La lotta di classe in Italia dal ’45 al ’48
25 Ottobre 2024
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Democrazia o bonapartismo in Europa (Risposta a Pierre Frank) – agosto 1946

di Ted Grant

Agosto 1946

L’aforisma di Lenin secondo il quale viviamo in un’epoca di guerre e rivoluzioni – al quale Trotskij aggiunse “e controrivoluzioni” – è stato ampiamente dimostrato dalla storia degli ultimi tre decenni. Pochi periodi nella storia sono stati riempiti da convulsioni e scontri così terrificanti fra le nazioni e le classi e da tali caleidoscopici cambiamenti e manipolazioni dei regimi politici attraverso i quali il capitale finanzario mantiene il proprio dominio sui popoli. Diventa così doppiamente importante per coloro i quali continuano ad applicare gli insegnamenti scientifici del marxismo, e che soli possono rivendicare di avere un’analisi teorica degli avvenimenti, verificare attentamente e scrupolosamente i cambiamenti che avvengono, se vogliono orientare correttamente l’avanguardia e dare una guida alle masse.

Nel criticare la sterile concezione dello stalinismo, che all’epoca del “Terzo periodo” equiparava tutti i regimi al fascismo, Trotskij caratterizzò brillantemente l’essenza dell’epoca come una di cambiamento e fluttuazioni, nella quale le generalizzazioni non sono sufficienti. Ogni fase deve essere esaminata concretamente dall’avanguardia che può così comprendere e interpretare gli eventi e trarre da ciò le conclusioni pratiche corrette per l’attività. Egli scrisse:

La vasta importanza di un orientamento teorico corretto si manifesta nel modo più significativo in un periodo di acuto conflitto sociale, di rapidi mutamenti politici, di cambiamenti bruschi nella situazione. In tali periodi, le concezioni e le generalizzazioni politiche si consumano rapidamente e richiedono o di essere completamente sostituite (il che è più semplice) o una concretizzazione, precisazione e parziale rettifica (il che è più difficile). È proprio in tali periodi che sorgono necessariamente ogni sorta di combinazioni e situazioni transitorie, intermedie, che sconvolgono gli schemi abituali e richiedono con forza raddoppiata una continua attenzione teorica. In una parola, se nel periodo pacifico e ‘organico’ (prima della guerra) si poteva ancora vivere della rendita derivante da qualche astrazione bell’e fatta, nella nostra epoca ogni nuovo avvenimento rimette al centro la più importante legge della dialettica: la verità è sempre concreta.” (Bonapartismo e fascismo, luglio 1934)

Fra i quadri della Quarta Internazionale ci sono compagni che non hanno capito a sufficienza questa lezione. Continuano a vivere della “rendita di qualche astrazione bell’e fatta” invece di concretizzare o rettificare parzialmente le generalizzazioni precedenti. L’articolo di Pierre Frank ne è un esempio evidente.

Frank tenta di equiparare tutti i regimi dell’Europa occidentale al “bonapartismo”. Le sue generalizzazioni vanno anche più in là: egli sostiene che in Francia ci sono stati regimi bonapartisti fin dal 1934; che è impossibile avere altro che regimi bonapartisti o fascisti fino a quando in Europa il proletariato non arriverà al potere. Questo, col vostro permesso, in nome della “continuità della nostra analisi politica di oltre dieci anni di storia della Francia”! Questa compiacenza riduce la teoria ad astrazioni informi e nasconde gli inevitabili ed episodici errori, elevandoli così a sistema. Non ha posto nella Quarta Internazionale.

Il compagno Frank mescola indiscriminatamente i termini di democrazia borghese e bonapartismo, senza spiegare quali siano i tratti specifici di ciascuno. Parla indifferentemente di “bonapartismo” e di “elementi di bonapartismo” e pone in contrasto le libertà democratiche con “un regime che si possa correttamente definire come democratico”. Tuttavia il lettore cercherà invano una definizione del suo “regime democratico” ideale, differente dalla reale democrazia borghese. Egli nega l’esistenza di regimi democratici nell’Europa di oggi in quanto “non c’è letteralmente posto per loro”.

Base economica e sovrastruttura politica

Ripeteremo qui alcune idee elementari del marxismo in modo da arrivare alla necessaria chiarezza e comprensione dei processi mutevoli e dei cambiamenti che avvengono oggi nei regimi europei, perlomeno in Europa occidentale. La metà orientale, dominata direttamente dalla burocrazia stalinista, si sviluppa in direzione diversa e sotto condizioni diverse.

Il carattere politico di un regime (bonapartista, fascista, democratico) è determinato fondamentalmente dai rapporti fra le classi all’interno della nazione, i quali variano nelle diverse fasi. La sua natura fondamentale è in ultima analisi determinata dal modo di produzione e dai rapporti di proprietà, dal suo carattere di classe. Quindi i regimi di Hitler e di Roosevelt, di Attlee e di Mussolini, di Franco e Gouin, di Peron e di Salazar, di De Valera e di Chiang Kai-shek sono tutti governi della classe capitalista in quanto si fondano sull’economia dello sfruttamento capitalista. Tuttavia, la natura di classe di questi regimi non esaurisce il problema. Dobbiamo classificare lo strumento – che varia in ciascuno di questi casi – attraverso il quale la borghesia assicura il proprio dominio e potere. Il carattere di questo potere non è determinato solo dai desideri e dalle esigenze soggettive del capitale finanziario, che sono solo uno dei fattori nel processo, ma precisamente dalle inter-relazioni oggettive e soggettive fra le classi in un dato momento, che sono un predicato della storia precedente e dello sviluppo della lotta di classe in quel dato paese.

È una volgarizzazione del marxismo, materialismo volgare della peggior specie, sostenere che la sovrastruttura di una società sia determinata immediatamente dallo sviluppo della sua economia.

La sparizione della base economica sulla quale si fonda la “democrazia” degli imperialisti non conduce immediatamente alla sparizione della democrazia borghese. Prepara il suo crollo, ma solo a lungo termine. Parlando in senso stretto, lo sviluppo del capitalismo in imperialismo al principio di questo secolo ha già reso sorpassata l’esistenza della democrazia borghese. Eppure vediamo come la democrazia borghese sia riuscita a mantenersi per decenni dopo che la sua base economica è scomparsa.

Che il capitalismo stia sopravvivendo oltre le proprie funzioni storiche era già stato attestato dalla prima guerra mondiale imperialista. Ma questo di per sé non poteva condurre e non ha condotto al rovesciamento del sistema capitalista. La Prima guerra mondiale ha portato a condizioni favorevoli per il rovesciamento della borghesia su scala mondiale. Ma il proletariato è stato impedito nel portare avanti la propria missione dalle organizzazioni che esso stesso aveva creato. La socialdemocrazia ha tradito la rivoluzione e ha salvato il sistema capitalista dalla distruzione. Nell’epoca rivoluzionaria che seguì la Prima guerra mondiale, la borghesia fu costretta ad appoggiarsi sulla socialdemocrazia, l’unico puntello affidabile che aveva per mantenere il suo dominio. Laddove la borghesia si appoggiava su questi regimi basati sulla socialdemocrazia, unendo la repressione contro gli operai rivoluzionari alle riforme o alle mezze riforme, tali regimi potevano essere caratterizzati solo come regimi di “democrazia borghese”. Così Lenin e Trotskij caratterizzarono il regime controrivoluzionario in Germania nel 1918, organizzato dalla socialdemocrazia, come un regime democratico borghese.

È abc il fatto che le libertà democratiche furono conquistate nella lotta contro la borghesia lungo un periodo di oltre un secolo; il diritto di voto dovette essere strappato alla borghesia con la lotta in un periodo di capitalismo ascendente, all’epoca della fioritura della democrazia borghese. Persino al suo apogeo non è mai esistito uno Stato democratico idilliaco, senza l’intervento poliziesco e senza l’uso della forza bruta.

