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21 Giugno 2023Non è raro, in Italia, sentire attivisti di sinistra o lavoratori iscritti al sindacato esclamare “anche qui da noi ci vorrebbero sindacati come quelli francesi!”. Questo sentimento emerge con più forza durante i cicli di lotta, come la recente e dura mobilitazione contro la riforma delle pensioni. Capiamo la reazione istintiva di tanti lavoratori stanchi dell’immobilismo sindacale della CGIL. Ciò detto, è cruciale comprendere la dinamica delle lotte operaie in Francia ed il ruolo delle direzioni. Nessuno, neanche in Italia, ha nulla da guadagnare da un quadro della realtà a tinte rosee. Davvero la sinistra di Mélenchon, leader della France Insoumise (FI), ed i capi della CGT, il sindacato più militante oltralpe, sono all’altezza della situazione?
Una strategia perdente
Innanzitutto, un richiamo alla realtà. Ogni azione di sciopero a oltranza condotta durante il movimento contro la riforma delle pensioni di Macron è stata determinata da una spinta della base dei sindacati. È anche vero che in alcuni settori (chimici, elettrici, trasporti) questa spinta dal basso, unita a tradizioni combattive, ha portato alcune camere del lavoro ed alcuni sindacati nazionali di categoria della CGT ad accogliere la rivendicazione di sciopero a oltranza. Purtroppo, i settori che hanno scavalcato le indicazioni del coordinamento intersindacale nazionale non sono stati sufficienti per bloccare l’economia e piegare il governo. Responsabili di questo esito sono in primo luogo le direzioni sindacali che hanno isolato le avanguardie.
Inoltre, anche durante la mobilitazione, i vertici dei sindacati hanno continuato a condurre sterili negoziati sui salari con quello stesso governo che stava attaccando le pensioni! In effetti, l’Intersindacale si è sempre rifiutata di allargare la battaglia sulle pensioni a quella in corso in tante aziende per massicci aumenti salariali – scelta che avrebbe permesso di mettere in movimento anche settori meno sindacalizzati.
Messi davanti ad una separazione del tutto artificiale, in molti casi i lavoratori hanno “scelto” quanto scioperare per le pensioni e quanto per il salario. Su questo fronte la situazione resta calda: il padronato ha proposto aumenti del 3%, inferiori all’inflazione, mentre i lavoratori rivendicano aumenti tra il 5 ed il 10%.
Quella di Macron è stata una “vittoria di Pirro”. A conferma di un ambiente nel quale non prevale la rassegnazione, il 1° Maggio due milioni di persone sono scese in piazza e Macron è inseguito da un cacerolazo (corteo nel quale si battono le pentole per protesta) ad ogni suo spostamento pubblico.
Parlamentarismo o lotta di classe?
La forza elettorale della sinistra riformista è notevole. Mélenchon ha superato il 20% alle presidenziali, mentre la NUPES, coalizione egemonizzata dalla FI, è la seconda forza in parlamento. Malgrado questi numeri, l’azione della NUPES e di Mélenchon non hanno rafforzato la lotta dei lavoratori.
Sin dall’inizio della mobilitazione, infatti, Mélenchon ha predicato la separazione dei compiti tra partito e sindacato, senza formulare una sola critica alla strategia delle giornate di azione isolate. La sua unica proposta è stata quella di combinare la mobilitazione sindacale con cortei al sabato. Questa idea, nei piani di Mélenchon, avrebbe dovuto estendere la mobilitazione a giovani, disoccupati e piccola borghesia. Non ne è venuto fuori nulla di significativo e gli studenti sono entrati in lotta, dopo che Macron ha fatto passare la riforma senza il voto del parlamento, senza chiedere il permesso a nessuno…
Il punto è che, per Mélenchon, la classe lavoratrice non è il soggetto centrale della trasformazione, sostituita da un astratto ed inafferrabile “popolo”. Questa idea, anti-marxista, porta Mélenchon a sottovalutare la forza dello sciopero come mezzo di lotta decisivo per piegare governo e padroni.
In conseguenza, i deputati della FI si sono limitati a forme di ostruzionismo parlamentare rapidamente spazzate via dal ricco arsenale di strumenti anti-democratici che la costituzione della V Repubblica offre al presidente.
C’è da aggiungere che, quando l’ostruzionismo parlamentare è stato criticato dai leader sindacali (preda dell’illusione nefasta di convincere il capogruppo della destra dei repubblicani a rigettare la riforma), la stessa NUPES s’è divisa. Le sue componenti più moderate (tra cui il Partito Comunista), infatti, hanno abbandonato l’ostruzionismo sotto la pressione congiunta degli apparati sindacali e della grande stampa che invitava a “rispettare” il dibattito parlamentare.
In assenza di un legame reale con gli scioperanti, anche farsi fotografare con un piede su un pallone con la faccia del ministro del Lavoro, come fatto dal deputato Portes, ha prodotto al massimo qualche “titolone” sui giornali e qualche “rissa” in parlamento. Ma questa radicalità mediatica ha, in primo luogo, mascherato l’assenza di un ruolo nelle mobilitazioni reali ed il vuoto programmatico e strategico rispetto ai limiti dell’Intersindacale. Tale debolezza è dovuta anche all’assenza, nella FI, di una struttura militante di partito, necessaria per fare vivere un dibattito democratico e intervenire capillarmente nelle lotte e nel sindacato.
Un’altra scorciatoia è stata il tentativo, fallito, di ottenere dalla Corte costituzionale la validazione di una tortuosa procedura referendaria (la RIP). Ma anche qualora la richiesta fosse stata accettata, l’attuale parlamento avrebbe potuto impedire l’effettivo svolgimento del referendum con un semplice voto a maggioranza. Sulla RIP, NUPES e vertici sindacali hanno condiviso la stessa illusione. Ora gli occhi dell’Intersindacale sono fissati sul 6 giugno, quando l’Assemblea Nazionale discuterà la proposta di legge di un gruppo centrista per l’abolizione della riforma. Ancora una volta, la costruzione di un rapporto di forza nella società è subordinato a manovre parlamentari.
Anche in Francia il problema cruciale è la politica rinunciataria dei gruppi dirigenti della sinistra e dei sindacati. Le esperienze di lotta, però, stanno creando un terreno fertile per rovesciare la situazione. Mai era accaduto, ad esempio, che la maggioranza dei delegati al congresso nazionale della CGT votasse contro il bilancio proposto dalla direzione uscente. Questo non fa una linea alternativa già pronta, ma il processo in corso punta in quella direzione. Soltanto una crescita decisiva delle forze del marxismo potrà portarlo a piena maturazione.
25 maggio 2023