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A proposito del Fronte unico

Questo discorso fu pronunciato da Trotskij in una riunione dell’esecutivo dell’Internazionale comunista il 26 febbraio 1922. Il tema affrontato era stato dibattuto nel III Congresso dell’Ic che era stato celebrato l’estate precedente: chiusa la fase di ascesa rivoluzionaria seguita alla Prima guerra mondiale, i comunisti si trovavano ora di fronte al compito di conquistare le masse in un contesto in cui questo voleva dire sottrarle all’influenza dei partiti riformisti. Contro chi si limitava ad accusare i riformisti di tradimento, Trotskij sosteneva la tattica del fronte unico: incalzare i dirigenti riformisti con proposte e rivendicazioni per la lotta di classe per mostrare agli occhi delle masse proletarie come solo una conseguente politica rivoluzionaria potesse difendere i loro interessi.

di Lev Trotskij

Compagni, ieri non ho assistito alla seduta; ho letto, però, con attenzione i due discorsi che sono, fondamentalmente, contrari alla tattica definita dall’esecutivo: i discorsi dei nostri compagni Terracini e Daniel Renoult.1
Sono d’accordo con il compagno Radek, quando dice che il discorso del compagno Terracini non è che una nuova edizione, e neppure molto migliorata, devo ammetterlo, delle obiezioni che aveva presentato ad alcune nostre tesi del III Congresso.2 Adesso, la situazione è cambiata. Al III Congresso ci trovavamo di fronte al pericolo che il Partito comunista italiano o altri si impegnassero in azioni che avrebbero potuto essere molto dannose. Ora, piuttosto, esiste un altro pericolo: il pericolo che essi non partecipino ad azioni che possono e devono essere molto vantaggiose per il movimento operaio.
Si può sempre dire che questo pericolo negativo non è così grave come il pericolo positivo. Sì, però il momento è un fattore importante in politica, e se lo si lascia sfuggire, questo momento viene sempre utilizzato da altri contro di noi. Il compagno Terracini dice: “Naturalmente noi siamo per l’azione delle masse e per la conquista delle masse”. È quanto ripete sempre nel suo discorso. D’altra parte, però, “noi siamo per la lotta generale del proletariato, e contro il fronte unico, nel senso precisato dall’Esecutivo”.
Il fatto stesso, compagni, che un rappresentante del partito proletario, affermi e ripeta sempre: Noi siamo per la conquista della maggioranza del proletariato, noi siamo per questa parola d’ordine: Alle masse!”, appare come un’eco un po’ tardiva delle discussioni del III congresso, quando si credeva imminente la rivoluzione, quando i sentimenti del proletariato, sentimenti nati dalla guerra e molto generici – per la Rivoluzione russa e la rivoluzione in generale – sembravano sufficienti per condurre alla rivoluzione. Ma gli eventi hanno dimostrato che questo giudizio non era esatto. Al tempo del III congresso avevamo discusso, avevamo detto: “No, adesso comincia una nuova tappa; la borghesia, attualmente, è, se non completamente stabile, almeno abbastanza stabile sulle sue gambe per obbligarci, noi, comunisti, a conquistare anzitutto la coscienza dei lavoratori”.

Come conquistare le masse?

 Oggi il compagno Terracini continua a ripetere: “Noi siamo per l’azione che deve conquistare le masse”. Naturalmente, però, siamo già collocati a un livello più elevato e ora discutiamo sui metodi per conquistare le masse durante l’azione. A proposito di questo problema – come conquistare queste masse? – i partiti comunisti si trovano raggruppati, del tutto naturalmente, logicamente, in tre grandi categorie: i partiti che sono appena all’inizio dei loro successi e che, come organizzazioni, non possono ancora assumere un ruolo importante nell’azione immediata delle masse. Naturalmente questi partiti hanno un grande avvenire, come tutti gli altri partiti comunisti; oggi, però, essi non possono incidere molto sull’azione delle masse proletarie, perchè non hanno molti militanti. Allora questi partiti devono, per il momento, lottare per conquistarsi una base, una possibilità di influenzare il proletariato durante l’azione (da questa situazione esce con un successo sempre crescente il nostro partito inglese).
D’altra parte, ci sono dei partiti che controllano completamente il proletariato. Credo che il compagno Koralov abbia ragione quando dice che è il caso della Bulgaria. Che cosa significa questo? Significa che la Bulgaria è matura per la rivoluzione proletaria, ma che le condizioni internazionali gliela impediscono. Allora, naturalmente, per una situazione simile, la questione del fronte unico non si presenta affatto o quasi.
In Belgio, per esempio, e in Inghilterra, essa si presenta come una lotta per conquistare una posizione nel fronte proletario, per influenzare il proletariato, per non venire esclusi dal suo movimento.
Fra questi due poli estremi, ci sono i partiti che rappresentano una forza, non solo una forza di idee, ma una forza numerica, una forza in quanto organizzazione, ed è già il caso della maggior parte dei partiti comunisti. La loro forza può essere un terzo dell’avanguardia organizzata, un quarto, anche la metà, un po’ più della metà, questo non cambia la situazione, in generale.
Qual è il loro compito? Conquistare la maggioranza del proletariato. A quale fine? Per condurre il proletariato alla conquista del potere, alla rivoluzione. Quando verrà questo momento, non lo sappiamo. Supponiamo fra sei mesi, supponiamo fra sei anni, forse su questa scala: fra i sei mesi e i sei anni, nei differenti paesi. Teoricamente, però, non è escluso che questo periodo preparatorio possa durare ancora più a lungo. Allora, domando: che cosa facciamo, noi, in questo periodo?
Lottiamo sempre per conquistare la maggioranza, la coscienza della totalità del proletariato. Ma questa non è la situazione, né oggi e neppure domani; per il momento, noi siamo il partito dell’avanguardia del proletariato. Ebbene, è necessario che la lotta di classe si arresti, per attendere il momento in cui avremo conquistato la totalità del proletariato? Ecco la domanda che pongo al compagno Terracini, e anche al compagno Renoult. La lotta proletaria per il pane cessa aspettando il momento in cui il partito comunista, sostenuto dalla totalità della classe operaia, possa conquistare il potere? No, essa non cessa, continua. Gli operai che sono nel nostro partito, oppure quelli che ne stanno fuori, come gli operai che stanno nel partito socialdemocratico o al di fuori di esso, sono più o meno disponibili – ciò dipende dal momento e dalla situazione e del proletariato – ma sono in grado di lottare per i loro interessi immediati e la lotta per i loro interessi immediati, in questa epoca di grande crisi imperialista, è sempre l’inizio di una lotta rivoluzionaria. Questo è molto importante, ma qui è solo una parentesi.