Eppure persino in questa fase, quando il capitalismo era ancora un’economia in ascesa, non c’erano solo regimi democratici, ma anche regimi bonapartisti. Nella terra classica del bonapartismo, sia Luigi Napoleone che lo stesso Bonaparte giunsero al potere in un’epoca nella quale c’era una reale crescita economica, che in un caso durò per due decenni. Secondo la concezione del compagno Frank non esistevano le basi del bonapartismo; ci sarebbero dovuti essere solo regimi di democrazia borghese. Ma come vediamo il problema non è così semplice.

E dopo Luigi Napoleone, la democrazia borghese (con una o due minacce di dittatura – si veda il boulangerismo) durò per decenni in Francia. Secondo la misteriosa concezione di Frank, dopo il bonapartismo – il quale significa che le basi economiche della democrazia sono finite – non dovrebbe più essere possibile per la borghesia avere la democrazia, ma… solo il bonapartismo.

È difficile capire perché il compagno Frank si fermi al 1934 nel risalire le tracce dei regimi bonapartisti in Francia. Se seguissimo il suo metodo, la logica direbbe che il bonapartismo è esistito sin dal colpo di Stato di Luigi Napoleone nel 1851, o magari fin dai tempi del primo Bonaparte!

Se vogliamo trovare un minimo di senso nella posizione secondo la quale le basi economiche per le riforme sono sparite, ciò che essa prova non è che automaticamente e conseguentemente si pone un regime di bonapartismo, ma che sotto tali condizioni il regime democratico avrà un carattere estremamente instabile, sarà afflitto da convulsioni e crisi, che dovrà lasciare spazio o alla dittatura rivoluzionaria proletaria, o alla dittatura aperta del capitale finanziario attraverso il bonapartismo o il fascismo.

Il compagno Frank dice che l’esistenza di libertà democratiche non è sufficiente a rendere democratico un regime. Profonda osservazione! Cosa ne segue? Ne segue, compagno Frank, che a sua volta l’esistenza di misure bonapartiste non fà un regime bonapartista! Questo argomento è tanto profondo come quello dei “collettivisti burocratici” i quali sostenevano che dato che lo Stato interviene nell’economia tanto in Germania sotto Hitler come in Francia sotto Blum, in America sotto Roosevelt (National Industrial Recovery Act) e in Russia sotto Stalin… di conseguenza tutti questi regimi sono la stessa cosa. Non sono solo i punti di somiglianza – tutte le società umane hanno punti di somiglianza, particolarmente i differenti tipi di società capitalista –, sono i tratti decisivi a determinare la nostra definizione dei regimi.

Controrivoluzione in forma democratica

Il Rcp britannico ha caratterizzato i regimi dell’Europa occidentale (Francia, Belgio, Olanda, Italia) come regimi di controrivoluzione in forma democratica. Il compagno Pierre Frank dichiara che l’idea di una “controrivoluzione democratica” è “priva di qualsiasi contenuto”. Se così fosse sarebbe difficile spiegare cosa fosse la Repubblica di Weimar organizzata dalla socialdemocrazia in Germania. Frank sarebbe costretto a dire che quello che avvenne in Germania nel 1918 non fu una rivoluzione proletaria che venne tradita dalla “controrivoluzione in forma democratica” (attraverso l’antidemocratica e sanguinosa soppressione della rivolta del gennaio 1919), ma era una rivoluzione democratica che rovesciò il Kaiser e rimpiazzò il suo regime con la democrazia borghese “pura”! Il fatto che questo regime venne introdotto dalla legge marziale e dalla cospirazione dei dirigenti socialdemocratici con il quartier generale della Reichswehr, con gli junkers e la borghesia conferma completamente la conclusione di Lenin e Trotskij secondo la quale c’era una controrivoluzione “democratica” con la borghesia che utilizzava i socialdemocratici quali propri agenti.

Trotskij previde in anticipo e si preparò da un punto di vista teorico per una situazione simile con il crollo del fascismo in Italia, quando nel 1930 scrisse in una lettera ai compagni italiani:

A ciò che precede fa seguito la questione del periodo di ‘transizione’ in Italia. Innanzitutto bisogna stabilire con chiarezza: transizione da cosa a che cosa? Periodo di transizione dalla rivoluzione borghese (o ‘popolare’) alla rivoluzione proletaria è una cosa. Periodo di transizione dalla dittatura fascista alla dittatura proletaria, è un’altra cosa. Se si pensa alla prima concezione, si pone in primo luogo la questione della rivoluzione borghese e si tratta allora di stabilire il ruolo del proletariato in essa e solo successivamente si porrà la questione del periodo di transizione verso una rivoluzione proletaria. Se si pensa alla seconda concezione viene allora ad essere posta la questione di una serie di battaglie, sconvolgimenti, rovesciamenti di situazioni, brusche svolte, che costituiscono nell’insieme le diverse tappe della rivoluzione proletaria. Queste tappe potranno essere numerose. Ma esse non possono in alcun caso contenere nel loro seno una rivoluzione borghese o il suo misterioso ibrido: la rivoluzione ‘popolare’.

Ciò vuol dire che l’Italia non può per un certo periodo di tempo tornare ad essere uno Stato parlamentare o diventare una ‘repubblica democratica’? Ritengo – in perfetto accordo con voi, penso – che questa eventualità non è esclusa. Ma allora essa non risulterà come frutto di una rivoluzione borghese, ma come aborto di una rivoluzione proletaria insufficientemente matura o prematura. Nel corso di una crisi rivoluzionaria profonda e di combattimenti di massa nel corso dei quali l’avanguardia proletaria non fosse all’altezza di prendere il potere, potrebbe accadere che la borghesia ristabilisca il suo potere su basi ‘democratiche’.

Si può dire, ad esempio, che l’attuale repubblica tedesca costituisca una conquista della rivoluzione borghese? Tale affermazione sarebbe assurda. Ci fu in Germania nel 1918-19 una rivoluzione proletaria che, priva di direzione, fu ingannata, tradita e schiacciata. Ma la controrivoluzione borghese si vide costretta ad adattarsi alle circostanze risultanti da quella sconfitta della rivoluzione proletaria, e da ciò nacque una Repubblica parlamentare ‘democratica’.

La stessa eventualità – o una simile – è esclusa per l’Italia? No, non lo è. La vittoria del fascismo fu il risultato della nostra sconfitta nella rivoluzione proletaria del 1920. Soltanto una nuova rivoluzione proletaria può rovesciare il fascismo. Se anche questa volta essa non fosse destinata a trionfare (debolezza del partito comunista, manovre e tradimenti dei socialdemocratici, dei massoni, dei cattolici) lo Stato di transizione che la controrivoluzione borghese si vedrà costretta a stabilire sulle rovine del suo potere sotto forma fascista, non potrà essere altro che uno Stato parlamentare e democratico. (Problemi della rivoluzione italiana, 14 maggio 1930).” (1)

Gli avvenimenti in Italia hanno dimostrato la notevole lungimiranza di Trotskij. La borghesia è stata costretta a liberarsi del re e i traditori social-stalinisti hanno deviato la rivoluzione proletaria in sviluppo nei canali di uno “Stato parlamentare e democratico”. Questo naturalmente non riuscirà a crearsi una base stabile, ma sarà soggetto a crisi e sollevazioni, movimenti da parte del proletariato e contromovimenti dei monarchici e dei fascisti. Frank vuole negare ora la correttezza della concezione di Trotskij e affermare che a partire dalla caduta di Mussolini è esistito uno Stato bonapartista?

È incomprensibile che Frank nella sua argomentazione si riferisca a questo stesso articolo di Trotskij, che propone il punto di vista esattamente opposto. Il Vecchio si chiede: dopo il fascismo, cosa? e risponde che, come mezzo per prevenire la rivoluzione, di fronte a una sollevazione di massa la borghesia si orienterà all’instaurazione di una repubblica democratica borghese. A questo riguardo notiamo che l’introduzione immediata del bonapartismo (suppostamente perché la democrazia non avrebbe basi economiche) non veniva presa neppure in considerazione da Trotskij.

