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Sulle pensioni cala la scure del governo

di Paolo Brini

 

Il ministro Giorgetti lo aveva già candidamente ammesso ad agosto durante il meeting di Confindustria a Cernobbio: “Non manterremo le promesse elettorali”. Detto fatto. Non solo il governo non abolirà la legge Fornero, come invece promesso soprattutto dalla Lega, ma al contrario la rafforza e la peggiora infliggendo l’ennesimo duro colpo ai diritti dei lavoratori.

In una prima versione, la legge di bilancio aumentava di un ulteriore anno l’età per andare in pensione, passando nel 2024 dalla cosiddetta quota 103 a quota 104 (63 anni di età e 41 di contributi). In una nuova versione si torna a quota 103, ma questa viene notevolmente peggiorata sia in termini economici che di accessibilità (allungando ulteriormente le “finestre” per andare in pensione), diventando a tutti gli effetti una quota 104 “camuffata”.

Vengono duramente colpite anche le fasce più deboli, inasprendo le regole sia per l’Ape sociale che per l’Opzione donna. La prima, destinata a disabili, a chi è impiegato in lavori gravosi, a disoccupati e caregiver, dava la possibilità di andare in pensione con 63 anni di età e 30 anni di contributi (36 per i lavori gravosi). La seconda consentiva ad alcune categorie di lavoratrici (invalide almeno al 74%, caregiver, dipendenti di aziende in crisi) di andare in pensione con “solo” 60 anni di età al prezzo di una penalizzazione economica.

D’ora in poi dall’Ape sociale saranno esclusi gli addetti di una serie di mansioni gravose e per tutte le altre categorie aumenterà di 5 mesi l’età anagrafica per accedervi. Per richiedere Opzione donna, invece, il requisito minimo di età viene alzato a 61 anni.

L’unica novità positiva, se così la si può chiamare, è che arrivati a 67 anni di età si potrà andare in pensione anche se non si avrà maturato una pensione di almeno 1,5 volte quella sociale. Insomma ci concedono il diritto di smettere di lavorare anche con una pensione da elemosina, bontà loro. Per quel che riguarda chi è già in pensione, la conferma della “super rivalutazione” già prevista lo scorso anno porterà ad un aumento delle pensioni minime di, udite udite, 20 euro per chi ha più di 65 anni e di 50 euro per gli over 75. Con una inflazione al 15% è davvero un grosso regalo, non c’è che dire. In compenso sono previsti pesanti tagli per le pensioni dei dipendenti pubblici a partire dal 2024.

La ragione principale di questa ennesima macelleria sociale è stata esplicitata senza pudore in conferenza stampa dal governo: rassicurare i mercati, le agenzie di rating e i capitalisti dato l’aumento del tasso di interesse sul debito pubblico italiano. Come al solito i soldi per fare cassa e pagare le banche e i capitalisti che detengono il debito pubblico si prendono dalle tasche dei lavoratori, mica per esempio dall’aumento della spesa militare o dalla tassazione dei mega patrimoni dei ricchi. L’altra clamorosa motivazione addotta per questo provvedimento è che i conti dell’INPS non sono in equilibrio perché le nuove generazioni, essendo precarie e quindi lavorando ad intermittenza, versano pochi contributi. Quindi prima ci rendono schiavi costringendoci al precariato a vita e poi hanno anche il coraggio di farci la morale e darci la colpa perché non versiamo abbastanza contributi. Già solo per questo sarebbe ora di scendere in piazza e “fare come in Francia”!

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