Menzogne, pure e semplici menzogne e Netflix – La diffamazione nei confronti di Lev Trotskij
12 Aprile 2019Rivoluzione n° 55-56
15 Aprile 2019
di Ted Grant
Le conquiste dell’economia pianificata
“Guardai nel futuro, fin dove arriva l’ occhio umano,
Percepii la Visione del mondo e tutte le meraviglie dell’avvenire”
Alfred Tennyson
La Rivoluzione russa del 1917 fu uno dei più grandi avvenimenti della storia. Per la prima volta, a parte l’eroico episodio della Comune di Parigi, i lavoratori e i contadini oppressi presero nelle proprie mani il potere politico, spazzarono via il dominio dispotico dei capitalisti e dei proprietari terrieri e mossero i primi passi nella direzione della creazione di un ordine mondiale socialista. Annientando il vecchio regime zarista, che aveva detenuto il potere per un migliaio di anni, conquistarono il controllo di un sesto della superficie terrestre. L’ancien régime fu sostituito da una forma di Stato democratica e nuova: il Soviet dei deputati degli operai, dei contadini e dei soldati. La Rivoluzione russa annunciava l’inizio della rivoluzione mondiale, alimentando i sogni e le speranze di milioni di persone che avevano vissuto l’incubo della Prima guerra mondiale. Nonostante la terribile arretratezza della Russia, la nuova Repubblica Socialista Sovietica rappresentava una minaccia decisiva all’ordine capitalista mondiale. Essa provocò il terrore negli ambienti della borghesia che cercavano conforto nell’idea che il regime bolscevico probabilmente avrebbe resistito solo per qualche settimana. Anche oggi gli avvenimenti in Russia continuano a turbare la politica mondiale, come una sorta di spettro che torna sempre a guastare i festeggiamenti della classe capitalista.
Per apprezzare pienamente la portata di queste conquiste, è necessario riandare al punto di partenza. Impazienti di screditare le idee dell’autentico socialismo, gli apologeti del “libero mercato” dimenticano facilmente alcuni dettagli. Nel 1917 la Russia era in realtà ben più arretrata dell’India di oggi e molto indietro rispetto all’Occidente. Era un paese arretrato dove i contadini, che si erano emancipati dalla servitù della gleba solo due generazioni prima, usavano ancora l’aratro di legno medievale. La classe operaia industriale era una piccola minoranza: meno di quattro milioni di persone su un totale di 150 milioni. Il settanta per cento della popolazione era analfabeta. Il capitalismo russo era estremamente debole e si appoggiava sulle stampelle del capitale straniero che apparteneva principalmente a francesi, britannici, tedeschi e belgi. Le potenze occidentali avevano il controllo del 90 per cento delle miniere russe, del 50 per cento dell’industria chimica, di più del 40 per cento dell’industria meccanica e del 42 per cento del capitale bancario. La Rivoluzione d’Ottobre tentò di trasformare tutto questo, mostrando la via per i lavoratori di tutti i paesi e preparando la strada per la rivoluzione socialista mondiale. Nonostante i problemi e gli ostacoli immensi, l’economia pianificata rivoluzionò le forze produttive dell’Urss e pose le basi di un’economia moderna. Nel periodo precedente la seconda guerra mondiale si procedette alla costruzione dell’industria pesante attraverso una serie di piani quinquennali, creando le basi per lo sviluppo del dopoguerra. Nel 1936 Trotskij scrisse che:
“(…) merito imperituro del regime dei soviet è la lotta dura e in generale efficace contro una barbarie secolare (…). Il regime sovietico attraversa sotto i nostri occhi una fase preparatoria, in cui importa, assimila, prende a prestito le conquiste tecniche e culturali dell’Occidente.”1
Da allora, l’economia sovietica ha fatto passi da gigante. Nei cinquant’anni trascorsi dal 1913 (il culmine della produzione prima della prima guerra mondiale) al 1963, nonostante due guerre mondiali, l’intervento straniero, la guerra civile e altre calamità, la produzione industriale aumentò di oltre 52 volte. La cifra corrispondente per gli Usa fu meno di sei volte, mentre la Gran Bretagna stentò a raddoppiare la sua produzione industriale. In altre parole, nell’arco di pochi decenni, sulla base di un’economia statalizzata, l’Unione Sovietica fu trasformata da un’economia agricola arretrata nella seconda nazione più potente della Terra, con una forte base industriale, un alto livello culturale e più scienziati di Usa e Giappone insieme.
Dal punto di vista marxista, la funzione della tecnica è di economizzare il lavoro umano. Nei 50 anni dal 1913 al 1963, la produttività del lavoro nell’industria, che è la chiave dello sviluppo economico, crebbe del 73 per cento in Gran Bretagna e del 332 per cento negli Usa. In Urss, nello stesso periodo, la produttività del lavoro aumentò del 1.310 per cento, naturalmente partendo da un livello molto più basso. Questo periodo di enormi progressi economici per l’ Urss coincise in gran parte con la crisi o la stagnazione nell’Occidente capitalista. I passi avanti dell’industria sovietica degli anni ’30 coincisero con la grande Depressione in Occidente, accompagnata da disoccupazione di massa e da miseria cronica. Fra il 1929 e il 1933 la produzione industriale statunitense crollò del 48,7 per cento. La American National Research League nel marzo 1933 stimò che i disoccupati statunitensi erano 17.920.000. In Germania i senza lavoro erano più di sei milioni. Bastano questi confronti per evidenziare la superiorità dell’economia pianificata sull’anarchia della produzione capitalista.
Nell’Urss, rispetto a una popolazione cresciuta del 15 per cento, il numero dei tecnici era aumentato di 55 volte nel periodo 1913-1963, le persone coinvolte nell’istruzione a tempo pieno di oltre sei volte; il numero di libri pubblicati di 13 volte; i posti letto ospedalieri di quasi dieci volte; i posti in asilo nido di 1.385 volte. C’erano 205 medici per ogni 100.000 persone, in confronto ai 170 dell’Italia e dell’Austria, ai 150 degli Stati Uniti, ai 144 della Germania Occidentale, ai 110 di Gran Bretagna, Francia e Olanda e ai 101 della Svezia. La vita media raddoppiò e la mortalità infantile diminuì di nove volte. Fra il 1955 e il 1959 lo spazio abitativo (statale e delle cooperative) raddoppiò, mentre quello privato venne più che triplicato. Tra il 1955 e il 1970 il numero di medici era aumentato da 135.000 a 484.000 e il numero di posti letto passò da 791.000 a 2.224.000.
Nonostante il terribile colpo inferto all’agricoltura dalla collettivizzazione forzata di Stalin, da cui essa non si riprese mai del tutto, i progressi realizzati consentirono alla Russia di nutrire a sufficienza la sua popolazione. Un tale progresso economico, ottenuto in un tempo così breve, è senza paragone nel mondo. In soli tre anni, dal 1953 al 1956, la terra coltivata aumentò di ben 35,9 milioni di ettari, una superficie equivalente al totale della terra coltivata in Canada. Questo risultato è in netto contrasto con la spaventosa situazione delle masse in India, in Pakistan e nel resto del Terzo Mondo.
Questo progresso dell’economia sovietica è ancora più impressionante data l’arretratezza cronica che caratterizzò il suo punto di partenza. La vecchia economia zarista, un paese semifeudale con affioramenti di nuclei d’industria moderna, principalmente proprietà del capitale straniero, fu frantumata nella Prima guerra mondiale. Poi vennero due rivoluzioni, la guerra civile, il blocco economico imperialista, l’intervento straniero e una carestia in cui morirono sei milioni di persone. A questo si devono aggiungere gli innumerevoli milioni di lavoratori, contadini, tecnici e scienziati che perirono, prima nel corso della collettivizzazione forzata e poi nelle grandi epurazioni staliniste degli anni ’30. La pianificazione burocratica spinse l’economia in avanti, ma lo fece pagando un prezzo tre volte più alto del costo della rivoluzione industriale in Occidente. La malgestione, lo spreco, la corruzione insiti nella gestione della burocrazia costituirono un pesante fardello per l’economia sovietica, portandola infine a un punto morto.La Seconda guerra mondiale in Europa fu un’ulteriore testimonianza delle conquiste dell’economia pianificata. La guerra si era ridotta in realtà ad una lotta titanica fra l’Urss e la Germania nazista, in cui la Gran Bretagna e gli Usa fecero da spettatori. Costò all’Urss 27 milioni di morti; solo nell’assedio di Leningrado morirono un milione di persone. Vaste aree della Russia furono annesse da Hitler o completamente distrutte dai nazisti con la loro politica di fare “terra bruciata”. Quasi il 50 per cento di tutto lo spazio abitativo urbano nel territorio occupato – 1,2 milioni di case – fu distrutto, come pure 3,5 milioni di case nelle campagne: lo storico Alec Nove a questo proposito riporta che:
“(…) molte città giacevano in rovina. Migliaia di borgate furono distrutte; tanto che la gente viveva in buchi per terra. Un gran numero di fabbriche, dighe e ponti che erano stati costruiti con tanti sacrifici nel primo piano quinquennale ora si dovevano ricostruire.”2
Nel periodo del dopoguerra, senza alcun programma di aiuti come il Piano Marshall di cui beneficiò l’Europa occidentale, l’Urss realizzò progressi da gigante su tutti i fronti. Grazie all’economia statalizzata e alla pianificazione, l’Unione Sovietica ricostruì rapidamente le proprie industrie devastate, con tassi di crescita che superavano il 10 per cento. Insieme all’imperialismo Usa, l’Urss era emersa dalla guerra come una superpotenza. “La storia mondiale non ha mai conosciuto una cosa simile”, dice Nove. Già nel 1953 l’Urss aveva accumulato una scorta di 1,3 milioni di macchine utensili di tutti i tipi, il doppio di quanto aveva prima della guerra. Tra il 1945 e il 1960 la produzione annua di acciaio crebbe da 12,25 a 65 milioni di tonnellate. Nello stesso periodo la produzione di petrolio passò da 19,4 a 148 milioni di tonnellate e quella di carbone da 149,3 a 513 milioni. Dal 1945 al 1964, il reddito nazionale sovietico aumentò del 570 per cento, in confronto al 55 per cento raggiunto dagli Usa. Non dimentichiamo che gli Usa erano usciti dalla guerra con le loro industrie intatte e con due terzi dell’oro del mondo nelle loro riserve. Gli Usa avevano guadagnato moltissimo dallo sforzo bellico e di conseguenza furono in grado di imporre il loro dominio in tutto il mondo capitalista.
Prima della guerra l’Unione Sovietica era ancora molto indietro rispetto non solo agli Usa, ma anche all’Europa; nonostante ciò, entro la metà degli anni ’80 l’Urss aveva superato la maggior parte delle altre economie capitaliste, ad eccezione degli Usa. Almeno in termini assoluti, l’Urss occupava il primo posto in molti campi chiave di produzione, come l’acciaio, il ferro, il carbone, il petrolio, il gas, il cemento, i trattori, il cotone e la produzione di molti tipi di utensili di acciaio. A metà degli anni ’80 la Cambridge Engineering Research Association del Massachusetts definì l’industria sovietica del gas naturale – che aveva raddoppiato la produzione in meno di dieci anni – un “caso di successo spettacolare”.3 Anche nel campo dell’informatica, dove negli anni ’70 si era detto che l’Urss era di dieci anni indietro rispetto all’Occidente, il distacco si era ridotto fino al punto in cui, secondo gli stessi esperti occidentali, era pari a soli 2-3 anni. La dimostrazione più spettacolare della superiorità dell’economia pianificata, dove questa era gestita bene, era il programma spaziale sovietico. Dal 1957 l’Urss era in prima posizione nella “corsa spaziale”. Mentre gli americani atterravano sulla luna, i sovietici stavano costruendo una stazione spaziale che li avrebbe portati fino ai confini del sistema solare. Come sottoprodotto, l’Unione Sovietica vendeva sui mercati mondiali il razzo Proton, economico, potente ed affidabile, ad un prezzo di circa 15 milioni di dollari inferiore a quello dell’Ariane, il progetto spaziale europeo.