Azioni immediate

Ebbene, gli operai che non entrano nel loro partito e che non comprendono il nostro partito – ed è il motivo per cui non vi entrano – vogliono avere la possibilità di lottare per il pezzo di pane, il pezzo di carne. Essi vedono il Partito comunista e il Partito socialista, e non comprendono perché essi si sono separati; essi aderiscono alla Cgt riformista, al Partito socialista in Italia, ecc. oppure sono al di fuori del partito. Ed ecco, essi dicono che queste organizzazioni, o meglio queste sette – non so come le chiamino nel loro linguaggio, questi operai semicoscienti – essi dicono: “Ci si dia la possibilità di lottare per l’oggi!”. Non possiamo rispondere loro: “Ma ci siamo separati per preparare il vostro futuro, il vostro grande dopodomani”. Essi non comprenderebbero, perché sono completamente assorbiti dal loro “oggi”, perché se potessero comprendere questo argomento, per essi del tutto teorico, sarebbero entrati nel partito. Trovandosi in questo stato d’animo e vedendo davanti a se differenti organizzazioni sindacali e politiche, essi sono disorientati; si trovano nell’impossibilità di preparare un’azione immediata, per quanto parziale, per quanto piccola essa sia. Allora arriva il partito comunista, che dice loro: “Amici miei, ci siamo separati. Voi credete  che sia uno sbaglio; posso spiegarvene le ragioni. Voi non le comprendete ? Mi dispiace per questo, noi però adesso esistiamo, noi, comunisti e socialisti, e accanto a noi ci sono i sindacalisti riformisti e i sindacalisti rivoluzionari; esistiamo come organizzazioni indipendenti per delle ragioni che noi, comunisti, troviamo del tutto legittime; malgrado tutto però, noi comunisti vi proponiamo un’azione immediata per il vostro pezzo di pane: noi ve la proponiamo, a voi e a i vostri dirigenti, a ogni organizzazione che rappresenti una parte del proletariato”. È completamente interno alla psicologia delle masse, alla psicologia del proletariato, e io affermo che i compagni i quali, con passione – il che si spiega benissimo con l’importanza, con la gravità del problema – protestano contro questo, esprimono molto più il processo doloroso della loro recente separazione con i riformisti, con gli opportunisti, che la mentalità della grande classe proletaria. Perché io comprendo benissimo che per un giornalista che si trovava nella stessa redazione de l’Humanité – mettiamo con Longuet3 – che si è separato da lui con grande difficoltà, rivolgersi nuovamente a Longuet dopo questo fatto, proporgli di dialogare con lui, è una difficoltà psicologica, è una difficoltà morale. Quanto alla classe proletaria, però, quanto alla massa francese, ai milioni di operai francesi essi non si curano affatto di queste cose – disgraziatamente, forse – perché essi non appartengono al partito. Quando, però si dice loro: “noi, comunisti prendiamo adesso l’iniziativa dell’azione di massa per il vostro pezzo di pane”, chi condanneranno gli operai in questo caso? L’Internazionale comunista, il Partito comunista francese? No, mai.

Obiezioni al fronte unico

Per dimostrarvi, compagni, che questa mentalità che si fa strada in Francia, soprattutto in Francia, non è il riflesso della mentalità della classe operaia, ma rappresenta un’eco tardiva di un aspetto del vecchio partito, da una parte, e il penoso processo di separazione dall’altra, per dimostrarvi questo vi citerò alcuni articoli…Me ne scuso, i compagni francesi ironizzano un poco sulla nostra mania per le citazioni; uno di essi ha fatto delle osservazioni molto spiritose sulla vastità della nostra documentazione, ma non ci resta altro, naturalmente; le citazioni sono i fiori appassiti del movimento operaio, ma se si conosce un poco la botanica e se inoltre si è visti degli esemplari nei campi, sotto il sole, si ha, anche dinanzi ad esemplari appassiti, un’idea del movimento.
Vi citerò un compagno molto conosciuto in Francia, è il compagno Victor Méric. Egli rappresenta, più o meno, l’opposizione contro il fronte unico, in una forma comprensibile per tutti; egli la volgarizza nella sua maniera umoristica. Ecco quello che dice – sembra una facezia e, secondo me, una facezia di cattivo gusto; ma bisogna prenderla per quello che è:
“Se facessimo fronte unico con Briand?4 Dopotutto, Briand non è che un dissidente, un dissidente della prima ora, un dissidente precursore; egli però fa sempre parte della grande famiglia” (Journal du peuple, 13 gennaio).
Così nel momento in cui l’Esecutivo dice: “Voi, partito francese, non rappresentate che una parte della classe operaia; bisogna cercare l’occasione di un’azione comune delle masse”, la voce di Parigi risponde: “Ma se facessimo fronte unico con Briand?”.
Si può dire: si fa dell’ironia, e la si fa su un giornale specializzato in questo genere di facezie: il “Journal du peuple”. Ma ha una citazione dello stesso autore dall’Internationale5 – ed è infinitamente più grave – in cui egli dice testualmente:
“Che mi si permetta di porre un’unica domanda – oh, senza la minima ironia”… (È Victor Méric che lo precisa: “Senza la minima ironia”).

INTERRUZIONI – Per una volta!… non accade spesso.

