La Rivolta della Ragione – Capitolo 6 Il principio di indeterminazione e l’idealismo – Tempo, spazio e moto
30 Agosto 2016Lo scippo del lavoro: volontari al posto dei lavoratori sulle ambulanze del 118
6 Settembre 2016Fertility Day. Questa è l’idea imbarazzante proposta dalla Ministra della Salute Beatrice Lorenzin e dal governo Renzi. Il 22 settembre è stata istituita una giornata promossa dal Ministero durante le quale saranno realizzate iniziative finalizzate a far riflettere i cittadini sul “pericolo della denatalità nel nostro paese” invitando, quindi, i giovani a diventare presto genitori, prima che scada il tempo utile segnato dall’orologio biologico, come indicato da una delle sgradevoli e offensive cartoline che hanno presentato e fatto conoscere la campagna. La cartolina ritrae una giovane donna con in mano una clessidra e il messaggio esplicito “la bellezza non ha età, la fertilità si”.
Tra queste cartoline spicca poi quella con il messaggio “la fertilità è un bene pubblico”. Un’affermazione gravissima, proveniente da un governo che ha trovato il modo di fare una legge per continuare a consentire la privatizzazione dell’acqua, disattendendo i risultati del referendum di qualche anno fa, ma che si spinge a considerare gli ovuli di una donna proprietà della “Patria”.
Nossignori, la fertilità non è un bene pubblico, è un fatto privato che riguarda il corpo della donna, e il modo e i tempi con cui una donna decide di disporne è un fatto che riguarda lei e solo lei. Per questo la campagna della Lorenzin può essere considerata come l’ennesimo attacco ai principi fondamentali della legge 194. Questa campagna del governo Renzi e della ministra Lorenzin non solo è irrispettosa ma è anche dannosa perché rischia di generare sensi di colpa e disagi psicologici in donne e uomini che si vedono attribuire, dal discorso istituzionale e sociale, una responsabilità rispetto ad una genitorialità che non c’è e che magari desiderano, ma che per mille e diversi motivi non possono avere. Una genitorialità che, inoltre, viene fortemente richiesta agli eterosessuali, ma che con la legge sulle unioni civili è stata negata alle persone omosessuali, alle quali è stata anche proibita una misura di buon senso, ovvero la possibilità di poter adottare i figli del proprio partner.
Il documento ministeriale che illustra la campagna del Fertility Day è pieno di affermazioni raccapriccianti che svelano la filosofia di fondo dell’iniziativa: “La crescita del livello di istruzione per le donne ha avuto come effetto sia il ritardo nella formazione di nuovi nuclei familiari, sia un vero e proprio minore investimento psicologico” oppure “Cosa fare, dunque, di fronte ad una società che ha scortato le donne fuori di casa, aprendo loro le porte nel mondo del lavoro sospingendole, però, verso ruoli maschili, che hanno comportato l’allontanamento dal desiderio stesso di maternità?”. Quanta nostalgia per gli oscuri tempi ormai andati in cui il ruolo della donna era quello di restare ignorante e subalterna all’uomo, dedita alla sua naturale e unica funzione riproduttiva!
Una seria campagna contro l’infertilità, dovrebbe come minimo concentrarsi su programmi di educazione sanitaria per la prevenzione di patologie come l’endometriosi e il varicocele. Questi programmi implicherebbero finanziamenti alla spesa sanitaria che non ci sono, mentre proseguono inesorabili i tagli alla sanità territoriale e agli ospedali al ritmo di 2,5 miliardi e mezzo l’anno. Tristemente ironico appare, a questo punto, l’allarme lanciato solo pochi mesi fa proprio dall’Ordine dei Pediatri che ha denunciato come i tagli e il blocco del turnover abbiano messo letteralmente in ginocchio le terapie intensive neonatali negli ospedali del Lazio e del sud Italia.
Il ticchettio dell’orologio, ad indicare la scadenza del proprio tempo, dovremmo farlo sentire al governo Renzi, riprendendo il filo delle lotte sociali a partire da questo autunno. Con questa campagna hanno provato ad umiliare e provocare le giovani generazioni a cui i governi degli ultimi vent’anni hanno riservato disoccupazione di massa o, nel migliore dei casi, contratti di lavoro più brevi di una gravidanza o con salari e stipendi con poteri d’acquisto giusto sufficienti ad arrivare alla terza settimana. Generazioni a cui hanno tagliato e distrutto asili, servizi, sanità pubblica, scuole, strumenti per garantire il diritto allo studio. Generazioni che devono tornare a fare i conti con i fantasmi della guerra. Ma alle quali il governo chiede di far figli, proprio come nel ventennio fascista.