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Di fronte alla seconda ondata: o loro, o noi

Ormai è evidente: la seconda ondata è in piena diffusione ed è peggio della prima. Il contagio si diffonde a velocità doppia rispetto al picco di primavera, e non siamo neppure vicini all’inverno. Il numero delle vittime è ancora lontano da quello del primo picco, ma è fin troppo facile capire che purtroppo non potrà che seguire la curva del contagio e dei ricoveri, a loro volta in rapido aumento.

Quelli fra i tecnici (virologi, epidemiologi) che avevano dimostrato una analisi realistica durante la prima ondata lo avevano detto con largo anticipo. Erano stati avanzati in tempo utile piani concreti come ad esempio quello pubblicato in agosto da Andrea Crisanti, a cui viene universalmente riconosciuto il merito della gestione efficace del Veneto nella prima ondata. Sono stati ignorati.

Sono stati ignorati i dati provenienti da paesi vicini e simili al nostro, (Francia, Spagna, Gran Bretagna) che ci davano un “vantaggio” di alcune settimane di tempo per prepararci all’inevitabile risalita del contagio.

Il Governo e le Regioni hanno preferito dormire sugli allori, giocare allo scaricabarile, produrre chiacchiere e idiozie su scala industriale, dai “banchi a rotelle” alle norme sui trasporti “all’80 per cento”.

Hanno nascosto la testa sotto la sabbia nella speranza che il peggio fosse passato. Hanno sfornato milioni di “protocolli”, in gran parte pura burocrazia, ripetendo all’ossessione la formula magica “in sicurezza”, ma di concreto è stato fatto poco o nulla. Ci sono circa 1500 posti di terapia intensiva in più su scala nazionale, dai 5100 che erano. Sono state assunte alcune migliaia lavoratori in sanità, naturalmente con contratti precari.

Misure largamente insufficienti, soprattutto se ricordiamo che a primavera l’epidemia ha risparmiato ampie zone del paese, concentrandosi nella Val padana. Oggi le cose stanno ben diversamente e i focolai sono sparsi su quasi tutto il territorio nazionale.

Per il resto, buio fitto. Rafforzamento della medicina di base? Nulla. Strutture adatte a gestire l’isolamento dei casi meno gravi? Nulla. Sostegno a chi è in quarantena? Nulla. Sostegno a chi è in isolamento fiduciario? Nulla. Tracciamento dei contatti? Affidato alla buona volontà dei singoli.

Tutto è stato scaricato sulla popolazione o su qualche iniziativa locale.

La verità l’ha detta il coordinatore del Comitato tecnico scientifico del governo, Agostino Miozzo. “Non abbiamo fatto tutto quello che avremmo dovuto fare. Non possiamo più perdere tempo, stiamo entrando in una fase estremamente critica. Abbiamo avuto tanto tempo per preparaci adeguatamente e mi chiedo se il sistema abbia utilizzato il tempo disponibile. Quando vedo le immagini di persone 8-10 ore in coda al drive-in per fare il tampone ho la sensazione che la risposta alla domanda sia drammaticamente negativa”. (Il Fatto quotidiano, 21 ottobre).

I provvedimenti di Conte del 14 e 19 ottobre sono quindi già tardivi, quando i buoi sono scappati. La gara fra le Regioni a chi mette più restrizioni non fa che aumentare la confusione.

La logica delle misure prese è sempre la stessa. 1) colpevolizzare i comportamenti individuali, scaricando le colpe sulla popolazione con la minaccia neppure tanto implicita che “se chiudiamo tutto sarà colpa vostra”. 2) Colpire dove le conseguenze economiche siano, almeno nell’immediato, relativamente contenute.

Chiudere le scuole? Certo! Rallentare la produzione nelle aziende? Giammai!

Limitare le riunioni familiari? Facile! Aumentare i mezzi pubblici per ridurre l’affollamento? “Studieremo la possibilità”. E via di seguito.

Per non parlare di idiozie meschine come i “coprifuoco” notturni chiesti da Fontana e De Luca, utili solo ad affermare il concetto medievale che “pestilenza uguale penitenza” e che la colpa è della “movida”, dei giovani, degli sportivi, dei “vacanzieri”, degli “irresponsabili”, insomma di tutto e di tutti tranne di chi aveva il dovere di prepararsi alla situazione attuale.

Tra un Fontana o un De Luca che “risolvono” il problema chiudendo le scuole da un giorno all’altro, condannando decine di migliaia di studenti a un abbandono di fatto del percorso di studi, e una Azzolina che dice “non chiudete, trovate altre soluzioni” come se non fosse lei la ministra dell’istruzione, il dubbio davvero è solo tra chi bisognerebbe rinchiudere per primo, buttando la chiave.

La situazione è grave e infatti le pagliacciate della destra “negazionista” sono evaporate i pochi giorni. I lavoratori e i giovani sanno benissimo il pericolo che corrono e sono disposti a fare sacrifici per tutelare se stessi e i propri cari. Ma la credibilità del governo e delle sue misure sta crollando.

A Milano, Roma e Napoli la situazione oggi è già fuori controllo, allo stesso livello delle prime zone rosse di Lodi a febbraio. Si profila una situazione paragonabile a quella della Val Seriana, ma su scala nazionale.