Da questo possiamo vedere come quello che realmente è “privo di contenuto” è la concezione meccanica che la controrivoluzione possa manifestarsi solo nella forma del fascismo o del bonapartismo, ossia di una dittatura militar-poliziesca.

L’esperienza storica ha mostrato, e gli avvenimenti in corso in Europa lo dimostrano irrefutabilmente, che i metodi della borghesia nella sua lotta contro la rivoluzione proletaria variano enormemente e non sono determinati a priori. La borghesia fa uso di differenti metodi, si appoggia a strati differenti a seconda dei rapporti di forza fra le classi, per poter rinforzare o ristabilire il proprio dominio.

Che possano manovrare gli stalinisti o manipolare le loro agenzie socialdemocratiche, bonapartiste o fasciste o, come talvolta accade, usare tutte le forze simultaneamente, non dipende solo dalle intenzioni soggettive della classe dominante, o da questo o quell’avventuriero, ma dalle condizioni obiettive e dalle interrelazioni fra tutte le classi nella nazione: la borghesia, la piccola borghesia e il proletariato, in ogni momento dato. Ripetere meccanicamente la conclusione che nell’epoca contemporanea l’esistenza del capitale finanziario è incompatibile con la democrazia borghese (il che è indubbiamente corretto entro certi limiti) e che pertanto tutti i regimi devono essere bonapartisti, significa sostituire all’analisi dialettica degli avvenimenti categorie astratte formulate sulla base di un’esperienza storica parziale e insufficiente, o una visione incompleta e ristretta del processo nel suo insieme.

Per comprendere oggi la natura dei regimi dell’Europa occidentale dobbiamo sapere da quale retroterra si sono evoluti. Il movimento rivoluzionario delle masse successivo alla Prima guerra mondiale fu paralizzato e tradito dai socialdmocratici, che soli furono in grado di salvare il capitalismo dalla distruzione, sotto la bandiera della democrazia borghese. Anche solo per sopravvivere la borghesia fu costretta ad appoggiarsi alle sue agenzie socialdemocratiche.

Il fallimento del proletariato nel prendere il potere poteva solo portare alla ulteriore degenerazione e decadenza del capitalismo. La rovina della piccola borghesia, alla quale le organizzazioni di massa del proletariato non mostrarono alcuna via d’uscita, la condusse a diventare lo strumento della reazione fascista. Intrappolata nelle crisi intollerabile del proprio sistema, in un paese dopo l’altro, attraverso molte transizioni, la borghesia si volse nella direzione della dittatura aperta e incontrollata.

L’onda della rivoluzione fu seguita da un’onda di controrivoluzione. In Italia, Germania e altri paesi la borghesia utilizzò le forze di una piccola borghesia isterica per distruggere le organizzazioni del proletariato. Successivamente furono costretti a rivolgersi contro la piccola borghesia, trasformandosi in regimi bonapartisti, cioè regimi che si reggono direttamente sul sostegno dell’apparato militar-poliziesco piuttosto che regimi con una base di massa.

Questo non poteva risolvere le contraddizioni del sistema capitalista su scala nazionale o internazionale, ma inevitabilmente condusse alla Seconda guerra mondiale, in un frenetico tentativo da parte della borghesia di trovare una via d’uscita attraverso una nuova divisione del mondo. Ma la Seconda guerra mondiale, ancora più della Prima, mise a rischio l’intera esistenza del capitalismo come sistema. La borghesia realizzò con spavento che lo scatenamento della guerra avrebbe rilasciato una tremenda energia rivoluzionaria nel profondo delle masse e ricreato le condizioni favorevoli al rovesciamento del capitalismo su scala continentale.

Le vittorie dei nazisti e la conquista praticamente dell’intero continente europeo ebbe, come sottoprodotto, l’effetto di distruggere temporaneamente le basi di massa della reazione in tutta Europa. La reazione e il sistema capitalista si poggiavano direttamente sulle baionette delle armate nazifasciste. Gli odiati Quisling giocavano un ruolo puramente ausiliario. Con le vittorie dell’Armata rossa e il crollo di Hitler e Mussolini, in tutta Europa si poneva all’ordine del giorno il problema della rivoluzione socialista. La reazione era priva di una forte base fra le popolazioni e senza un forte e stabile apparato militare-poliziesco. Gli eserciti alleati non avrebbero potuto costituire un puntello stabile per la reazione e per la dittatura militare aperta per molto tempo. Nella maggior parte dei paesi europei la borghesia si trovava di fronte a una sollevazione di massa che non poteva ingabbiare con le proprie forze.

La Grecia è stata l’eccezione. Solo dopo una guerra civile e una sanguinosa guerra d’intervento è stato possibile installare un regime semi bonapartista o bonapartista, che passo dopo passo sta tentando di imporre nel paese un regime totalitario. Gli imperialisti sono coscienti di non poter utilizzare tali metodi su scala continentale. Inoltre in Grecia il potere della reazione doveva essere mantenuto ad ogni costo per timore che l’ultimo avamposto dell’imperialismo britannico nella penisola balcanica cadesse, come il resto dei Balcani, sotto l’influenza della burocrazia stalinista. Ma persino lì non è stato possibile distruggere completamente le organizzazioni di massa del proletariato.

Nulla ha salvato il sistema capitalista in Europa occidentale se non il tradimento della socialdemocrazia e dello stalinismo. Quando la borghesia si appoggia sulle sue agenzie socialdemocratiche e staliniste per scopi controrivoluzionari, qual è il “contenuto” di tale controrivoluzione? Bonapartista, fascista, autoritario? Certo che no! Il contenuto è di una “controrivoluzione in forma democratica”.

Naturalmente la borghesia non può stabilizzarsi per un lungo periodo di tempo sulle basi della controrivoluzione democratica. Dove la rivoluzione viene fermata dai lacché della borghesia, le forze di classe non rimangono sospese. Dopo un periodo, che potrà essere più o meno protratto a seconda degli sviluppi economici e politici internazionali e all’interno del paese dato, la borghesia svolta verso la controrivoluzione fascista e bonapartista. Così si manifestarono gli avvenimenti stessi in Italia nel giro di due anni di riflusso della marea rivoluzionaria provocata dalla Prima guerra mondiale, e in Germania lungo un periodo di quindici anni. Il cambiamento dei rapporti fra le classi si riflesse nel cambiamento di regimi passando per la democrazia, il bonapartismo preventivo, il fascismo, e la dittatura militare bonapartista pura.

Nonostante l’ulteriore degenerazione della base economica e politica, il fallimento, una volta di più, dei lavoratori nel prendere il potere, distruggere i rapporti capitalistici e riorganizzare la società, è risultato nell’instaurazione di governi democratici borghesi in Italia, Francia e altri paesi, basati sulle manipolazioni degli stalinisti e dei socialdemocratici. Sostenere che la controrivoluzione o il potere della borghesia nell’epoca presente possa manifestarsi solo come bonapartismo, fascismo o regimi del genere di quello di Franco significa abbandonare la valutazione marxista dei processi nella società moderna. Prendendo in considerazione i molti fattori implicati nella storia del periodo, inclusa la debolezza della corrente marxista, si poteva prevedere ed è stato previsto con anticipo quali sarebbero stati gli sviluppi in Europa occidentale. Ma il processo può essere compreso solo se si prende in considerazione la reale natura della democrazia, del bonapartismo e del fascismo, e non solo le loro forme esteriori.

Differenti regimi nella società capitalista

Il bonapartismo classico del primo Napoleone sorse dalla rivoluzione democratico borghese nel periodo della gioventù e del vigore del capitalismo. Il bonapartismo, il dominio della spada sulla società, rappresentava una situazione nella quale lo Stato assumeva una relativa indipendenza dalle classi, si equilibrava fra le classi ostili e fungeva da arbitro fra esse. Rimaneva, tuttavia, uno strumento in primo luogo dei grandi capitalisti. Napoleone, appoggiandosi sul sostegno dei contadini, potè mantenersi per un intero periodo storico a causa dello sviluppo delle forze produttive in Francia in quell’epoca.

