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Dopo la guerra di Netanyahu emerge un movimento palestinese unito

di Francesco Merli

Dopo undici giorni di bombardamento spietato a Gaza1, che ha causato la morte di più di 240 palestinesi (quasi metà dei quali donne o bambini) e provocato migliaia di feriti gravi, Israele ha infine accettato un cessate il fuoco. A causa dei bombardamenti, 75.000 persone hanno perso le loro case, che sono andate distrutte. Gravi danni sono stati inflitti anche alle infrastrutture essenziali: scuole, ospedali (compreso l’unico centro di test e vaccinazione per il Covid-19), impianti per la fornitura di elettricità e acqua potabile… La popolazione di Gaza pagherà un prezzo pesante per molti anni a venire dopo l’attacco di Israele.

Il regime egiziano di Al-Sisi, che per anni ha imposto (in collaborazione con lo Stato israeliano) uno blocco dei confini della Striscia di Gaza che ha strangolato la popolazione privandola dei mezzi di sussistenza, rivendica il merito di aver agito come mediatore per il cessate il fuoco. L’Egitto e gli altri regimi arabi reazionari che si sono schierati a favore di Israele e lo hanno sostenuto apertamente giusto l’anno scorso – gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita, ecc. – stanno cercando di rinfrescare le proprie credenziali filo-palestinesi annunciando piani di aiuto e ricostruzione, che useranno come una leva nelle loro relazioni con Hamas o che  alla prima occasione metteranno da parte, se converrà loro.

Tutti i regimi arabi reazionari, dal Marocco all’Arabia Saudita, sono stati presi alla sprovvista dalla combattività crescente della lotta palestinese. In particolare, sono stati presi alla sprovvista dal modo in cui essa si è collegata al sentimento rivoluzionario presente nella classe lavoratrice e nella gioventù in tutto il Medio Oriente. La legittimità di questi regimi è stata enormemente minata da questi eventi, aggiungendo materiale combustibile alle crisi rivoluzionarie che si stanno preparando in quei paesi.

La cosiddetta amministrazione “progressista” di Biden ha mostrato ancora una volta il suo vero volto. Ha immediatamente sostenuto “il diritto di Israele all’autodifesa” nel corso della campagna di bombardamenti, mentre dietro le quinte ha silenziosamente fatto pressioni su Netanyahu per concordare un cessate il fuoco, una volta che Israele avesse provocato sufficiente distruzioni. L’ipocrisia della pretesa neutralità dell’imperialismo statunitense è stata completamente smascherata. Gli Stati Uniti sovvenzionano l’esercito israeliano per miliardi di dollari ogni anno, mentre esportano enormi quantità di armi in Israele. Nessuno può avere dubbi sulla posizione dell’imperialismo americano che, come sempre, è dalla parte degli oppressori.

Dobbiamo essere chiari: Biden e l’imperialismo americano non si preoccupano minimamente della sofferenza del popolo palestinese, né delle sue richieste legittime. Ciò che li preoccupa è che le avventure di Netanyahu possano provocare un’ulteriore destabilizzazione dei regimi arabi amici degli Stati Uniti nella zona: Egitto, Giordania, le monarchie del Golfo e via dicendo. Ciò che l’imperialismo statunitense teme veramente è la rinascita della rivoluzione araba a un livello ancora più alto rispetto a dieci anni fa.

I giovani palestinesi hanno condotto una lotta di massa estremamente combattiva contro la guerra spietata di Israele contro i loro fratelli e sorelle a Gaza. È significativo notare che la lotta è iniziata all’interno dello Stato di Israele, dei suoi confini originari del 1948, ed è stata condotta e organizzata da comitati, reti e organizzazioni che erano al di fuori della “leadership” ufficiale palestinese. Questo rivela una sfiducia profonda verso Fatah e l’Autorità Nazionale Palestinese, così come verso Hamas. In particolare, abbiamo visto l’organizzazione di un’azione di auto-difesa di massa contro i violenti pogrom anti-palestinesi portati avanti dall’estrema destra e dai coloni sionisti, che hanno attaccato i palestinesi, le loro case e i loro negozi all’interno dei confini di Israele del 1948, ed effettuati  con l’accondiscendenza o l’aperto sostegno delle forze di sicurezza israeliane.

