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A 40 anni dalla morte di Enrico Berlinguer

di Roberto Sarti

L’11 giugno 1984 moriva Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano (PCI). La sua scomparsa, avvenuta in modo tragico, pochi giorni dopo un malore accusato mentre parlava a un comizio a Padova, provocarono una commozione enorme fra i lavoratori italiani: due milioni di persone giunsero a Roma per il suo funerale.

Nelle prossime settimane numerose saranno le celebrazioni da parte di tutto l’arco costituzionale. Compito dei comunisti rivoluzionari non è quello di alimentare il mito della sua figura, ma di analizzare da un’ottica marxista il pensiero e le azioni di colui che rivestì la carica di segretario del PCI in un decennio decisivo per il movimento operaio italiano, dal 1972 al 1984.

Erano gli anni delle grandi lotte operaie. Milioni di lavoratori e di giovani esigevano un cambiamento politico e si rivolsero al PCI, che raggiunse il suo massimo storico sul terreno elettorale alle politiche del 1976 (34,4%, 12 milioni e 600mila voti, tre milioni in più rispetto alle elezioni del 1972). Gli iscritti ebbero un’impennata simile, arrivando ad oltre 1milione e 800mila nel 1976 (300mila in più rispetto al 1970).

 

Il Compromesso storico

Le aspettative di un cambiamento radicale della società tramite l’ascesa al potere del PCI furono frustrate da Berlinguer, che propose nel 1973 un’alleanza di governo con la Democrazia Cristiana (DC), il principale partito della borghesia italiana, con la strategia del “Compromesso storico”.

Dal golpe di Pinochet in Cile, Berlinguer trasse la conclusione che non bastasse il 51% per governare l’Italia: “Sta a noi avere una politica che impedisca che la DC vada sulla via reazionaria o al contrario faccia prevalere la sua parte migliore, quella che si richiama alla lotta per la Resistenza, alla difesa dei valori della democrazia.”

La proposta di Berlinguer si innestava pienamente nel solco della politica togliattiana. Era quello della “democrazia progressiva” e della “via italiana al socialismo”.

“Il partito comunista, in quanto organizzatore della classe operaia, classe generale, è chiamato a porre al centro della sua lotta gli interessi generali del paese”, spiegava Berlinguer. La classe operaia abdicava alla sua indipendenza di classe per porsi al servizio della borghesia, la classe dominante che determina gli “interessi generali”.

Enrico Berlinguer con Aldo Moro

Il PCI prima fece nascere il governo monocolore DC nel 1976 e poi, dopo il rapimento di Aldo Moro, partecipò direttamente alla maggioranza. Il partito, nel percorso che riteneva necessario per l’arrivo al governo, si fece davanti ai lavoratori garante delle politiche anti-operaie e massimo difensore dello Stato e dell’ordine borghese. Berlinguer fu il principale fautore delle politiche di austerità (“L’austerità è un imperativo a cui non si può sfuggire, è una leva per lo sviluppo”), mentre nella CGIL il segretario comunista Lama proponeva la politica dei “due tempi”: prima il risanamento economico, dopo occupazione e aumenti salariali. A cinquant’anni di distanza, i lavoratori italiani aspettano ancora che inizi il secondo tempo.

 

L’eurocomunismo

Berlinguer sviluppò, in contemporanea con il Compromesso storico, l’iniziativa dell’“eurocomunismo”, con cui i partiti comunisti italiano, francese e spagnolo presero le distanze dall’Unione Sovietica, non per ritornare a Lenin, ma per abbracciare in maniera compiuta il sistema occidentale.

Con tale presa di distanza il PCI, non avendo sviluppato un’analisi marxista della degenerazione stalinista dell’URSS e anzi avendo per decenni appoggiato la linea del PCUS, inevitabilmente adottò una critica liberale al regime stalinista: la democrazia (borghese) assunse “un valore universale”. Il programma? “Riteniamo necessarie varie forme di gestione economica, riconoscendo ampio spazio all’impresa privata entro una programmazione pubblica nazionale”. Berlinguer coltivava l’illusione che lo Stato potesse programmare l’attività economica, senza mettere in discussione la proprietà privata dei mezzi di produzione. Chi controlla le leve dell’economia ne decide le scelte, ma con l’abbandono dell’analisi marxista tali considerazioni erano un libro chiuso per i vertici del PCI.

Inevitabile a questo punto che si sancisse nel 1981 “l’esaurimento della spinta propulsiva dell’Ottobre”, dopo aver abbandonato nel 1976 lo slogan dell’uscita dalla NATO. Anzi, Berlinguer dichiarò di sentirsi “più sicuro sotto l’ombrello dell’alleanza atlantica”.

Gli effetti di queste politiche furono devastanti per il PCI. Lo scollamento con la base si palesò nel 1979 con milione e mezzo di voti persi e un vero e proprio crollo nelle periferie operaie delle grandi città.

Esaurito il compito di far passare politiche impopolari fra la classe lavoratrice, la DC scaricò il PCI e tornò a una coalizione gli altri partiti borghesi e con i socialisti di Craxi.

 

I 35 giorni della Fiat

Nel 1980 una classe operaia già in ritirata venne sconfitta davanti alla Fiat, in quelli che sono a tutti noti come i “35 giorni” di blocco dei cancelli. Davanti ai cancelli di Mirafiori Enrico Berlinguer, accolto da una folla enorme, non diede alcuna prospettiva alla mobilitazione, e tantomeno incitò a occupare la fabbrica (contrariamente a molte ricostruzioni leggendarie), sottolineando che “spettava ai lavoratori e ai sindacati giudicare gli accordi”. Berlinguer rispettava dunque la cosiddetta “autonomia del sindacato”. I dirigenti della CGIL erano però anche dirigenti del PCI e non avevano alcuna intenzione di occupare Mirafiori. Davanti alla marcia dei 40mila organizzata dalla Fiat si piegarono ai diktat degli Agnelli e accettarono 23mila cassaintegrazioni, che si tramutarono quasi tutte in licenziamenti.

“L’alternativa democratica”, proposta da Berlinguer dopo il Compromesso storico, considerata da molti come una svolta a sinistra, era una formula ambigua e non di rottura reale con la politica precedente, rivolta alla parte “migliore e più onesta del paese, dentro e fuori i partiti”.

Anche la scoperta dell’importanza della questione morale, di fronte agli scandali che già scuotevano il sistema politico, fu fatta con l’intento di salvare il capitalismo e non di metterlo in discussione. “Ormai essa (la questione morale, NdR) è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico”, affermava Berlinguer.

Anche se non potremo mai sapere che posizione avrebbe assunto Berlinguer davanti alla svolta della Bolognina, le premesse teoriche per lo scioglimento del PCI erano state tutte elaborate già durante la segreteria del dirigente sardo.

Trarre le lezioni da questa sconfitta storica è necessario per chi come noi, difende le idee del vero comunismo.

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