Ancora nel 1940 due terzi della popolazione sovietica vivevano nell’arretratezza rurale. Ora la situazione è stata capovolta. Due terzi vivono nelle città e solo un terzo in campagna; in altre parole abbiamo assistito nell’Urss allo stesso processo che abbiamo visto in Occidente negli ultimi 50 anni, lo sviluppo dell’industria ha portato ad un’enorme rafforzamento del proletariato a spese dei contadini e degli strati intermedi della società. Ma nell’Urss questo processo (“proletarizzazione”) era stato portato avanti in una misura mai vista, concentrando la forza lavoro in gigantesche imprese industriali con 100mila o più lavoratori. Oggi il proletariato sovietico, lungi dall’essere arretrato e debole, è la classe operaia più potente a livello internazionale. La situazione nel campo dell’istruzione costituiva una delle principali conquiste storiche della Rivoluzione d’Ottobre. Nell’Urss, circa un lavoratore su tre aveva una specializzazione e un gran numero di giovani provenienti dalla classe operaia accedeva all’università. Il numero totale di allievi che ricevevano un’istruzione tecnica superiore ed universitaria si quadruplicò tra il 1940 e il 1964. Nel 1970 in Urss c’erano 4,6 milioni di studenti universitari, con 257.000 laureati in ingegneria (negli Usa, a paragone, c’erano 50.000 laureati in questo campo). La spesa pro capite per l’istruzione era quattro volte quella britannica. Basta uno sguardo alle cifre per capire la superiorità dell’economia pianificata di fronte alla quale stride l’inconsistenza delle meschine convinzioni politiche dei dirigenti riformisti e socialdemocratici in Occidente, che hanno accettato, a salvaguardia delle compatibilità del sistema capitalista, di tagliare drasticamente la spesa per l’istruzione e la sanità e quella sociale in generale. La crescita dell’economia portò un miglioramento continuo del livello di vita. Nell’ultimo periodo prima del crollo la stragrande maggioranza dei sovietici possedeva elettrodomestici come televisori, frigoriferi e lavatrici. Gli affitti erano fissati a circa il 6 per cento del reddito e non erano aumentati dal 1928. Un piccolo appartamento a Mosca, fino a poco tempo fa, costava circa 17 dollari al mese, compresi il gas, la luce, il telefono e l’acqua calda. Inoltre il pane costava intorno alle 400 lire al chilo e, come per lo zucchero e la maggior parte dei generi alimentari di base, il suo prezzo non cresceva dal 1955; quelli della carne e dei latticini non salivano dal 1962. Questa situazione iniziò a cambiare solo negli anni ’80. Oggi, a causa del processo di transizione verso il capitalismo, questa situazione è cambiata radicalmente, con l’abolizione dei sussidi e del controllo sui prezzi. Nel 1993 l’inflazione ha raggiunto il 2.600 per cento e, pur essendo calata da allora, rimane comunque alta.I colossali vantaggi di una società che aveva abolito il capitalismo e il latifondismo sono stati evidenziati, almeno nei loro contorni, da questa crescita senza precedenti. Tuttavia i progressi dell’economia sovietica nei primi sessant’anni furono estremamente diseguali e contraddittori; una realtà ben lontana dal quadro idilliaco dipinto in passato dagli “Amici dell’Unione Sovietica”. Senza dubbio un regime di democrazia operaia avrebbe superato di gran lunga quello che è stato realizzato sotto lo stalinismo con tutta la corruzione e la malgestione che esso comportava. È in questo sviluppo contraddittorio dell’economia sovietica che si trova la chiave per capire il crollo dello stalinismo alla fine degli anni ’80 e il processo verso la restaurazione del capitalismo.
Le leggi di sviluppo del capitalismo come sistema socioeconomico furono analizzate in modo brillante da Marx nei tre volumi del Capitale. Lo sviluppo di un’economia pianificata e statalizzata, che è il presupposto per il progresso verso il socialismo, si svolge in modo del tutto diverso. Le leggi del capitalismo si manifestano nel gioco cieco delle forze del mercato, attraverso il quale la crescita delle forze produttive avviene in modo automatico. La legge del valore, che si esprime attraverso il meccanismo di domanda e offerta, distribuisce le risorse fra un settore e un altro. Non esiste un piano né un intervento cosciente. Ma le cose sono diverse quando lo Stato centralizza l’economia nelle proprie mani. Qui lo Stato operaio occupa la stessa posizione nei confronti dell’economia intera che occupa il singolo capitalista nel contesto di una sola fabbrica.Per questo motivo, le azioni del governo sovietico negli ultimi settant’anni sono state così decisive – nel bene o nel male – per lo sviluppo economico. “Non esiste un altro governo al mondo”, osservò Trotskij, “nelle cui mani è concentrato in una tale misura il destino di tutto il paese (…); il carattere centralizzato dell’economia nazionale trasforma il potere statale in un fattore di enorme importanza”. In queste circostanze la politica del regime era decisiva. Nel vicolo cieco del dominio burocratico lo spettacolare sviluppo economico si inceppò. A differenza dello sviluppo capitalistico, che dipende dal mercato per assegnare le risorse, l’economia nazionalizzata richiede una pianificazione e una direzione coscienti. Ciò non si può fare per opera di un pugno di burocrati a Mosca, nemmeno se questi fossero Marx, Engels, Lenin e Trotskij. Una tale situazione richiede la partecipazione della massa della popolazione alla gestione dell’industria e dello Stato. A lungo andare era inevitabile che un regime di malgestione burocratico bloccasse l’economia, nella misura in cui questa fosse diventata più complessa e tecnologicamente avanzata. Negli anni ’70 l’economia sovietica era giunta all’impasse, ma i motivi di ciò saranno l’argomento di un altro capitolo.Qui basta dire che, nonostante la soffocante presa burocratica dello stalinismo, i successi dell’economia pianificata furono dimostrati, non sulle pagine del Capitale, ma in un’arena industriale che copriva la sesta parte della superficie terrestre, non nel linguaggio della dialettica, ma in quello dell’acciaio, del cemento e dell’energia elettrica. Come spiegò Trotskij:
“(…) se anche l’Urss dovesse soccombere sotto i colpi sferrati dall’esterno e per gli errori dei suoi dirigenti – il che, lo speriamo fermamente, ci sarà risparmiato – resterebbe, come garanzia dell’avvenire, questo fatto indistruttibile, che solo la rivoluzione proletaria ha permesso a un paese arretrato di ottenere in meno di vent’anni risultati senza precedenti nella storia”.4
La Rivoluzione d’Ottobre fu un colpo di Stato?
Nel tentativo di screditare i bolscevichi non sono stati risparmiati sforzi per falsificare la cronaca della storia. La menzogna più comune è quella di definire la Rivoluzione d’Ottobre un golpe, cioè una manovra effettuata da una piccola minoranza con metodi cospiratori dietro le spalle della maggioranza. I bolscevichi, secondo questa opinione, avrebbero strappato il potere al Governo Provvisorio nato dalla Rivoluzione di Febbraio, governo che, a quanto pare, avrebbe rappresentato la volontà democratica del popolo. Se il “complotto” di Lenin non fosse riuscito, dicono, la Russia avrebbe imboccato la strada della democrazia parlamentare occidentale e tutti sarebbero vissuti felici e contenti. Questa storiella è stata ripetuta così tante volte che molti l’hanno accettata acriticamente, cosa che non deve sorprendere perché risponde all’obiettivo di addormentare l’intelletto con cui è stata confezionata…
Sorge spontanea una domanda: se il Governo Provvisorio rappresentava davvero la stragrande maggioranza e i bolscevichi erano solo un gruppo insignificante di cospiratori, come mai questi ultimi riuscirono a rovesciare il governo? Dopotutto il governo disponeva (almeno formalmente) di tutta la potenza dell’apparato statale, l’esercito, la polizia, i cosacchi, mentre i bolscevichi erano un piccolo partito che, all’inizio della rivoluzione di febbraio, non aveva che circa 8.000 militanti in tutta la Russia.
Come fu possibile che una minoranza insignificante rovesciasse uno Stato potente? Se accettiamo il discorso sul golpe, dobbiamo supporre che Lenin e Trotskij disponevano di poteri magici. Ed eccoci di nuovo nel mondo delle fiabe, che non ha posto nella vita reale o nella storia.In realtà la teoria “cospirativa” della storia non spiega nulla; semplicemente presuppone quello che è invece da dimostrare.
Un modo di ragionare così superficiale, per cui ogni sciopero sarebbe provocato da “agitatori” e non dal malcontento accumulatosi in fabbrica, è tipico della mentalità poliziesca. Quando viene proposto seriamente da sedicenti accademici come spiegazione di grandi avvenimenti storici, possiamo solo grattarci la testa perplessi, oppure supporre che ciò sia fatto con un secondo fine. La motivazione del poliziotto che tenta di attribuire uno sciopero alle attività di un gruppo nascosto di agitatori è evidente; questo tipo di argomentazione non è diverso. L’idea essenziale implicita in questa teoria è che la classe operaia sia incapace di capire quali siano i propri interessi (che naturalmente, secondo questi signori, sarebbero identici a quelli dei padroni). Così, se i lavoratori si muovono per prendere in mano il proprio destino, l’unica spiegazione deve essere che sono stati ingannati da demagoghi senza scrupoli.
Tale ragionamento – che, a proposito, si potrebbe usare anche contro la democrazia in generale – manca il segno. Come fu possibile per Lenin e Trotskij “ingannare” la maggioranza decisiva della società in modo che nel breve volgere di nove mesi il Partito bolscevico, da minoranza insignificante, riuscisse a conquistare la maggioranza nei soviet, gli unici organi veramente rappresentativi della società, e prendere il potere? Ciò fu possibile solo perché il Governo Provvisorio borghese aveva in quello stesso breve periodo dimostrato il proprio totale fallimento, solo perché esso non aveva assolto a nemmeno uno dei compiti posti dalla rivoluzione democratico-borghese. Un solo fatto è sufficiente a dimostrare ciò: il Partito Bolscevico prese il potere nell’ottobre in base al programma “pace, pane e terra”, il che è l’illustrazione più vivida del fatto che il governo provvisorio non aveva soddisfatto nemmeno uno dei bisogni più elementari del popolo russo. Questo, e solo questo, è in grado di spiegare il successo della Rivoluzione d’Ottobre.
La cosa che più colpisce negli avvenimenti del 1917 è proprio il coinvolgimento attivo delle masse ad ogni tappa, che è in realtà l’essenza di una rivoluzione. Nei periodi normali la maggioranza della gente è disposta ad accettare che le decisioni più importanti che incidono sulla propria vita siano prese da altri, da “quelli che sanno” – uomini politici, funzionari dello Stato, giudici, “esperti” -, ma nei momenti critici le persone “comuni” iniziano a mettere tutto in discussione. Non si accontentano più di far decidere gli altri per loro; vogliono pensare ed agire per se stesse. Ecco cos’è una rivoluzione. Si vedono elementi di questo in ogni sciopero: i lavoratori cominciano a partecipare attivamente, a parlare, a giudicare, a criticare… cioè a decidere il proprio destino. Agli occhi del burocrate e del poliziotto (e per certi storici, i cui processi mentali si sintonizzano sulla stessa lunghezza d’onda) questo fatto appare come una pazzia strana e minacciosa. In realtà è vero proprio il contrario; in tali situazioni gli uomini e le donne smettono di agire come automi e cominciano a comportarsi come veri esseri umani con mente e volontà autonoma.
Essi diventano rapidamente consapevoli della propria condizione e delle proprie aspirazioni. In tali circostanze, cercano coscientemente quel partito e quel programma che riflettano le loro aspirazioni, mentre respingono gli altri. Una rivoluzione è sempre caratterizzata dalla rapida ascesa e declino di partiti, individui e programmi, in cui gli elementi più radicali tendono a crescere.Tutti i discorsi e gli scritti di Lenin di questo periodo esprimono una fiducia incrollabile nella capacità delle masse di cambiare la società. Lungi dall’adottare metodi “cospiratori”, egli si basava su richiami all’iniziativa rivoluzionaria di operai, contadini poveri e soldati. Nelle Tesi di Aprile egli spiega:
“Non vogliamo che le masse ci credano sulla parola; non siamo ciarlatani. Vogliamo che le masse superino i loro errori attraverso l’esperienza”.5
Disse successivamente:
“L’insurrezione deve contare non su una cospirazione e non su un partito, ma sulla classe avanzata (…) l’insurrezione deve contare su un’offensiva rivoluzionaria del popolo”.6
Il fatto che Lenin contraponesse le masse al partito non era casuale. Sebbene il Partito bolscevico giocasse un ruolo fondamentale nella rivoluzione, il processo non era a senso unico, ma dialettico. Lenin spiegò più volte che le masse sono cento volte più rivoluzionarie del più rivoluzionario dei partiti. È una legge il fatto che in una rivoluzione il partito rivoluzionario e la sua direzione siano soggetti alle pressioni di classi estranee; l’abbiamo visto in numerose occasioni della storia. Una parte della direzione in tali momenti inizia a tentennare e a esitare ed è necessaria una lotta interna per superare questi indecisioni. Così avvenne anche nel partito bolscevico dopo il ritorno di Lenin in Russia, quando, dopo la Rivoluzione di Febbraio, i dirigenti bolscevichi a Pietrogrado (in particolare Zinoviev, Kamenev e Stalin) assunsero un atteggiamento conciliante verso il governo provvisorio, caldeggiando persino la fusione con i menscevichi. La linea del partito fu cambiata solo dopo una lotta aspra, in cui Lenin e Trotskij unirono le proprie forze e si batterono per una seconda rivoluzione, in cui la classe operaia prendesse il potere nelle proprie mani.