Queste mobilitazioni hanno superato le divisioni esistenti, unificando la lotta palestinese contro l’occupazione, la discriminazione e l’oppressione a Gaza, in Cisgiordania, a Gerusalemme Est, nei campi profughi palestinesi e soprattutto all’interno di Israele stessa, della sua linea di confine del 1948. Questa lotta è in sintonia con quelle  della classe lavoratrice e della gioventù di tutto il mondo, e ha ispirato un’ondata internazionale di solidarietà che sta crescendo su scala globale.

I palestinesi in lotta hanno salutato il cessate il fuoco con manifestazioni di sfida, gioia e sollievo, ma anche con la consapevolezza che nulla di fondamentale è stato risolto. Hanno mostrato una grande determinazione e una volontà di continuare a lottare.

Come marxisti, salutiamo con entusiasmo l’emergere di una lotta di massa palestinese unificata come la conquista più importante di queste ultime settimane.

Smascherate le manovre ciniche di Netanyahu

Netanyahu e l’esercito israeliano sostengono di aver raggiunto i loro obiettivi militari. Tuttavia queste affermazioni sono vuote e poco convincenti. Contrariamente a ciò che Netanyahu vuole far credere a tutti, è chiaro che nulla è stato risolto dal punto di vista della classe dominante israeliana.

Il cessate il fuoco è solo una manovra tattica, ma la strategia della destra sionista di cacciare via i palestinesi, di portare via le loro case e i mezzi di sussistenza e ridurre progressivamente i loro diritti, continua.

Il programma dei coloni sionisti è stato riassunto da Arieh King, vicesindaco di Gerusalemme:

«Voglio che Gerusalemme rimanga per sempre una città ebraica, e l’unico modo per proteggerla dai musulmani radicali è essere più di loro. Il cuore della nazione ebraica è il Monte del Tempio e a garantire la protezione del Monte sarà la presenza ebraica attorno ad esso.»

L’obiettivo di Israele – o meglio di Netanyahu – non è mai stato quello di distruggere Hamas, ma piuttosto di contenerla. Netanyahu e i suoi alleati di destra hanno infatti bisogno di Hamas.

Da un punto di vista militare, i razzi di Hamas, per quanto precisi e numerosi, non sono all’altezza della potenza di fuoco di Israele e nel 90% dei casi vengono intercettati dal meccanismo di difesa Iron Dome. Tuttavia, il suono delle sirene dell’allarme aereo in tutto Israele è molto utile a Netanyahu da un punto di vista politico. Ha l’effetto di compattare gli ebrei israeliani intorno allo Stato e al governo “contro il nemico esterno”. Questo è stato il cinico calcolo di Netanyahu quando ha incoraggiato l’escalation delle provocazioni alla moschea di al-Aqsa durante il Ramadan, nel momento in cui stava per essere formato un governo di coalizione senza di lui.

Israele ha inoltre tutto l’interesse a sfruttare il governo di Hamas a Gaza contro l’Autorità palestinese di Mahmud Abbas guidata da Fatah, garantendo così la divisione e la frammentazione della cosiddetta leadership palestinese. Infine, Israele non vuole distruggere Hamas perché è l’unica forza esistente in grado di controllare – svolgendo una funzione repressiva e poliziesca – la popolazione palestinese a Gaza. Negli ultimi anni, Netanyahu è arrivato fino al punto di intervenire – dietro le quinte – e fare pressione sul regime del Qatar2 per garantire un’ancora di salvezza finanziaria ad Hamas.

