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28 Maggio 2024di Ben Curry
I comunisti vengono spesso raffigurati dalla classe dominante come degli individui violenti che non si fermeranno di fronte a nulla finché la società non annegherà nel sangue. Di conseguenza, non ci ha sorpreso che il principale giornale online danese, BT – mentre intervistava un compagno dirigente della nostra sezione danese riguardo alla loro decisione storica di fondare il Partito Comunista Rivoluzionario – abbia passato l’intera intervista a cercare di fare ammettere al compagno che noi fossimo a favore della violenza.
Lasciateci rispondere qui alla domanda in maniera netta e franca: i comunisti sono per una “rivoluzione violenta”? No, noi lottiamo per la transizione più pacifica possibile verso il socialismo.
Tuttavia, è difficile trattenere il nostro disprezzo, quando, in questo periodo, in questo mondo capitalista, i difensori del sistema sorvolano, senza dire una parola, su milioni di orrori e di crimini quotidiani, solo per poi spargere grida di terrore di fronte ad una futura e immaginaria “violenza” della rivoluzione comunista.
In tutto il mondo, il capitalismo versa fiumi di sangue. Ci sono 114 milioni di profughi a causa della guerra e della violenza provocate dagli interventi imperialisti e della povertà: da Gaza all’Ucraina, dalla Repubblica Democratica del Congo all’Etiopia, ad Haiti, ecc. Da ottobre, tutto l’establishment mediatico e politico occidentale santifica la punizione collettiva da parte di Israele contro il popolo di Gaza in quanto “legittima difesa” – una “autodifesa” in cui si è registrata la morte di 35mila persone, di cui il 70% donne e bambini.
Eppure, gli stessi media affermano di essere inorriditi quando diciamo, come comunisti, che sebbene desideriamo una trasformazione pacifica della società, la classe operaia abbia il diritto di difendere se stessa e le proprie conquiste.
C’è una logica nell’ipocrisia dei capitalisti. La classe dominante può sempre giustificare la violenza degli oppressori e degli sfruttatori a difesa della loro ricchezza e dei loro privilegi, che sono sacrosanti. Ma le fiamme dell’inferno non sono abbastanza roventi per chi osa sfidare il loro dominio.
Mentre la rabbia monta nel profondo della società, persino nei cosiddetti paesi democratici, la classe dominante sta mostrando a quali picchi di violenza sia pronti a ricorrere per difendere i propri interessi. Consideriamo il movimento dei gilet gialli del 2018, quando le masse francesi insorsero contro il governo “democratico” di Macron in risposta a un aumento del prezzo del carburante, che canalizzò il malcontento diffuso nei confronti del sistema.
“La violenza nelle strade non sarà tollerata”, dichiarò solennemente il presidente Macron alla nazione, prima di mandare gendarmi armati e utilizzare granate esplosive nelle piazze al fine di “controllare la folla”, facendo sì che 17 persone perdessero un occhio e 3 persone venissero costrette a sottoporsi a amputazioni degli arti. Una donna (non coinvolta nelle proteste) venne uccisa sul suo balcone dopo essere stata colpita in faccia da un lacrimogeno.
Più di recente, la violenza è stata utilizzata per sgomberare accampamenti pacifici, a partire dall’Università della Columbia negli Stati Uniti, fino all’Università di Amsterdam in Olanda. Questi sono tutt’altro che esempi isolati – Amnesty International ha calcolato che nel 2022, il 54% dei governi ha utilizzato la violenza contro proteste pacifiche, violando le proprie stesse leggi.
Così, quando il movimento delle masse minaccia i suoi interessi fondamentali, non ci sono limiti alla violenza che la classe capitalista può mettere in campo. Dopo il colpo di stato, appoggiato dagli Stati Uniti, contro il governo socialista, democraticamente eletto, di Allende in Cile, 10mila lavoratori, socialisti comunisti e altri attivisti sono stati massacrati dal regime di Pinochet. Le amenità legalitarie non hanno protetto in alcun modo il popolo cileno.
