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Dio, patria e manganello: il fascismo e la Chiesa cattolica

di Elena Pantoni

Introduzione

Nell’epoca di polarizzazione politica in cui viviamo vediamo alcune organizzazioni di estrema destra che fanno del tradizionalismo cattolico una delle loro bandiere. La connessione tra l’estrema destra, il neofascismo e la Chiesa cattolica ha radici antiche e affonda nel legame che può risalire agli anni ’20 e che si è consolidato nel corso di oltre cento anni.

Questa è una pagina della storia contemporanea di cui ancora oggi si parla e si discute troppo poco. Una pagina, cancellata e falsificata dai libri scolastici e dalla memoria di molti che ci parla degli intensi legami fra il Vaticano e lo Stato in epoca fascista, degli innumerevoli rapporti intercorsi fra la Santa Sede il regime mussoliniano e le numerose dittature ispirate al duce.

La Chiesa infatti ha sempre mostrato solidarietà al fascismo e alle sue azioni, sia in politica interna che in politica estera.

Malgrado il tentativo di molti ferventi cattolici di negare questa collusione i fatti parlano chiaro.

La famosa enciclica “Non abbiamo bisogno” del 1931, in cui Pio XI criticava il totalitarismo e il nazionalismo esagerato. viene strumentalmente interpretata come una presa di posizione antifascista ma in realtà, anche in questo scritto, il Papa non fece mai risalire la responsabilità di tutto ciò a Mussolini, sottolineando che non aveva voluto “condannare il regime e il Partito come tale”.

Nei rari casi in cui la Chiesa si è espressa “criticamente” nei contro dei regimi fascisti si è trattato di semplici malumori verso alcuni elementi che considerava al massimo come “eccessi”, immediatamente risolti in cambio di profitti, vantaggi e favori interscambiabili.

Anche il Papa che lo succedette non fu né antifascista né tanto meno neutrale nei confronti della guerra e della dittatura. Eugenio Pacelli, prima ancora di diventare papa Pio XII, fu il principale artefice del concordato con il governo nazista e spinse il centro cattolico a votare i pieni poteri a Hitler. Fino al 1942, inoltre, ricevette, esortò e benedì soldati italiani e tedeschi affinché continuassero a combattere. Solo dopo ormai la plateale sconfitta della Germania iniziò a prendere posizione antinaziste per cercare di non essere travolto dal crollo del regime hitleriano ma mai, durante il conflitto, mosse un dito o una parola contro gli stermini, le brutalità e gli eccidi perpetrati, primo tra tutti la strage contro polacchi, antifascisti ed ebrei.

Marcia su Roma

Un primo punto da sottolineare è come la politica della Santa Sede abbia non solo aperto ma spalancato le porte al fascismo in cambio di tutta una serie di accordi vantaggiosi e per contrastare quella che considerava “la preoccupante minaccia bolscevica”.

Dopo mesi di continue e ripetute violenze contro le principali organizzazioni del movimento operaio, in un contesto di continui soprusi e intimidazioni politiche, il 28 ottobre 1922 rappresentò il giorno zero del calendario fascista segnando l’inizio concreto del regime di Mussolini. In questa stessa data Pio XI, in una lettera apostolica, raccomandò a tutti i vescovi di rimettersi alla pace e alla pura obbedienza, ispirandosi ai principi cristiani dell’ordine:

Il Principe degli Apostoli (I Petr., II, 13) raccomandava ai primi fedeli: ‘State sottomessi … sia al Re come sovrano, sia ai governatori come ai suoi inviati per punire i malfattori e premiare i buoni. Perché questa è la volontà di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all’ignoranza degli stolti. Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio’.

La lettera non fu l’unica testimonianza della profonda complicità della Santa Sede con l’avvento al potere del fascismo. Il quotidiano politico Il Popolo d’Italia il 2 novembre del 1922 riportò la seguente corrispondenza da Roma:

Durante i giorni del travaglio nazionale, che condusse all’avvento del potere dell’on. Mussolini, nessun allarme si ebbe nei circoli più vicini al Pontefice, il quale, quando gli avvenimenti si sono avviati verso il loro sbocco normale, non ha celato agli intimi il suo compiacimento nel vedere l’Italia dirigersi verso una rivalorizzazione delle sue migliori energie.

Poche settimane dopo, l’Osservatore romano, il giornale del Vaticano, apprezzò con grande entusiasmo la dichiarazione di Mussolini di far rispettare tutte le religioni, in particolare quella dominante del cattolicesimo, ignorando totalmente e non scrivendo, invece, una sola parola sulle asserzioni assolutamente antidemocratiche portate avanti in quel medesimo discorso.