Conte promette il vaccino “a dicembre”, giura e spergiura che non si deve andare a un nuovo lockdown, che si dovrà modulare una risposta flessibile, che “non stiamo come a marzo”. Ma una strategia più articolata e mirata è impossibile se non si è fatto nulla in precedenza e soprattutto se non si va a incidere sulla vera ossatura della vita sociale, ossia sulla struttura produttiva.

Non dobbiamo infatti mai dimenticare che ministri, politici, governatori non sono in fin dei conti altro che mascherine. Che dietro di loro sta quello stesso padronato che già nella prima ondata ha sabotato con tutti i mezzi la lotta alla pandemia, prima opponendosi alle chiusure delle aziende e poi, quando gli scioperi di marzo hanno imposto un parziale blocco produttivo, sabotandolo in tutti i modi con la sostanziale complicità dello stesso governo.

Sono ancora lì, più feroci e arroganti di prima, a vigilare sui loro profitti, che nessuno si azzardi anche solo a rallentare il sacro meccanismo della produzione della loro ricchezza.

I giornali padronali come Repubblica e il Sole 24 ore ribadiscono ogni giorno: bisogna rinunciare a qualche libertà “per il bene di tutti”. Ossia, rinunciare alla nostra libertà e ai nostri diritti, per salvare il loro bene. Anzi, i loro beni.

“Produci, consuma, crepa”: non è mai stato così vero, basta solo aggiungere “senza assembramenti”!

Il 28 aprile scorso, quando il governo si apprestava a riaprire dopo il lockdown, scrivevamo:

Oltre all’isolamento, la principale difesa sono le misure sanitarie. E non a caso su questo il primo ministro (e neanche la marionetta che svolge la funzione di figurante come ministro della sanità) non ha detto una parola. Giornali e tv asserviti, sempre alla ricerca dei cattivi che spargono le “fake news”, non trovano che questo silenzio sia una notizia, o che sia il caso di fare qualche domanda.

1) È indispensabile un numero di tamponi estremamente alto. Bisogna sistematicamente fare esami sui sintomatici e su tutta la cerchia venuta a contatto con chi risulta positivo.

Sono necessarie strutture decentrate e capillari a questo fine. I medici di base vanno formati, attrezzati e tutelati, vanno istituiti centri di analisi Covid in ogni paese e quartiere, così come laboratori mobili.

Questo serve sia al contenimento del contagio, sia ad intervenire precocemente sui malati, un altro fattore decisivo per abbassare il tasso di mortalità. (…)

3) La quarantena in casa è strumento di diffusione del contagi: vanno create decine di migliaia di posti di isolamento per positivi asintomatici che non possano trascorrere la quarantena in condizioni di sicurezza per sé e soprattutto per chi è loro vicino. Se siamo arrivati ad avere 80mila persone in isolamento domiciliare, significa che necessitiamo almeno di questo numero di posti letto per delle quarantene protette e vigilate dal punto di vista sanitario.

4) Allo stesso modo sono necessari circa 30mila posti letto (la cifra del “picco”, almeno fino a qui) in reparti per malati Covid con sintomi lievi, per evitare la saturazione delle strutture esistenti diminuire il rischio di contagio.

5) Secondo lo stesso criterio, i posti in terapia intensiva devono essere portati almeno a 15mila, di cui 5mila in reparti Covid.

A questo piano, compresa l’assunzione in pianta stabile di tutto il personale necessario, medico e ausiliario, devono essere dedicate le risorse.

A questi punti, che rimangono pienamente validi, vanno aggiunti quelli elaborati nei mesi scorsi riguardo al contesto scolastico, lavorativo e sociale in generale:

– Classi scolastiche con un massimo di 15 alunni. 200mila assunzioni nella scuola, creazione delle necessarie infrastrutture anche espropriando strutture già esistenti. Investimenti e sostegno (connessioni, computer, lezioni di recupero) per dove si rende indispensabile la didattica a distanza.

– Drastico potenziamento del trasporto pubblico locale e nazionale.

– Piena tutela salariale per i lavoratori positivi, ma anche per chi va in isolamento fiduciario o per chi deve accudire figli minori o altre persone in isolamento.

– Proroga del blocco dei licenziamenti (che il governo vuole chiudere al 31 dicembre) e piena copertura anche di quei lavoratori oggi non coperti, compresi quelli con contratti a termine.

– Sostegno economico serio alle piccole attività.

– Riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, forti stanziamenti e rigide misure di tutela per garantire un telelavoro che non penalizzi i lavoratori e in particolare le lavoratrici.

– Pieni poteri per i rappresentanti dei lavoratori nelle aziende (Rls ed Rsu) di rallentare o fermare il lavoro laddove le condizioni sanitarie non siano garantite. Analogo potere per le rappresentanze di studenti, docenti e personale scolastico.

La nuova emergenza sanitaria si somma a quella economica e sociale. Dobbiamo riprendere il filo delle mobilitazioni di marzo, quando gli scioperi spontanei in decine di fabbriche e aziende hanno costretto i padroni e il governo a fermare almeno in parte le aziende nel picco della pandemia.

Le risorse ci sono. In quattro mesi di pandemia (aprile-luglio), i miliardari italiani hanno aumentato i loro patrimoni del 31%, a 160 miliardi di dollari. Servono risorse? Sono lì, bisogna espropriarle e metterle al servizio del bene collettivo!

O loro, o noi.

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