L’obiettivo principale di Netanyahu è stato quello di provocare deliberatamente e sfruttare cinicamente l’escalation bellica allo scopo di salvarsi dalla pressione crescente nei suoi confronti e consolidare la sua posizione instabile alla guida di un governo sgretolato. Netanyahu non aveva un modo migliore per ottenere questo risultato che giocare la carta collaudata dello scontro con Hamas, raccogliendo consenso attorno alla sua figura e atteggiandosi nel suo ruolo preferito, quello dell’uomo forte di Israele di fronte a un’emergenza nazionale. Solo che questa volta l’azzardo di Netanyahu non sembra essere stato ripagato.

Perché non c’è stata un’invasione di terra a Gaza?

Netanyahu aveva assicurato agli ebrei israeliani che il popolo palestinese era stato neutralizzato, diviso, sconfitto e demoralizzato. Aveva assicurato che i regimi arabi vicini erano disposti ad accettare e riconoscere l’esistenza di Israele nonostante l’oppressione continua del popolo palestinese e l’occupazione della sua terra. Aveva assicurato che, sotto il suo pugno di ferro, Israele era diventato un luogo sicuro per gli ebrei. Tutte queste rassicurazioni si stanno rivelando come menzogne agli occhi della popolazione israeliana.

Coloro che, dentro e fuori Israele, hanno sostenuto il bombardamento di Gaza come mezzo per “proteggere vite israeliane dalla minaccia di Hamas”, si chiedono ora: come può il governo israeliano sostenere che la capacità di Hamas di lanciare razzi è stata distrutta da questi cosiddetti bombardamenti “chirurgici”? Una delle principali lezioni dei precedenti attacchi israeliani contro Gaza – ripetuta ossessivamente dai mass media israeliani – è stata proprio che, senza un’invasione di terra, il solo bombardamento aereo è destinato ad essere inefficace, anche supponendo che Israele abbia accesso alle informazioni più accurate su dove colpire. Questo concetto era stato chiarito nell’ottobre 2020 da Avi Kochavi, capo di stato maggiore di Israele, come riportato da Haaretz: «È impossibile riportare la vittoria sui nostri nemici senza la manovra [di terra], senza un ingresso massiccio di forze.»3

La conclusione che ne traggono i cittadini israeliani comuni è naturalmente di aperto scetticismo. Ancora una volta ci sarà un’altra tregua precaria, fino alla prossima inevitabile escalation. Il capitalismo e il sionismo, indipendentemente dalla figura di Netanyahu, non stanno creando le condizioni per una vita dignitosa o per un paese sicuro per gli ebrei in Israele. Tutto ciò che possono garantire è che l’attuale incubo continui, con una oppressione più profonda e l’odio che divampa lungo linee nazionali e religiose.

Durante i bombardamenti di Gaza, in vari momenti l’esercito israeliano ha annunciato che stava considerando di invadere Gaza, come ha fatto nel 2014, operazione durante la quale sono stati uccisi 2.400 palestinesi. Ma la minacciata di invasione via terra non si è mai materializzata. Perché?

Haaretz ha sottolineato come la posizione precaria dello stesso Netanyahu sia stata un fattore chiave:

«Per quanto riguarda il primo ministro Benjamin Netanyahu, al momento gode di un credito pubblico troppo basso per lanciarsi in operazioni controverse. È difficile intraprendere una pericolosa incursione militare che comporta perdite pesanti, quando metà della popolazione non crede a una parola di quello che dici e sospetta, con un certo grado di correttezza, che tu abbia deliberatamente alimentato la tensione a Gerusalemme per ragioni politiche e personali.»

Gli arabo-israeliani al centro della lotta

Il periodo immediatamente successivo al cessate il fuoco conferma, tuttavia, che qualcosa è cambiato nella situazione. E in modo piuttosto deciso. Lungi dall’essere domata e demoralizzata dall’asimmetrica dimostrazione di forza bruta di Israele, la lotta di massa palestinese, guidata dai giovani, ha conquistato il centro della scena.

