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27 Marzo 2021Il primo sciopero nazionale dei lavoratori di Amazon proclamato per lunedì 22 Marzo ha ottenuto un importante successo di partecipazione. L’adesione è, obiettivamente, difficilmente misurabile. La grande azienda di Seattle, nota per il suo atteggiamento antisindacale, in quella giornata ha messo a riposo molti rappresentanti sindacali e attivisti che, nei dati ufficiali, non sono considerati tra le adesioni allo sciopero, ma sono stati parte attiva nella sua riuscita.
Al di là dei numeri, lo sciopero è stata la prima importante occasione nella quale i lavoratori, nella maggior parte giovani, sono stati protagonisti della lotta contro l’azienda che in questi anni ha macinato profitti. Tante sono le testimonianze di acquirenti di prodotti Amazon che in quella giornata non hanno ricevuto i prodotti acquistati o che sapevano già preventivamente che la merce sarebbe arrivata a destinazione il giorno dopo.
Per la prima volta, il sindacato e i lavoratori a livello nazionale, hanno provato a rispondere all’arroganza e l’autoritarismo della multinazionale con il conflitto.
Come è stato importante poter misurare la simpatia e la solidarietà che l’annuncio della mobilitazione ha suscitato tra tanta gente che quotidianamente acquista online i prodotti venduti da Amazon. Tanti sono gli episodi di solidarietà individuali e collettivi che hanno preceduto lo sciopero. Dei delegati e dei lavoratori di Ups, che hanno invitato i lavoratori Amazon alle loro assemblee prima del 22, e minacciato l’azienda di proclamare sciopero assieme ai lavoratori Amazon se Ups avesse movimentato il giorno dello sciopero pacchi aggiuntivi ai volumi normali, abbiamo già ampiamente parlato. Ups il 22 marzo non ha movimentato un solo pacco in più dei suoi standard normali. Ma possiamo parlare anche dei tanti delegati di altre categorie che hanno inviato comunicati ai lavoratori Amazon in sostegno alla loro lotta, metalmeccanici, commercio, anche lavoratori della sanità, oppure dei tanti clienti, molti giovani che sono andati ai cancelli dei magazzini durante i presidi.
Tantissima gente ha seguito ai telegiornali e sul web lo sciopero, perché tantissimi si sono immedesimati con quello che questa lotta rappresenta, la palese ingiustizia che viviamo in questo sistema che la pandemia ha amplificato, da un lato Bezos seduto su una montagna di soldi, il fondatore del gruppo che ha visto il suo patrimonio aumentare tra marzo e ottobre 2020 da 113 a 192 miliardi di dollari, dall’altra padri e madri di famiglia che si ammazzano di lavoro per portare a casa quattro soldi.
Per molti lavoratori, in realtà, non è stato il primo sciopero perché in diverse sedi, Castel Sangiovanni (Pc), Vigonza (Pd), Prato, Pisa, Torrazza (To), per citare i casi più recenti, c’erano già stati scioperi e iniziative di lotta dal carattere locale in particolare negli ultimi 12-18 mesi. Lo sciopero nazionale del gruppo composto da circa 9500 addetti, compresi i tanti nuovi assunti (circa 2600 nel 2020) e una parte consistente di lavoratori precari, ha però dato un senso di forza e di compattezza mai visti prima nel gruppo che, se organizzata in una battaglia di lungo respiro, potrebbe sconfiggere anche una multinazionale come questa. Un’attività, quella di Amazon, attorno alla quale operano circa 40mila lavoratori in cooperative più o meno grandi, dell’indotto, e del sistema di appalti e subappalti.
In quasi tutte le sedi si sono organizzati presidi fin dall’alba per impedire che i furgoni uscissero a distribuire i pacchi. Nella maggioranza di questi magazzini almeno fino a mezzogiorno non è uscito un solo pacco. Lunghe erano le file di furgoni bloccati.
Il clima ovunque era molto positivo e molto combattivo. I lavoratori erano molto aperti alla discussione e più che mai desiderosi di confrontarsi e di raccontare le loro esperienze e denunciare le proprie condizioni di lavoro. Si sono creati più volte piccoli gruppi di discussione e uno straordinario interesse ad approfondire l’analisi e le proposte inserite nel volantino in sostegno allo sciopero, diffuso, in migliaia di copie, dalla nostra area di alternativa in Cgil “Giornate di Marzo”.
Tanta era la rabbia per i ritmi massacranti, turni inumani, orari impossibili, algoritmi folli e le forti pressioni per rispettare tempi impossibili che costringono gli autisti a non rispettare il codice della strada. Tante erano le storie di sfruttamento e soprusi che spingono gli autisti ad arrivare anche a 200 consegne nel turno di 9 ore giornaliere. Lo stesso lavoro domenicale è causa di forte malessere così come per il salario non adeguato.
Tantissimi drivers di cooperative, in stragrande maggioranza precari, erano contenti che ci fosse lo sciopero e che erano “costretti” a rimanere fuori dai cancelli.
La cosa che sicuramente era più discussa nei presidi era che questa lotta non era la lotta solo di Amazon, ma riguardava tutti, perché tutte le multinazionali della logistica vorrebbero abbassare le condizioni dei propri lavoratori a quelle in Amazon. Per questo c’era anche una certa aspettativa per il fatto che il sindacato aveva convocato lo sciopero del settore per fine marzo.
Ancora più entusiasmo si percepiva quando nelle discussioni si citava lo sciopero dei riders proclamato per il prossimo 26 marzo per la conquista di un contratto nazionale.
Nella sede di Castel San Giovanni i delegati della Cgil hanno inviato un messaggio di solidarietà ai colleghi in Alabama che stanno portando avanti una battaglia per la sindacalizzazione. Il testo era questo “Noi lavoratori e delegati del sito MXP5 di Castel San Giovanni oggi in sciopero, come tutti i colleghi degli altri magazzini e delivery in Italia, siamo al fianco e sosteniamo la lotta di lavoratori e lavoratrici Amazon in Alabama.” I lavoratori hanno scritto “From Piacenza to Alabama, One Big Union” sui cancelli di Amazon.
Insomma una grande giornata di lotta dove però è emerso anche un grande punto debole, la direzione sindacale. Troppo separata dai lavoratori i giorni precedenti la rottura, troppe esitazioni i giorni tra la rottura delle trattative, avvenuta il 12 marzo e lo sciopero. E soprattutto troppo concentrata sul richiedere ad Amazon di tornare al tavolo, quando invece sappiamo che l’unica musica che Amazon ascolta è quella del portafoglio. Se gli crei un danno torna a più miti consigli, se non sei in grado di metterla in difficoltà scatena una repressione sindacale ancora più dura.
Il 22 marzo Amazon ha sicuramente subito un danno in termini di volumi consegnati, ma un danno ancora limitato. Serve quindi un piano, una strategia che sappia mettere in difficoltà l’azienda, senza che questa si scarichi sui lavoratori giorno per giorno, e questa strategia la devono discutere i lavoratori con il sindacato che deve mettere a disposizione, strutture, organizzazione e i delegati delle altre aziende per proseguire la lotta.