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13 Marzo 2020I decreti sulla scuola e le prassi adottate dai diversi istituti rispecchiano le misure contraddittorie adottate per gli altri ambiti della società.
Nella settimana dal 2 al 6, dopo la chiusura delle scuole, le misure adottate dai singoli istituti sono state spesso a discrezione del Dirigente Scolastico.
La disposizione ministeriale era di attivare forme di didattica online, definite un’opportunità di innovazione. Ora, studiare da casa è necessario in questa situazione di emergenza, ci mancherebbe! Ma questo si è concretizzato in un’imposizione dall’alto a studenti e famiglie, oltre che ai docenti, obbligati allo “smart working” e ad arrangiarsi per utilizzare strumenti elettronici, tutti diversi quindi, da individuare ed imporre agli alunni (registro elettronico, Skype, social network, piattaforme online… Di proprietà e sotto il controllo privato, con grande gioia dei giganti dell’informatica). Con buona pace della privacy di tutti.
Il risultato è stato lo stesso caos delle altre misure.
Anche all’ITS Deledda-Fabiani di Trieste, gli studenti e le loro famiglie hanno dovuto adeguarsi ad una didattica che prevedeva, a discrezione dei singoli insegnanti, studio autonomo o classi online, con orari stabiliti dal docente.
Non è stato possibile per gli studenti sollevare il problema che non tutti hanno a disposizione mezzi adatti; anche queste obiezioni sono state ritenute mancanza di collaborazione e di quel senso di responsabilità che ci viene chiesto durante questa emergenza.
Da questa settimana si dovrebbe rispettare l’orario, ma sarà obbligatoria la giustificazione, e la didattica online sarà oggetto di valutazione didattica e disciplinare (non escluso il sette in condotta)! Il programma già “svolto” non sarà ripetuto, chiaramente bisogna correre dietro al programma, mentre ancora aspettiamo certezze su come saranno svolte verifiche ed esami.
La logica è sempre quella di far pagare le conseguenze dell’emergenza a studenti, lavoratori e famiglie, e scaricare la responsabilità sui docenti in nome di una finta “libertà di insegnamento”, riconosciuta soltanto quando si tratta di chiederci sforzi straordinari, come sempre senza avere voce in capitolo.