Lo sciopero generale palestinese del 18 maggio, insieme alle crescenti manifestazioni di ribellione e alla determinazione dimostrata nell’ultimo periodo dalla gioventù palestinese in Israele e nei territori occupati, ha svelato quale impatto potente può avere il movimento della classe lavoratrice sugli eventi in corso.

Per la prima volta in decenni, lo sciopero generale ha mostrato chiaramente – nella pratica – ciò che sosteniamo da molto tempo: che una lotta di massa unificata contro l’occupazione e l’oppressione del popolo palestinese in tutto il territorio della Palestina storica era necessaria e avrebbe rappresentato una svolta. Questo non solo era possibile, ma è diventato una realtà.

Tutto questo è il risultato di anni di risentimento accumulato a causa dall’aumento della pressione sui palestinesi da parte delle politiche discriminatorie e oppressive dello Stato israeliano. Negli ultimi anni, abbiamo assistito a una rapida accelerazione del progetto reazionario sionista, concepito per emarginare e discriminare la minoranza palestinese all’interno di Israele, insieme alla crescita del movimento dei coloni a Gerusalemme Est e in Cisgiordania, che ora conta più di 650.000 coloni ebrei illegali.

Netanyahu ha proclamato Gerusalemme capitale indivisa di Israele, appoggiato dall’annuncio di Trump del trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. Questa operazione politica è stata ulteriormente sostenuta dal riconoscimento statunitense delle rivendicazioni israeliane sulle Alture del Golan occupate. Nel frattempo, abbiamo visto nascere molti nuovi insediamenti costruiti dallo Stato israeliano in Cisgiordania e Gerusalemme Est. Fino al punto che Israele minaccia l’annessione unilaterale di parti della Cisgiordania colonizzata. L’approvazione della legge razzista che definisce “Israele Stato-Nazione degli ebrei” ha azzerato la già scarsa identificazione della grande maggioranza degli arabo-israeliani con lo Stato israeliano e ha provocato la rivolta aperta anche dei settori più leali e conservatori della popolazione palestinese, in particolare i drusi.

Questo ha eliminato ogni illusione che Israele avrebbe mai permesso l’esistenza di un effettivo Stato palestinese indipendente. Qualsiasi pretesa di un negoziato bilaterale è stata spazzata via.4 Ha significato anche che, mentre i palestinesi di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est erano soggetti a un palese regime di occupazione, all’interno di Israele la minoranza palestinese era relegata alla posizione di cittadini di serie B.

Il movimento di massa contro lo sgombero dei palestinesi a Sheikh Jarrah e la violenza scatenata dallo Stato israeliano contro i fedeli palestinesi ad Al-Aqsa nel pieno del Ramadan hanno segnato una svolta nella coscienza dei palestinesi.

Il bombardamento di Gaza è poi diventato il punto focale, unificando la lotta palestinese dentro e fuori la Palestina, unendola ad un movimento ampio di solidarietà internazionale che ha mobilitato centinaia di migliaia di persone.

L’impatto dello sciopero generale palestinese del 18 maggio

Gli appelli per uno sciopero generale circolavano già sui social media ben prima che fosse formalmente adottato dall’Alto Comitato di Controllo per i Cittadini arabi di Israele, la direzione unitaria della popolazione palestinese del 1948 (quella che vive all’interno di Israele). La forza motrice principale che ha organizzato lo sciopero del 18 maggio è stata la rete di comitati auto-organizzati e di gruppi di giovani che erano stati il cuore delle proteste fino a quel momento. Questi comitati auto-organizzati sono sorti nonostante la passività della cosiddetta “leadership” tradizionale e in molti casi l’hanno apertamente messa in discussione.

