degli attentati di Mosca e Volgodonsk.
Le richieste di un’inchiesta indipendente furono bloccate e tutti i presunti responsabili furono uccisi o condannati in tribunali segreti. Una commissione informale istituita da un membro della Duma, Kovalev, fu bloccata quando due dei suoi membri furono assassinati e un altro arrestato. L’agente disertore dell’FSB Litvinienko, assassinato a Londra nel 2008, è stato uno dei testimoni della commissione.
Le esplosioni furono attribuite agli islamisti e coincisero con un’invasione del Daghestan (la vicina repubblica caucasica). Putin ordinò immediatamente il bombardamento di Grozny per rappresaglia. L’intera faccenda si rivelò un enorme opportunità per la propaganda a favore di Putin, che ricevette grandi lodi dalla stampa russa, la quale era ovviamente controllata dagli oligarchi.
Nelle settimane successive, la popolarità di Putin salì alle stelle. Eltsin si dimise a dicembre, portando alla nomina di Putin come presidente ad interim, e ad elezioni anticipate a marzo, anziché a giugno, quando erano previste. Putin ottenne la maggioranza al primo turno. Alla Duma, però, dove non aveva la maggioranza, il Pcfr gli fornì scandalosamente i voti necessari.
Il regime di Putin
Ciò che Putin rappresentava era il consolidamento del regime capitalista in Russia. Indubbiamente, alcuni liberali sognavano una democrazia in stile occidentale, ma quale avrebbe dovuto essere la base di un tale regime?
Ci sono stati molti tentativi di abbellire il regime di Eltsin, ma non era poi così diverso da quello di Putin. Come abbiamo visto, Eltsin non esitò a calpestare tanto la Costituzione e che i parlamenti eletti quando gli conveniva. Basò il suo governo su una piccola cricca di oligarchi estremamente corrotti, ai quali regalò grandi quantità di proprietà statali. Era determinato a restaurare il capitalismo in Russia e a tale scopo ricevette il sostegno appassionato dell’Occidente. Ma quello di Eltsin era un regime di crisi e non aveva futuro a lungo termine.
Quando Putin salì al potere, iniziò a rimuovere gli eccessi peggiori degli anni di Eltsin. Mise in prigione alcuni degli oligarchi e pose in parte fine al loro controllo sui media. Certo, non per consegnarlo agli operai, ma ai suoi stessi compari, o a sé stesso. Tali mosse che punivano gli oligarchi erano molto popolari all’epoca.
Le potenze occidentali presumevano, erroneamente, che la Russia sarebbe tornata al capitalismo come colonia dell’Occidente: un ritorno alla Russia pre-1917. Questo è essenzialmente ciò che avevano raggiunto in gran parte dell’Europa orientale. Ma la nuova oligarchia russa aveva i suoi interessi e cominciava a ritrovare fiducia. La Russia riemerse sulla scena della politica mondiale, non come una nazione povera, ma come una potenza imperialista, desiderosa di recuperare le sue sfere di influenza perdute dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
Questo non era solo un obiettivo personale di Putin. Eltsin era del tutto d’accordo rispetto all’assoggettamento della Cecenia e suggerì anche che le ex repubbliche sovietiche potessero ridisegnare i loro confini (a favore della Russia). La nuova oligarchia russa stava iniziando a ritrovare la fiducia in sé stessa e, con la ripresa economica degli anni successivi, questa fiducia crebbe ancora.
Il regime si stava rimodellando. Nulla di fondamentale stava cambiando, ma bisognava fare qualcosa per cancellare il ricordo orribile degli anni di Eltsin. Era finito l’assoggettamento servile dei dettami del FMI e di Washington. Putin ovviamente non era pronto ad abolire il capitalismo, ma era piuttosto deciso a riabilitare lo status di grande potenza della Russia. Dopo un decennio di umiliazione nazionale, questo era molto popolare.
L’inno nazionale sovietico venne adottato nuovamente nel 2000, con nuovi testi, nonostante l’opposizione di gente come Eltsin, che sostenevano che non si dovessero seguire ciecamente i capricci delle masse (un tacito riconoscimento che l’inno era popolare). Putin continua a parlare in termini positivi dell’Unione Sovietica, compresi Lenin e Stalin, ma naturalmente elogia anche alcuni degli zar con parole simili.