In questa lotta Lenin si rivolse direttamente ai lavoratori avanzati, scavalcando a piè pari il Comitato centrale. Disse che: “’il paese’ dei lavoratori e dei contadini poveri (…) è mille volte più a sinistra dei Cernov e degli Tsereteli e cento volte più a sinistra di noi”.7
La forza motrice della rivoluzione fu in ogni fase il movimento delle masse. Il compito dei bolscevichi fu di fornire una chiara espressione politica e organizzativa a questo movimento, per assicurare che fosse concentrato al momento giusto per la presa del potere e per evitare insurrezioni premature che portassero alla sconfitta. Per un certo tempo ciò volle dire anche frenare le masse: nel giugno l’importante comitato di Vyborg a Pietrogrado si era lamentato del fatto che “dobbiamo fare la parte dei pompieri”8; nell’agosto, al VI congresso del partito, il bolscevico Podvoisky aveva ammesso che “fummo costretti a passare la metà del nostro tempo a calmare le masse”.9
Mobilitazione permanente
Numerosi osservatori di tutti i partiti testimoniano il livello straordinario di partecipazione delle masse. Nelle parole di Marc Ferro, “i cittadini della nuova Russia, avendo abbattuto lo zarismo, erano in uno stato di mobilitazione permanente”.10 L’importante esponente menscevico Nikolai Suchanov riporta che “tutta la Russia manifestava di continuo in quei giorni. Tutte le province si erano abituate a cortei in piazza”.11 Nadezda Krupskaja, moglie di Lenin, ricorda:
“Le strade in quei giorni presentavano uno spettacolo curioso: dappertutto la gente si raccoglieva in gruppi, dibattendo in modo intenso e discutendo degli ultimi avvenimenti. Discussioni che nessuno poteva interrompere! (…) La casa in cui abitavamo guardava su un cortile, e anche qui, se si apriva la finestra di notte, si sentivano discussioni accese. Si vedeva un soldato seduto lì, ed era presente sempre un pubblico, di solito qualche cuoca o cameriera della casa di fianco, o dei giovani. Un’ora dopo mezzanotte si sentivano frammenti di discorso: “bolscevichi, menscevichi…” Alle tre di notte: “Miliukov, bolscevichi”. Alle cinque, sempre gli stessi discorsi da comizio, politica ecc. Ora le notti bianche di Pietrogrado sono sempre associate nella mia mente a quei dibattiti politici notturni.”12
John Reed presenta lo stesso quadro:
“Al fronte i soldati lottavano contro gli ufficiali e, nei loro comitati, imparavano l’autogoverno. Nelle fabbriche, i comitati di fabbrica, queste organizzazioni uniche, acquistavano forza ed esperienza e prendevano coscienza della loro missione storica di lotta contro il vecchio ordine. Tutta la Russia stava imparando a leggere e leggeva – di politica, di economia, di storia – perché la gente voleva sapere… in ogni città, in quasi tutte le cittadine, al fronte, ogni gruppo politico aveva il suo giornale e, a volte, ne aveva più d’uno. Centinaia di migliaia di opuscoli venivano distribuiti da migliaia di organizzazioni e si riversavano tra i soldati, nei villaggi, nelle fabbriche, nelle strade. La sete di istruzione, non soddisfatta per tanto tempo, con la rivoluzione esplodeva in una frenesia di espressioni. Solo dall’Istituto Smolnij nei primi sei mesi, ogni giorno uscirono tonnellate, carrette, vagoni di libri, che saturarono il paese. La Russia assorbiva insaziabile la parola scritta come la sabbia ardente assorbe l’acqua. E non si trattava di favole, di storia falsificata, di religione annacquata, di romanzi corruttori da quattro soldi, ma di teorie sociali ed economiche, di filosofia, delle opere di Tolstoj, di Gogol, di Gorkij (…)
Conferenze, dibattiti, discorsi, nei teatri, nei circhi, nelle scuole, nei circoli, nelle sale di riunione dei soviet, nelle sedi dei sindacati, nelle caserme (…). Che spettacolo meraviglioso vedere dalle officine Putilov riversarsi fuori quarantamila operai per ascoltare i socialdemocratici, i socialisti rivoluzionari, gli anarchici, chiunque, qualunque cosa avevano da dire, fino a quando volevano parlare! Per mesi a Pietrogrado, in tutta la Russia, ogni angolo di strada fu una tribuna pubblica. Nei treni, nei tram, dovunque, nascevano discussioni e dibattiti.”13
La sete di idee si rifletteva in un enorme interesse per la parola stampata. John Reed descrive la situazione rispetto ai soldati del fronte:
“Andammo al fronte della XII Armata, alle spalle di Riga, dove uomini sparuti e senza scarpe si ammalavano nel fango di terribili trincee; quando ci videro si rizzarono in piedi, i visi smunti, la carne che appariva livida dagli strappi delle divise, per domandarci avidamente: ‘Ci avete portato qualcosa da leggere?’.”14
Il Partito bolscevico guadagnò consensi perché rappresentava l’unico programma che indicava una via d’uscita. Il celebre slogan di Lenin fu: “Spiegare pazientemente!”
Le masse poterono sperimentare i programmi dei menscevichi e dei socialrivoluzionari nella pratica e li scartarono. I voti ai candidati bolscevichi nei soviet aumentarono di continuo in modo che nel settembre avevano già conquistato la maggioranza a Pietrogrado, Mosca, Kiev, Odessa e in tutti i centri principali. A questo punto, la questione di un passaggio del potere dallo screditato Governo Provvisorio, che non rappresentava che se stesso, ai soviet, organi democratici della massa dei lavoratori e dei soldati (che nella stragrande maggioranza erano contadini) era una necessità urgente. La crescita del Partito bolscevico in questo periodo è una cosa mai vista nella storia dei partiti politici. Da soli 8.000 militanti nel febbraio, esso crebbe già a 177.000 entro il VI Congresso tenutosi nel luglio. Inoltre va ricordato che questo fu realizzato nonostante un apparato estremamente debole e in condizioni di brutale persecuzione. Scrive la Krupskaja:
“La crescita dell’influenza bolscevica, particolarmente fra i soldati, era evidente. Il VI Congresso saldò ancora più strettamente le forze dei bolscevichi. L’appello emanato in nome del VI congresso del Partito parlava della posizione controrivoluzionaria assunta dal governo Provvisorio, dell’imminente rivoluzione mondiale e della battaglia fra le classi.”15
La crescita numerica del partito esprimeva solo in parte il rapido aumento della sua influenza di massa, soprattutto nei soviet degli operai e dei soldati. Marcel Liebman descrive così il progresso del Partito:
“Il Partito di Lenin registrò in tutto l’anno 1917 successi elettorali notevoli e praticamente continui. Se all’inizio della rivoluzione esso aveva solo una piccola rappresentanza nel soviet di Pietrogrado, nel maggio il gruppo bolscevico della sezione operaia di quell’istituzione possedeva già una maggioranza quasi assoluta. Un mese dopo, durante la prima conferenza dei comitati di fabbrica di Pietrogrado, tre quarti dei 568 delegati espressero consensi per le tesi bolsceviche. Eppure fu solo alla fine dell’estate che i leninisti raccolsero il pieno frutto della loro politica di opposizione al Governo Provvisorio. Nelle elezioni municipali di Pietrogrado svoltesi nel giugno i bolscevichi ottennero fra il 20 e il 21 per cento dei voti; nell’agosto, quando il partito risentiva ancora delle conseguenze delle Giornate di Luglio, esso ebbe il 33 per cento. A Mosca nel giugno i bolscevichi avevano ottenuto poco più del 12 per cento dei voti; nel settembre avevano la maggioranza assoluta, col 51 per cento dei voti. Che la loro presa fosse particolarmente forte fra la classe operaia è chiaro dal progresso della loro rappresentanza nelle conferenze dei comitati di fabbriche. A Pietrogrado, entro il settembre, non c’erano più menscevichi né socialrivoluzionari presenti alle riunioni regionali di questi organismi, essendo stati sostituiti da bolscevichi.”16
Diamo l’ultima parola su questo argomento ad un avversario importante del bolscevismo, che fu anche testimone oculare e storico della Rivoluzione Russa, cioè il menscevico Sukhanov. Descrivendo la situazione degli ultimi giorni di settembre, scrive:
“I bolscevichi lavoravano con ostinazione e senza sosta. Erano fra le masse, ai banchi delle fabbriche, ogni giorno e senza pausa. Decine di oratori, grandi e piccoli, parlavano a Pietrogrado, alle fabbriche e nelle caserme, ogni benedetto giorno. Per le masse, erano diventati la loro gente, perché erano sempre presenti, prendendo la guida nelle piccole questioni come pure negli affari più importanti della fabbrica e della caserma. Erano diventati l’unica speranza (…). Le masse vivevano e respiravano insieme ai bolscevichi.”17
Partito e classe
La Rivoluzione Russa si svolse in un periodo di nove mesi. Durante quel tempo il Partito bolscevico, usando i mezzi più democratici, conquistò la maggioranza decisiva fra gli operai e i contadini poveri. Il fatto che riuscisse così facilmente a superare la resistenza delle forze di Kerenskij si può spiegare solo con questo fatto. Inoltre, come vedremo, non esisteva modo in cui i bolscevichi avrebbero potuto mantenersi al potere senza l’appoggio della maggioranza schiacciante della società. In ogni fase, il ruolo decisivo fu giocato dall’intervento attivo delle masse; fu questo a mettere l’impronta su tutto il processo. La classe dominante, con in testa i suoi rappresentanti politici e militari, poteva solo digrignare i denti ed era ormai incapace di conservare il potere nelle sue mani. È vero che essa progettava cospirazioni continue contro la rivoluzione, compresa l’insurrezione armata del generale Kornilov, volta a rovesciare Kerenskij e ad instaurare una dittatura militare, ma tutto ciò naufragò contro il movimento delle masse.
Il fatto che le masse appoggiassero i bolscevichi fu riconosciuto all’epoca da tutti, compresi i nemici più accaniti della Rivoluzione, che – naturalmente – spiegarono un tale fenomeno dando la colpa ad ogni genere di influenze maligne, alla “demagogia”, all’immaturità degli operai e dei contadini, alla loro presunta ignoranza e ricorrendo ad ogni altro ragionamento che dimostrasse l’inutilità della democrazia stessa. Ma come mai le masse divennero ignoranti e immature solo dopo aver smesso di sostenere il Governo Provvisorio? Una tale trasformazione ha del miracoloso. Se teniamo presente il fatto ovvio che tale giudizio sia motivato da dispetto, da malizia e da un sentimento di rabbia impotente, possiamo meglio apprezzare la valenza del seguente commento di un giornale di destra, che costituisce una preziosa ammissione del fatto che i bolscevichi godevano davvero dell’appoggio delle masse. Il 28 ottobre il Russkaja Volja pubblicò un articolo in cui si diceva:
“Che probabilità di successo hanno i bolscevichi? È una domanda alla quale è difficile rispondere in quanto il loro principale sostegno è… l’ignoranza delle masse popolari. Essi ci speculano sopra, ci lavorano con una demagogia inarrestabile”.18
È impossibile capire gli avvenimenti del 1917 senza tenere presente il ruolo fondamentale delle masse. Lo stesso vale per la Rivoluzione Francese del 1789-94, un fatto che gli storici spesso non riescono ad assimilare (vi sono notevoli eccezioni, come l’anarchico Kropotkin e, nei nostri tempi, George Rudé). Ma qui, per la prima volta nella storia, se escludiamo l’episodio breve ma glorioso della Comune di Parigi, la classe operaia riuscì veramente a prendere il potere e almeno ad iniziare la trasformazione socialista della società. È proprio per questo che i nemici del socialismo sono costretti a dire menzogne sulla Rivoluzione d’Ottobre e a calunniarla. Non possono perdonare Lenin e i bolscevichi per essere riusciti a guidare la prima rivoluzione socialista, per aver dimostrato che una cosa del genere è possibile, tracciando quindi la strada alle generazioni future. Un tale precedente è pericoloso! È dunque necessario “dimostrare” (con l’aiuto della solita squadra di accademici “obiettivi”) che il tutto fu una brutta faccenda, da non ripetere.