“Che mi si permetta di porre un’unica domanda – oh! senza la minima ironia. Se questa tesi viene accettata in Francia e se domani il ministro Poincaré-la-Guerra,6 rovesciato, farà posto a un gabinetto Briand-Viviani,7 fautore risoluto della pace, del disarmo, dell’accordo fra i popoli e del riconoscimento dei soviet, non sarà necessario che i nostri eletti al Parlamento consolidino, con il loro voto, la posizione di questo governo borghese? E se – tutto accade! – venisse offerto un portafoglio a uno dei nostri, egli dovrebbe rifiutarlo?” (L’internationale, 22 gennaio).
Sta scritto – oh! senza la minima ironia! – Non sul Journal du peuple, bensì su L’internationale, il giornale del nostro partito. Così per Victor Méric, non si tratta dell’unità d’azione del movimento operaio, ma delle relazioni di Victor Méric con questo o quel dissidente, dissidente della vigilia o dell’antivigilia. Come si vede è un argomento preso nell’ambito della politica internazionale. Nel caso in cui un governo Briand fosse disposto a riconoscere i soviet, l’Internazionale di Mosca ci imporrà la collaborazione con questo governo?
Il compagno Terracini non ha parlato proprio come il compagno Méric; anch’egli però ha parlato dello spettro di un’alleanza tra tre potenze: le potenze numero tre, due e due e mezzo8 – la Germania, l’Austria e la Russia. È un po’ sullo stesso piano.
Il compagno Zinoviev ha detto nel suo discorso alla seduta plenaria, e io l’ho detto anche alla commissione, ci sono dei compagni che cercano, nelle nostre opinioni o “deviazioni”, delle “ragioni di stato”. Non sarebbero i nostri errori di comunisti, sarebbero i nostri interessi di uomini di Stato russi, che ci spingerebbero a ricorrere a questa o a quella tattica. È precisamente l’accusa sottintesa di Victor Méric.

Critiche, non insinuazioni

Bisogna ricordarsi dei nostri dibattiti al III congresso. È stato ricordato che in Germania gli avvenimenti di marzo9 venivano interpretati dalla destra, e soprattutto dai lacchè della destra, come il risultato di un suggerimento di Mosca, per salvare la posizione compromessa dei Soviet.
Ora, al III Congresso, quando si sono condannati taluni metodi impiegati nel corso di quegli eventi, è l’estrema sinistra (Kapd10) che ha preteso che il Governo dei soviet si dichiarasse contro questo movimento rivoluzionario e che rinviasse per un certo periodo la rivoluzione mondiale, al fine di poter allacciare rapporti commerciali con la borghesia occidentale.
Adesso si ripete la stessa cosa a proposito del fronte unico.
Compagni, l’interesse della repubblica dei soviet non può essere altro che l’interesse del movimento rivoluzionario mondiale. Se questa tattica è nociva per voi, fratelli francesi, o per voi, fratelli italiani, essa è assolutamente nociva per noi. Se credete che noi siamo talmente assorbiti o ipnotizzati dalla nostra posizione di uomini di Stato da non poter più comprendere le necessità del movimento operaio, allora bisogna introdurre un paragrafo nello statuto dell’Internazionale il quale dica che un partito che è giunto alla misera posizione di aver conquistato il potere deve essere escluso dall’internazionale operaia. (Risate).
A questo punto vorrei dire che invece di rivolgerci simili accuse, che non sono accuse formali, bensì insinuazioni affiancate agli elogi più o meno rituali della Rivoluzione russa, ci si criticasse ancor di più. Se il comitato direttivo del partito ci mandasse una lettera dicendo: “Adesso state conducendo una nuova politica economica. State in guardia! Attenti a non rompervi il collo! State andando troppo lontano sul terreno delle relazioni capitalistiche”. Oppure se la delegazione francese ci dicesse: “Abbiamo assistito alla parata. Avete copiato troppo fedelmente i vecchi metodi dell’esercito: ciò può influenzare negativamente la gioventù operaia”. Oppure se, per esempio, diceste: “La vostra diplomazia è troppo “diplomatica”, essa rilascia interviste, commenti che ci possono essere di ostacolo in Francia”. Che voi ci critichiate apertamente, mettendo i puntini sulle i: ecco le vere relazioni che desideriamo vedere stabilirsi fra di noi. Ma non in questa maniera detestabile, che procede per allusioni. Tutto questo sta tra parentesi.