Così accadde con Napoleone il Piccolo, che stabilì il proprio potere in Francia nel colpo di Stato del 1851. Marx nel 18 Brumaio, descrisse così la situazione: “Lo Stato sia tornato alla sua forma più antica, al dominio puro e insolente della spada e della tonaca. (Difficilmente la si può considerare un’immagine del regime di De Gaulle in Francia dopo la liberazione! – EG). è così che al coup de main del febbraio 1848 risponde il coup de tête del dicembre 1851.” (2)

Questa è l’essenza del bonapartismo: nuda dittatura militare poliziesca, l’“arbitro” con una spada. Un regime che indica che la macchina statale, “regolando” e “ordinando” questi antagonismi, pur rimanendo uno strumento dei proprietari, assume una certa indipendenza da tutte le classi. Un “giudice nazionale” concentra il potere nelle proprie mani, “arbitra” personalmente i conflitti interni alla nazione, mettendo una classe contro l’altra e rimanendo tuttavia uno strumento della classe possidente. Allo stesso tempo, caratterizziamo come bonapartista un regime nel quale le forze di classe fondamentali della borghesia e del proletariato grosso modo si equivalgono, permettendo così al potere statale di manovrare ed equilibrarsi fra i contendenti, ancora una volta dando al potere statale una certa indipendenza rispetto alla società nel suo complesso.

Tuttavia vi è una grande differenza fra il ruolo del bonapartismo nel periodo della fase ascendente del capitalismo e nel periodo del suo declino. Diamo due citazioni da Trotskij che spiegano questa differenza con la massima chiarezza, in Germania, la sola via.

A suo tempo abbiamo definito il governo Brüning un bonapartismo (“una caricatura di bonapartismo”), cioè un regime di dittatura militar-poliziesca Non appena la lotta fra i due campi sociali contrapposti – i possidenti e i proletari, gli sfruttatori e gli sfruttati – raggiunge la massima tensione, si stabiliscono le condizioni per il dominio della burocrazia, della polizia e della soldatesca. Ricordiamolo ancora una volta: se si piantano simmetricamente due forchette su di un tappo, il tappo può rimanere in equilibrio anche sulla capocchia di uno spillo. Proprio questo è lo schema del bonapartismo. Naturalmente un simile governo continua ad essere il commesso delle classi possidenti. Ma il commesso se ne sta seduto sulla schiena del padrone, lo colpisce alla nuca e, se necessario, non si perita di dargli calci in faccia.

Si poteva supporre che Brüning si sarebbe mantenuto sino ad una soluzione definitiva. Ma nel corso degli avvenimenti si è inserito un altro elemento: il governo Papen. Se vogliamo essere precisi, dobbiamo rettificare la nostra definizione precedente: il governo Brüning era un governo pre-bonapartista, non era che un precursore. In forma compiuta, il bonapartismo è entrato in scena con il governo Papen-Schleicher.” (settembre 1932) (3)

E più avanti:

Tuttavia, nonostante si presenti come forza concentrata, il governo Papen è ancora più debole del suo predecessore. Il regime bonapartista può acquistare un carattere di stabilità solo quando chiude un’epoca rivoluzionaria, quando i rapporti di forza sono stati già verificati nel corso delle lotte, quando le classi rivoluzionarie si sono già esaurite, ma le classi possidenti non si sono ancora liberate dalla paura e temono che il domani possa portare nuovi sconvolgimenti. Senza questa condizione di fondo, cioè senza un preliminare esaurirsi nella lotta dell’energia delle masse, il regime bonapartista non può svilupparsi.” (4)

Nella fase dell’ascesa del capitalismo, il bonapartismo, sollevandosi al di sopra della società, sopprimendo e “arbitrando” i conflitti al suo interno e regolando gli antagonismi di classe, è forte e fiducioso. In condizioni di un poderoso sviluppo delle forze produttive, raggiunge una certa stabilità. Ma nel declino del capitalismo il bonapartismo è affetto da senilità. Emergendo dalla crisi della società capitalista, non può risolvere alcuno dei problemi che ha di fronte. La crisi di fondo della società, il conflitto fra le forze produttive e la proprietà privata e lo Stato nazionale, è diventato così forte, l’antagonismo di classe da esso generato è così teso, che se esso di per sé è sufficiente a permettere l’ascesa di un bonapartismo senile, al tempo stesso, come conseguenza, lo rende così debole e flebile che la sua intera struttura è precaria e a rischio di essere rovesciata nella serie di crisi che deve affrontare. È questa debolezza del bonapartismo che conduce la borghesia e la cricca militare a cedere il potere al fascismo e a scatenare le avide bande della piccola borghesia impazzita e del sottoproletariato contro il proletariato e le sue organizzazioni di classe.

Le diverse categorie di regime, seppure sono di importanza vitale per la teoria e la pratica marxista, non sono astrazioni metafisiche, che indichino una differenza rigida, fissa ed eterna fra esse.

Tanti sono i fattori implicati, che è necessario esaminare concretamente ogni regime prima di definire categoricamente la sua posizione.

È sufficiente indicare come anche all’interno di ciascuna categoria, largamente intesa, possano essere compresi regimi molto diversi. L’Inghilterra con i suoi rimasugli feudali (la Camera dei Lord e la monarchia) e la barbara oppressione dei popoli coloniali, è una “democrazia”. La repubblica federale Svizzera e la Francia con le sue leggi basate sul Codice napoleonico, gli Stati Uniti, la Germania di Weimar e l’Eire, nonostante le loro ampie differenze, restano tutte delle “democrazie”. Qual è allora il filo conduttore che pone tutti questi regimi sotto lo stesso titolo?

Nonostante le loro diverse storie, che spiegano le diverse peculiarità nazionali, possiedono tutti certi tratti specifici comuni. Sono questi tratti ad essere decisivi nel determinare la classificazione marxista. Tutti hanno organizzazioni operaie indipendenti: sindacati, partiti, circoli, ecc., con i diritti che ne seguono. Il diritto di sciopero, di organizzazione, la libertà di parola, di stampa, ecc. e altri diritti che sono stati il sottoprodotto della lotta di classe del proletariato in passato. (Qui potremmo aggiungere che la perdita di questo o quel diritto non sarebbe di per sé decisiva nella nostra analisi di un regime. Il fattore determinante è la totalità dei rapporti). In un certo senso, l’esistenza, all’interno del capitalismo, di elementi della nuova società. O, come spiegava Trotskij in E ora? nel rispondere agli estremisti stalinisti, sotto il regime della borghesia esistono già gli embrioni del potere della classe operaia nella forma delle organizzazioni dei lavoratori.

Laddove queste organizzazioni esistono e hanno un forte ruolo (in Francia e in Italia esse sono più forti di quanto non siano mai state in passato) la borghesia governa attraverso i dirigenti e gli strati superiori di queste organizzazioni. Non è senza interesse notare, come segnalò Lenin, che in una determinata fase la borghesia governò persino attraverso i soviet, o più precisamente attraverso i dirigenti menscevichi dei soviet.

Anche il fascismo ha le sue peculiarità. I regimi di Franco, Mussolini, Hitler e Pilsudsky vengono tutti compresi in questa definizione. Tuttavia fra essi vi sono significative differenze. Ciò che li unisce fondamentalmente è la concezione della distruzione completa di tutte le organizzazioni della classe operaia. E tuttavia anche qui vediamo come fino a subito prima dello scoppio della guerra il fascismo polacco, molto più debole di quello tedesco e italiano, non era riuscito a distruggere completamente le organizzazioni operaie e avrebbe anche potuto essere rovesciato prima di giungere infine a compierla.