L’affermazione che la Rivoluzione d’Ottobre fu solo un golpe viene spesso motivata indicando il numero di persone relativamente piccolo coinvolto nell’insurrezione stessa. Questo ragionamento apparentemente profondo non regge al minimo vaglio. In primo luogo confonde l’insurrezione armata con la rivoluzione, cioè confonde la parte con il tutto. In realtà l’insurrezione è solo una parte della rivoluzione, sebbene rappresenti una parte importante. Trotskij la paragona alla cresta di un’onda. In effetti i combattimenti avvenuti a Pietrogrado furono molto limitati; si potrebbe dire che l’insurrezione fu incruenta e il motivo di ciò fu che il 90% del lavoro era già stato compiuto in precedenza, conquistando l’appoggio della maggioranza decisiva fra gli operai e i contadini. Era ancora necessario ricorrere alle armi per superare la resistenza del vecchio ordine, ma la resistenza fu di minima entità; il governo crollò come un castello di carta, perché nessuno era disposto a difenderlo.
A Mosca, principalmente per gli errori dei bolscevichi locali che non agirono in modo abbastanza deciso, gli junkers controrivoluzionari passarono inizialmente all’offensiva perpetrando un massacro. Ciò nonostante, incredibilmente, furono liberati, dietro la promessa di non partecipare ad ulteriori atti violenti contro il potere dei soviet. Fu un fatto assai tipico dei primi giorni della Rivoluzione, caratterizzati da una certa ingenuità da parte delle masse che non avevano ancora capito di quale violenza terribile fossero capaci i difensori del vecchio ordine. Altro che un regime sanguinario di terrore! La Rivoluzione si comportò in un modo straordinariamente benevolo, finché la controrivoluzione non dimostrò la sua vera natura. Il generale bianco P. Krasnov fu uno dei primi a guidare un’insurrezione contro i bolscevichi, alla testa dei cosacchi. Fu sconfitto dalle guardie rosse e consegnato ai bolscevichi dai propri cosacchi, ma anche lui fu lasciato libero. Di questo Victor Serge scrive giustamente:
“La rivoluzione fece l’errore di mostrare magnanimità verso il capo dell’attacco cosacco. Avrebbero dovuto fucilarlo lì per lì. Dopo pochi giorni riebbe la libertà, dopo aver dato la sua parola d’onore di non prendere mai più le armi contro la rivoluzione. Ma quale valore possono avere promesse d’onore nei confronti dei nemici della patria e della proprietà? Egli partì per il Don dove avrebbe messo la regione a ferro e fuoco.”19
Possiamo dire, visto il numero di persone relativamente piccolo coinvolto direttamente nei combattimenti dell’Ottobre, che esso fu un golpe? Ci sono molte somiglianze fra la guerra di classe e le guerre fra nazioni. Anche in queste ultime solo una piccola parte della popolazione è nelle forze armate e solo una piccola minoranza dell’esercito è al fronte. Di questa, anche nel corso di una battaglia importante, solo una minoranza dei soldati è impegnata nei combattimenti in un determinato momento. I veterani sanno che si passa molto tempo ad aspettare nell’inattività, anche nel corso di una battaglia. Molto spesso le riserve non vengono mai chiamate all’azione. Però senza le riserve, nessun generale responsabile darebbe l’ordine di avanzare. Inoltre non è possibile condurre una guerra con successo senza il pieno appoggio della popolazione in patria, anche se quest’ultima non partecipa direttamente ai combattimenti. Il Pentagono lo ha imparato a sue spese nelle fasi finali della guerra del Vietnam.
L’argomentazione per cui i bolscevichi poterono prendere il potere senza le masse (un golpe) viene legata di solito all’idea che il potere fu preso, non dalla classe operaia, ma da un partito. Neanche questo discorso regge. Senza un’organizzazione – sindacati e partito – la classe operaia non è che materia grezza per lo sfruttamento, come spiegò Marx molto tempo fa. È vero che il proletariato dispone di un potere enorme; non gira una ruota, non splende una lampadina, senza il suo permesso. Ma senza un’organizzazione tale potere è solo potenziale, così come il vapore costituisce una forza colossale, ma senza cilindro e stantuffo esso è destinato a disperdersi inutilmente nell’aria. Affinché la forza della classe operaia non sia più solo potenziale e diventi una realtà, essa deve essere organizzata e concentrata per colpire in un solo punto. Ciò si può realizzare solo tramite un partito politico con una direzione coraggiosa e lungimirante e un programma corretto, quale fu il Partito bolscevico sotto la direzione di Lenin e di Trotskij. Basandosi sul movimento delle masse – un movimento che rappresentava tutto ciò che di vivo, progressivo e vibrante esistesse nella società russa – furono capaci di dare ad esso forma, obiettivo e voce. È questo il peccato mortale del bolscevismo, dal punto di vista della classe dominante e dei suoi portavoce nel movimento operaio. È questa la ragione del loro odio e ripugnanza verso il bolscevismo, asprezza e dispetto tali da condizionare il loro atteggiamento anche a distanza di tre generazioni.
Senza il Partito bolscevico, senza la direzione di Lenin e Trotskij, i lavoratori russi non avrebbero mai preso il potere nel 1917, nonostante l’eroismo delle masse. Il partito rivoluzionario non si può improvvisare sul momento, così come non si può improvvisare uno stato maggiore allo scoppio della guerra. Esso deve essere preparato sistematicamente nel corso degli anni e dei decenni.
Questa lezione è stata dimostrata da tutta la storia, soprattutto dalla storia del ventesimo secolo. Rosa Luxemburg, la grande rivoluzionaria e martire della classe operaia, sottolineò sempre l’iniziativa rivoluzionaria delle masse come forza motrice della rivoluzione. In questo aveva pienamente ragione. Nel corso di una rivoluzione le masse imparano rapidamente. Ma una situazione rivoluzionaria, per sua stessa natura, non può durare indefinitamente. La società non può rimanere in uno stato permanente di fermento, né la classe in uno stato perenne di attivismo incandescente. O si propone tempestivamente uno sbocco o il momento andrà perso. Non c’è il tempo di sperimentare, durante il quale i lavoratori possano imparare procedendo a tentativi. In una situazione di vita o di morte, gli errori si pagano molto cari! Dunque, al movimento “spontaneo” delle masse è necessario unire un’organizzazione, un programma, una prospettiva, una strategia e una tattica, ovvero un partito rivoluzionario guidato da quadri esperti. Non c’è altro modo.Bisogna aggiungere che in ogni momento i bolscevichi avevano sempre presente di fronte a loro la prospettiva della rivoluzione internazionale. Non credettero mai di poter conservare il potere solo in Russia. È una testimonianza impressionante della vitalità della Rivoluzione d’Ottobre il fatto che, nonostante tutte le vicissitudini, tutti i crimini di Stalin e la terribile distruzione della Seconda guerra mondiale, le conquiste di base furono mantenute per così tanto tempo, anche quando la rivoluzione, privata dell’aiuto del resto del mondo, dovette contare solo sulle proprie risorse.
“Tutto il potere ai soviet!”
Come corollario delle calunnie contro l’Ottobre, si tenta di dipingere la Rivoluzione di Febbraio a tinte rosee. Il regime “democratico” di Kerenskij, si afferma, avrebbe guidato la Russia verso un futuro glorioso di prosperità, se solo i bolscevichi non avessero rovinato tutto quanto. Ahimè! L’idealizzazione della Rivoluzione di Febbraio non regge al minimo esame. La Rivoluzione del Febbraio 1917 – che aveva abbattuto il vecchio regime zarista – non risolse nemmeno uno dei compiti della rivoluzione nazional-democratica: riforma agraria, una repubblica democratica, il problema delle nazionalità oppresse nell’impero zarista. Non fu capace nemmeno di soddisfare la richiesta più elementare delle masse: la fine del massacro imperialista e la conclusione di una pace democratica. In poche parole, nel corso di nove mesi il regime di Kerenskij diede ampia prova della sua totale incapacità di soddisfare anche i bisogni più elementari del popolo russo. Da solo, questo fatto permise ai bolscevichi di andare al potere con l’appoggio della maggioranza decisiva della società.
La Russia zarista che emergeva dalle devastazioni della Prima guerra mondiale era una semicolonia, dove la Francia, la Germania e la Gran Bretagna avevano molti interessi. Aveva meno del 3 per cento della produzione industriale mondiale; non poteva competere sui mercati. Per ogni cento chilometri quadrati di terra, vi erano solo 0,4 chilometri di ferrovia. Nelle campagne, circa l’80 per cento della popolazione sopravviveva con difficoltà su milioni di piccoli appezzamenti. La borghesia russa era entrata troppo tardi nell’arena della storia; non era riuscita ad assolvere a nessuno dei compiti della rivoluzione democratico-borghese, come invece era successo in Inghilterra e in Francia nei secoli XVII e XVIII. Al contrario, i capitalisti russi si appoggiavano da una parte sull’imperialismo e dall’altra sull’autocrazia zarista; erano legati a doppio filo ai vecchi proprietari fondiari ed all’aristocrazia. La borghesia, inorridita dalla Rivoluzione del 1905, era diventata più conservatrice e sospettosa verso gli operai; non aveva nessun ruolo rivoluzionario da giocare.
“Se agli albori della sua storia essa si era dimostrata troppo poco matura per effettuare una Riforma – dice Trotskij – lo era divenuta troppo quando giunse il momento di dirigere la rivoluzione”.20
L’unica classe rivoluzionaria in Russia era il proletariato, giovane e piccolo, ma altamente concentrato. In base alle leggi dello sviluppo diseguale e combinato, un paese arretrato assimila le conquiste materiali ed intellettuali dei paesi avanzati. Esso non riproduce fedelmente tutte le fasi del passato, ma salta tutta una serie di tappe intermedie. Ciò dà luogo ad uno sviluppo contraddittorio, in cui gli aspetti più moderni si sovrappongono a condizioni estremamente arretrate. Gli investimenti stranieri in Russia avevano creato grosse fabbriche e industrie altamente avanzate. I contadini venivano strappati alle loro radici, gettati nell’industria e proletarizzati da un giorno all’altro. Toccò a questo giovane proletariato – che non aveva nessuna delle tradizioni conservatrici del suo omologo occidentale – il compito immane di portare la società russa fuori dall’impasse in cui si trovava. Il tentativo di contrapporre il regime di Febbraio a quello che scaturisce dall’Ottobre è assolutamente infondato. Se i bolscevichi non avessero preso il potere, la Russia sarebbe andata verso un futuro, non caratterizzato da una prospera democrazia borghese, ma dalla barbarie fascista sotto il tallone di Kornilov o di un altro generale bianco. Un tale sviluppo avrebbe comportato non un progresso, ma una regressione terribile.
Nella Rivoluzione d’Ottobre, il proletariato vittorioso dovette affrontare in primo luogo i problemi fondamentali della rivoluzione nazional-democratica e poi procedette, ininterrottamente, a portare a termine i compiti del socialismo. Era questa l’essenza della rivoluzione permanente. La catena del capitalismo aveva ceduto nel suo anello più debole, come diceva Lenin. La Rivoluzione d’Ottobre rappresentava l’inizio della rivoluzione socialista mondiale. Nella Rivoluzione di Febbraio erano sorti spontaneamente comitati di operai e di soldati, come era successo nel 1905. I comitati, ovvero i soviet, si trasformarono da comitati di sciopero allargati in strumenti politici della classe nella lotta per il potere e successivamente in organi amministrativi del nuovo Stato operaio. Erano molto più democratici degli organismi – eletti su basi territoriali – della democrazia borghese. Per parafrasare Marx, la democrazia borghese permette ai lavoratori di votare ogni cinque anni per dei partiti che non rappresentano i loro interessi. In Russia, una volta estesi fra i contadini, questi organismi abbracciarono la stragrande maggioranza delle popolazione.
Durante i nove mesi intercorsi tra il Febbraio e l’Ottobre, i soviet costituirono un potere alternativo allo Stato borghese; fu un periodo di “dualismo di potere”. Una delle rivendicazioni più importanti dei bolscevichi in tutto quel periodo fu: “Tutto il potere ai soviet!”
Mesi di spiegazione paziente e la dura esperienza degli avvenimenti convinsero la stragrande maggioranza dei lavoratori e dei contadini poveri della giustezza delle tesi bolsceviche. La Rivoluzione d’Ottobre portò al potere un nuovo governo rivoluzionario, la cui autorità derivava dal Congresso dei Soviet. Contrariamente alle credenze comuni, non fu un regime monopartitico, ma all’origine un governo di coalizione fra bolscevichi e socialrivoluzionari di sinistra. Il compito urgente che il governo doveva affrontare era di allargare l’autorità del potere sovietico – l’egemonia della classe operaia – in tutta la Russia. Il 5 gennaio del 1918 il governo emanò un decreto per cui i soviet locali venivano investiti di tutti i poteri detenuti dalle vecchie amministrazioni e si proponeva: “Tutto il paese deve essere coperto da una rete di nuovi soviet”.