Tutto questo non fu casuale ma diretta conseguenza delle importanti assicurazioni che il Duce promise alla Chiesa. A Pio XI, papa che aveva una paura potentissima nei confronti dei rossi bolscevichi, sicuramente non dispiacque l’obiettivo fascista del ripristino dell’ordine e della distruzione delle organizzazioni operaie. Ma ci furono anche accordi materiali squisitamente vantaggiosi per la Santa Sede: miglioramenti economici al clero, restituzione di edifici ecclesiastici incamerati dallo Stato, esonero dei preti dalla leva militare, abolizione della nominatività dei titoli, salvataggio del Banco di Roma, punta di diamante della finanza cattolica, imposizione dell’insegnamento religioso nelle scuole.

I Patti lateranensi

I Patti lateranensi, firmati nel febbraio del 1929, rappresentano l’apice del collaborazionismo tra Mussolini e la Santa Sede e, i vari articoli che compongono il Concordato e la convenzione finanziaria, mostrano chiaramente le motivazioni sottostanti questo accordo. Il duce sacrificò alcune delle prerogative fondamentali dello Stato italiano al solo scopo di ottenere il sostegno delle gerarchie ecclesiastiche e di mantenere un controllo più saldo sui cattolici inseriti nelle organizzazioni legate al Vaticano.

Come primo punto sicuramente è da sottolineare la risoluzione dell’annosa “Questione romana”, contesa risolta grazie al riconoscimento da parte del Regno d’Italia di quello che ancora oggi è lo Stato della Città del Vaticano e, dall’altra parte, il riconoscimento da parte della Santa Sede del Regno d’Italia con capitale a Roma.

Ma ci sono anche altri punti profondamente interessanti che chiarificano molto bene perché questo Concordato sia stato definito da Pio XI: “se non il migliore di quanti ce ne possano essere, certo tra i migliori”.

“• Art 1, Trattato: “La religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato.”

• Art 10, Trattato: “I dignitari della Chiesa e le persone appartenenti alla Corte Pontificia, […] saranno sempre ed in ogni caso rispetto all’Italia esenti dal servizio militare, dalla giuria e da ogni prestazione di carattere personale.”

• Art 17, Trattato “Le retribuzioni, di qualsiasi natura, dovute dalla Santa Sede, dagli altri enti centrali della Chiesa Cattolica e dagli enti gestiti direttamente dalla Santa Sede anche fuori di Roma, a dignitari, impiegati e salariati, anche non stabili, saranno nel territorio italiano esenti, a decorrere dal 1° gennaio 1929, da qualsiasi tributo tanto verso lo Stato quanto verso ogni altro ente.”

• Art 1, Convenzione finanziaria: “L’Italia si obbliga a versare, allo scambio delle ratifiche del Trattato, alla Santa Sede la somma di lire italiane 750.000.000 ed a consegnare contemporaneamente alla medesima tanto Consolidato italiano 5% al portatore del valore nominale di lire italiane 1.000.000.000.

Queste ultime furono le cifre che, non Mussolini, ma tutti i contribuenti e lavoratori italiani pagarono per la “pace religiosa”, o meglio, per il consolidamento del regime fascista.

Mussolini aveva così abbandonato l’anticlericalismo di facciata per stringere un legame profondo con la Chiesa e usare la stessa per dare una copertura ideologico-religiosa al suo regime.

In particolare, l’articolo 12 stabiliva che, durante le messe domenicali e nelle festività religiose, il celebrante della Messa Conventuale dovesse cantare una preghiera per la prosperità del Re d’Italia e dello Stato fascista italiano.

L’articolo 19 prevedeva che, prima di nominare arcivescovi e vescovi, la Santa Sede dovesse assicurarsi che il governo italiano non avesse obiezioni di natura politica sulle nomine proposte. Infine, l’articolo 20 obbligava i vescovi, prima di assumere la guida delle loro diocesi, a prestare giuramento di fedeltà nelle mani del capo dello Stato, ovvero il duce stesso.

I frutti dell’accordo si videro nelle elezioni plebiscitarie del mese successivo, elezioni precedute da un’ampia propaganda di cui si resero partecipi numerosi cardinali, vescovi e dirigenti dell’Azione cattolica. Come ricorda anche Civiltà cattolica:

Novità propria di queste elezioni fu la viva parte presa dai cattolici, animati dalle esortazioni dei vescovi e della giunta centrale dell’azione cattolica a rendere più solenne il plebiscito a favore del Governo.

Il plebiscito diede i seguenti risultati: 8.506.676 Sì su 8.650.470 votanti. Le porte alla totale normalizzazione della dittatura fascista erano ormai più che spalancate.