A sua volta il bonapartismo mostra una simile varietà. Napoleone, Luigi Napoleone, von Schleicher e Papen, Petain e i regimi fascisti evoluti in bonapartisti – tutti erano regimi bonapartisti. Cosa hanno in comune? L’indipendenza dello Stato, la concentrazione “personale” del potere, l’appoggiarsi direttamente e apertamente sul dominio della macchina statale attraverso il nudo dominio dell’apparato militare-poliziesco, il “dominio della spada”. Quali che siano le differenze che possono esistere fra i regimi, l’esistenza in certi casi delle organizzazioni operaie con diritti attenuati o limitati, hanno tutti in comune le caratteristiche menzionate. Le peculiarità specifiche di ogni caso sono ancora una volta determinate dalla storia del paese, dallo sviluppo delle contraddizioni sociali che resero possibile lo sviluppo del bonapartismo, ecc.

Così il bonapartismo debole e sterile di Petain e von Schleicher nell’epoca del declino capitalista somigliava solo come una caricatura al regime vigoroso e potente stabilito da Napoleone nel suo periodo di ascesa. Nel passaggio dalla democrazia al fascismo deve esserci una fase transitoria, o anche molte. Il cammino verso il bonapartismo viene preparato dalla divisione della nazione in due campi ostili: quello della piccola borghesia fascista e quello della classe operaia organizzata. Nominalmente il potere statale assume un’indipendenza da entrambi e il regime militar-poliziesco apre la via alla consegna del potere al fascismo. (La borghesia preferisce governare attraverso metodi democratici. Sotto l’impatto della crisi, tuttavia, utilizza le bande fasciste come agente terrorista per premere sul proletatariato in modo tale da poter introdurre misure dittatoriali bonapartiste. Solo come ultima risorsa cede con riluttanza il potere ai fascisti). Questo, perlomeno, è stato il processo in Italia e in Germania. Dipendendo da molti fattori, fra i quali va inclusa la politica del partito rivoluzionario del proletariato, gli avvenimenti in Europa e altrove possono svilupparsi in modo abbastanza diverso, se la reazione riuscisse temporaneamente a stabilizzarsi.

È importante notare tuttavia che i regimi di Schleicher e Papen, di Petain e del generale Sirovy in Cecoslovacchia dopo Monaco, si sono tutti sviluppati direttamente (magari con qualche fase intermedia) a partire da regimi di democrazia borghese. I regimi pre-bonapartisti o persino bonapartisti, di Doumergue, Laval e Flandin, prepararono il terreno per il Fronte popolare in Francia, il quale a sua volta nuovamente aprì la strada a uno sviluppo verso il bonapartismo. Definire “bonapartismo” il Fronte popolare sotto Blum come fa il compagno Frank nella seguente citazione, può solo causare una confusione senza fine nelle fila della Quarta Internazionale:

“(…) Ma il bonapartismo del capitalismo declinante può mascherarsi anche con altri costumi. In certi casi è abbastanza difficile riconoscerlo, per esempio nel casi di governi della sinistra, persino molto a sinistra, particolarmente del tipo del Fronte popolare. Qui il bonapartismo è così scandalosamente ricoperto da uno splendore democratico che molti ci cascano(!).”

In queste parole del compagno Frank c’è la chiave della confusione nella caratterizzazione dei regimi. È facile scivolare in simili errori, poiché così come l’embrione di una nuova forma di società esiste nelle organizzazioni operaie, allo stesso modo la possibilità del bonapartismo è radicata nella struttura della società sotto la democrazia borghese. All’interno di ogni Stato è riflesso l’antagonismo interno alla società, anche nella più libera delle società borghesi democratiche. Come scrisse Engels nel suo libro L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato:

Lo Stato dunque non è affatto una potenza imposta alla società dall’esterno e nemmeno ‘la realtà dell’idea etica’, ‘l’immagine e la realtà della ragione’, come afferma Hegel. Esso è piuttosto un prodotto della società giunta a un determinato stadio di sviluppo, è la confessione che questa società si è avvolta in una contraddizione insolubile con se stessa, che si è scissa in antagonismi inconciliabili che è impotente a eliminare. Ma perché questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto non distruggano se stessi e la società in una sterile lotta, sorge la necessità di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell’‘ordine’; questa potenza che emana dalla società, ma che si pone al di sopra di essa e che si estranea sempre più da essa, è lo Stato”. (5)

In ultima analisi ogni Stato si fonda sulla nuda forza. Gli ufficiali dell’esercito, la cricca dello stato maggiore, la polizia e la burocrazia civile, formati e selezionati per servire gli interessi del capitalismo, offrono il terreno sul quale fioriscono i complotti militari e le cospirazioni, una volta date condizioni di crisi e fermento sociale.

Pierre Frank confonde qui il ruolo dello Stato con il bonapartismo. Una democrazia che non si basi sulla forza, che non abbia un apparato posto al di sopra della società, non è mai esistita né mai esisterà. Ma questo non ne fa un bonapartismo.

Ma proprio perché ogni Stato si basa su corpi armati di uomini con le loro appendici sotto forma di tribunali, carceri, ecc. e quindi anche sotto la più piena democrazia si nasconde la dittatura del capitalismo, non ne segue che qualsiasi regime repressivo sia necessariamente bonapartista. La repressione e la soppressione dei diritti dei lavoratori in situazioni di “emergenza” avvengono sotto ogni regime, compreso quello democratico, quando sono minacciati gli interessi fondamentali del capitale, fino a quando non siano restaurate condizioni “normali”, ossia fino a quando le masse non accettino senza una ribellione attiva il giogo del capitale. La borghesia conserva una estrema flessibilità, manipolando i regimi secondo la resistenza delle masse, le forze di classe, ecc. Possono farlo grazie ai tradimenti delle direzioni operaie.

Il pronostico alla luce degli avvenimenti

Quali che fossero i loro desideri originali di imporre regimi bonapartisti in Europa, gli imperialisti angloamericani ne hanno visto ben presto l’impossibilità (a parte la Grecia) e gli incalcolabili pericoli che ne sarebbero derivati, e in Europa occidentale si sono spostati verso regimi democratici, basati sul disarmo del proletariato.

Gli eventi in Francia e in Europa occidentale hanno confermato l’erroneità del metodo di Pierre Frank. Ovunque in Europa occidentale a partire dalla “liberazione” la tendenza è stata quella di un movimento regolare verso la democrazia borghese e non verso regimi sempre più dittatoriali; verso un allargamento dei diritti democratici, non verso la loro limitazione. In una fase successiva questa tendenza verrà rovesciata, ma al momento il movimento in Europa occidentale è verso regimi democratici borghesi. Così in Italia abbiamo l’instaurazione della repubblica democratico borghese, dei sindacati, ecc. In Francia abbiamo elezioni, partiti, sindacati, ecc. In Belgio e Olanda vediamo elezioni democratiche. Lo spostamento delle masse verso il socialismo-comunismo si riflette nel fatto che questi partiti hanno ottenuto le percentuali di voto maggiori da sempre. Per mobilitare la reazione piccolo borghese come contrappeso ad essi, la borghesia in questa fase non si appoggia sulla reazione fascista (che viene tenuta in riserva) ma sui partiti cristiani e cattolici che si fondano sulla democrazia parlamentare. Questo dà alla borghesia un respiro per prepararsi, in una fase successiva e con le necessarie condizioni favorevoli, a una transizione alla dittatura totalitaria attraverso regimi bonapartisti.

È chiaro che la situazione oggi è completamente diversa da quella esistente in Germania e in Italia prima della vittoria del fascismo, quando c’erano partiti di massa del fascismo organizzati e la possibilità per lo Stato di manovrare fra due campi mortalmente ostili era posta dall’intera situazione. Lungi da questo, in Italia e in Francia i partiti democristiani stano collaborando con le organizzazioni operaie in governi di coalizione tipici della democrazia borghese. La borghesia non può fare altrimenti a causa del pericolo di sollevazioni rivoluzionarie da parte delle masse.