L’argomento sentimentale

In Victor Méric, oltre all’argomento di politica internazionale, è presente l’argomento di ordine sentimentale: “Così, il prossimo 15 gennaio, quando ricorderemo i due martiri,11 non sarà decente venirci a parlare dell’unità con gli amici degli Scheidemann, dei Noske, degli Ebert e degli altri assassini dei socialisti e dei lavoratori” (L’internationale, 8 gennaio 1922).
Naturalmente è un argomento che può influenzare moltissimo dei lavoratori molto semplici, dotati di un sentimento rivoluzionario, ma senza un’educazione politica sufficiente, senza un’educazione rivoluzionaria sufficiente. Il compagno Zinoviev ne fa cenno nel suo discorso, e il compagno Thalheimer ha detto: “Compagni, se si hanno delle ragioni sentimentali per non sedersi allo stesso tavolo con uomini della seconda internazionale e dell’internazionale due e mezzo,12 queste ragioni sono valide, soprattutto per noi tedeschi. Ma come è possibile che un comunista francese esprima un’affermazione la quale significa che i comunisti tedeschi non possiedono questo sentimento rivoluzionario, quest’odio contro i traditori e gli assassini della seconda internazionale?”. Io credo che il loro odio non sia minore dell’odio letterario, giornalistico di Victor Méric. Ma, per essi, la tattica del fronte unico è un’azione politica e non una riconciliazione con i dirigenti socialdemocratici.
Il terzo argomento è il seguente, ed è più o meno decisivo. Lo troviamo in un articolo del medesimo autore: “La Federazione della Senna ha appena preso una decisione su questi gravi problemi: essa respinge, a larga maggioranza il fronte unico. Ciò significa, semplicemente, che a un anno di distanza essa non intende contraddirsi. Ciò vuol dire che dopo aver acconsentito a quella dolorosa operazione che fu la scissione di Tours, essa si guarda bene dal voler rimettere tutto in discussione, si rifiuta di rivolgersi alle persone da cui ci siamo separati” (L’Internazionale, 22 gennaio 1922).
Ecco come viene presentato il fronte unico, come un ritorno alla situazione di prima di Tours. E Fabre, l’ospitale Fabre,13 dichiara di essere completamente d’accordo con la tattica del fronte unico, con un’ unica osservazione: “Perché, allora, aver distrutto a colpi di revolver l’unità socialista e operaia?”.
Così viene intesa la questione. Con questa maniera di presentarla, poiché fronte unico significa ritornare alla situazione di prima di Tours, in concreto è la tregua, l’union sacrée  con i dissidenti, con i riformisti. Dopo aver constatato questo fatto fondamentale, si discute sulla tattica da seguire: accettare e rifiutare. Méric esclama: “Mi oppongo, insieme alla Federazione della Senna”, e Fabre: “No, accetto, accetto”.
Compagni, anche in Frossard,14 che naturalmente è un uomo politico di grande valore che tutti conosciamo e che non vede le cose solo sotto il loro aspetto aneddotico, anche in lui non troviamo argomenti più solidi. No, è sempre l’idea della conciliazione con i dissidenti, non si tratta dell’unità del fronte. Ora, ve lo domando, questo problema esiste in Francia, oppure no?
Il partito comunista francese ha 130mila membri; il partito dei dissidenti ha un effettivo debolissimo, e attiro la vostra attenzione sul fatto che i compagni francesi hanno definito “dissidenti” i riformisti. Perché? Per denunciarli di fronte al proletariato come sabotatori del fronte unico – i dissidenti, cioè i socialtraditori –, come la Cgt rivoluzionaria si chiama unitaria per dimostrare che uno dei suoi fini, il suo fine principale, è di garantire al proletariato l’unità d’azione.

La nostra debolezza

Potrei dire che i vostri metodi e le vostre azioni sono superiori agli argomenti che avete impiegato contro la tattica definita dal comitato esecutivo dell’Internazionale comunista. Il partito ha 130mila membri e i dissidenti ne hanno 30mila, 40mila o 50mila. Non importa…

INTERRUZIONI – 15 mila! Presso i dissidenti, le cifre non sono sempre esatte! È molto difficile conoscerle.

È una minoranza, ma una minoranza nient’affatto trascurabile.
Ci sono poi i sindacati. I sindacati, dal canto loro, hanno avuto, anni fa, due milioni di membri. L’hanno affermato – la statistica dei sindacati francesi è al di sopra del loro slancio rivoluzionario – e ora ci sono – ricavo queste cifre dal discorso del compagno Renoult – 300mila aderenti alla Cgt unitaria. L’insieme degli iscritti al sindacato era di 500mila prima della scissione.
Ora, la classe operaia si conta a milioni.
Il partito ha 100mila membri. I sindacati rivoluzionari ne hanno 300mila. I sindacati riformisti ne hanno un po’ più o un po’ meno di 200mila. I dissidenti sono 15mila. Ecco la situazione.
Naturalmente, il partito si trova in una posizione molto favorevole, perché è l’organizzazione politica preponderante, ma nient’affatto dominante. Che cosa rappresenta oggi il partito francese? Il partito francese è il risultato, la cristallizzazione di quella grande spinta rivoluzionaria del proletariato che è nata dalla guerra, grazie all’azione coraggiosa dei compagni che a quell’epoca erano alla testa del movimento. Essi hanno utilizzato questo slancio, questa  spinta della massa, questo sentimento piuttosto generico, ma rivoluzionario, rivoluzionario in modo elementare, essi l’hanno utilizzato per trasformare il vecchio partito e per farne un partito comunista.
Con tutto ciò la rivoluzione non è arrivata. La massa, che aveva la sensazione che la rivoluzione stesse per esplodere dall’oggi al domani, vede che questa non scoppia. Allora, come conseguenza, si ha un certo riflusso, e nel partito rimane l’élite proletaria. Ma la grande massa, dal canto suo, prova un sentimento di ritirata psicologica e rifluisce.
Ciò si concretizza nell’uscita in massa dai sindacati. I sindacati perdono i loro membri. Essi avevano milioni di iscritti che non hanno più, uomini e donne che sono entrati per diverse settimane, per alcuni mesi, e che ne sono usciti. La grande massa proletaria conserva in sé, naturalmente, l’ideale della rivoluzione, ma essa è diventato qualcosa di più vago, di meno realizzabile.
Il partito comunista rimane, con la sua dottrina e la sua tattica. C’è un piccolo gruppo dissidente che ha perduto, in quest’epoca tumultuosa della rivoluzione, ogni autorità.
Ma supponiamo che questa situazione transitoria si mantenga per un anno, per due, per tre anni; ammettiamolo. Noi non lo vogliamo; ma, per raffigurarci la situazione, supponiamo che si abbia una azione generale in Francia. Come si raggrupperanno gli operai? Gli operai francesi, come si comporteranno? Se prendiamo il partito comunista e il partito dei dissidenti, il rapporto è di quattro a uno ma, nella classe operaia, i sentimenti della rivoluzione e i sentimenti vaghi sono forse nel rapporto 1 a 99.

