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Cento anni fa, il 15 gennaio 1919, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht venivano assassinati. L’omicidio rappresentò il culmine della controrivoluzione portata avanti dal governo socialdemocratico di Ebert e Scheidemann.
Solo due mesi prima, infatti, in Germania era scoppiata la rivoluzione. Erano nati i Consigli degli operai e dei soldati; a inizio novembre i marinai si erano ammutinati a Kiel, arrestando gli ufficiali. L’insurrezione si era diffusa in tutte le principali città del paese. Le prigioni furono prese d’assalto, mentre la bandiera rossa sventolava sugli edifici pubblici.
Il 7 novembre il primo ministro, principe Von Baden, rassegnò le dimissioni; il giorno dopo, il Kaiser fu costretto all’abdicazione. Il 9 novembre nacque il governo Ebert, formato dalla Spd (socialdemocratici) e dall’Uspd (socialdemocratici indipendenti, scissione di sinistra del Spd).
“La rivoluzione è a un passo dalla vittoria. Non possiamo schiacciarla ma forse possiamo ancora soffocarla lentamente… se dalle strade viene elevato al potere Ebert come leader del popolo, allora avremo una repubblica; se invece sarà Liebknecht, avremo il bolscevismo”, spiegò Von Baden, congedandosi.
Dualismo di potere
Il 10 novembre i Consigli degli operai e dei soldati votavano la fiducia al nuovo governo, che dal canto suo, al momento dell’insediamento, fu costretto a dichiarare: “Il potere politico è nelle mani dei consigli”.
Era una classica situazione di dualismo di potere, simile a quella della rivoluzione di febbraio in Russia: il potere formale era nelle mani del governo, ma solo perché i detentori del potere reale, i consigli (che nel frattempo formavano milizie operaie un po’ dappertutto) glielo avevano consegnato.
Le masse, risvegliatesi alla politica, sapevano molto bene quello che non volevano (la guerra, il vecchio regime) ma erano confuse su quello che realmente volevano. Le illusioni democratiche dominavano, così come la fiducia nei partiti riformisti: i menscevichi in Russia, la socialdemocrazia in Germania.
Le forze rivoluzionarie, che avevano in Luxemburg e Liebknecht i dirigenti principali, si trovavano in minoranza, come lo erano stati i bolscevichi. Il gruppo Spartaco aveva ben chiara la degenerazione opportunista dei vertici socialdemocratici, che li aveva portati a sostenere il massacro della guerra imperialista. Rosa Luxemburg conduceva da anni una critica implacabile non solo verso la destra del partito, ma anche ai leader “centristi” (dalla retorica rivoluzionaria, ma riformisti nella pratica) come Kautsky, promotori dell’Uspd. Al contrario di Lenin, però, Rosa non aveva costruito una tendenza organizzata nel movimento operaio tedesco come quella bolscevica. Confidava che “è impossibile premunirsi in anticipo contro l’eventualità di oscillazioni opportunistiche; solo il movimento stesso può superarle.”
Ma perché le masse potessero rompere con l’opportunismo della socialdemocrazia, che era da decenni il partito operaio riconosciuto, era necessario che i marxisti rivoluzionari si organizzassero in un proprio partito, con quadri formati negli anni, radicati nella classe operaia. Un compito che non poteva essere improvvisato in pochi mesi.
Fin dal giorno successivo alla nascita della repubblica, il governo sviluppò una propaganda sistematica per la convocazione di un’assemblea nazionale (Costituente) che sarebbe servita a convocare elezioni parlamentari e togliere il potere ai consigli degli operai e dei soldati. Il Consiglio degli operai, riunitosi a metà dicembre, votò a stragrande maggioranza per la convocazione dell’assemblea nazionale; solo una minoranza si schierò per la costituzione di una Repubblica sovietica, come proposto dagli spartachisti.
In quella situazione, se si volevano conquistare le masse, bisognava essere al loro fianco e partecipare alle elezioni dell’Assemblea nazionale, per svelarne il ruolo reazionario e contrapporre, sulla base dell’esperienza concreta, un’alternativa rivoluzionaria. Gli spartachisti invece le boicottarono: una posizione decisamente opposta a quella assunta da Lenin nel 1917 e che infatti fu avversata anche da Rosa Luxemburg, che tuttavia al Congresso di fondazione del Partito comunista tedesco (Kpd), tenutosi a fine dicembre 1918, si trovò in minoranza. Luxemburg avvertiva tutti i limiti del settarismo, derivante dall’impazienza dell’avanguardia rivoluzionaria, ma considerava, come Lenin e Trotskij, la fondazione della Kpd, un organizzazione centralizzata dei rivoluzionari in Germania, un grande passo in avanti per i lavoratori tedeschi e per il movimento comunista internazionale.
La settimana spartachista
Luxemburg confidava nel tempo per correggere gli errori estremisti. La controrivoluzione, tuttavia, marciava rapidamente. All’inizio di dicembre il governo sviluppò una feroce campagna di stampa contro gli spartachisti, mentre il Commissario alla difesa Noske aiutava la crescita dei Freikorps (Corpi Franchi), organizzazioni paramilitari braccio armato della reazione. Per provocare l’avanguardia rivoluzionaria a uno scontro prematuro, il governo procedette alla destituzione del capo della polizia di Berlino, Eichorn, un sostenitore del potere dei soviet. Il suo rifiuto di dimettersi portò a una manifestazione di massa di centinaia di migliaia di persone in suo appoggio il 5 gennaio a Berlino.
Venne organizzato un “comitato rivoluzionario” composto dalla Kpd, dall’Uspd e dai consigli rivoluzionari e prese il via quella che venne ricordata come la “settimana spartachista”: un tentativo insurrezionale che la Luxemburg giudicò prematuro ma non riuscì a impedire e che rimase isolato alla sola Berlino, dove peraltro i dirigenti non disponevano di una chiara strategia. Dopo varie esitazioni da parte di questi ultimi, il governo di Ebert usò questo episodio per scatenare la repressione aprendo la capitale all’entrata di Freikorps. Centinaia di operai berlinesi e di spartachisti vennero uccisi, migliaia arrestati. Luxemburg e Liebknecht che erano stati al fianco dell’insurrezione nonostante le critiche, furono arrestati, torturati e infine uccisi. Il corpo di Rosa verrà gettato in un canale e ritrovato solo dopo alcuni mesi.
Si concludeva così nella maniera più tragica la rivoluzione tedesca del 1918-19. Dalla sua sconfitta non tutto era perduto, si potevano trarre importanti lezioni, come spiegò Luxemburg nel suo ultimo articolo: “Il gruppo dirigente ha fallito. (…) Ma le masse erano all’altezza del loro compito. Esse hanno trasformato questa ‘sconfitta’ in un anello di quella catena di disfatte storiche che fanno la fierezza e la forza del socialismo internazionale. È la ragione per cui da questa ‘sconfitta’ fiorirà la futura vittoria.”
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