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CGIL sveglia! I lavoratori non possono aspettare

Il 20 gennaio si terrà a Bologna la conferenza nazionale dell’Area di Alternativa in Cgil “Giornate di Marzo”. Un’assemblea, a cui parteciperanno delegate e delegati, lavoratrici e lavoratori, che segue un percorso che si è sviluppato nei territori sulla base di una bozza di “tesi sindacali” che metteremo successivamente a disposizione.

 

di Claudio Bellotti

La locandina della Conferenza nazionale dell’Area di Alternativa in Cgil “Giornate di Marzo”

L’anno si apre con la notizia che la ricchezza delle famiglie italiane è così distribuita: il 5% più ricco detiene il 46% della ricchezza, mentre il 50% più povero deve accontentarsi dell’8%. La maggioranza delle famiglie nel migliore dei casi ha come unica ricchezza la propria abitazione, spesso con relativo mutuo.

Su questa maggioranza della popolazione, che sono i lavoratori dipendenti, i pensionati e i settori più bassi del lavoro autonomo, sono caduti i provvedimenti economici della legge di bilancio. Spiccano fra questi: il peggioramento sulle pensioni, che va oltre la Legge Fornero; l’aumento delle tasse sul gas, con l’IVA che passa dal 5 al 22%, producendo un aumento atteso sulle bollette invernali attorno al 9%. Per milioni di famiglie poi diventerà obbligatorio il passaggio al “mercato libero” per luce e gas, con aumenti significativi delle spese energetiche.

Gli spiccioli messi dal governo saranno poi del tutto insufficienti a tamponare le falle di un sistema sanitario pubblico ormai al collasso anche nelle regioni del Nord, che in passato vantavano il servizio migliore.

Dove è finita la mobilitazione della CGIL?

Contro questi provvedimenti la CGIL ha condotto insieme alla UIL una mobilitazione di cui si deve ora trarre un bilancio. Una manifestazione nazionale e una serie di scioperi interregionali o di categoria, fiumi di parole spesi nelle riunioni degli organismi sindacali, documenti fiume in cui si esponevano i propri libri dei sogni… tutto questo ha prodotto esattamente zero.

La politica del governo non si è spostata neanche di un millimetro. Se vogliamo chiamare le cose col loro nome, questa mobilitazione è stata una evidente manifestazione di impotenza. Ma di chi? Non certo dei lavoratori! Impotenza di un gruppo dirigente burocratico, di un programma fumoso e vago, di un apparato che pensa che le mobilitazioni siano come un rubinetto: apri, e i lavoratori scioperano; lo chiudi, e tornano in silenzio al lavoro.

Uno sciopero importante è stato quello del settore commercio, che il 22 dicembre ha visto scendere in piazza migliaia di lavoratori in tre manifestazioni (Napoli, Milano e Roma). Stiamo parlando di oltre due milioni di lavoratori della distribuzione, del turismo, della ristorazione: settori economici decisivi, con una forte presenza di giovani e donne, che hanno tutti e 12 i contratti nazionali scaduti da 3-5 anni.

La loro determinazione era evidente, erano manifestazioni tutt’altro che rituali. Ma ancora ci domandiamo: è mai possibile che i sindacati abbiano convocato uno sciopero senza neppure una vera e propria piattaforma? Senza una chiara rivendicazione economica? Senza una preparazione capillare, nonostante i mesi trascorsi in inutili trattative?

E la lotta per i contratti nazionali?

La verità è che nei luoghi di lavoro non solo c’è rabbia, ma ci sarebbe anche una significativa disponibilità a mobilitarsi. Ma nelle condizioni date è come chiedere a un esercito di andare in guerra senza una strategia, senza un armamento adeguato, con ufficiali che sono i primi che non vogliono combattere e cercano ogni pretesto per sottrarsi alla lotta…

In occasione dello sciopero del commercio il segretario della CGIL Landini ha dichiarato che il 2024 deve essere l’anno in cui si rinnovano i contratti di lavoro.

Sono infatti circa 7,5 milioni i lavoratori con il contratto scaduto, e con altri contratti in scadenza nella prima metà di quest’anno, tra cui quello dei metalmeccanici, si potrebbe arrivare vicino ai 10 milioni.

Benissimo. Ma vorremmo domandare a Landini: come si pensa di arrivare a dei risultati che vadano incontro almeno alle necessità più urgenti dei lavoratori? Quali rivendicazioni? Quali metodi di lotta?

Facciamo un esempio per essere più chiari. In Gran Bretagna a fronte del collasso del sistema sanitario nazionale (un tempo modello e vanto del Regno Unito), il sindacato ha appena finito di condurre uno sciopero di 6 giorni consecutivi dei medici specializzandi, rivendicando un aumento salariale del 35%. Giustamente i medici e il sindacato sottolineano che si tratta non solo di recuperare quanto perso nei salari reali e di retribuire degnamente i medici, ma anche di un modo per difendere il servizio sanitario per gli utenti. Tanto sono peggiorate infatti le condizioni di lavoro che c’è una vera e propria fuga del personale verso altre occupazioni, fatto che mette a rischio la stessa tenuta del servizio pubblico. E in Italia? In Italia, mentre medici e infermieri mettono letteralmente a rischio la salute e la vita nei pronto soccorso e mentre le ASL tentano disperatamente di coprire i buchi nell’organico assumendo medici a chiamata a prezzi folli, la CGIL rimane in un immobilismo imbarazzante. E sono i sindacati corporativi a convocare scioperi, anche con forti adesioni del personale.

Per quanto spiacevole la realtà va guardata in faccia: senza una vera e propria rivolta dal basso, nei luoghi di lavoro, e senza una lotta sistematica per cambiare questa linea sindacale e questi dirigenti fallimentari, la classe lavoratrice è destinata a subire nuovi e più duri attacchi sia dal governo che dal padronato. La condizione economica non lascia spazio ad altre politiche economiche che queste.

È questa la discussione che sarà posta al centro della quarta Assemblea di Giornate di Marzo, area di alternativa nella CGIL, convocata a Bologna sabato 20 gennaio. In tutti questi mesi GdM è intervenuta sistematicamente da un lato criticando puntualmente la linea fallimentare dei dirigenti della CGIL, ma anche impegnandosi attivamente nei luoghi di lavoro per promuovere una partecipazione consapevole alle manifestazioni e agli scioperi, avanzando il proprio programma alternativo. Non ci appartiene la logica di chi critica da bordo campo.

L’Assemblea nazionale, che viene preparata da decine di assemblee locali sulla base di un documento scritto, dovrà fare un bilancio di questi mesi di lavoro ma soprattutto tracciare un piano di iniziativa per il futuro.

Abbiamo di fronte vertenze importanti e non solo sui contratti. La situazione del gruppo Stellantis vede le fabbriche italiane ai margini del processo di transizione all’auto elettrica; altre crisi industriali e occupazionali possono riesplodere, a partire dalla questione ex-ILVA. Delle lotte nella logistica riferiamo in un altro articolo in questo giornale.

In tutte queste battaglie ci porremo in prima linea con il nostro programma e le nostre proposte, consapevoli che sotto la crosta dell’immobilismo burocratico ci sono migliaia di lavoratori e lavoratrici che cercano un’alternativa, che comprendono la necessità di lottare e che saranno la prima linea delle battaglie future.

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