Mondoweiss ha pubblicato un interessante resoconto5 di uno di questi attivisti ad Haifa, che rivela il reale rapporto tra la direzione ufficiale del movimento e gli attivisti sul campo:

«Gli attivisti sono abituati a diffidare della leadership dell’Alto Comitato di Controllo e alcuni hanno pensato che uno sciopero generale di un giorno non fosse sufficiente. Ma, ben presto, nello spirito di unità e di responsabilizzazione che ha permesso l’attuale rivolta, tutte le energie si sono messe assieme per il successo dello sciopero.»

L’appello si è collegato allo stato d’animo di ribellione esistente e si è alimentato nella lotta contro il bombardamento di Gaza, contro l’occupazione, per la dignità, l’uguaglianza, a sostegno del diritto elementare dei palestinesi a difendere la propria esistenza e contro la violenza e l’oppressione dello Stato israeliano.

Lo sciopero generale è stato una dimostrazione di combattività straordinaria. Nonostante le misure repressive e le minacce di ritorsione annunciate dalle imprese e dalle autorità israeliane contro i lavoratori palestinesi, che scioperavano senza la copertura legale dei sindacati israeliani, lo sciopero ha avuto un impatto evidente.

L’Associazione degli imprenditori edili israeliani ha ammesso che solo 150 dei 65.000 lavoratori edili palestinesi si sono presentati al lavoro, paralizzando completamente il settore dell’edilizia. Lo sciopero ha colpito anche i trasporti, le consegne, le pulizie e l’assistenza sanitaria in Israele, e si è fatto sentire in tutti i settori dove c’è una maggiore presenza di forza lavoro palestinese.

L’annuncio dello sciopero è stato accolto da una pesante ostilità dei media. Tuttavia, il linguaggio della lotta di classe può fare breccia ed essere compreso dal resto della classe operaia israeliana, anche in una fase in cui la maggior parte dei lavoratori ebrei israeliani non sostiene la lotta palestinese, ma risponde a ciò che percepisce come una minaccia alla propria sicurezza, sostenendo così lo Stato israeliano.

Un commento riportato da Haaretz di un operaio israeliano, manovratore di una gru, è sintomatico di questo stato d’animo. Osservando i cantieri deserti il giorno dello sciopero generale, ha detto: «Se lottassimo tutti così per i diritti dei lavoratori forse otterremmo qualcosa.» Indipendentemente dall’opinione che questo lavoratore aveva della lotta palestinese, è importante sottolineare che lo sciopero ha posto nella sua mente, così come nella mente di molti altri lavoratori, la questione di ciò che potrebbe essere raggiunto da un’azione unitaria e collettiva della classe operaia.

La “pace” imperialista: la continuazione della guerra con altri mezzi

La lotta del popolo palestinese contro l’oppressione affronta costantemente il pericolo di essere tagliata fuori dagli appelli della classe dominante israeliana alla popolazione ebraica di Israele di stringersi attorno allo Stato contro le minacce esterne. È vitale per il movimento di liberazione palestinese, come parte della lotta generale di liberazione, che si sviluppino anche tattiche e forme di lotta volte a rompere coscientemente il sostegno allo Stato israeliano lungo linee di classe, per ampliare le divisioni di classe all’interno della stessa popolazione ebraica. Per fare questo, i settori più consapevoli e coerentemente rivoluzionari del movimento non possono limitarsi a rivendicazioni puramente democratiche. Queste rivendicazioni giocano un ruolo vitale nella lotta ma, da sole, non possono deciderla. Deve essere posta con coraggio la soluzione socialista.

In queste ultime settimane, abbiamo assistito a piccole manifestazioni unitarie arabo-ebraiche, dove le organizzazioni di base ebraiche hanno sfidato il generale stato d’animo di ostilità anti-palestinese e si sono apertamente schierate a sostegno della lotta contro i bombardamenti su Gaza. Queste manifestazioni sono state relativamente piccole, poche migliaia di persone al massimo, ma sono un sintomo importante. Come marxisti accogliamo con favore questi mobilitazioni e vediamo come nostro compito quello di lottare per rompere lungo linee di classe le divisioni nazionali e religiose fomentate dalla classe dominante.