Quando la sua autorità viene realmente minacciata, come avviene nelle rivoluzioni, vediamo di cosa esattamente è capace la nostra classe dominante. La loro sete di vendetta cresce in maniera direttamente proporzionale a quanto i movimenti rivoluzionari – anche i più pacifici – minacciano il loro dominio. Se le masse non sono pronte a contrattaccare, con le armi in mano, se necessario, si ritrovano senza difese. In Cile, il rifiuto di Allende di armare le masse permise a Pinochet di prendere il potere senza combattere, portando a un bagno di sangue.
Possiamo anche prendere il più recente esempio del Sudan. Tra il 2019 e il 2023, il paese è stato attraversato da una rivoluzione completamente pacifica che ha rovesciato l’odiata dittatura militare di al-Bashir. A Khartoum e in tutto il paese, ci furono occupazioni di massa, scioperi generali e la formazione di Comitati di Resistenza di massa. La direzione della rivoluzione, principalmente l’Associazione dei Professionisti Sudanesi – non solo si è impegnata a utilizzare mezzi pacifici, ma ha legato tutte le speranze delle masse alla buona volontà dei vecchi governanti, con i quali ha avviato delle trattative in buona fede senza prendere nessuna misura per armare le masse per l’auto-difesa.
Ma quando lo slancio rivoluzionario è venuto meno, i vecchi governanti hanno abbandonato i negoziati e sono passati all’offensiva. Bande di milizie tribali, organizzate sotto il nome di Rapid Support Forces [RSF, Forze di Supporto Rapido] sono piombate su Khartum, dando il via a massacri, omicidi e stupri nella totale impunità. Questa controrivoluzione è stata solo il preludio di una nuova guerra civile che ha portato a 8 milioni di profughi, tra cui la metà della popolazione di Khartoum, mentre Burhan e Hemedti – due banditi sostenuti da differenti potenze regionali e imperialiste – combattevano per il bottino come avvoltoi che lottano per una carcassa.
Dovrebbero le masse lasciarsi massacrare come buoi al macello? I comunisti rispondono, no! Noi difendiamo senza tentennamenti il diritto delle masse a difendersi! Non siamo pacifisti e non abbiamo alcuna illusione sulle pie intenzioni della classe dominante.
La tragica lezione del Sudan è chiara: l’unico modo col quale si sarebbe potuto evitare questo barbarico spargimento di sangue, sarebbe stato che la direzione della rivoluzione compisse il passo decisivo di organizzare uno sciopero generale insurrezionale per paralizzare il paese, facendo appello ai soldati rivoluzionari a passare dal lato della rivoluzione.
In questo modo, gli sgherri assetati di sangue del vecchio regime sarebbero potuti essere facilmente disarmati e i loro capi arrestati. Al contrario, i vacillamenti della direzione rivoluzionaria hanno portato a una sconfitta sanguinosa della rivoluzione e, di conseguenza, a un ulteriore sprofondamento del Sudan nella barbarie.
Le rivoluzioni pacifiche sono possibili, certo, ma solo se la forza soverchiante dei lavoratori e degli oppressi organizzati porta la vecchia classe dominante a ritenere che ogni resistenza sarebbe vana.
La classe dominante ci dirà che le rivoluzioni sono violente e che chiunque propugni la rivoluzione propugna la violenza. Ma la storia ci dice una cosa molto diversa. Nella stragrande maggioranza dei casi, le rivoluzioni nell’epoca moderna hanno avuto la tendenza a cominciare in maniera relativamente pacifica. È precisamente per porre fine all’oppressione e alla violenza dello status quo che gli oppressi ricorrono alla rivoluzione.