La situazione è simile a quella della Germania nella Repubblica di Weimar. Per allentare la pressione rivoluzionaria la borghesia organizzò un governo di coalizione della socialdemocrazia e del Centro cattolico.

Si trattava di bonapartismo? Ovviamente no. Ma come risultato della sua politica la socialdemocrazia venne punita, con la piccola borghesia che si orientò alla reazione e il tentativo bonapartista-monarchico di colpo di Stato con il putsch di Kapp nel 1920. Come è ben noto, quel tentato colpo di Stato bonapartista venne sconfitto dalle masse quando comunisti e socialisti parteciparono allo sciopero generale. L’indignazione dei lavoratori, grazie alla propaganda corretta del Partito comunista che avvertì del pericolo e formò un fronte unico per sconfiggerlo, portò al tentativo degli operai della Ruhr di prendere il potere. La reazione unì allora le proprie forze con i socialdemocratici per schiacciare il movimento di massa. Questo a sua volta aprì la strada a un regime travagliato e instabile di democrazia borghese.

La posizione sbagliata sulla natura dei regimi in Europa deriva da una prospettiva scorretta. I compagni americani sostenevano che dopo la vittoria dell’imperialismo alleato in Europa sarebbero state possibili solo dittature simili a quella di Franco. Pierre Frank cita con approvazione una posizione scorretta assunta dalla Segreteria internazionale (Si) nel 1940:

Se l’Inghilterra domani insediasse De Gaulle, il suo regime non si distinguerebbe in nulla dal governo bonapartista di Petain.

Davvero una differenza da nulla, compagno Frank! Per i lavoratori, una differenza decisiva! È vero che la classe capitalista continua a dominare sotto De Gaulle come lo faceva sotto Petain. Ma sostenere nel 1946 che i regimi sono indistinguibili significa cadere nella stupidità settaria degli stalinisti in Germania, che non sapevano distinguere fra un regime capitalista che si appoggia sulle organizzazioni operaie e l’abolizione di queste stesse organizzazioni da parte del fascismo.

La confusione di Pierre Frank viene ulteriormente messa a nudo dalla sua trionfante dichiarazione che il regime di Petain era bonapartista. Trotskij disse che il regime di Petain era bonapartista. Ma Frank semplicemente non capisce a cosa mirava Trotskij. Egli si riferì ai regimi di Mussolini e di Hitler nel periodo della loro decadenza e declino come a regimi bonapartisti. La sola differenza fra questi e il regime di Petain era che Petain non aveva mai avuto una base di massa nella piccola borghesia come l’avevano avuta Hitler e Mussolini, e in questo senso non poteva essere chiamato fascista, ma bonapartista. Per questo motivo il suo regime era molto più debole e poteva più facilmente essere rovesciato da un movimento delle masse. Petain doveva appoggiare il suo potere sulle baionette straniere. Altrimenti non vi sarebbe stata alcuna differenza fra i regimi di Franco, Mussolini e Hitler nella fase della loro decadenza, e quello di Petain.

Il compagno Frank dichiara:

“(…) Il nostro organismo internazionale più responsabile ha previsto che una semplice sostituzione di bande che fosse seguita a una vittoria degli Alleati non avrebbe significato un cambiamento nella natura del regime politico. Ci troviamo in presenza di una valutazione su scala storica basata su posizioni che sono state difese per molti anni dalla Quarta Internazionale contro tutte le altre teorie ed etichette a buon mercato diffuse dalle altre tendenze e formazioni del movimento operaio. Se è stato commesso un errore sarebbe davvero un errore di portata considerevole e ci troveremmo nell’obbligo urgente di cercarne le ragioni e correggerlo. Da parte nostra, non crediamo che la nostra organizzazione su questo punto fosse in errore (…)

La dichiarazione fatta dalla Si nel 1940 era scorretta. Noi facemmo lo stesso errore. Date le circostanze era scusabile. Ma ripetere nel 1946 un errore che era già chiaro nel 1943 è imperdonabile. Una risoluzione dei troskisti britannici scritta nel 1943, nella quale ci correggevamo, analizzava la situazione che si preparava in Europa come segue:

In assenza di partiti trotskisti sperimentati, con radici e tradizioni fra le masse, le prime fasi delle lotte rivoluzionarie in Europa risulteranno con ogni probabilità in un periodo di kerenskismo o di fronte popolare. Questo si presagisce già nelle lotte iniziali degli operai italiani e nei ripetuti tradimenti della socialdemocrazia e dello stalinismo” (Risoluzione principale del Congresso nazionale della Workers International League, ottobre 1943).

Gli avvenimenti hanno dimostrato la correttezza di questa analisi. Invece di affrontare con franchezza un errore nelle prospettive, Frank nega la realtà e tenta di trasformare l’errore in virtù.

Frank prende la Francia come pietra di paragone delle sue tesi. Indubbiamente se ne starà già rammaricando perché è prima di tutto in Francia che il processo si è riflesso molto chiaramente. La Francia è la chiave d’Europa e ogni errore riguardo la natura del regime francese potrebbe essere fatale per i giovani quadri del trotskismo.

Esaminiamo la situazione. Pierre Frank visualizza la situazione come segue: bonapartismo fin dal 1934 perché, capite, la borghesia non poteva permettersi la democrazia borghese. Petain era un bonaparte; De Gaulle era un bonaparte; il Fronte popolare (Blum!) era bonapartismo; di fatto, come direbbero i metafisici, “di notte tutti i gatti sono grigi”. La tesi è che tutti erano dei bonaparte. Ne segue che Gouin è un bonaparte e che il governo che gli succederà sarà anch’esso bonapartista. Se questa follia dovesse infettare i francesi, il nostro partito francese sarebbe in uno stato penoso. Fortunatamente pare che questo pericolo non esista.

Una valutazione marxista sarebbe alquanto diversa da quella di Pierre Frank. Qual è stato lo sviluppo del regime, da cosa e verso cosa si evolve? Qual è la situazione delle diverse classi? Quali sono i rapporti fra le classi? Una valutazione sobria degli ultimi due anni ci dirà che (a) abbiamo qui una rivoluzione proletaria incompiuta; risultato: (b) democrazia borghese instabile, elezioni, assemblea costituente, costituzione democratico-borghese; (c) su questo sfondo, un candidato bonaparte. Il potere reale risiede nei principali partiti operai. Un aspirante Hitler che mira al potere e un Hitler al potere non sono la stessa cosa. Un aspirante bonaparte come De Gaulle e un bonaparte reale che esercita un potere personale con la spada, sono due cose differenti. De Gaulle può ancora diventare un Franco francese, ma non si deve dichiarare vincitore il nemico prima che la battaglia decisiva sia cominciata.

Nell’epoca moderna, per la sua stessa natura il bonapartismo deve essere un regime di transizione – transizione al fascismo, transizione alla democrazia, o anche alla rivoluzione proletaria: un periodo di manovre fra le classi. Che ci siano elementi di bonapartismo nella situazione in Europa non è necessario dirlo. Questi elementi possono trasformarsi in quelli dominanti, ma solo a certe condizioni. Se si dichiara che un regime è bonapartista, allora devono emergere certi tratti specifici. Nonostante gli zelanti tentativi di Pierre Frank di elevare De Gaulle a una posizione alla quale poteva solo aspirare, il “bonaparte” De Gaulle, avendo misurato i rapporti di forza, è stato costretto a ritirarsi tristemente dalla scena per attendere un momento più propizio.

Questo è precisamente il nocciolo della questione: è necessario rispondere alla propaganda stalinista e socialista avvertendo che le loro politiche inevitabilmente portano al pericolo di controrivoluzione e di bonapartismo, avvertire della minaccia di una dittatura militar-poliziesca che pende sul proletariato se questo non disperde i nidi del bonapartismo, composti dai quadri del quartier generale, della polizia e della burocrazia prendendo il potere nelle proprie mani.