Hitler, Franco e gli Ustascia croati

Mussolini non fu l’unico personaggio con cui Pio XI scese a patti. Non possiamo non citare il Reichskonkordat, il concordato tra la Santa Sede e il Reich tedesco rappresentato da Adolf Hitler, firmato nel luglio del 1933. Concordato i cui patti, poco dopo esser firmati, vennero sistematicamente violati dal führer contro il quale, tuttavia, la condanna del Papa fu contraddittoria e modesta. Una condanna contro il nazismo in quanto tale, invece, non arrivò mai e le motivazioni non sono difficili da trovare:

Anche un regime nazista aveva, in fondo, molto di buono, se consentiva ai volontari del führer di combattere in Spagna, a fianco dei volontari del duce e dei marocchini musulmani, per la restaurazione della Compagnia di Gesù”. (Ernesto Rossi, “Il manganello e l’aspersorio”, pag. 186)

Pio XII conosceva molto bene la Germania ed in gioventù quando ancora era solo Eugenio Pacelli aveva trascorso in quel paese anni di profondo scontro di classe. Nel 1919 era nunzio apostolico a Monaco in Baviera. L’ascesa del movimento operaio e socialista e la Repubblica sovietica in Ungheria erano il contesto in cui il futuro Papa maturava il suo anticomunismo viscerale condito da misoginia e antisemitismo. In una lettera inviata dal giovane Pacelli ai funzionari in Vaticano il futuro papa descriveva così il clima della repubblica sovietica di Baviera scagliandosi in particolare contro il protagonismo politico delle donne descritte come: “una banda di giovani donne, di aspetto equivoco, ebree come tutti gli altri (rossi, Ndr). (…) Alla testa di questa marmaglia femminile stava l’amante di Levien (si riferisce a Max Levien dirigente del Partito Comunista tedesco, Ndr), una giovane russa, ebrea e divorziata” (cit. in P. Hanabrink “Uno spettro si aggira per l’Europa”).

La particolare situazione che si venne a creare in Spagna negli anni ’30 è un altro evento particolarmente interessante che rimarca la forte collusione fra cattolicesimo, fascismo, nazismo e franchismo. Il Papa e l’episcopato spagnolo giustificarono e presero posizioni nettamente favorevoli alla rivolta militare di Franco preparata dalle gerarchie ecclesiastiche e dai grandi proprietari aiutati da Hitler e Mussolini.

Prima della proclamazione della Repubblica, avvenuta nel 1931, la Chiesa cattolica teneva in pugno tutte le leve dell’istruzione. Mentre gli analfabeti erano 12 milioni, la metà della popolazione, le élite dominanti e la gran parte degli alfabetizzati erano educati secondo i principi dettati dal papato.

La Spagna aveva una struttura sociale molto arretrata con i suoi 80mila tra preti, monaci e suore, un vero e proprio residuo di Medioevo.“La Chiesa spagnola possedeva undicimila proprietà terriere, valutabili in 130 milioni di pesetas. Non meno importanti erano le proprietà urbane. Per di più la chiesa era una potenza nel mondo degli affari, sia nel settore bancario che in quello industriale, poiché controllava direttamente, o attraverso prestanome, imprese di prima importanza come la Banca di Urquijo, le miniere di rame del Rif, le ferrovie del Nord, le tranvie di Madrid e la compagnia Transmediterranea” (P. Brouè -Emile Temime “La rivoluzione e la guerra di Spagna pag. 29).

Ricordiamo che il colpo di Stato franchista rovesciò un governo democratico regolarmente eletto secondo le norme costituzionali ma che aveva il grande difetto, almeno a parere del mondo cattolico, di non riconoscere le libertà della Chiesa. Durante il periodo della Repubblica la separazione della Chiesa dallo Stato venne sancita in una vera e propria legge che, tra le altre cose, andava a sciogliere la Compagnia di Gesù e gli ordini religiosi. L’applicazione di queste norme avrebbe sancito dei danni inimmaginabili per la Chiesa soprattutto perché in Spagna, come in nessun altro luogo, il patrimonio ecclesiastico era altissimo e i gesuiti controllavano in modo quasi completo l’istruzione pubblica.

Non è quindi sorprendente che Pio XI abbia ripetutamente condannato quel “flagello comunista” che si stava abbattendo sulla Spagna cattolica. Nel luglio del 1937 l’episcopato spagnolo, d’intesa con il Papa e Franco indirizzò ai vescovi di tutto il mondo una lettera collettiva che giustificava l’azione franchista e ribadiva che la guerra civile non era responsabilità della Chiesa ma una reazione militare contro i “rossi miscredenti” e un modo per riconquistare i privilegi perduti.

