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16 Maggio 2020BOLOGNA – Il 15 maggio scadono le 5 settimane di cassa integrazione Covid-19 che hanno fatto seguito alle 4 settimane di ferie e banca ore da recuperare iniziate il 16 marzo (vedi il nostro precedente articolo).
Due mesi di produzione ridotta dove i vari responsabili di uffici e reparti hanno potuto utilizzare i lavoratori sulla base dei carichi di lavoro e dei tempi di consegna senza distinzione tra produzioni e attività più o meno essenziali, anche quando formalmente erano i codici Ateco a determinare l’apertura o meno.
Ci sono stati uffici in cui il lavoratore nella stessa settimana faceva uno o due giorni di cassa integrazione, seguiti da due giorni in Smart Working e infine uno in azienda. Si è fatto un largo utilizzo dei turni CIGO, ovvero squadre che hanno lavorato 6 ore la mattina seguite, dopo mezz’ora di intervallo, da squadre che hanno lavorato 6 ore al pomeriggio, con le 2 ore rimanenti pagate con la cassa integrazione. Questo sia negli uffici, fino a quando non sono tornati sovraffollati dopo il montaggio dei divisori in policarbonato trasparente, sia nei montaggi dove così si è potuto lavorare sulla stessa commessa per 12 ore al giorno.
Per molti lavoratori l’utilizzo dei turni non sarebbe un problema. In IMA esiste già una turnazione regolata da contratto aziendale che prevede 7 ore pagate 8 più una indennità di turno per ogni ora lavorata. Soprattutto dai montatori è venuta la richiesta alla RSU di proporre all’azienda questo turno in alternativa a quello della CIGO. La sua applicazione consentirebbe di lavorare in sicurezza, rispettando il distanziamento sociale, senza riduzione di stipendio o delle ferie residue. Un’ora di CIGO, anche con l’integrazione di 2,50 euro lordi da parte dell’azienda, non arriva ai 2/3 di quanto prende un 5° livello metalmeccanico in IMA, che è la qualifica più diffusa in azienda.
In vista della ripresa delle attività a pieno organico l’azienda ha fretta di recuperare il lavoro perso nelle scorse settimane e già si fanno straordinari per lavorare su nuove commesse. In aprile la CIGO ha interessato solo il 5,6% del totale delle ore lavorabili.
Eppure anche di fronte a questa situazione l’azienda ha deciso di utilizzare almeno altre 2 settimane di CIGO Covid-19 nella prospettiva di riprendere effettivamente a pieno regime da inizio giugno. Una scelta che non trova giustificazione nella tutela della sicurezza dei lavoratori.
In queste prime 9 settimane di attività in emergenza sanitaria i pasti in mensa sono stati sostituiti con 2 panini, uno yogurt, un frutto e una bottiglietta d’acqua da consumare nei pochi posti tavola lasciati liberi in mensa o addirittura sulla postazione di lavoro. Una misura sopportata nel primo periodo ma che non è più sostenibile. Chi gestisce la mensa in Ima fornisce già pasti confezionati ad altre aziende: la distanza tra le possibilità economiche dell’azienda IMA e l’attenzione verso i propri dipendenti è sempre più evidente.
Il 12 maggio la RSU ha ripreso gli incontri con la direzione aziendale. Le principali richieste avanzate dai delegati riguardavano la fine della CIGO con la ripresa delle attività in sicurezza negli uffici e nei reparti dove non è possibile assicurare il distanziamento sociale utilizzando i turni a 7 ore pagate 8; l’estensione dello Smart Working con precedenza ai soggetti fragili e a chi deve gestire problemi familiari compresi i figli a casa da scuola; per i lavoratori con le stesse necessità che svolgono mansioni non dove lo smart working non è applicabile è stata chiesta una forma di sostegno da parte dell’azienda per integrare quanto previsto dai decreti governativi. Infine il ritorno a un servizio mensa con pasti veri e propri.
Le risposte aziendali sono facilmente riassumibili: la CIGO continuerà perché nell’accordo è previsto, ma invece di 4 saranno 2 settimane; il supporto a chi non può utilizzare lo Smart Working è la possibilità di stare in CIGO con l’integrazione salariale dell’azienda. Infine sulla mensa: in IMA siamo migliaia, un’alternativa ai panini è complessa, inizieremo a pensarci da giugno. In poche parole: nessun risultato.
Nel volantino delle richieste la RSU affermava chiaramente che, in assenza o carenza di risposte in linea con quanto richiesto, si sarebbe lanciato un segnale all’azienda mobilitando le lavoratrici e i lavoratori.
Quindi che fare dopo che i rappresentanti dell’azienda hanno respinto le principali richieste della RSU?
Il voltafaccia da parte della maggioranza dei delegati Fiom, assieme a quelli Fim e Uilm, è stato clamoroso. Non si è trattato di una semplice differenza di giudizio, ma di un totale rifiuto a considerare lo sciopero. Anche la Fiom di Bologna si è unita nella contrarietà.
Ciò non cambia il nostro giudizio sulla trattativa e su come rispondere all’azienda. L’unico segnale tangibile e necessario per tentare di ribaltare la situazione a favore dei lavoratori è la mobilitazione, lo sciopero, come è stato proposto e sostenuto da un settore dei delegati Fiom.
Probabilmente parole come mobilitazione e sciopero sono indigeste da parte di delegati che del proprio ruolo hanno una idea di “reciproca collaborazione” con l’azienda, per i quali la massima conflittualità non va oltre ai litigi con il dirigente di turno. Chi scrive non ha mai accettato questa visione del ruolo del sindacato.
Questa linea sindacale è possibile solo in assenza del contatto con il reale umore dei lavoratori, che da molti mesi non vengono riuniti e consultati. Appunto, consultiamo i lavoratori! Se possiamo andare a lavorare possiamo anche fare assemblee in sicurezza. Chiediamo loro cosa pensano, ad esempio, della mobilitazione proposta in un volantino da tutta la RSU e non usiamolo come scusa per opporsi allo sciopero!
Una cosa è certa: In IMA come ovunque i lavoratori possono fare passi in avanti solo lottando.
*Davide Bacchelli, Gianluca Sita, Carlo Sassoli (RSU IMA Fiom-Cgil), a titolo personale