Il sistema non fu un fenomeno esclusivamente russo, come invece affermano i riformisti. La Rivoluzione del novembre 1918 in Germania generò spontaneamente degli organismi simili; erano l’incarnazione dell’autorganizzazione dei lavoratori. In ogni porto, città e caserma della Germania, furono costruiti soviet degli operai, dei soldati e dei marinai, che avevano il potere politico reale. Sorsero dei soviet anche in Baviera e durante la Rivoluzione ungherese del 1919. Anche in Gran Bretagna sorsero nel 1920 dei Consigli d’Azione che Lenin definì “soviet in tutto tranne nel nome”, come pure durante lo Sciopero Generale del 1926 (comitati d’azione e consigli sindacali). Sebbene gli stalinisti e i riformisti tentarono di impedire la ricomparsa dei soviet, questi riemersero nella Rivoluzione ungherese del 1956 con la creazione del Consiglio Operaio di Budapest.
In origine il soviet – la forma di rappresentanza popolare più democratica e flessibile finora concepita – era semplicemente un comitato di sciopero allargato. Nati nella lotta di massa i soviet (o consigli operai) assunsero dei compiti estremamente ampi e infine si trasformarono in organi di diretto governo rivoluzionario. Oltre ai soviet locali, eletti in ogni città, cittadina e borgata, in ogni grande città esistevano anche soviet di rione (raionnij), di distretto e di provincia (oblastnij o gubiernskij) e infine venivano eletti delegati al Comitato Esecutivo Centrale Panrusso dei Soviet con sede a Pietrogrado. I delegati al Soviet dei Deputati degli Operai, dei Soldati e dei Contadini venivano eletti su ogni luogo di lavoro ed erano soggetti alla revoca immediata del mandato. Non esisteva un’élite burocratica; nessun deputato, nessun funzionario riceveva più del salario di un operaio specializzato.
Subito dopo la rivoluzione il governo sovietico emanò tutta una serie di decreti economici, politici, amministrativi e culturali. A livello di base le organizzazioni sovietiche spuntavano come funghi. Dappertutto si tentò di abolire la distinzione fra le funzioni legislative e quelle esecutive, per consentire alla gente di partecipare direttamente all’applicazione delle decisioni che aveva preso. Di conseguenza le masse iniziarono a prendere in mano il proprio destino. Nel novembre 1917 Lenin scrisse un appello sul Pravda:
“Compagni, lavoratori! Ricordatevi che ora siete voi stessi al timone dello Stato. Nessuno vi aiuterà se non vi unirete per prendere in mano gli affari dello Stato (…) Datevi subito da fare; cominciate fin dal basso, non aspettate nessuno.”21
Era ansioso che le masse venissero coinvolte nella gestione dell’industria e dello Stato. Nel dicembre 1917 Lenin scrisse:
“Uno dei più importanti compiti di oggi, se non addirittura il più importante, è disviluppare l’iniziativa indipendente degli operai, e del popolo lavoratore e sfruttato in generale, svilupparla nel modo più ampio possibile nel lavoro organizzativo creativo. A tutti i costi dobbiamo rompere il vecchio pregiudizio assurdo, selvaggio, spregevole e ripugnante per cui solo le classi superiori, solo i ricchi e quelli che hanno fatto la loro scuola sono capaci di amministrare lo Stato e di dirigere lo sviluppo organizzativo della società socialista”.22
Il mito dell’Assemblea Costituente
Fra le numerose leggende messe in giro per presentare la Rivoluzione d’Ottobre in cattiva luce, forse la più persistente è quella sull’Assemblea Costituente. Secondo questa, i bolscevichi prima della rivoluzione avevano rivendicato un parlamento eletto democraticamente (Assemblea Costituente), ma dopo la rivoluzione lo sciolsero. Visto che erano in minoranza – si dice – decisero di sciogliere il parlamento democraticamente eletto e di ricorrere alla dittatura. Ora, questo ragionamento trascura diverse questioni fondamentali. In primo luogo, la richiesta di un’Assemblea giocò indubbiamente un ruolo progressista nel mobilitare le masse, particolarmente i contadini, contro l’autocrazia zarista, ma fu solo una fra una serie di rivendicazioni rivoluzionarie-democratiche e tra queste non necessariamente la più importante. Le masse furono conquistate alla rivoluzione in base ad altre rivendicazioni, in particolare “Pace, pane e terra”. Queste a loro volta divennero realtà solo perché erano legate ad un’altra rivendicazione: tutto il potere ai soviet.
La Rivoluzione di Febbraio fallì precisamente perché non era capace di soddisfare questi bisogni impellenti della popolazione. La totale impotenza del regime di Kerenskij non era casuale; rifletteva il carattere reazionario della borghesia russa. Solo il trasferimento rivoluzionario del potere nelle mani della parte più decisamente rivoluzionaria, la classe operaia, rese possibile mettere fine alla guerra e distribuire la terra ai contadini. Fu questa la funzione della Rivoluzione d’Ottobre.
La convocazione delle elezioni all’Assemblea Costituente l’anno successivo ebbe il carattere di una rivendicazione di secondaria importanza. I bolscevichi intendevano usarla per mobilitare la maggioranza dei contadini e coinvolgerli nella vita politica. Soprattutto dal punto di vista dei contadini, la democrazia parlamentare formale è più che inutile, se non come mezzo per portare avanti una politica che risolva i loro bisogni più urgenti. In certe circostanze l’Assemblea Costituente avrebbe potuto giocare un ruolo progressista. Ma in pratica divenne evidente che questa Assemblea Costituente poteva essere solo un ostacolo e un punto di riferimento per la controrivoluzione. Qui il lento meccanismo delle elezioni parlamentari rimaneva molto indietro rispetto al rapido flusso della rivoluzione. Il vero atteggiamento dei contadini fu rivelato nel corso della guerra civile, mentre i socialrivoluzionari di destra e la maggior parte dei menscevichi collaborarono coi Bianchi. Al tempo della Rivoluzione d’Ottobre i Soviet dei Deputati degli Operai e dei Soldati rappresentavano tutto ciò che di vivo e dinamico c’era nella società russa. Nei soviet, che erano di gran lunga più democratici di qualsiasi parlamento, la classe operaia votò per i bolscevichi. Allo stesso tempo anche i soldati, per la maggior parte contadini, votarono nella stragrande maggioranza per i bolscevichi, come dimostra la seguente tabella:
Risultati elettorali a Mosca
Partito Voti giugno / Voti settembre / % / %
Socialrivoluzionari 474.885 / 54.374 / 58 / 14
Menscevichi 76.407 / 15.887 / 12 / 4
Cadetti 168.781 / 101.106 / 17 / 26
Bolscevichi 75.409 / 198.230 / 12 / 51
(Fonte: Oskar Anweiler, Die Rätebewegung in Russland, 1905-21)
*Bisogna tener conto che i dati di giugno si riferiscono alle elezioni alla Duma cittadina di Mosca (consiglio comunale), mentre quelli di settembre si riferiscono ai consigli di zona. In questo secondo caso la partecipazione non superò il 50 % dei votanti.
Le cifre dimostrano, da una parte, una crescente polarizzazione fra le classi, a destra (si noti il voto del partito borghese cadetto) e a sinistra, e un crollo dei partiti del “centro”, cioè i menscevichi e i socialrivoluzionari. Ma l’elemento più notevole è la vittoria schiacciante dei bolscevichi, che dal solo 12% a giugno passano ad avere la maggioranza assoluta. Ciò dimostra che i bolscevichi avevano l’appoggio della stragrande maggioranza degli operai e di una parte consistente dei contadini. Nel novembre 1917 il dirigente menscevico J.O. Martov dovette ammettere lui stesso che “quasi tutto il proletariato sostiene Lenin”.23
Precisamente su questa base i bolscevichi poterono abbattere lo screditato Governo Provvisorio e prendere il potere incontrando una resistenza minima. Questi fatti da soli smentiscono il mito per cui la Rivoluzione d’Ottobre fu un golpe.
La sua legittimità democratica fu invece stabilita chiaramente. Ma ciò non si riflesse nelle elezioni all’Assemblea Costituente, dove i bolscevichi ottennero solo il 23,9% dei voti (a cui vanno aggiunti però i voti degli SR di sinistra che nel frattempo erano usciti dal partito):
Assemblea Costituente (voti)
Partiti contadini:
SR russi 15.848.004
SR ucraini 1.286.157
Coalizione socialista ucraina 3.556.581
Totale SR e alleati 20.690.742
Partiti operai:
Bolscevichi 9.844.637
Menscevichi 1.364.826
Altri socialisti 601.707
Partiti borghesi e di destra:
Cadetti 1.986.601
Gruppi russi conservatori 1.262.418
Gruppi nazionalisti 2.620.967
Assemblea Costituente (seggi):
SR russi 299
SR ucraini 81
SR di sinistra 39
Bolscevichi 168
Menscevichi 18
Altri socialisti 4
Cadetti 15
Conservatori 2
Gruppi nazionalisti 77
(Fonte: Oskar Anweiler, Die Rätebewegung in Russland, 1905-21)
Nonostante ciò, i bolscevichi rimasero saldamente al potere. Perché? Tradizionalmente gli SR di destra avevano guidato i contadini, fin dai tempi dei narodniki di inizio secolo. Questi elementi piccolo borghesi erano l’aristocrazia tradizionale del villaggio: professori, avvocati, “i signori che parlavano bene”. Durante la Prima guerra mondiale, molti di questi divennero ufficiali nell’esercito. Al tempo della Rivoluzione di febbraio questi rivoluzionari democratici esercitavano un’influenza considerevole fra i soldati contadini. Il loro “rivoluzionarismo” vago e amorfo corrispondeva ai primi risvegli di coscienza fra i contadini. Ma la marea della rivoluzione si muove rapidamente. Poco dopo la Rivoluzione di Febbraio gli SR di destra tradirono i contadini abbandonando il programma della lotta rivoluzionaria per la pace e la terra.
A chi potevano rivolgersi i contadini in divisa? Una volta iniziate alla vita politica le masse contadine, specialmente lo strato più attivo nell’esercito, la cui esperienza della guerra aveva accresciuto il loro livello di comprensione in confronto a quello dei loro fratelli nelle campagne, arrivarono presto a capire la necessità di un rovesciamento rivoluzionario per conquistare pace, pane e terra. Questo si poteva realizzare solo attraverso un’alleanza rivoluzionaria col proletariato. La comprensione di questo fatto fu evidenziata nelle elezioni ai soviet con uno spostamento brusco a sinistra. Nell’autunno del 1917, i vecchi dirigenti SR di destra avevano perso la loro base fra i soldati, che passarono a frotte dalla parte degli SR di sinistra e dei loro alleati bolscevichi.
Le elezioni all’Assemblea Costituente vennero organizzate in fretta dopo la rivoluzione in base a liste compilate prima dell’Ottobre, quando i contadini non avevano ancora avuto tempo per capire i processi in atto e la spaccatura fra socialrivoluzionari di sinistra e di destra non si era ancora verificata. Non c’era stato tempo perché i contadini nel loro complesso afferrassero il significato della Rivoluzione d’Ottobre e del potere sovietico, particolarmente nei campi vitali della riforma agraria e della pace. La dinamica di una rivoluzione non si può tradurre facilmente nel meccanismo ingombrante del parlamentarismo. Nelle elezioni all’Assemblea Costituente, la massa inerte delle campagne arretrate fu gettata sul piatto della bilancia. Sotto il peso della zavorra di mille anni di schiavitù i villaggi erano rimasti indietro rispetto alle città.
