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In diverse città ci è capitato di affrontare polemiche e attacchi perché, come Sinistra Classe Rivoluzione, abbiamo partecipato alle piazze studentesche del 17 novembre con i nostri giornali, le nostre bandiere e i nostri simboli politici. L’idea che nelle manifestazioni non si debba portare materiale politico non è nuova. In tempi recenti, abbiamo avuto modo di scontrarci duramente con posizioni simili in movimenti come Fridays For Future e Non Una Di Meno. Registriamo che questa concezione accomuna, a sinistra, gruppi dei più diversi orientamenti. “Le bandiere sono un elemento divisivo”, ci dicono, “che mina l’unità del movimento”. “Non bisogna scendere in piazza per vendere un giornale o per dare un volantino”, ammoniscono, “ma per lottare tutti insieme”. L’idea che proprio il fatto di portare un volantino o un giornale possa costituire uno strumento di avanzamento per la lotta in questione sembra non passare nemmeno per la testa di questi “dirigenti”. Che anche gruppi sedicenti comunisti arrivino a adottare posizioni del genere è francamente avvilente. Già lo scrivevano Marx ed Engels, in un passaggio fondamentale del Manifesto del partito comunista: “I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni.” Torniamo all’ABC!
In primo luogo è opportuno ribadire un elementare principio democratico: le manifestazioni politiche non sono proprietà di chi le convoca e nessuno può imporre le modalità di partecipazione ai manifestanti. Lasciamo per un attimo da parte i percorsi di discussione, tutt’altro che trasparenti, che caratterizzano l’organizzazione delle piazze “di movimento”. Le assemblee che si arrogano poteri censori solitamente non contemplano votazioni interne o un reale confronto. Ma la realtà è che non c’è voto che possa legittimare la soppressione burocratica del dibattito all’interno di una mobilitazione. A parte i fascisti e i reazionari, tutti devono avere diritto di esprimere liberamente la propria posizione. Solo così si potrà arrivare a una reale chiarificazione politica; anche attraverso una polemica aspra, se necessario, ma condotta sulla base di differenze sostanziali e non di un controllo poliziesco.
Il punto principale però è per noi, un altro, e riguarda la natura stessa della nostra attività. Non scendiamo in piazza come singoli individui, ma come militanti di un collettivo rivoluzionario. La nostra bandiera, i nostri giornali e i nostri simboli non rappresentano per noi un elemento meramente identitario, ma un programma. È solo qualificandoci politicamente ed avanzando apertamente parole d’ordine marxiste che possiamo portare un reale contributo alla lotta. Se non la pensassimo così, se credessimo che le nostre idee possono essere discusse tra le mura delle nostre sedi ma non hanno una reale utilità nel conflitto sociale, non avrebbe alcun senso la nostra esistenza come organizzazione distinta all’interno del movimento operaio. Lasciamo ad altri, se lo desiderano, mascherature ed espedienti; da parte nostra, non arretriamo di un millimetro e continueremo a scendere in piazza da comunisti, presentando alla luce del sole la nostra prospettiva politica.