Ora che il bombardamento di Gaza è stato sospeso, la “pace” imperialista sarà una continuazione della guerra con altri mezzi. Il regime israeliano cercherà di tenere a freno le forze che sono sfuggite al suo controllo. La politica di ridurre gradualmente i diritti dei palestinesi e di rispondere a qualsiasi protesta con dure misure repressive, continuerà. Questa settimana altre centinaia di palestinesi sono stati arrestati in Israele. La politica degli sfratti continua, con una rinnovata spinta a rimuovere le famiglie palestinesi dalla zona di Batn al-Hawa di Silwan, nella Gerusalemme Est occupata. Il recente sciopero generale e le proteste di massa sono uno sviluppo importante per mostrare come affrontare tutto questo e come lo Stato reazionario israeliano può essere contrastato e smascherato.

Il movimento palestinese è parte del movimento rivoluzionario internazionale contro lo sfruttamento capitalista e l’oppressione imperialista. È chiaro che la lotta per la liberazione dei palestinesi non è confinata entro i confini della Palestina storica. È legata alla lotta contro i regimi reazionari del Medio Oriente e i loro sostenitori a Washington.

Uno dopo l’altro, gli attuali regimi reazionari del Medio Oriente saranno scossi nelle loro fondamenta da movimenti rivoluzionari che si diffonderanno in tutta la regione. Come ha dimostrato il movimento rivoluzionario egiziano del 2011, che ha rovesciato il regime di Mubarak, e l’insurrezione rivoluzionaria del 2013 contro il governo Morsi, non basta rovesciare i regimi reazionari se il capitalismo non viene abbattuto e se la classe lavoratrice non prende il potere.

La lotta in Israele e in Palestina può essere risolta solo su basi socialiste, come parte della trasformazione rivoluzionaria di tutto il Medio Oriente. È sulla base di questa prospettiva che la gioventù rivoluzionaria palestinese e tutti quegli ebrei israeliani che sono pronti a sfidare l’oppressivo Stato sionista devono approcciare questa lotta.

Il movimento rivoluzionario delle masse nella Palestina storica si collega al processo rivoluzionario generale contro l’oppressione imperialista e il capitalismo, che sta avendo luogo in tutto il Medio Oriente. Nel prossimo periodo vedremo ondate su ondate di potenti movimenti della classe lavoratrice e della gioventù che tenteranno di rovesciare un regime oppressivo dopo l’altro nella regione. È nel contesto di questa prospettiva che i marxisti propongono il programma di uno Stato federale socialista di Israele/Palestina come parte di una Federazione socialista del Medio Oriente, dove si potrà porre fine all’oppressione con mezzi rivoluzionari e tutti i popoli, compresi gli ebrei e i palestinesi, con tutte le altre nazionalità della regione, avranno il diritto di decidere dei propri destini e trovare un percorso comune verso la prosperità.

 

Note

    1. https://www.rivoluzione.red/stop-ai-bombardamenti-su-gaza-porre-fine-alloccupazione-per-una-mobilitazione-internazionale-a-sostegno-della-lotta-palestinese/
    1. https://www.haaretz.com/middle-east-news/.premium-netanyahu-israel-mossad-chief-doha-qatar-continue-hamas-gaza-money-transfer-1.8564993
    1. https://www.haaretz.com/israel-news/.premium-the-army-achieved-its-goal-of-the-gaza-war-but-a-resounding-victory-looks-different-1.9829117
    1. https://www.rivoluzione.red/israele-e-palestina-laccordo-del-secolo-di-trump-la-soluzione-dei-due-stati-portata-allassurdo/
    1. https://mondoweiss.net/2021/05/haifa-intifada-diary-the-general-strike/

 

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