Il successore di Pio XI, Pio XII, elevato al soglio pontificio nel 1939, non si schierò diversamente dal suo predecessore, anzi, esaltò con grande gioia la vittoria del dittatore. In un radiomessaggio indirizzato agli spagnoli aveva manifestato il suo forte entusiasmo per l’avvenimento che dimostrava ancora una volta “ai proseliti dell’ateismo materialista” la prova che “al di sopra di ogni cosa stanno i valori eterni della religione e dello spirito”. Nello stesso momento dell’invio di quel messaggio 200mila prigionieri politici erano rinchiusi nelle carceri spagnole nelle quali centinaia di fucilazioni erano all’ordine del giorno.

In generale la dittatura politica di Francisco Franco fu accompagnata dalla dittatura spirituale della Chiesa cattolica. Dopo un primo accordo nel 1941 si arrivò ad un vero e proprio concordato nel 1954. Alcuni dei punti fondamentali dello stesso ribadivano:

1. il cattolicesimo come religione ufficiale;

2. l’insegnamento della religione cattolica obbligatoria a tutti i livelli del sistema scolastico;

3. il pagamento del salario dei sacerdoti da parte dello Stato.

Il Franchismo era quindi un’opportunità per riaffermare il potere perso durante la guerra civile ma in cambio il Generalissimo arrogò al regime il potere di selezionare i vescovi, rinsaldando così i rapporti tra le famiglie della borghesia spagnola, la struttura ecclesiastici e i fascisti.

Non mancarono vicende orribili con migliaia di bambini che furono strappati dalle famiglie dei “rossi” per essere educati in orfanotrofi e strutture gestite da preti e suore.

Il furore ideologico della crociata contro il pericolo bolscevico fu rappresentato dal ruolo avuto dall’Opus Dei, un’organizzazione cattolica ultrareazionaria che giocò un ruolo molto importante nel far rivivere lo spirito dell’Inquisizione. Infatti oltre alla cancellazione delle libertà politiche, sindacali ed individuali, negli anni della dittatura la Spagna fu privata di qualsiasi vita culturale e artistica. Nelle università furono istituiti dei “Comitati di purificazione” sotto il controllo dell’Opus Dei che proibirono centinaia di libri, a partire da quelli di Charles Darwin colpevoli di contraddire i testi sacri sulla nascita del mondo. Centinaia di professori furono licenziati, molti costretti all’esilio ed alcuni assassinati. Se le forze armate erano la spada a difesa del regime, la Chiesa era uno strumento chiave del controllo sociale.

La Chiesa Cattolica sostenne e appoggiò anche un altro movimento fascista, nazista e nazionalista che portò al genocidio di più di 750mila serbi, 60mila ebrei e 26mila rom: quello degli Ustascia croati. Dopo l’invasione della Jugoslavia da parte di Hitler, nel 1941, gli Ustascia ricevettero dai nazisti il governo di un nuovo territorio che divenne lo Stato indipendente di Croazia, capeggiato da Ante Pavelic’. Da questo momento, con l’appoggio anche del clero cattolico, il Partito fascista croato, con lo scopo di eliminare fisicamente le minoranze non croate, diede iniziò ad uno dei regimi più spietati e brutali della storia dell’ultimo secolo. L’obiettivo di Pavelic’ era quello di creare uno Stato etnicamente puro, fondato su una salda morale cattolica cui, il richiamo dei valori, risultava essere un’ottima copertura ideologica per sostenere lo sterminio di serbi, musulmani, ebrei e in generale qualsiasi elemento non cattolico.

Il clero locale appoggiò senza alcuna perplessità il regime nazista come si può leggere in diverse testimonianze di vescovi e arcivescovi, in particolare Viktor Spinak, arcivescovo di Zagabria. L’integralismo cattolico su cui il nuovo Stato si basava si manifestò sin da subito in conversioni forzate, reclusioni in campi di concentramento, eccidi di ogni genere a cui spesso parteciparono anche frati, preti cattolici e soprattutto i francescani. Questi ultimi furono in prima fila nell’appoggiare le violenze del regime ustascia e nell’incitare i soldati alle uccisioni. Basti pensare che il francescano Berto Dragicevic era comandante della milizia ustascia della sua regione e Miroslavv Filipovic, sempre francescano e nominato poi “Frate Satana”, diresse il campo di concentramento di Jasenovac in cui morirono più di 40mila persone.