Blocco delle sinistre e fronte unico

Ecco però che la situazione si trascina senza stabilizzarsi e arriva il momento delle nuove elezioni. Che penserà l’operaio francese? Egli dice a se stesso che il partito comunista è forse un buon partito, che i comunisti sono dei bravi rivoluzionari; oggi però, non c’è rivoluzione, si tratta delle elezioni; si tratta di Poincaré,15 dell’ultimo grande tentativo del nazionalismo revanscista, della pace pericolosa, dell’ultimo sussulto della lampada che sta per spegnersi. Dopo di che, che cosa resterà alla borghesia? Il blocco delle sinistre. Ma perché questa combinazione politica abbia successo, bisogna disporre di uno strumento nel seno stesso della classe operaia. Questo strumento è il partito dei dissidenti.
Da parte nostra, disponiamo di un eccellente strumento per la propaganda con l’Humanité, con tutta la nostra stampa, con tutti i nostri organi.
Ma ci sono altri mezzi e noi tentiamo, inoltre, di raggiungere le grandi masse con meeting, con gli eccellenti discorsi dei nostri amici francesi che, lo sapete, non difettano di eloquenza. Arrivano le elezioni. Allora una grande massa di operai francesi ragionerà, verosimilmente nella seguente maniera: “In fin dei conti, un parlamento del Blocco delle sinistre è senz’altro preferibile a un parlamento di Poincaré, del Blocco nazionale”. Sarà questo il momento per i dissidenti di giocare un ruolo politico. Non sono numerosi come organizzazione politica. Certamente. Ma i riformisti, soprattutto in Francia, non hanno bisogno di avere una grande organizzazione. Essi hanno giornali che non sono molto letti, è vero perché la massa più passiva, più disillusa del proletariato non legge; essa è disincantata, attende gli eventi; fiuta quel che è nell’aria senza leggere. Sono gli operai completamente guadagnati alla rivoluzione che vogliono leggere. Dunque, questo piccolo strumento della borghesia, quest’organizzazione dei dissidenti può, in queste condizioni, assumere una grande importanza politica. È nostro compito, allora, combattere in anticipo l’idea del Blocco delle sinistre nel proletariato francese. Questo è un problema importantissimo per il Partito comunista francese. Non dico che questo blocco delle sinistre sarebbe per noi una disgrazia. Anzi, per noi sarebbe un vantaggio, a condizione però che il proletariato non vi collabori.
E se voi, in queste condizioni, senza precisare meglio i metodi, la forma della lettera aperta o chiusa che bisogna spedire al Comitato direttivo se esiste, dei dissidenti; se, senza precisare le forme, li provocate, se smascherate questi alleati della borghesia che attendono, che non vogliono compromettersi troppo adesso, che attendono nel rifugio delle loro redazioni, dei loro club parlamentari, voi avrete ottenuto un grande vantaggio, perché, al momento delle elezioni, questi gruppi dissidenti diventeranno attivissimi, faranno agli operai ogni sorta di promesse. Noi abbiamo il massimo interesse a farli uscire dalla loro tana, dal loro rifugio e a metterli di fronte al proletariato, sulla base dell’azione delle masse. Ecco il problema. Non si tratta affatto di una riconciliazione con Longuet.
Veramente, compagni, è una situazione un po’ comica. Quindici o sedici mesi fa, abbiamo discusso a lungo con i compagni francesi, abbiamo dimostrato loro che era necessario espellere Jean Longuet. I compagni, che a quel tempo restavano esitanti dinanzi alle 21 condizioni, ci dicono oggi: “Voi ci imponete una riconciliazione con Jean Longuet!”. Capisco perfettamente che un operaio parigino, dopo aver letto l’articolo di Victor Méric, ne ricavi un idea tanto folle. Bisogna spiegargli con pazienza il suo errore, dimostrargli che non si tratta di questo, che si tratta innanzitutto di non lasciare che i dissidenti preparino tranquillamente, nel loro rifugio, un nuovo tradimento, che bisogna prenderli per il collo e metterli, con violenza sotto la pressione popolare, davanti al proletariato e obbligarli, questi signori, a rispondere alle domande precise che noi poniamo.

Il perché del fronte unico

Quando sentiamo Terracini dire che noi abbiamo altri metodi d’azione, che noi siamo per la rivoluzione e che essi16 sono, dal canto loro, contro la rivoluzione, noi siamo completamente d’accordo con Terracini. Ma se questo fosse chiaro a tutti gli operai, non sarebbe neppure il caso di discutere del fronte unico. Certo che noi siamo per la rivoluzione e che essi sono contro; il proletariato però non ha capito questa differenza; bisogna dimostrargliela.
Il compagno Terracini risponde: “Ma lo facciamo, ci sono dei nuclei comunisti nei sindacati; i sindacati hanno una grandissima importanza. Noi lo dimostriamo attraverso la propaganda.
La propaganda non verrà vietata da questo discorso: la propaganda è sempre eccellente, essa è la base di tutto. Ma si tratta di combinarla e di adattarla alle nuove condizioni e all’importanza del partito come organizzazione.
Ecco un piccolo incidente che è molto significativo. Il compagno Terracini dice: “Quando abbiamo lanciato il nostro appello per un’azione del proletariato, abbiamo conquistato la maggioranza nelle organizzazioni, con la nostra propaganda”.17
“La maggioranza”… In seguito, la mano delicata dell’autore ha fatto una correzione: “la quasi maggioranza”. Ancora un punto su cui ci troviamo d’accordo. Ma “la quasi maggioranza” in francese vuol dire, mi sembra, la minoranza, e anche in russo.
Compagni, anche la maggioranza non è la totalità.
“Abbiamo la maggioranza: abbiamo con noi i quattro settimi del proletariato”. Ma i quattro settimi del proletariato non è la totalità, e i tre settimi che restano possono benissimo sabotare un’azione di massa. E la quasi maggioranza è soltanto i tre settimi della classe operaia. Grazie alla propaganda abbiamo i tre settimi, ma bisogna ancora conquistare i quattro settimi. Non è una cosa facile, compagno Terracini, e se si crede che riprendendo i metodi che si sono impiegati per conquistare i tre settimi si conquisteranno i rimanenti quattro settimi, ci si inganna, perché quando il partito diventa più grande, questi metodi devono cambiare. All’inizio, quando il proletariato vede questo piccolo gruppo di rivoluzionari intransigenti, che dicono: “Al diavolo, i riformisti! Al diavolo lo Stato borghese!”, esso applaude e dice: “Benissimo!”. Quando però vede che questi tre settimi dell’avanguardia sono organizzati presso i comunisti, e che non c’è un gran cambiamento sul piano delle discussioni, dei meeting, allora si stanca, il proletariato, si stanca e sono necessari metodi nuovi per dimostrare a esso che siccome siamo un grande partito, possiamo partecipare alla lotta immediata.
E per dimostrare questo, è necessaria l’azione unita del proletariato; bisogna garantirla e non lasciarne ad altri l’iniziativa.
Quando gli operai dicono: “Poco ci importa della vostra rivoluzione di domani! Vogliamo dare battaglia oggi per conservare le otto ore di lavoro!”, siamo noi che dobbiamo prendere l’iniziativa dell’unità nella battaglia di oggi.

