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CGIL: se si lotta, facciamolo sul serio! Convocati i primi scioperi regionali

Lo scorso 18 ottobre si è riunita l’Assemblea Generale, organismo dirigente nazionale della CGIL, per discutere sulla legge di bilancio del governo Meloni e come proseguire la mobilitazione dopo la manifestazione che a Roma ha visto in piazza oltre 100mila lavoratori il 7 ottobre.

Nonostante il giudizio negativo sulla manovra del governo e sulla situazione sociale in Italia, ne è scaturita una decisione generica di convocare scioperi, senza specificare date né rivendicazioni chiare.

Successivamente sono stati convocati scioperi di 8 ore su base regionale, dei quali ancora non è stato pubblicato il calendario (le date sono state definite dopo la pubblicazione dell’articolo, le indichiamo nel riquadro, ndr)

Per quanto sia positivo che si passi dalle manifestazioni di sabato a convocare degli scioperi, siamo ben lontani dal mettere in campo una seria strategia di mobilitazione generale, necessaria sia per sbloccare i rinnovi dei contratti nazionali che contro le politiche del governo.

Pubblichiamo l’intervento critico di Mario Iavazzi che ha così motivato il suo voto contrario a nome dell’area alternativa Giornate di marzo. I materiali completi sono reperibili su www.giornatedimarzo.it.

Ho apprezzato nel dibattito gli interventi che hanno riportato al centro la questione salariale e anche i richiami alla coerenza al riguardo. Tuttavia mi sembra di vedere una certa superficialità anche a proposito delle sentenze della magistratura su diversi contratti nazionali sottoscritti anche dalla nostra organizzazione, che collocano milioni di lavoratori al di sotto del salario minimo.

 

3,5 milioni di lavoratori sotto il salario minimo

Quei 3,5 milioni di lavoratori e lavoratrici che stanno al di sotto della soglia di un salario minimo sono la misura di una politica contrattuale che fa acqua da tutte le parti, fallimentare. Altro che difesa del sistema attuale! È un risultato chiaro ed evidente che questa politica contrattuale non dà le risposte necessarie. Dichiarare che in alcuni settori o categorie facciamo fatica ad ottenere dei risultati non risponde al ruolo e al compito di un sindacato, ossia quello di unificare le lotte e fare sì che i lavoratori più deboli abbiano la possibilità di unirsi a quei settori che hanno maggior potere contrattuale, in modo che anche loro possano avanzare in termini di diritti e di salario.

Non è più il tempo delle mezze verità. Dire – giustamente – che sul tema salariale ci deve essere una coerenza e quindi dire che gli aumenti nei rinnovi dei contratti devono recuperare quanto perso in questi anni con l’inflazione, che come è stato ricordato ha significato una perdita di potere d’acquisto del 17-20%, richiede una proposta coerente. Ossia che dobbiamo rivendicare aumenti corrispondenti, partire da una richiesta attorno ai 300 euro mensili per recuperare quanto perso. Ripeto, dire questo è solo un’operazione di coerenza di fronte alla tragedia che stanno vivendo i lavoratori in questa fase, ossia che i loro salari diventano salari da fame.

Questo punto deve stare nelle piattaforme, e su questo ci deve essere il pieno coinvolgimento dei lavoratori per costruire nuove piattaforme che rispondano pienamente a questo tema.

L’obiettivo quindi della prossima fase della mobilitazione dovrebbe essere di unire la lotta contro le politiche del governo alla lotta per i rinnovi contrattuali. Non possono essere due cose separate.

Oggi si parla di lottare contro le politiche del governo, ma i padroni ce li siamo dimenticati! Che poi sono gli stessi che stanno facendo fior di profitti.

 

Ci vuole una stagione di lotte!

Anche dire che la mobilitazione non si fermerà con la legge di bilancio da un lato è dire una cosa scontata, ma rischia di essere un alibi, un modo per dire che siccome la mobilitazione deve essere lunga, allora partiamo piano. Lo stesso discorso si è fatto nel dicembre del 2022 e nel dicembre del 2021, quando si diceva che la mobilitazione contro quelle leggi di bilancio probabilmente non avrebbe portato al risultato, ma comunque sarebbe proseguita a lungo. Invece non si è visto nulla se non alcune manifestazioni, e nessun risultato.

Quindi il punto centrale è l’efficacia delle lotte. La questione non è solo la data dello sciopero generale, o se lo sciopero è fatto su base regionale o nazionale (tra l’altro non è detto che l’uno escluda l’altro). Il punto è: se pensiamo che sia necessaria una stagione di lotte, che questa sia! Che ci sia quindi un’articolazione delle lotte sul livello territoriale, delle categorie, e uno sciopero generale che non sia oltre la metà di novembre.

L’autunno di quest’anno dovrebbe essere il momento in cui il protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori, oltre che dei giovani e dei pensionati, entra effettivamente nello scenario politico del paese. E sempre a proposito dell’efficacia e della rilevanza delle lotte, dobbiamo guardare anche a livello internazionale. Quanto sta avvenendo negli Stati Uniti con le lotte nel settore dell’automotive (e proprio ieri Stellantis denunciava una perdita di 40 milioni di dollari al giorno per gli scioperi) è un esempio anche per noi e su quella traccia dobbiamo muoverci per sviluppare sì una stagione di lotte, ma che risponda ai bisogni di oggi dei lavoratori e raccolga la loro disponibilità a mobilitarsi. Disponibilità che abbiamo avuto modo di vedere nella manifestazione nazionale del 7 ottobre a Roma.

3 novembre 2023

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