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A cinquant’anni dalla strage di piazza della Loggia

di Mauro Vanetti

 

Il 28 maggio 1974 scoppiò una bomba durante una manifestazione antifascista nella piazza principale di Brescia: piazza della Loggia. La bomba, nascosta in un cestino, esplose quando la piazza era stracolma. I feriti furono più di cento e ci furono 8 morti: cinque insegnanti, due operai, un ex partigiano.

Diversamente da altre stragi di quegli anni, che colpirono in modo indiscriminato e casuale, la strage di Brescia prese di mira esplicitamente l’antifascismo e il movimento operaio. La manifestazione colpita dall’attentato era il culmine di uno sciopero generale locale di 4 ore, convocato per protestare proprio contro una crescente serie di provocazioni fasciste a Brescia e provincia verificatesi nei mesi precedenti.

Febbraio 1973: una bomba distrugge la sede del Partito Socialista. Febbraio 1974: bomba a un supermercato. Marzo: fermati dei fascisti che trasportano un quintale di esplosivo. 8 Maggio: dinamite e tritolo ritrovati in una borsa davanti alla sede della CISL. 9 Maggio: bomba in una macelleria. 19 Maggio: un fascista salta in aria in piazza Mercato mentre trasportava l’ennesimo ordigno; i camerati giunti in seguito a commemorarlo si scontrano coi lavoratori che presidiano la piazza. Altri ordigni alla CISL e alla CGIL.

Nelle intenzioni dei sindacati, lo sciopero convocato da CGIL-CISL-UIL doveva mettere fine all’escalation terroristica nera. Dopo la strage del 28 maggio, la risposta delle masse fu ancora più vasta, e a Milano addirittura mezzo milione di persone scesero in piazza in solidarietà con le vittime di Brescia.

Non c’è spazio qui per ripercorrere la complicatissima vicenda giudiziaria, che può essere così riassunta: in mezzo secolo e dopo una gran quantità di depistaggi, si è riconosciuta la ovvia matrice fascista della strage (il gruppo Ordine Nuovo), mentre le complicità istituzionali (servizi segreti, polizia), pur evidenti, sono rimaste impunite.

La strage di Brescia fu parte della “strategia della tensione”: un disegno politico senza scrupoli della classe dominante volto a terrorizzare giovani e lavoratori le cui lotte, a partire dal 1968, stavano apertamente sfidando il potere della borghesia. Quest’ultima, nella sua componente decisiva, usava la violenza fascista come mezzo ausiliario per riportare “l’ordine”, ma da tempo aveva abbandonato la prospettiva di appoggiarsi su un golpe di destra, preferendo affidarsi prioritariamente a una strategia di coinvolgimento delle direzioni del movimento operaio, a partire da quella del Partito Comunista Italiano.

In quest’ottica, la strategia della tensione servì anche a convincere ulteriormente la burocrazia del PCI a collaborare direttamente con la borghesia e con la Democrazia Cristiana (il “Compromesso storico”), impiegando la propria autorità per “tenere a bada” studenti e lavoratori, e assumere un profilo “rassicurante” per la Confindustria e per l’imperialismo USA.

La storia del capitalismo italiano, e di come è riuscito ripetutamente a scongiurare i tentativi di “assalto al cielo” che sorgevano dalle masse, è sporca di sangue da cima a fondo. È compito dei comunisti rivoluzionari studiarla e ricordarla, e organizzarsi per metterle fine una volta per tutte.

 

 

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