Questi SR di destra non erano i rappresentanti politici dei contadini, bensì i loro sfruttatori politici. Implacabilmente ostili alla Rivoluzione d’Ottobre, avrebbero riconsegnato il potere ai proprietari terrieri ed ai capitalisti con una sorta di controrivoluzione democratica come quella che tolse il potere dalle mani della classe operaia tedesca nel novembre 1918. Esistevano due centri di potere, reciprocamente alternativi. I reazionari si raggrupparono intorno allo slogan: “Tutto il potere all’Assemblea Costituente”. Di fronte a questa situazione i bolscevichi, con l’appoggio degli SR di sinistra, non esitarono a dare la priorità agli interessi della rivoluzione rispetto alle finezze costituzionali. Basandosi sui soviet, i bolscevichi sciolsero l’Assemblea Costituente. Non ci fu resistenza. Anche oggi questo episodio provoca una reazione di indignazione in certi ambienti, eppure rimane una contraddizione lampante: se l’Assemblea Costituente rappresentava davvero la volontà delle masse, perché nessuno corse a difenderla? Non fu alzata una mano in sua difesa, precisamente perché era un anacronismo senza rappresentatività. Il motivo di ciò è spiegato molto bene dal celebre storico inglese della Rivoluzione russa, E.H. Carr:
“Gli SR erano andati alle elezioni come partito unico presentando una sola lista di candidati. Il loro manifesto elettorale conteneva molti principi e obiettivi, ma, pur essendo pubblicato all’indomani della Rivoluzione d’Ottobre, era stato stilato prima di quell’avvenimento e non definiva l’atteggiamento del Partito in proposito. Ora, tre giorni dopo l’elezione la maggioranza del partito aveva fatto una coalizione con i bolscevichi e si era divisa formalmente dall’altra parte che manteneva la sua aspra faida contro i bolscevichi. La proporzione fra SR di destra e di sinistra nell’Assemblea Costituente – 370 a 40 – era fortuita. Era del tutto diversa dalla proporzione corrispondente nella composizione del congresso contadino e non rappresentava necessariamente l’opinione degli elettori su un punto vitale che non era stato sottoposto al loro giudizio.“Il popolo”, disse Lenin, “ha votato un partito che non esisteva più”. Riesaminando tutta la faccenda due anni dopo, Lenin trovò un’altra argomentazione che era più consistente di quanto fosse apparsa a prima vista. Egli notò che nelle grandi città industriali i bolscevichi superavano quasi dappertutto gli altri partiti. Nelle due capitali prese insieme, ottennero la maggioranza assoluta, con i Cadetti al secondo posto e gli SR molto indietro in terza posizione. Ma nelle questioni della rivoluzione valeva il noto principio: “la città inevitabilmente trascina la campagna dietro di sé; la campagna inevitabilmente segue la città”. Le elezioni all’Assemblea Costituente, se non registrarono la vittoria del bolscevichi, avevano indicato chiaramente la strada verso di essa per chi aveva occhi per vedere”.24
Questo fu riconosciuto con parole simili dallo stesso Kerenskij, che nelle sue memorie scrisse:
“L’apertura dell’Assemblea Costituente finì come una tragica farsa. Non avvenne nulla che le desse la qualità di memorabile azione di retroguardia in difesa della libertà”.25
I contadini e i soviet
La Rivoluzione d’Ottobre fu quasi pacifica perché nessuna classe era disposta a difendere il vecchio ordine, il Governo Provvisorio o l’Assemblea Costituente, come riconosce qui Kerenskij. I contadini non erano disposti a battersi per difendere l’Assemblea Costituente. Invece, nella guerra civile che seguì, la maggioranza dei contadini passò dalla parte dei bolscevichi una volta sperimentato il regime delle Guardie Bianche e conosciuto il ruolo degli SR di destra e dei menscevichi, che aprivano sempre la strada alla controrivoluzione bianca. Con la dittatura dei vari generali bianchi tornarono i vecchi proprietari. I contadini forse non si intendevano molto di politica, ma capivano che solo i bolscevichi erano disposti a dare loro la terra – cosa che questi ultimi fecero il giorno dopo la rivoluzione – mentre i cosiddetti partiti contadini erano solo una foglia di fico per il ritorno dei vecchi schiavisti. Ciò fu sufficiente per decidere la questione.In un libro di recente pubblicazione, Tragedia di un Popolo: la Rivoluzione Russa 1891-1924, che per qualche sconosciuto motivo pretende di essere uno studio serio della Rivoluzione Russa, l’autore Orlando Figes non perde occasione di manifestare un’ostilità particolarmente velenosa verso il bolscevismo. Questo è tipico del nuovo stile; si potrebbe parlare quasi di un genere letterario, la storia “accademica”, che ha come intenzione quella di calunniare Lenin ed identificare la Rivoluzione d’Ottobre con lo stalinismo. Eppure anche questo autore è costretto ad ammettere quanto segue:
“Ci fu un’indifferenza ancora più profonda fra i contadini, base tradizionale di sostegno al Partito SR. L’intellighenzia SR si era sempre sbagliata nel credere che i contadini condividessero la sua venerazione per l’Assemblea Costituente. Per i contadini istruiti, o per quelli che erano stati esposti a lungo alla propaganda degli SR, l’Assemblea era forse un simbolo politico della “rivoluzione”, ma per la massa dei contadini, la cui visione politica era limitata ai ristretti confini del proprio villaggio e dei propri campi, si trattava solo di una cosa remota situata nella città, dominata dai “capi” dei vari partiti, che essi non capivano, e che non assomigliava affatto alle loro organizzazioni politiche. Era un parlamento nazionale, che l’intellighenzia aveva a cuore da molto tempo, ma i contadini non condividevano la concezione che aveva quest’ultima sulla nazione politica; il suo linguaggio di “statismo” e “democrazia”, di “diritti e doveri civici”, era per i contadini una cosa estranea e quando essi utilizzavano questa retorica urbana vi attribuivano un significato specifico “contadino” adatto alle esigenze delle loro comunità. I soviet dei villaggi erano molto più vicini agli ideali politici della massa dei contadini, essendo in effetti niente più di una forma più rivoluzionaria delle tradizionali assemblee di villaggio. Attraverso i soviet di villaggio e di volost (provincia), i contadini stavano già portando avanti la propria rivoluzione sulla terra che per essere completata non aveva bisogno della sanzione di un decreto dell’Assemblea Costituente (né, se è per questo, del Governo Sovietico stesso). Gli SR di destra non capivano questo fatto fondamentale: che l’autonomia dei contadini attraverso i loro soviet di villaggio, dal loro punto di vista, aveva ridotto il significato di un qualsiasi parlamento nazionale, poiché avevano raggiunto la loro volja, l’antico ideale contadino di autogoverno. Senz’altro, per abitudine o per riguardo agli anziani dei villaggi, la massa dei contadini avrebbe dato il suo voto agli SR nelle elezioni all’Assemblea Costituente. Ma ben pochi erano disposti ad unirsi alla battaglia degli SR per il suo ripristino, come avrebbe dimostrato il deprimente fallimento del Komuch nell’estate del 1918. Praticamente tutte le risoluzioni dei villaggi sull’argomento resero chiaro che non volevano la restaurazione dell’Assemblea in quanto “padrone politico della terra russa”, nelle parole di una delle risoluzioni, con un’autorità al di sopra dei soviet locali”.26
E, come illustrazione di questo fatto, Figes cita le parole dell’SR di destra Boris Sokolov, che conosceva da vicino le opinioni dei contadini come risultato della sua attività di agitatore SR nell’esercito:
“Per la massa dei soldati al fronte, l’Assemblea Costituente era una cosa totalmente sconosciuta e per niente chiara; era indubbiamente terra incognita. Le loro simpatie erano chiaramente per i soviet. Erano queste le istituzioni che per loro erano vicine e care, in quanto ricordavano le loro assemblee di villaggio (…). Più di una volta mi è capitato di sentire i soldati, anche i più intelligenti, contestare l’idea dell’Assemblea Costituente. Per la maggior parte era associata con la Duma dello Stato, un’istituzione che era loro lontana. ‘A cosa serve una qualche Assemblea Costituente, quando abbiamo già i nostri soviet, dove i nostri propri deputati possono incontrarsi per decidere tutto?’”27
Va detto che le proteste sdegnose degli storici borghesi su questo argomento rivelano o una totale ignoranza della realtà storica oppure sono indice di una memoria altamente selettiva. Oliver Cromwell, leader della Rivoluzione Inglese del ’600, utilizzò il suo Esercito Modello per disperdere il Parlamento per motivi molto simili a quelli che convinsero i bolscevichi della necessità di chiudere l’Assemblea Costituente. I moderati Presbiteriani, che dominavano nel Parlamento, avevano rappresentato il primo risveglio, confuso e incoerente, della Rivoluzione, ma ad un certo punto si erano trasformati in una forza conservatrice sbarrando la strada alle masse piccolo-borghesi radicalizzate che volevano andare più in là. Non c’è dubbio che la rimozione di questo ostacolo fu fondamentale per la vittoria dei Roundheads (Teste Rotonde).
Si verificarono processi analoghi nella Rivoluzione francese, quando la tendenza rivoluzionaria più coerente associata ai giacobini epurò ripetutamente la Convenzione Nazionale e addirittura mandò i propri avversari alla ghigliottina. Di nuovo, è chiaro che senza una tale decisa azione, la rivoluzione non avrebbe mai potuto prevalere contro i potenti nemici dentro e fuori della Francia. Ogni genere di argomentazioni legalistiche e moralistiche è stato rivolto contro i giacobini, ma queste mancano l’obiettivo; l’essenza di una rivoluzione è che si tratta di una rottura decisiva col vecchio ordine. La feroce resistenza delle vecchie classi possidenti a volte la costringe a prendere misure drastiche nella propria autodifesa. Ma nessuno ha ancora spiegato come Cromwell o Robespierre avrebbero potuto agire in qualche altro modo riuscendo ugualmente a portare a termine la Rivoluzione. Dopo aver disperso il Parlamento Lungo, Cromwell osservò: “Non si è sentito neanche l’abbaiare di un cane né un rimpianto visibile e diffuso”.28
Al Terzo Congresso Pan-russo dei Soviet, tenutosi nel gennaio 1918, Lenin disse:
“Molto spesso vengono delegazioni di operai e di contadini al governo per chiedere, ad esempio, cosa fare con un determinato tratto di terra. E frequentemente mi sono sentito in imbarazzo quando ho visto che non avevano pareri molto definiti. E ho risposto loro: ‘il potere siete voi, fate tutto quello che volete, prendete tutto quello che volete; noi vi appoggeremo’ (…).”29
Al VII Congresso del Partito, svoltosi qualche mese dopo, egli sottolineò che “il socialismo non può essere realizzato da una minoranza, dal Partito; può essere realizzato solo da decine di milioni di persone, quando avranno imparato a farlo loro stesse”.30
Queste dichiarazioni di Lenin – e dichiarazioni simili si possono trovare a volontà – riflettevano la sua fiducia profondamente radicata nella capacità dei lavoratori di decidere il proprio futuro. Stridono nettamente con le menzogne degli storici borghesi che hanno tentato di contaminare le idee democratiche del leninismo con i crimini dello stalinismo. Questa “dittatura del proletariato” era in tutti i sensi un’autentica democrazia operaia, a differenza del regime totalitario di Stalin sviluppatosi in seguito. Il potere politico era nelle mani delle masse, che erano rappresentate attraverso i soviet. All’inizio anche i partiti filocapitalisti (ad eccezione delle Centurie Nere, un’organizzazione estremamente reazionaria ed antisemita) avevano libertà di organizzazione. Furono solo le esigenze della successiva guerra civile e le attività dei sabotatori e dei controrivoluzionari a costringere i bolscevichi a mettere fuori legge gli altri partiti, come misura temporanea. I Socialrivoluzionari di sinistra passarono all’opposizione e minacciarono di sabotare la rivoluzione uccidendo l’ambasciatore tedesco, Conte Mirbach, allo scopo di spingere la Russia in guerra con la Germania. Questi elementi furono i mandanti del tentato assassinio di Lenin nel 1918, attentato che fallì sul momento, ma sei anni dopo gli stroncò la vita.Non appena i lavoratori e i contadini presero il potere, dovettero affrontare l’intervento armato imperialista volto ad abbattere il potere sovietico. Nella prima metà del 1918, le forze navali britanniche e francesi occuparono Murmansk ed Arcangelo nel nord della Russia. Pochi giorni dopo, le loro forze marciavano su Pietrogrado. Nell’aprile i giapponesi sbarcarono a Vladivostok e fu instaurato un “governo panrusso di Omsk”. Nel volgere di due mesi questo governo fu rovesciato da un golpe che stabilì la dittatura dell’ammiraglio Kolciak. Intanto l’imperialismo tedesco aveva occupato la Polonia, la Lituania, la Lettonia e l’Ucraina in collusione con i generali delle Guardie Bianche Krasnov e Wrangel. Il pretesto utilizzato fu quello di assistere “la popolazione in lotta contro la tirannide bolscevica”. Presi in una morsa a tenaglia i bolscevichi rischiavano di perdere Pietrogrado nell’autunno 1919. “Eravamo fra l’incudine e il martello”, scrisse Trotskij.31
Si fa un gran parlare sul cosiddetto Terrore Rosso e sui mezzi violenti usati dalla Rivoluzione per difendersi. Ma ci si dimentica troppo facilmente che la Rivoluzione d’Ottobre stessa fu praticamente pacifica. Il vero bagno di sangue avvenne nella guerra civile, quando la repubblica sovietica fu invasa da ventun eserciti stranieri. I bolscevichi avevano ereditato un paese in rovina e un esercito frantumato e si erano trovati subito di fronte ad una ribellione armata guidata da Kerenskij e dagli ufficiali bianchi sostenuti dall’intervento degli eserciti stranieri. Ad un certo punto l’autorità del potere sovietico fu ridotta a solo due province, equivalenti all’antico principato di Mosca, eppure i bolscevichi riuscirono a cacciare indietro la controrivoluzione. Anche se accettassimo (erroneamente) che Lenin e Trotskij in qualche modo avessero preso il potere alla testa di un piccolo gruppo di cospiratori privo di un appoggio di massa, l’idea che potessero sconfiggere le forze unite delle Guardie Bianche e degli eserciti stranieri su una tale base è francamente assurda.La guerra comporta necessariamente il ricorso alla violenza, la guerra civile più delle altre. Lo Stato operaio, debole ed assediato, fu costretto a difendersi con le armi in pugno o arrendersi agli eserciti bianchi che, alla stessa maniera di tutti gli eserciti simili, nel corso della storia del mondo, ricorsero ai metodi più bestiali e sanguinari per terrorizzare i lavoratori e i contadini. Se questi avessero prevalso il risultato sarebbe stato un mare di sangue. Non c’è nulla di più comico dell’affermazione che, se solo i bolscevichi non avessero preso il potere, la Russia avrebbe imboccato la strada di una democrazia capitalista prospera. I fatti fanno a pugni con questa idea! Già nell’estate del 1917 l’insurrezione del generale Kornilov aveva dimostrato che l’instabile regime di dualismo di potere stabilitosi nel Febbraio si stava sgretolando. L’unica domanda era chi sarebbe riuscito a stabilire una dittatura: Kerenskij o Kornilov.