Sul terreno sindacale

Il compagno Terracini dice: “Non bisogna fare grande attenzione ai socialisti. Non abbiamo nulla a che fare con essi. Bisogna però fare attenzione ai sindacati”. E aggiunge: “Non è una novità. Già al II congresso dell’Internazionale comunista è stato detto forse inconsciamente: la scissione nei partiti politici, ma l’unità nei sindacati”. Non capisco affatto. Ho sottolineato questo passaggio del suo discorso con la matita rossa, poi con la matita blu, per esprimere il mio stupore. “Abbiamo detto, al II congresso, forse inconsciamente”…

TERRACINI – Era nella polemica con Zinoviev… Era ironico; voi non eravate in sala quando ho parlato.

…Mettiamolo dunque da parte: lo spediremo in busta a Victor Méric. L’ironia è suo monopolio.

INTERRUZIONI – Se ne fa anche in Italia, vedete… E anche a Mosca…

Disgraziatamente, poiché ciò mi ha indotto in errore. Non fare la scissione nei sindacati? Che cosa significa? La cosa più pericolosa del discorso del compagno Renoult, che ho letto con grande interesse, e in cui ho trovato cose molto istruttive per comprendere lo stato d’animo del Partito comunista francese, è la sua affermazione che, in questo momento, noi non abbiamo nulla a che vedere non solo con i dissidenti del partito, ma neppure con la CGT riformista.18 Ecco chi è che fornisce un appoggio inatteso agli anarchici più maldestri, mi permetto di dirlo, della CGT unitaria.
Voi, nel movimento sindacale, avete applicato precisamente la teoria del fronte unico; l’avete applicato con successo, e se adesso avete 300mila aderenti a paragone dei 200mila di Jouhaux, è, ne sono sicuro, per metà grazie alla tattica del fronte unico, perché nel movimento sindacale, dove si tratta di riunire i proletari di tutte le opinioni, di tutte le tendenze, c’è la possibilità di lottare per gli interessi immediati. Se volessimo fare una scissione nei sindacati in base alle tendenze, sarebbe un suicidio.
Abbiamo detto: “No, questo terreno fa per noi. Poiché siamo indipendenti in quanto comunisti, abbiamo tutta la possibilità di manovrare, di dire apertamente ciò che pensiamo, di criticare gli altri; entriamo nei sindacati con questa consapevolezza e siamo sicuri che la maggioranza sarà con noi, entro uno spazio di tempo determinato”.
Jouhaux ha visto che il terreno gli sfuggiva. Il nostro pronostico era interamente esatto. È necessaria l’unità d’azione. Era la nostra tattica. Voi stessi l’avete spiegato dicendo: “Quando Jouhaux ha cominciato la sua manovra di scissione, i rivoluzionari lo hanno denunciato davanti alla massa come il distruttore dell’unità sindacale”. Naturalmente, questo è il senso della teoria del fronte unico. Lottando contro i riformisti, i dissidenti, come voi li avete chiamati, i sindacalisti riformisti e i patriottardi ecc., è necessario gettare su di essi la responsabilità della scissione, è necessario spingerli sempre, obbligarli a pronunciarsi sempre sulla possibilità di un’azione di lotta di classe, è necessario metterli nell’obbligo di dire apertamente “no” davanti alla classe operaia. Se la situazione è favorevole ad un movimento all’interno della classe operaia, bisogna spingerli in avanti. Oggi abbiamo una certa situazione; fra due anni avremo forse la rivoluzione. Nell’intervallo avremo un movimento sempre più profondo della classe operaia. Voi credete che i Jouhaux e i Merrheim19 resteranno dove sono? No, essi faranno un passo, due passi in avanti e, poiché ci saranno operai che non avranno voluto seguirli, ciò provocherà una nuova scissione in mezzo a essi. Noi ne approfitteremo. È una tattica, naturalmente, una tattica di movimento, molto flessibile, ma al tempo stesso assolutamente energica, perché la direzione resta la stessa. Se voi credete, come il compagno Terracini, che quando arriveranno dei grandi eventi l’unità d’azione si realizzerà di per se stessa, noi non lo impediremo. Attualmente, però, non ci sono grandi eventi, e non c’è motivo per cui non se ne tenga conto nelle nostre dichiarazioni sul fronte unico…

TERRACINI – Non ho mai detto questo.