Anche la Santa Sede fu complice di questo genocidio e appoggiò pienamente la pulizia etnica nei confronti dei serbi. Le notizie delle stragi arrivarono più volte in Vaticano ma la curia si limitò semplicemente a chiedere spiegazioni al governo croato senza tuttavia lanciare alcuna azione o condanna.

Nel settembre del 1943, mentre era in atto un brutale sterminio dei serbi, Pio XII ricevette in Vaticano un centinaio di membri della polizia Ustascia comandati da Eugen Kvaternik-Dido, capo della polizia di Zagabria, uomo che pochi mesi prima aveva fatto massacrare e uccidere più di 2mila ebrei. Questi “corpi speciali”, inoltre, non erano dei semplici poliziotti ma rappresentavano i migliori Ustascia che si erano distinti per particolare ferocia ed efficienza nel genocidio dei serbo-ortodossi.

L’apice del collaborazionismo, tuttavia, venne toccato quando Pavelic’, in visita a Roma per la firma con Mussolini dei “Patti di Roma”, venne ricevuto in Vaticano da Papa Pio XII. Nonostante la curia specificò trattarsi di una semplice udienza privata, la valenza politica di quell’incontro era ed è inconfutabile.

La collaborazione tra la chiesa di Roma e i criminali fascisti proseguì anche alla fine della seconda guerra mondiale. Malgrado i tentativi di insabbiamento siamo a conoscenza del sostegno delle gerarchie vaticane alla cosiddetta “Ratline” (Via dei ratti) che aiutò i criminali nazisti a fuggire in America Latina, tra questi Adolf Eichmann uno dei principali architetti della “soluzione finale” e Josef Mengele “l’angelo della morte” di Auschwitz, responsabile di torture ed esperimenti su uomini, donne e bambini. Questa rete che operò tra il 1946 e il 1950 fu composta da ex nazisti, membri del clero e funzionari italiani. Tra coloro che sono stati accusati di aver sostenuto questa rete criminale c’è Monsignor Giovanni Montini, che nel 1963 sarebbe diventato Papa Paolo VI.

La love story tra i papi e le dittature è proseguita fino ai giorni nostri e si è arricchita di numerosi episodi. Tra questi uno dei più noti è la visita di Papa Wojtila (santificato da Papa Bergoglio) al dittatore cileno Augusto Pinochet avvenuta nel 1987. Questo viaggio si inquadrava nella campagna più generale che Giovanni Paolo II stava combattendo a livello internazionale contro il comunismo.

Anche Papa Francesco, tanto amato dalla sinistra riformista, non era certo senza macchia. La Chiesa argentina collaborò attivamente con la dittatura guidata dal generale Jorge Rafael Videla soprannominato “l’Hitler della Pampa” che terrorizzò le masse dal 1976 al 1983. Durante gli anni della dittatura i “desaparecidos” furono 40mila, uccisi dopo orribili torture e gettati nell’oceano spesso ancora vivi ma a questi vanno aggiunti 15mila fucilati secondo la legge marziale che prevedeva la pena di morte per i “sovversivi”.

Al termine della dittatura, durante il governo Menem, Bergoglio, che allora era ai vertici della chiesa argentina, fu accusato dalle Madri di Plaza de Mayo (un gruppo di donne che, di fronte all’inerzia delle autorità per chiarire le sparizioni dei loro figli, decisero di organizzarsi e avviare un movimento per trovare i loro figli e ottenere la punizione contro i responsabili dei crimini commessi durante la dittatura) di ignorare le loro richieste e di complicità nel rapimento di bambini di persone scomparse da parte dei militari. In un documento pubblicato in risposta alla decisione del governo di Carlos Menem di perdonare gli autori del genocidio, le Madri dichiararono quanto segue:

La Chiesa che è rimasta in silenzio di fronte a crimini aberranti, quella che ha partecipato attivamente alla tortura dei nostri figli, non è la Chiesa del popolo, quella dei Padri Pallottini, Mugica e Angelelli“.

(…)
Quella che ha collaborato, quella che ci ha mentito, quella che ci ha voltato le spalle è la Chiesa di Bergoglio e la destra, quella che veste i preti stupratori, quella che rimane muta davanti al processo a Von Wernich, ma vomita tutto il suo odio quando si tratta di aborto“. (da El ocaso del catolicismo: la elección de Jorge Mario Bergoglio como nueva cabeza de la Iglesia Católica).

Oggi più che mai è necessaria una lotta aperta contro la reazione e l’oscurantismo che la Chiesa rappresenta. Come comunisti rivoluzionari siamo in prima fila in questa battaglia per combattere il capitalismo e suoi cani da guardia con o senza tonaca.

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