I compagni non devono commettere l’errore dei comunisti tedeschi, i quali dichiaravano fascista ogni nuovo governo, cullandosi nella compiacenza e confondendo l’avanguardia, fino a quando il vero Hitler non arrivò. Naturalmente se Pierre Frank continua a ripeterlo abbastanza a lungo, indubbiamente alla fine la realtà coinciderà con la sua definizione e avremo un regime bonapartista in Francia e in altri paesi d’Europa. Ma per i marxisti questo non è sufficiente. Dobbiamo analizzare attentamente e spiegare ogni cambio di governo. In questo modo possiamo prepararci per gli avvenimenti futuri.

Il regime di Kerensky era “bonapartista”?

Qua e là lungo il suo articolo, Frank fa riferimento al “bonapartismo alla Kerensky”, il bonapartismo di Kerensky, assumendo così che sotto il regime di Kerensky si fosse effettivamente stabilito un bonapartismo – cosa che in nessun modo una conoscenza del periodo autorizza.

Frank prende una o due formulazioni condizionali di Lenin e Trotskij in relazione al regime di Kerensky in Russia e tenta di trasformarle in definizioni rigide e immutabili. In realtà gli atti parlano contro di lui. È significativo notare che il capitolo della Storia della rivoluzione russa alla quale egli si riferisce è intitolato non “bonapartismo”, ma Kerenky e Kornilov – Elementi di bonapartismo nella rivoluzione russa. Trotskij era sempre particolarmente attento alle definizioni e pertanto quando dice “elementi” non intende il fenomeno in quanto tale. E per ottime ragioni. Non c’è dubbio che Kerensky avrebbe voluto giocare il ruolo di bonaparte. Le possibilità del bonapartismo erano radicate nella situazione. Ma il bonapartismo non si realizzò mai perché il partito bolscevico era forte e vinse la rivoluzione proletaria, sbarrando la strada a qualsiasi avventuriero volesse prendere il controllo. Si potrebbero produrre molte citazioni per mostrare la natura condizionale della caratterizzazione del regime di Kerensky come bonapartista. In quella stessa sezione citata dal compagno Frank, dalla quale egli astrae una singola frase che caratterizza Kerensky come “il centro matematico del bonapartismo russo”, Trotskij scrisse:

Le parti contrapposte facevano appello a Kerensky, ciascuna vedeva in lui una parte di se stessa, tutte e due gli giuravano fedeltà. Trotsky scriveva dalla prigione: ‘Diretto da politici che hanno paura di tutto, il Soviet non ha osato prendere il potere. Rappresentando tutte le cricche di proprietari, il partito cadetto non ha potuto ancora impadronirsi del potere. Non restava che cercare un grande conciliatore, un intermediario, un arbitro.’

Nel manifesto pubblicato a suo nome, Kerensky proclamava dinanzi al popolo: ‘Nella mia qualità di capo del governo… non mi credo in diritto di arrestarmi dinnanzi al fatto che mutamenti [nella struttura del potere] accresceranno la mia responsabilità alla direzione delle cose più importanti’. Questa è una pura terminologia bonapartista. Tuttavia, malgrado l’appoggio della destra e della sinistra, non si andò al di là della terminologia.” (6)

Trotskij scriveva qui come storico, valutando e soppesando ogni parola. E se si studiano coscienziosamente i lavori di Lenin, anche se furono scritti nel fuoco degli avvenimenti, non si può che constatare l’erroneità della posizione di Frank, che confonde il germe con la malattia. Lenin scrive, per esempio, nel suo lavoro Verso la presa del potere: “Il governo Kerensky è indubbiamente il primo passo verso il bonapartismo.”

Qui vediamo il carattere condizionale di quanto era oggetto del discorso di Lenin e Trotskij. Nella stessa sezione di Stato e rivoluzione citata da Frank, nella quale Lenin si riferisce al governo Kerensky come bonapartista, il carattere condizionale di questa definizione è mostrato nel paragrafo immediatamente successivo. Nel trattare dello Stato e di tutte le sue forme come strumento per lo sfruttamento della classe oppressa (così è intitolato il capitolo nel quale si presentano questi riferimenti al bonapartismo, ed è di questo che Lenin sta trattando), egli prosegue dicendo:

Nella repubblica democratica – continua Engels – ‘la ricchezza esercita il suo potere indirettamente, ma in maniera tanto più sicura’, in primo luogo con la ‘corruzione diretta dei funzionari’ (America), in secondo luogo con ‘l’alleanza tra governo e Borsa’ (Francia e America).

Nel momento attuale, l’imperialismo e il dominio delle banche ‘hanno sviluppato’ sino a farne un’arte raffinata, in qualsiasi repubblica democratica, questi due metodi di difesa e di realizzazione dell’onnipotenza della ricchezza. Se, per esempio, fin dai primi mesi della repubblica democratica in Russia, durante, per così dire, la luna di miele del connubio dei ‘socialisti’ – socialisti-rivoluzionari e menscevichi – con la borghesia nel governo di coalizione (…)” (7)

A ribadire la questione, in una sezione successiva dello stesso opuscolo che tratta dello stesso periodo, nel confrontare il soviet a un organismo parlamentare Lenin prosegue dicendo:

Un organismo ‘non parlamentare, ma di lavoro’: questo colpisce direttamente voi, moderni parlamentari e ‘cagnolini’ parlamentari della socialdemocrazia! Considerate qualsiasi paese parlamentare, dall’America alla Svizzera, dalla Francia all’Inghilterra, alla Norvegia, ecc: il vero lavoro ‘di Stato’ si compie fra le quinte, e sono i ministeri, le cancellerie, gli stati maggiori che lo compiono. Nei Parlamenti non si fa che chiacchierare, con lo scopo determinato di turlupinare il ‘popolino’. Questo è talmente vero che anche nella repubblica russa, repubblica democratica borghese, tutte queste magagne del parlamentarismo si fanno già sentire ancor prima che essa sia riuscita a darsi un vero Parlamento.” (8)

Se usassimo il metodo di Pierre Frank ridurremmo Lenin a una massa di stupide contraddizioni. Per Frank non ci sono vere contraddizioni perché non fa una vera distinzione fra democrazia borghese e bonapartismo. Se egli portasse questo fino in fondo dovrebbe sostenere che in Francia abbiamo avuto sia la democrazia borghese che il bonapartismo e la sua obiezione al termine “regime democratico borghese” diventa del tutto incomprensibile.

Frank rileva il fatto che i compagni britannici si sono riferiti al governo laburista in Gran Bretagna come a un governo Kerensky e passa poi a sostenere che questo sarebbe errato in quanto in questo paese non c’è un regime bonapartista:

Dal momento che parliamo qui della risoluzione dei nostri compagni inglesi, notiamo che essa definisce come ‘kerenskismo’ il nuovo governo laburista. Il bonapartismo che essi hanno ignorato ha trovato il modo di insinuarsi nel loro documento sotto un nome molto speciale. Ma noi non pensiamo che l’attuale governo di Attlee sia un bonapartismo alla Kerensky.

Questo non fa che dimostrare che Frank non ha capito il significato né del kerenskismo, né del bonapartismo. Il kerenskismo è l’ultimo, o il “penultimo” governo di sinistra prima della rivoluzione proletaria, o, possiamo aggiungere, della controrivoluzione borghese. In condizioni determinate le tensioni sociali e gli aspri conflitti fra le classi in tale periodo tenderanno ad alimentare cospirazioni e complotti bonapartisti. Questo fu precisamente quanto avvenne nella rivoluzione russa, e per questo motivo Lenin e Trotskij si riferirono alle tendenze bonapartiste all’interno del regime di Kerensky. Tuttavia, a beneficio del compagno Frank, questo non faceva del regime di Kerensky un regime bonapartista. Qui forse faremo bene ad affrettarci ad aggiungere che il riferimento al governo laburista come governo Kerensky non costituiva affatto una valutazione definitiva, ma un’analogia che utilizzavamo con le appropriate e necessarie salvaguardie. Per porre la questione al riparo da ogni controversia citiamo dalla nostra risoluzione.