Tuttavia, le idee devono in qualche modo corrispondere alla realtà. Putin affermava di rappresentare un cambiamento rispetto a Eltsin, e i cambiamenti superficiali che aveva apportato non sarebbero stati sufficienti, se non fossero anche coincisi con un boom dell’economia. Putin non si limitava solo alle belle parole sul rilancio della Russia, ma queste avevano un riscontro anche nella ripresa della situazione economica. Certo, questo non era molto merito suo, quanto del cambiamento nell’andamento dei prezzi del petrolio. Circa il 60 % delle esportazioni russe riguardano petrolio e gas.
Questa combinazione tra il disastro degli anni di Eltsin e la successiva ripresa economica dei primi anni 2000 ha dato al nuovo regime una parvenza di stabilità. La classe operaia era stata demoralizzata e atomizzata, prima dai decenni di stalinismo sotto l’Unione Sovietica, poi dal ruolo disastroso del Pcfr nel movimento 1996-1998. Questo è stato un altro tassello importante sia per la ripresa economica che per il consolidamento del regime di Putin.
Come con molti regimi bonapartisti, Putin fa anche molto affidamento sullo spauracchio del nemico esterno. Ha bisogno di guerre e di vittorie per andare avanti. La guerra in Cecenia, nel corso della quale ha schiacciato i ceceni, è stato un chiaro esempio di questo. Poi ha schiacciato l’esercito georgiano nel 2008 e dopo ci sono state la guerra in Ucraina nel 2014 e la guerra in Siria nel 2015-16.
Tuttavia, questi tentativi di guadagnare popolarità spingendo sul nazionalismo stanno avendo sempre meno effetto. E sono anche molto costosi. La spesa militare russa è ora in proporzione superiore a quella degli Stati Uniti, il 3,9 % del Pil, più del doppio di quella del Regno Unito.
Il regime di Putin ha i giorni contati. Alle elezioni Putin era solito ottenere il 60-70 % dei voti: ora è sceso al 40%. Non c’è mai stato qualcosa di simile a libere elezioni in Russia, ma le ultime elezioni politiche sono state le più truccate di tutte. Le persecuzioni si sono intensificate, così come i brogli elettorali. Forse metà dei 28 milioni di voti del partito Russia Unita di Putin erano falsi. Nel 2007, al culmine della popolarità di Putin, Russia Unita aveva ottenuto 315 seggi, con il 49% dei voti. Quest’anno, i sondaggi d’opinione davano a Russia Unita il 35 %. Eppure hanno ancora ottenuto il 50 % alle elezioni, abbastanza per assicurarsi 324 seggi, che sono solo 4 seggi in più rispetto alla maggioranza dei due terzi richiesta per le modifiche costituzionali. Chiaramente, il regime si è assicurato di ottenere voti sufficienti per garantire il risultato voluto.
In una normale democrazia borghese, le elezioni e le proteste sono come una sorta di valvola di sicurezza, dove i vari partiti salgono e scendono in popolarità man mano che cambia l’umore, in particolare tra la classe lavoratrice. I risultati delle elezioni e gli scioperi sono come un barometro con cui si può giudicare l’umore della classe. Quando si tratta di un regime come quello russo, questo è molto più difficile, tanto più che l’opposizione parlamentare è del tutto inutile. La repressione e la frode spingono il malcontento sotto la superficie, ma questo significa solo che, quando emergerà, sarà ancora più esplosivo.
Data la crisi che si sta verificando su scala mondiale e il disastro in cui si trova la Russia, il momento per una resa dei conti non è lontano. Tuttavia, la soluzione non può più essere la stessa miseria, ma con una maschera democratica. Il completo fallimento dell’opposizione liberale lo ha dimostrato. A nessuno interessano i lacchè dell’imperialismo USA, o un ritorno agli anni di Eltsin. Né è possibile o desiderabile riportare l’orologio indietro di 30 anni e reintrodurre un’economia burocraticamente mal gestita. I lavoratori cercano una vera alternativa. Questo deve inevitabilmente significare un ritorno alle idee della Rivoluzione d’Ottobre, l’unica soluzione.