Può darsi che mi sbagli, forse non siete voi che l’avete detto; questo argomento, però, è stato avanzato qui: l’ho letto negli stenogrammi. Si dice: se gli eventi si sviluppano… Ma se non ci sono grandi eventi? Ora io affermo, io credo che sia un assioma che uno degli ostacoli psicologici per il proletariato sia il fatto che esistono molte organizzazioni politiche e sindacali e che esso non ne comprende la ragione: non vede come potrebbe effettuarsi la sua azione. Questo ostacolo psicologico ha una grande importanza, negativa naturalmente; è il risultato di una situazione che non è stata creata da noi, ma noi dobbiamo dare al proletariato la possibilità di comprendere questa situazione. Proponiamo a un’organizzazione questa o quell’azione immediata; è assolutamente nella logica delle cose. E affermo che, se la CGT unitaria adotta la tattica consistente nel trascurare la CGT jouhaussista, questo sarà l’errore più grande che, attualmente, si possa commettere in Francia. Se il partito commette quest’errore, esso sarà schiacciato sotto il suo peso, perché 300mila operai rivoluzionari nei sindacati sono, compagni, un minimo: 300mila operai sono all’incirca il vostro partito, appena raddoppiato con elementi diversi; è tutto. Dov’è il proletariato francese? Voi direte: “Ma non sta neppure con Jouhaux”. È vero. Ma io dico che gli operai che non sono nelle organizzazioni, gli operai più disincantati o i più inattivi, possono benissimo essere attirati da noi, al momento di una crisi rivoluzionaria acuta; però, in un’epoca di ristagno, essi staranno piuttosto dalla parte di Jouhaux, perché che cosa rappresenta Jouhaux? L’apatia della classe operaia. Ecco ciò che rappresenta. Il fatto che voi abbiate soltanto 300 mila operai dimostra che resta ancora non poca apatia nella classe operaia francese.
Inoltre c’è Un altro pericolo. Se la CGT unitaria volta semplicemente le spalle alla Confederazione riformista e se tenta di conquistare le masse con la propaganda rivoluzionaria, essa rischia di commettere errori come ne ha già commessi la minoranza rivoluzionaria. Sapete benissimo che il movimento sindacale e le azioni sindacali sono difficilissime da manovrare; bisogna pensare sempre alle grandi riserve delle masse arretrate, che sono rappresentate da Jouhaux, e se trascuriamo Jouhaux ciò significa che trascuriamo le masse di operai arretrati.

Problema posto: l’incontro delle tre internazionali

C’è un problema urgente: quello della conferenza delle tre Internazionali.20 Compagni, si dice: “Non siamo preparati a questa idea di collaborazione internazionale con coloro che abbiamo denunciato, con quelli della due e della due e mezzo”.
Sì, sarebbe opportuno preparare gli animi a un avvenimento di tale portata. È giusto. Questo problema ha provocato una viva agitazione. Ma quale ne è la causa? E’ la conferenza di Genova, che è giunta anch’essa, molto inaspettatamente.21 Quando abbiamo ricevuto quest’invito personale per il compagno Lenin, esso era assolutamente inatteso. Se questa conferenza verrà convocata veramente, se avrà luogo la conferenza di Genova o di Roma, allora essa stabilirà più o meno il destino del mondo, per quanto la borghesia è in grado di farlo. Si avvertirà nel proletariato la necessità di fare qualcosa. Naturalmente noi, comunisti, solleciteremo ogni azione possibile, con la propaganda, con meeting, con dimostrazioni; ma c’è, non solo in noi comunisti, ma anche negli operai, nell’intera classe operaia, in Germania, in Francia, dappertutto la sensazione, vaga forse, dell’obbligo, della necessità di fare qualcosa per orientare un poco i lavori di questa conferenza, secondo gli interessi del proletariato.
L’Internazionale due e mezzo prende l’iniziativa di una conferenza e ci invita a parteciparvi. Bisogna pronunciarsi; sì oppure no. Se diciamo: Siete dei traditori – questo è già stato detto e ripetuto molte volte, ed è sempre esatto – essi ci dicono: “Noi, quelli della due e mezzo, oggi, vogliamo esercitare una pressione sulla conferenza diplomatica borghese, attraverso la voce del proletariato mondiale; e invitiamo voi comunisti”. E noi rispondiamo: “Siete dei traditori, delle canaglie (baderemo che questa parola venga cancellata dagli stenogrammi) e non verremo”. Naturalmente il nostro uditorio comunista sarà completamente convinto – perché lo è già. Dunque, non abbiamo bisogno di convincerlo di nuovo. Gli altri, però, gli aderenti alle Internazionali due e due e mezzo? Ci sono operai fra di essi? È il solo problema che abbia importanza. Se dite: “No, i menscevichi hanno perduto ogni influenza, dappertutto”, allora io non mi preoccupo della conferenza delle Internazionali due e due e mezzo. Ma ditelo. Nei fatti, gli operai che sostengono le Internazionali due e due e mezzo sono, disgraziatamente, più numerosi di quelli che sostengono la Terza Internazionale.

Che fare?

Il solo fatto cui bisogna prestare attenzione è che Friedrich Adler22 abbia detto, rivolgendosi a noi: “Vi invitiamo a partecipare a una conferenza che si propone di fare pressione sulla borghesia, sulla sua diplomazia”. Allo stesso modo, essi invitano gli operai del mondo intero. Se noi, per tutta risposta, ci limitiamo a ripetere: “Siete dei socialtraditori”, questa sarà una risposta maldestra. Gli Scheidemann, i Friedrich Adler e tutti gli altri si rivolgeranno alla classe operaia e diranno: “Ecco: i comunisti pretendono che noi siamo dei traditori; quando però ci rivolgiamo a essi e li invitiamo a collaborare con noi per un breve periodo di tempo e per un obiettivo preciso, essi rifiutano”. Lo sapete, tengo in riserva la definizione di traditori e di canaglie per dopo e anche durante la conferenza. Ma non è adesso, non è nella lettera di risposta che possiamo dire: “Rifiutiamo, perché siete delle canaglie e dei traditori”. Questa conferenza è assolutamente certa? Lo ignoro. Ci sono dei compagni che sono ottimisti a questo proposito, ce ne sono altri che lo sono meno. Ma se la conferenza non dovesse aver luogo, questo accadrà perché gli scheidemanniani non l’avranno voluto. Allora noi trarremo insegnamento dagli eventi. “Ecco, compagni, diremo, le vostre due e due e mezzo; esse sono incapaci di fare ciò che ci hanno proposto”. E non solo noi, comunisti, saremo applauditi dai nostri compagni, ma anche una parte degli scheidemanniani avrà prestato ascolto e dirà: “C’è qualcosa che non va; è stato proposto un accordo, ma i socialdemocratici tedeschi non l’hanno voluto”. Allora la lotta fra noi e gli scheidemanniani riprenderà. Noi l’avremo condotta su di un terreno più vasto e a noi più favorevole .
Non so, compagni, se si possa rimandare la conferenza; ed è certo che questo non dipende dai nostri desideri. Per preparare l’adesione, sarebbe molto importante. Ma questa conferenza ci viene proposta adesso, prima della conferenza di Genova, e noi dobbiamo dare una risposta.
Se nella Federazione della Senna ci sarà un operaio che esclamerà: “Il mio partito vuole riconciliarsi con Jouhaux! No! Strappo la tessera!”, noi gli diremo: “Caro amico, sei in collera, adesso. Abbi un po’ di pazienza”. E se egli sbatte la porta, noi saremo molto dispiaciuti per la sua partenza, ma l’errore sarà il suo. Alcune settimane, poi, quando leggerà le notizie sulla conferenza di Berlino, quando vedrà che Cachin e i delegati degli altri partiti comunisti vi partecipano, che essi parlano e agiscono da comunisti; che, dopo la conferenza, continua la medesima lotta, ma che i nostri avversari sono più smascherati che prima della conferenza, allora l’avremo convinto, lui e tutti gli altri comunisti, e al tempo stesso il nostro fine verrà raggiunto. Ecco perché credo che dobbiamo rispondere all’unanimità, non con le solite formule rituali, senza mutare nulla, ma rispondere: “Sì, siamo disposti, come rappresentanti degli interessi rivoluzionari del proletariato mondiale, a cercare, davanti a questo nuovo tentativo delle Internazionali due e due e mezzo di ingannare ancora una volta il proletariato, a cercare di aprirgli gli occhi sulla politica criminale di queste due Internazionali”.