A tutti gli attacchi ipocriti rivolti ai bolscevichi per il cosiddetto terrore rosso c’è una risposta molto semplice. Anche il governo borghese più democratico sulla Terra non tollererebbe mai l’esistenza di gruppi armati che tentassero di rovesciare l’ordine esistente con mezzi violenti. Tali gruppi vengono messi subito fuori legge e i loro dirigenti vengono incarcerati o giustiziati. Questo è considerato perfettamente legale ed accettabile per la morale borghese. Eppure non si applicano gli stessi criteri al governo bolscevico assediato, che lottava per la propria sopravvivenza ed era sotto attacco da tutte le parti. L’ipocrisia è ancora più nauseante se consideriamo il fatto che furono precisamente questi governi occidentali “democratici” ad organizzare la maggior parte delle offensive militari contro i bolscevichi in quel periodo.
Già alla Conferenza di Pace di Versailles, i governi degli Alleati vittoriosi si preparavano a rovesciare i bolscevichi: Bullin, nella sua testimonianza davanti al comitato del Senato per le relazioni estere, descrisse così l’umore prevalente alla conferenza di Parigi nell’aprile 1919:
“Kolciak avanzò di 100 miglia e subito tutta la stampa parigina ruggiva e strillava sull’argomento, annunciando che Kolciak sarebbe arrivato a Mosca entro quindici giorni; così tutti i presenti, fra cui, mi dispiace dirlo, alcuni membri della commissione americana, cominciarono a sviluppare un atteggiamento tiepido sulla pace in Russia, perché credevano che Kolciak sarebbe arrivato a Mosca e avrebbe cancellato il governo sovietico”.32
Il carattere antidemocratico della borghesia russa fu evidente anche prima della Rivoluzione d’Ottobre, quando essa bramava l’ingresso sulla scena di un Napoleone che ristabilisse “l’ordine”. Secondo le parole del grande capitalista Stepan Georgevich Lianozov:
“La rivoluzione è una malattia. Prima o poi le potenze straniere devono intervenire qui – come si interverrebbe per curare un bambino malato e insegnargli a camminare – (…) Nei trasporti c’è demoralizzazione, le fabbriche si chiudono e i tedeschi avanzano. La fame e la sconfitta potrebbero far ragionare il popolo russo.”33
Come dimostrano le osservazioni di Lianozov, la calunnia ripugnante per cui Lenin sarebbe stato un agente tedesco – che incredibilmente gira ancora – è in totale contrasto coi fatti. Non fu Lenin, ma la borghesia russa ad essere filotedesca. Nel 1917 furono questi ambienti a cullarsi sull’idea di vendere la Russia al nemico. Dopo l’Ottobre questo non fu l’eccezione, ma la regola. Questi “patrioti” addirittura desideravano l’arrivo dell’esercito tedesco; preferivano il tallone straniero al potere degli operai e dei contadini russi. Questo sentimento filotedesco era diffuso fra le classi possidenti. John Reed ricorda una conversazione alla casa di una famiglia russa benestante:
“Nella famiglia russa, presso la quale vivevo, a tavola l’argomento di conversazione era, quasi invariabilmente, l’arrivo dei tedeschi che avrebbero portato “la legge e l’ordine”… Mi capitò di trascorrere una serata in casa di un commerciante moscovita e, mentre prendevamo il tè, domandai alle undici persone a tavola se preferissero “Guglielmo o i bolscevichi”. Vinse Guglielmo, dieci contro uno…”34
Reazione selvaggia
Nella guerra civile che seguì all’Ottobre, ci fu una proliferazione di generali reazionari. L’idea che la democrazia si sarebbe potuta impiantare sul suolo russo con le baionette delle Guardie bianche è un controsenso palese. Dietro le linee bianche tornarono i vecchi proprietari e i capitalisti per vendicarsi dei lavoratori e dei contadini. La stragrande maggioranza dei contadini non era per il socialismo, pur simpatizzando coi bolscevichi per il loro programma agrario rivoluzionario. Ma una volta resisi conto che gli eserciti bianchi erano dalla parte dei proprietari, finì ogni sostegno contadino nei loro confronti. I generali bianchi rappresentavano la reazione zarista nella sua forma più brutale. Erano dei precursori del fascismo, ma mancava loro la base attiva di quest’ultimo, anche se ciò non avrebbe reso il loro dominio più mite. Per vendicarsi per lo spavento patito e per dare una lezione alle masse, avrebbero scatenato per anni, se non per decenni, un regno di terrore simile a quello che in futuro avrebbero fatto Franco o Pinochet. Sarebbe stato un regime di terribile declino, sul piano sociale, culturale ed economico.
Le orrende atrocità degli eserciti bianchi, comandati da A.I. Denikin, A.V. Kolciak, N. Judenic, P.N. Wrangel ed altri, riflettevano il panico di una élite condannata. Wrangel si vantò che, dopo aver fucilato un prigioniero rosso su dieci, avrebbe dato agli altri la possibilità di dimostrare il loro “patriottismo” e di “riparare i loro peccati” in battaglia. I prigionieri vennero torturati a morte, i contadini ribelli vennero impiccati e si organizzarono orrendi pogrom contro gli ebrei nelle zone occupate. Dappertutto venne restaurato il potere dei proprietari terrieri. Come mezzo di autodifesa i bolscevichi ricorsero alla cattura di ostaggi. Victor Serge ricorda:
“Dal tempo dei primi massacri da parte dei bianchi, dell’uccisione di Volodarskij e di Uritskij e dell’attentato a Lenin (nell’estate del 1918), era diventata generale e legale l’usanza di prendere ostaggi e, spesso, di giustiziarli. Già la Ceka (Commissione Straordinaria per la Repressione contro la controrivoluzione, la speculazione e le diserzioni), che arrestava i sospetti in massa, tendeva a decidere indipendentemente il loro destino, sotto il controllo formale del Partito, ma in realtà all’insaputa di tutti. Stava diventando uno Stato all’interno dello Stato, protetto dal segreto militare e da procedure a porte chiuse. Il partito si sforzò di controllarla mettendone a capo uomini incorruttibili come l’ex condannato Dzerzhinsky, un sincero idealista, spietato ma cavalleresco…35
In una tale situazione gli eccessi furono inevitabili, sebbene Lenin e Dzerzhinsky facessero del loro meglio per impedirli. Le atrocità bianche provocarono una reazione violenta:(…) i massacri di Monaco rafforzarono lo stato d’animo terroristico, e le atrocità commesse ad Ufa dalle truppe dell’ammiraglio Kolciak, che bruciavano vivi i prigionieri rossi, avevano consentito di recente ai cekisti di prevalere contro quelli del partito che speravano in una misura maggiore di umanità.”36
La difesa principale della Rivoluzione non consisteva però nella Ceka, ma nella politica internazionalista dei bolscevichi. La loro propaganda rivoluzionaria ebbe un effetto sui soldati degli eserciti imperialisti, che erano stanchi della guerra. Il malcontento e l’ammutinamento aperto negli eserciti invasori costrinse gli imperialisti a ritirarsi. La solidarietà internazionale della classe operaia salvò la Rivoluzione Russa. Il seguente brano dà una certa idea della situazione:
“Seri ammutinamenti nei primi mesi del 1919 nella flotta francese e nelle unità militari francesi sbarcate ad Odessa e in altri porti del Mar Nero portarono all’inizio di aprile ad un’evacuazione forzata. Parlando delle truppe di diversa nazionalità sotto il comando britannico sul fronte di Arcangelo il responsabile delle operazioni militari del Ministero della guerra britannico riferì nel marzo 1919 che il loro morale era “così basso da lasciarle in balìa della propaganda bolscevica attiva ed insidiosa che il nemico sta conducendo con crescente energia e abilità”. I particolari furono resi noti molto più tardi attraverso i rapporti ufficiali americani. Il 1º marzo 1919 si verificò un ammutinamento fra le truppe francesi che avevano avuto l’ordine di avvicinarsi al fronte; qualche giorno prima una compagnia di fanteria britannica aveva “rifiutato di andare al fronte” e poco dopo una compagnia americana “ha rifiutato per un certo tempo di tornare in servizio al fronte”.37
Dopo la sconfitta di Kolciak i bolscevichi tentarono di normalizzare la situazione. Nel gennaio 1920, con il consenso di Lenin e Trotskij, Dzerzhinsky propose l’abolizione della pena di morte in tutto il paese, tranne nelle zone in cui erano in atto operazioni militari. Il 17 gennaio il decreto fu approvato dal governo e firmato da Lenin come presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo. Ma nel giro di tre mesi la situazione cambiò di nuovo. Con l’appoggio di Gran Bretagna e Francia, il reazionario regime polacco di Pilsudski attaccò la Russia sovietica; i polacchi catturarono Kiev; la rivoluzione era di nuovo in pericolo mortale. La pena di morte fu reintrodotta e la Ceka ebbe poteri allargati. Qui vediamo ancora come l’intervento straniero volto a restaurare il vecchio ordine in Russia costrinse la Rivoluzione ad usare metodi violenti per difendersi.
Solo un ipocrita negherebbe ad un popolo il diritto di difendersi con tutti i mezzi a disposizione contro la minaccia di una controrivoluzione sanguinosa. Naturalmente, se si ritiene che sia meglio che le masse semplicemente porgano l’altra guancia, sottomettendosi all’oppressione, allora bisogna condannare i bolscevichi. Una tale filosofia può solo significare l’accettazione permanente di ogni regime reazionario che possa mai esistere, anzi escluderebbe il progresso sociale in generale. La vera motivazione di quelli che calunniano la Rivoluzione d’Ottobre non è la morale o l’amore per l’umanità, ma solo la difesa codarda dello status quo, cioè del regime degli sfruttatori.
I generali bianchi non furono schiacciati dalla superiorità delle armi, ma dalle diserzioni di massa, dagli ammutinamenti e dalle insurrezioni continue nelle zone occupate. Al comando di Trotskij si costituì l’Armata Rossa, una forza combattiva rivoluzionaria di oltre cinque milioni di soldati. Il fatto stesso che l’Armata Rossa si potesse creare così rapidamente dal nulla è prova sufficiente della base di massa della rivoluzione. All’inizio pochi avrebbero puntato molto sulla sopravvivenza del nuovo regime. Però malgrado lo svantaggio di partenza, l’Armata Rossa cacciò indietro il nemico su tutti i fronti.
Il risultato straordinario di Trotskij fu riconosciuto anche dai nemici della rivoluzione, come dimostrano le seguenti citazioni di ufficiali e diplomatici tedeschi: Max Bauer in seguito fece omaggio a Trotskij come “dirigente ed organizzatore militare nato” e aggiunse:
“Come abbia messo insieme un nuovo esercito dal nulla in mezzo a battaglie feroci e abbia poi organizzato e addestrato questo esercito è una cosa davvero napoleonica”.