È quando la controrivoluzione va all’offensiva che assistiamo a violenze orribili. La rivoluzione russa dell’Ottobre 1917, per esempio, fu talmente pacifica a Pietrogrado che morirono più persone durante le riprese di una versione cinematografica della presa del Palazzo d’Inverno, dieci anni dopo, di quante ne fossero morte effettivamente nel corso degli avvenimenti stessi. Ci volle l’intervento imperialista di 21 eserciti stranieri per fare sprofondare il paese in una terrificante guerra civile.
Oppure prendiamo la rivoluzione tedesca del 1918, un avvenimento relativamente pacifico che pose fine alla grande carneficina della Prima Guerra Mondiale. Eppure, dopo che i lavoratori non furono in grado di prendere il potere, la classe dominante mandò battaglioni della morte, i Freikorps, in tutta la Germania per stanare e uccidere comunisti e lavoratori combattivi. Alla fine, quando scoppiò una nuova crisi nel 1929, la classe dominante preferì cedere il potere a Hitler piuttosto che fronteggiare nuove esplosioni rivoluzionarie, preparando la strada al massacro di milioni di persone nell’Olocausto e nella Seconda Guerra Mondiale.
La classe dominante preferirebbe ridurre in cenere il vecchio mondo, piuttosto che vedere nascere uno nuovo, libero dalla schiavitù e dalle umiliazioni del loro dominio.
La crisi del capitalismo costringerà le masse a intraprendere il cammino della rivoluzione. Un processo che sia il più pacifico possibile potrà essere garantito soltanto se esse vi si incammineranno in maniera decisa, sotto una solida direzione rivoluzionaria e con una forza schiacciante dalla propria parte. In queste condizioni, la forza della classe operaia oggi è così schiacciante, che non possiamo escludere che, in molti paesi, la classe dominante riterrà vana ogni resistenza, e verrà privata dei mezzi per resistere, se anche lo volesse.
Al contrario, se i dirigenti del movimento operaio peccheranno di indecisione o si abbandoneranno a illusioni pacifiste, la vecchia classe dominante coglierà l’occasione per alimentare il caos e riconquistare con il sangue le posizioni perdute. Ironicamente, sono le illusioni pacifiste, piuttosto che il realismo rivoluzionario, a portare alle catastrofi più sanguinose.
Gli annali della storia mostrano che forma può prendere la vendetta della classe dominante. Dalla crocifissione di 6mila schiavi sulla Via Appia nel 71 a.C., dopo la rivolta di Spartaco contro Roma, alla semaine sanglante (la “settimana di sangue”), nella quale 30mila lavoratori parigini vennero massacrati dopo la repressione della Comune di Parigi nel maggio del 1871 – ogniqualvolta la controrivoluzione della classe dominante è vittoriosa, essa cerca di affogare le rivoluzioni nel sangue.
La ragione di ciò è semplice: devono dare alle masse oppresse una lezione che non dimenticheranno presto. Come disse, a quanto pare, Riccardo II ai contadini inglesi sconfitti che insorsero nel 1381: “Cafoni eravate e cafoni restate. Rimarrete in catene, ma non come prima, bensì in maniera incomparabilmente più dura”.
Affermando che i comunisti sono violenti, la classe dominante cerca di rigirare la frittata, e fare sembrare noi i colpevoli. Al contrario, noi siamo qui per accusare il capitalismo.
Sono sul banco degli imputati e devono rispondere all’accusa dei crimini più bestiali. Incapaci di offrire una difesa o un’attenuante per le loro azioni, puntano il dito con orrore contro il giudice e la giuria: “Come puoi accusarmi? Dovrei essere io ad accusare voi. Voi mostri vorreste incriminarmi per crimini violenti solo per commettere una violenza peggiore nei miei confronti applicando la vostra sentenza!”.
Questo è solo un tentativo di gettare la polvere negli occhi dei lavoratori. La nostra vendetta non prenderà la forma di un inutile spargimento di sangue. La nostra vendetta sarà l’espropriazione della classe capitalista e la creazione di una nuova società futura degna degli esseri umani, al posto delle rovine che il capitalismo minaccia di creare nel presente.