In una fase successiva il settore più risoluto della borghesia comincerà a cercare una soluzione in una dittatura monarchica o militare sulle linee di quella spagnola di Primo de Rivera, o qualche soluzione simile. Cominceranno a spuntare bande realiste o fasciste sotto le spoglie di associazioni di ex militari o ‘patriottiche’.

Gli avvenimenti potranno accelerare o rallentare i processi, ma quello che è certo è l’acuirsi delle tensioni sociali e degli odii di classe. Il periodo della reazione trionfante è giunto a conclusione, si apre una nuova epoca rivoluzionaria in Gran Bretagna. Con molti alti e bassi, con una velocità maggiore o minore, la rivoluzione sta cominciando. Il governo laburista è un governo Kerensky. Questo non significa che il ritmo degli avvenimenti seguirà quello degli eventi in Russia dopo il marzo 1917, al contrario, la rivoluzione assumerà probabilmente un carattere lungo e protratto, ma esso crea lo sfondo sul quale verrà costruito il partito di massa rivoluzionario.

Fortunatamente, allo scopo di porre la situazione nella giusta prospettiva, Trotskij diede una definizione del kerenskismo (non lo chiamò bonapartismo!) quando trattò della posizione errata del Comintern in relazione alla rivoluzione spagnola del 1931:

Da questo esempio vediamo che il fascismo non è affatto l’unico strumento della borghesia nella sua lotta contro le masse rivoluzionarie. Il regime che esiste attualmente in Spagna (un governo di coalizione dei repubblicani borghesi e del Partito socialista simile a quelli odierni in Francia e Italia – EG), rassomiglia soprattutto a quello che è stato definito il kerenskismo, cioè all’ultimo (o ‘penultimo’) governo ‘di sinistra’ che la borghesia può esprimere nella sua lotta contro la rivoluzione. Ma un governo di questo genere non significa necessariamente debolezza e prostrazione. In assenza di un potente partito rivoluzionario del proletariato, una combinazione di mezze riforme, di chiacchiere di sinistra, di gesti ancora più di sinistra, e di repressioni, può essere, per la borghesia, più utile che il fascismo (La chiave della situazione è in Germania, novembre 1931).” (9)

Le concezioni nebulose di Frank riguardo la democrazia e il bonapartismo possono essere viste nei riferimenti sparsi lungo il suo articolo. Prendendo alcuni esempi:

L’utilizzo di slogan democratici combinati con rivendicazioni transitorie è giustificato precisamente perché le possibilità di un regime democratico sono inesistenti (…).”

Precisamente perché non abbiamo in generale al momento attuale in Europa dei regimi democratici, perché per essi non c’è letteralmente spazio (…).

Non si deve confondere il Bonapartismo ‘di destra’ col fascismo né il bonapartismo ‘di sinistra’ con la democrazia. Abbiamo visto come il bonapartismo assuma forme molto differenti a seconda delle condizioni nelle quali si trovano i due campi mortalmente opposti; affermiamo che anche l’esistenza di libertà democratiche, anche di grandi libertà democratiche, non è sufficiente a rendere democratico regime. I fronti popolari bonapartisti alla Kerensky… sono fin troppo noti per la loro alluvione di libertà democratiche, fino al punto che la società capitalista per causa loro rischia persino il proprio equilibrio e corre il pericolo di capovolgersi. Le libertà democratiche non derivano, come avviene in un regime che possa essere correttamente definito come democratico, dall’esistenza per un margine di riforme all’interno del capitalismo, ma al contrario, da una situazione di crisi acuta, risultato dell’assenza di qualsiasi margine di riforme.”

(…) Il regime del Fronte popolare non era un regime democratico, conteneva al suo interno numerosi elementi di bonapartismo, come vedremo successivamente.

La concezione della democrazia avanzata dal compagno Frank non è mai esistita in cielo né in terra. Esiste solo nelle norme idealistiche del liberalismo. Sempre la democrazia, ossia la democrazia borghese, è stata costruita su una struttura repressiva. Ogni costituzione o regime borghese contiene il suo Articolo 48 come nella Costituzione di Weimar. La stessa esistenza della società di classe presuppone un regime di oppressione. Ma solo chi abbia abbandonato la disciplina di pensiero del marxismo e operi sulla base di categorie metafisiche può equiparare la democrazia col bonapartismo o, da questo punto di vista, col fascismo, anche se esistono molti punti di somiglianza fra questi regimi e in ciascuno di essi vi sono in una misura o nell’altra elementi di nudo dominio militare. Ma la quantità si trasforma in qualità. Ciò che detta la natura del regime non è questo o quell’elemento, ma i suoi tratti di fondo. La democrazia di oggi può diventare bonapartismo domani e mutarsi in fascismo il giorno successivo. Il fascismo, come abbiamo visto, può essere trasformato in democrazia e il processo ripetersi.

Il metodo marxista non ammucchierà indiscriminatamente tutti i regimi. Questo è il metodo facile, ma condurrà a errori e confusione. Il metodo marxista è quello di esaminare le cose nel loro processo di cambiamento ed evoluzione. Esaminare volta per volta ogni governo, per stabilirne i tratti e le tendenze specifiche, per prepararsi ai cambiamenti alle transizioni improvvise che sono la caratteristica fondamentale della nostra epoca e così rettificare e delimitare, se necessario, le nostre caratterizzazioni ad ogni fase successiva. I limiti dolorosi del metodo di Pierre Frank (che egli definisce marxismo ma è in realtà impressionismo) sono riassunti dalle sue stesse parole:

Il termine ‘bonapartismo’ non esaurisce completamente la caratterizzazione del regime, ma è indispensabile impiegarlo nell’Europa di oggi, se vogliamo procedere riducendo al minimo le possibilità di errore. Aggiungiamo infine che il marxismo non è solo nell’utilizzo di tali importanti idee generali: tutte le scienze si comportano analogamente. Così i chimici definiscono carburi composti che differiscono fra loro assai più che non il bonapartismo di Schleicher e quello di Kerensky. E la chimica non procede poi male da questo punto di vista, al contrario.

Gli stalinisti utilizzarono lo stesso metodo durante il “Terzo periodo” in Germania, con risultati disastrosi. Partendo da una generalizzazione corretta secondo la quale tutti i partiti, dalla socialdemocrazia al fascismo, erano agenti della classe capitalista… finirono col dire che pertanto… non c’erano differenze fra essi: tutti erano fascisti di differenti varietà. Per lo scienziato come per il marxista il problema comincia laddove per Frank finisce. Un chimico può classificare certi corpi sotto la categoria generale di carburi. Ma un chimico che si fermasse a questa definizione non procederebbe di molto. Se per esempio, sulla base del fatto che un chimico ha definito sia il carburo di silicio (carborundum) che il carburo di calcio sotto lo stesso titolo di “carburi”, si tentasse di accendere una lampada all’acetilene su una bicicletta con il primo anziché con il secondo, otterebbe risultati assai spiacevoli. Non sarebbe possibile illuminare la strada dinnanzi. Né il metodo di Frank può fare meglio nell’illuminare la natura dei regimi in Europa.

 

Note

1. Lev Trotskij, Scritti sull’Italia, Massari, pag. 187-8.

2. Karl Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, Editori Riuniti, pag. 51 (“Colpo di mano… colpo di testa”).

3. Lev Trotskij, I problemi della rivoluzione cinese e altri scritti su questioni internazionali 1924-1940, Einaudi 1970, pag 355.

4. ibidem, pag. 357.

5. F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Editori Riuniti, 1980, pag. 176.

6. Lev Trotskij, Storia della rivoluzione russa, Sugarco 1987, pag 434-35.

7. Lenin, Stato e rivoluzione, Editori Riuniti, 1970, pag. 68. (Il testo italiano non coincide perfettamente con l’edizione inglese citata – NdT).

8. ibidem, pag. 110.

9. Lev Trotskij, Scritti 1929-36, Mondadori 1970, pag. 302.

 

 

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