Note

1. Daniel Renoult (1880-1958). Giornalista socialista, sostenitore della Terza Internazionale, fondatore del Pcf a Tours. Collaboratore de “l’Humanité”; dirige “L’Internazionale”, quotidiano comunista della sera nel 1921. È stato a lungo sindaco di Montreuil-sous-Bois.
2. Al III Congresso dell’Internazionale comunista, Terracini, rappresentante del Pcd’I che era appena nato dalla scissione di Livorno, si era fatto portavoce delle “teoria dell’offensiva” sostenuta dagli avversari della “svolta verso le masse” difesa da Lenin e Trotskij. Il suo intervento gli procurò una forte replica di Lenin nel corso della seduta del primo luglio.
3. Jean Longuet (1876-1938). Nipote di Marx. Collaboratore de “l’Humanité”. Fu tra i socialriformisti esclusi dal’Ic e quindi dal Pcf a Tours (dicembre 1920).
4. Aristide Briand (1862-1932). Militante rivoluzionario; giornalista e deputato socialista. Dopo il 1905 abbandonò il movimento operaio per una lunga carriera ministeriale. Otto volte presidente del consiglio, dopo la Prima guerra mondiale simboleggiò la politica della sicurezza collettiva nel quadro della Società delle nazioni.
5. Quotidiano comunista della sera.
6. Raymond Poincaré (1860-1934). Presidente della Repubblica francese dal 1913 al 1920. Per i lavoratori francesi incarnava la Prima guerra mondiale.
7. René Viviani (1963-1925). Un altro leader del Partito socialista, presidente del consiglio all’inizio della Prima guerra mondiale.
8. Allusione alle internazionali: Terza, Seconda e “due e mezzo”.
9. Riferimento allo sciopero generale insurrezionale tentato nella Germania centrale da parte dei comunisti.
10. Partito comunista operaio di Germania. Il partito dei “comunisti di sinistra”, chiamato in causa da Lenin ne “L’estremismo, malattia infantile del comunismo”.
11. Allusione a Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, assassinati nel 1919 sotto il governo socialdemocratico.
12. Il soprannome dato dai comunisti all’Unione internazionale del lavoro dei partiti socialisti, costituita nel 1921 a Vienna dai rappresentanti dei partiti socialisti di 13 paesi, non aderenti né alla Terza né alla Seconda Internazionale.
13. Henri Fabre (1876-1969). Giornalista del “Journal du peuple”. Nel maggio 1922 l’esecutivo dell’Ic ne chiese l’esclusione.
14. Louis-Olivier Frossard (1889-1946). Segretario nazionale del Pcf dopo Tours si dimise nel 1923 per tornare nella Sfio, dove finì nella destra del partito. Partecipò al governo Pétain.
15. Richiamato al potere nel 1922, Poincaré prese la presidenza del consiglio e agli affari esteri. Responsabile dell’occupazione della Ruhr nel 1923, si dimise nel 1924 perché bocciato alle elezioni di maggio, in cui trionfò il blocco delle sinistre.
16. Cioè i socialriformisti.
17. Infatti la direzione bordighista del Pcd’I sosteneva allora il fronte unico “sindacale” e non “politico”. In ciò si opponeva alla linea dell’Internazionale difesa da Lenin e Trotskij.
18. Cgt (Confédération générale du travail), la centrale sindacale francese. I “minoritari” (frazione sindacale rivoluzionaria favorevole a Mosca) stavano per conquistare la maggioranza quando Jouhaux, il vecchio leader della Cgt, ne provocò deliberatamente la scissione nel 1921. La Francia ebbe così due confederazioni: la “riformista” diretta da Jouhaux e la “rivoluzionaria” diretta dai comunisti, la Cgtu (Confédération générale du travail unitaire). Le due confederazioni tornarono a fondersi nel 1936.
19. Alphonse Merrheim (1871-1923). Segretario della federazione metallurgica della Cgt dal 1905. Dopo la scissione confederale del 1921, rimase nell’ala destra della Cgt.
20. Conferenza tenutasi a Berlino nell’aprile 1922 fra la Seconda, la terza e la “due e mezzo”.
21. La Conferenza di Genova (10 aprile – 19 maggio 1922) riunì i diplomatici sul tema della ricostruzione economica dell’Europa.
22. Friedrich Adler (1879.-1969). Figlio di Victor Adler, fondatore e segretario dell’Internazionale “due e mezzo”; segretario dell’Internazionale socialista dal 1923 al 1939.

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