Starbucks e l’ipocrisia della borghesia “anti-Trump”
31 Gennaio 2017Se non se ne vanno con le urne, cacciamoli con le lotte!
1 Febbraio 2017L’atto iniziale della rivoluzione russa durò cinque giorni, dal 23 al 27 febbraio 1917. La partecipazione del regime zarista alla prima guerra mondiale era stata un’avventura ignominiosa, ma la sbornia patriottica del luglio 1914 durò poco.
Trenta mesi di sconfitte, di stragi, di fame e penuria crescenti, precipitano il paese nel caos. Negli ultimi mesi del 1916 riprendono gli scioperi.
Il 23 febbraio (8 marzo), giornata internazionale della donna, a Pietrogrado alle manifestazioni di protesta davanti ai forni si uniscono i primi contingenti di scioperanti. 128mila operai e operaie incrociano le braccia. Nei due giorni successivi il movimento dilaga in uno sciopero generale. Le richieste di “pane” lasciano il passo alle rivendicazioni politiche: contro la guerra, contro l’autocrazia. Per tre giorni operai, poliziotti e soldati si fronteggiano nella città. La polizia apre sporadicamente il fuoco e viene a sua volta attaccata. Ma le truppe esitano.
La guarnigione non è più la stessa che nel 1905-06 aveva represso nel sangue la prima rivoluzione. La guerra ha logorato tutto, decine di migliaia di soldati, molti della riserva, molti ex operai, non hanno più nessun desiderio di sparare contro i tedeschi, e meno ancora contro gli operai di Pietrogrado.
Gli episodi di fraternizzazione, gli appelli, i comizi improvvisati davanti alle caserme si moltiplicano; la massa in rivolta avvolge da ogni lato i soldati, gli ufficiali cercano di sottrarre le truppe a questo abbraccio che le disgrega. Ma il 26 febbraio il governo ordina di aprire il fuoco. Gli scontri in alcuni casi diventano vere e proprie scaramucce. È il punto di rottura: comandato di aprire il fuoco, il reggimento Pavlovsky si ammutina e spara contro la polizia. In meno di 48 ore l’ammutinamento dilaga, i soldati ribelli “corrono da una caserma all’altra per fare uscire gli altri reparti”; la guarnigione fraternizza, lo zar viene “convinto” ad abdicare dopo che i suoi generali lo pongono di fronte alla realtà: non solo a Pietrogrado, ma in tutto il fronte non c’è un reparto disposto a combattere per il suo regime. L’insurrezione ha vinto.
Il governo provvisorio che si forma, tuttavia, assomiglia ben poco alle masse insorte: presieduto da un principe “liberale”, formato interamente industriali e grandi proprietari, rappresenta le classi possidenti che fino al giorno prima hanno ostacolato con tutte le loro forze la rivoluzione e che hanno gettato la Russia in guerra. L’avvocato socialrivoluzionario Kerensky abbellisce il nuovo ministero come ornamento “rivoluzionario”. Quante altre volte nella storia le masse hanno rovesciato un regime odiato solo per essere derubate il giorno dopo della loro vittoria?
Ma accanto al governo provvisorio, un altro potere sorge dal febbraio: riprendendo la tradizione della rivoluzione del 1905, operai e soldati eleggono i loro delegati al Soviet (consiglio) di Pietrogrado, esempio presto seguito in tutto il paese.
Con cinque giorni di lotta e al prezzo di 1400 vittime, gli operai e i soldati di Pietrogrado rovesciano una monarchia secolare. Se per i liberali del governo la rivoluzione è già finita, per le masse che si raccolgono attorno al Soviet, essa è appena cominciata…
[1 – continua]