E Hoffmann pronunciò lo stesso verdetto:
“Anche dal punto di vista strettamente militare ci si stupisce per il fatto che fu possibile per le truppe rosse appena reclutate schiacciare le forze, a volte ancora ingenti, dei generali bianchi ed eliminarle completamente”.38
La vittoria degli oppressi in lotta aperta contro i loro ex padroni è senza dubbio uno degli episodi più entusiasmanti degli annali della storia umana, ricchi come sono di sconfitte di ribellioni di schiavi e di tragedie simili. Ancora abbiamo il diritto di chiedere ai detrattori dell’Ottobre: come fu possibile che questo gruppo ristrettissimo e non rappresentativo sia riuscito a sconfiggere i potenti eserciti delle guardie bianche, spalleggiati da 21 eserciti stranieri? Un tale risultato è concepibile solo se si accetta il fatto che i bolscevichi avevano l’appoggio, non solo della classe operaia, ma anche di ampie fasce dei contadini poveri e medi. A questo punto tutto il mito sulla cospirazione di una minoranza crolla sotto il proprio peso. La Rivoluzione bolscevica non fu un golpe, ma la rivoluzione più popolare della storia. Solo questo può spiegare come riuscirono, nonostante tutti gli svantaggi, non solo a prendere il potere, ma anche a conservarlo saldamente. E tutto questo fu realizzato in base ad una democrazia operaia, un regime che dava alla classe operaia diritti molto maggiori di quelli concessi anche dai più democratici regimi borghesi.
L’internazionalismo di Lenin
La marea montante della rivoluzione stava inondando l’Europa. Nel novembre 1918 la Rivoluzione tedesca spazzò via la dinastia degli Hohenzollern, costringendo il Kaiser Guglielmo a cercare rifugio in Olanda. La rivoluzione pose fine alla Prima guerra mondiale, quando si formarono soviet in tutta la Germania. Il generale Golovin riferì le sue trattative con Winston Churchill nel maggio 1919 sulla continuazione dell’intervento britannico: “La questione di un appoggio armato era per lui quella più difficile; il motivo era l’opposizione della classe operaia inglese all’intervento armato…”. I primi ammutinamenti nella flotta francese al largo di Odessa e negli eserciti degli altri Alleati decretarono la fine delle spedizioni militari in Russia. Nel 1920 i portuali degli East India Docks di Londra rifiutarono di caricare la Jolly Roger con munizioni destinate in segreto alla Polonia, perché le impiegasse contro la Russia Sovietica. Alla Conferenza di Pace di Versailles il primo ministro britannico Lloyd George scrisse in un memorandum confidenziale a Clemenceau:
“Tutta l’Europa è pervasa dallo spirito della rivoluzione. C’è fra i lavoratori un profondo senso non solo di malcontento, ma anche di rabbia e di rivolta contro le condizioni dell’anteguerra. L’intero ordine esistente, nei suoi aspetti politici, sociali ed economici, è messo in discussione dalla massa della popolazione da un capo all’altro dell’Europa”.39
Con la fine dell’intervento straniero, l’Armata Rossa spazzò via rapidamente i rimasugli degli eserciti bianchi. La notizia della rivoluzione in Europa portò il bolscevico Karl Radek a dichiarare: “La rivoluzione era giunta. La massa del popolo sentiva il suo passo di ferro. Il nostro isolamento era finito”.Tragicamente questa valutazione risultò prematura. La prima ondata della rivoluzione consegnò il potere ai dirigenti della socialdemocrazia, che sviarono e tradirono il movimento. Lenin vide nella sconfitta della prima ondata della rivoluzione europea un colpo terribile che avrebbe causato l’isolamento della repubblica sovietica per un certo periodo. Non era un problema secondario, era in gioco la vita o la morte della rivoluzione. Lenin e i bolscevichi avevano spiegato molto chiaramente che, se la rivoluzione non si fosse allargata in Occidente, essi sarebbero stati destinati alla sconfitta. Il 7 marzo 1918 Lenin aveva riassunto così la situazione:
“Dal punto di vista storico e su scala mondiale, indubbiamente non ci sarebbe speranza nella vittoria finale della nostra rivoluzione se essa rimanesse isolata, se non ci fossero movimenti rivoluzionari in altri paesi. Quando il Partito Bolscevico ha intrapreso da solo questo compito, lo ha fatto nella ferma convinzione che la rivoluzione stesse maturando in tutti i paesi e che alla fine – e non al principio – non importava quali difficoltà avremmo dovuto attraversare, né quali sconfitte ci aspettavano, sarebbe arrivata la rivoluzione socialista mondiale, e sta arrivando; sarebbe maturata, e sta maturando e raggiungerà la piena maturità. Ripeto che la nostra salvezza da tutte queste difficoltà è una rivoluzione di tutta l’Europa.”40
Poi Lenin concludeva: “In ogni caso, in tutte le circostanze concepibili, se la Rivoluzione tedesca non dovesse soccorrerci, siamo condannati.”41
Qualche settimana dopo egli ribadì la stessa posizione:
“La nostra arretratezza ci ha messi in prima linea e periremo a meno che non siamo capaci di resistere finché non avremo un forte sostegno da parte dei lavoratori insorti degli altri paesi.”42
Il compito principale era di aggrapparsi al potere il più a lungo possibile. Lenin non contemplò mai la possibilità di un prolungato isolamento dello Stato sovietico. O l’isolamento si sarebbe interrotto o il regime sovietico sarebbe stato sconfitto. Tutto dipendeva dalla rivoluzione mondiale. Il suo ritardo creò enormi difficoltà, che avrebbero prodotto conseguenze profonde. Al posto dell’estinzione progressiva dello Stato, si verificò il processo opposto. Con la miseria crescente, aggravata dalla guerra civile e dal blocco economico, la “lotta per l’esistenza individuale”, per usare la frase di Marx, non scomparve né si attenuò, ma negli anni successivi assunse una ferocia mai vista. Invece di costruire sui fondamenti del capitalismo più avanzato, il regime sovietico tentava di superare problemi di natura presocialista e perfino precapitalista. Il compito divenne quello di “raggiungere l’Europa e l’America”. Questo era ben lontano dalla “fase inferiore del comunismo” prevista da Marx. I bolscevichi furono costretti ad affrontare problemi economici e culturali che erano stati risolti da tempo in Occidente. Lenin dichiarò in un’occasione che il socialismo era “il potere sovietico più l’elettrificazione”, per illustrare il compito fondamentale all’ordine del giorno.
Non era la formula di una qualche “via russa al socialismo”; al contrario, fu sempre legata alla prospettiva di una rivoluzione mondiale. Tuttavia era un tentativo di affrontare l’isolamento dello Stato operaio accerchiato da potenze capitaliste ostili. La terribile arretratezza della Russia, unita all’isolamento della rivoluzione, iniziava a pesare sulla classe operaia sovietica. La guerra civile, la carestia e l’esaurimento fisico la portarono all’apatia politica e diedero luogo a crescenti deformazioni burocratiche nello Stato e nel partito. Era vitale l’aiuto internazionale per assicurare la sopravvivenza della giovane repubblica sovietica. I bolscevichi non potevano fare altro che mantenersi al potere – nonostante tutte le avversità – il più a lungo possibile finché non fosse arrivato l’aiuto dall’Occidente. “La storia non dà nulla gratuitamente”, scrisse Trotskij nel 1923: “Avendoci dato uno sconto su un punto – la politica – ci fa pagare di più su un altro: la cultura. Più facilmente (in senso relativo, naturalmente) il proletariato russo ha attraversato la crisi rivoluzionaria e più diventa ora difficile il suo lavoro di costruzione socialista”.43
Non sarebbe difficile stabilire oltre ogni dubbio la posizione di Lenin sulla necessità della rivoluzione mondiale. Infatti, a meno che lo Stato sovietico non fosse riuscito ad uscire dal suo isolamento, egli riteneva che la Rivoluzione d’Ottobre non avrebbe potuto sopravvivere a lungo. Questa idea venne ripetuta a più riprese negli scritti e nei discorsi di Lenin dopo la Rivoluzione. I seguenti non sono che qualche esempio; si potrebbero moltiplicare a volontà:
24 gennaio 1918:
“Siamo lontani dall’aver completato anche il periodo di transizione dal capitalismo al socialismo. Non abbiamo mai nutrito la speranza di arrivarci senza l’aiuto del proletariato internazionale. Su questo conto non abbiamo mai avuto illusioni (…); la vittoria finale del socialismo in un paese solo è naturalmente impossibile. Il nostro distaccamento di lavoratori e di contadini che sorregge il potere sovietico è uno dei contingenti del grande esercito mondiale, che attualmente è stato diviso dalla guerra, ma che cerca l’unità (…). Ora possiamo vedere chiaramente fino a che punto andrà lo sviluppo della Rivoluzione. L’ha iniziata il russo; la finiranno il tedesco, il francese e l’inglese e la rivoluzione sarà vittoriosa.”44
8 marzo 1918:
“Il congresso considera che l’unica garanzia sicura del consolidamento della rivoluzione socialista che è stata vittoriosa in Russia, sia la sua trasformazione in una rivoluzione mondiale della classe operaia.”45
23 aprile 1918:
“Raggiungeremo la vittoria definitiva solo quando saremo riusciti finalmente a distruggere in modo conclusivo l’imperialismo internazionale, che conta sull’enorme forza dei suoi mezzi e della sua disciplina. Ma noi raggiungeremo la vittoria solo insieme a tutti i lavoratori degli altri paesi, di tutto il mondo.”46
14 maggio 1918:
“Aspettare che le classi operaie facciano la rivoluzione su scala internazionale significa che tutti rimarranno sospesi a mezz’aria (…) Potrebbe iniziare con un successo spettacolare in un paese e poi attraversare periodi agonizzanti, poiché la vittoria finale è possibile solo su scala mondiale e solo per gli sforzi uniti dei lavoratori di tutti i paesi.”47
29 luglio 1918:
“Non abbiamo mai nutrito l’illusione per cui le forze del proletariato e del popolo rivoluzionario di un solo paese, per quanto fossero eroiche, organizzate e disciplinate, potessero abbattere l’imperialismo internazionale. Ciò si può realizzare solo con gli sforzi congiunti dei lavoratori del mondo (…). Non ci siamo mai ingannati credendo che si potesse realizzare per gli sforzi di un paese solo. Sapevamo che i nostri sforzi conducevano inevitabilmente ad una rivoluzione mondiale e che la guerra iniziata dai governi imperialisti non poteva essere fermata dagli sforzi di quei governi stessi. Può essere fermata solo dagli sforzi di tutti i lavoratori; e quando noi siamo andati al potere il nostro compito (…) è stato di conservare quel potere, quella torcia del socialismo, affinché potesse spargere più scintille possibile per alimentare le fiamme crescenti della rivoluzione socialista.”48
8 novembre 1918:
“Fin dall’inizio della Rivoluzione d’Ottobre, la questione principale davanti a noi è stata quella della politica estera e dei rapporti internazionali. Non solo perché da ora in poi tutti gli Stati del mondo vengono collegati saldamente insieme dall’imperialismo in una sola massa sporca e sanguinosa, ma perché la vittoria completa della rivoluzione socialista in un solo paese è inconcepibile e richiede la collaborazione più attiva di almeno alcuni paesi avanzati, fra cui non si colloca la Russia (…). Non siamo mai stati così vicino alla rivoluzione proletaria mondiale come lo siamo adesso. Abbiamo dimostrato che non ci sbagliavamo quando contavamo sulla rivoluzione proletaria mondiale (…). Anche se schiacciassero un paese, non potrebbero schiacciare la rivoluzione proletaria mondiale, non farebbero che alimentare le fiamme che li consumeranno tutti.”49
20 novembre 1918:
“La trasformazione della nostra Rivoluzione Russa in una rivoluzione socialista non fu un’avventura, ma una necessità, poiché non c’era altra alternativa; l’imperialismo anglofrancese ed americano inevitabilmente distruggerà l’indipendenza e la libertà della Russia se la Rivoluzione mondiale socialista, il bolscevismo mondiale, non trionferà.”50
15 marzo 1919:
“Una vittoria completa e definitiva su scala mondiale non si può ottenere solo in Russia; essa si può realizzare solo quando il proletariato è vittorioso almeno in tutti i paesi avanzati o, in ogni caso, in alcuni dei paesi avanzati più grandi. Solo allora potremo dire con piena fiducia che è prevalsa la causa del proletariato, che il nostro primo obiettivo – il rovesciamento del capitalismo – è stato raggiunto. Abbiamo raggiunto l’obiettivo in un paese e questo ci pone di fronte un secondo compito. Dato che il potere sovietico è stato stabilito, visto che la borghesia è stato rovesciata in un paese, il secondo compito è condurre la lotta su scala mondiale, su un livello diverso, la lotta dello Stato proletario circondato da Stati capitalisti.”51
5 dicembre 1919:
“Sia prima che durante la Rivoluzione d’Ottobre, abbiamo sempre detto che ci consideriamo e possiamo solo considerarci uno dei contingenti dell’esercito proletario internazionale (…). Abbiamo sempre detto che la vittoria della rivoluzione socialista quindi può essere considerata raggiunta solo quando si sarà trasformata nella vittoria del proletariato almeno in alcuni paesi avanzati.”52
20 novembre 1920:
“I menscevichi affermano che siamo decisi a sconfiggere da soli la borghesia mondiale. Invece abbiamo sempre detto che siamo un solo anello della catena della rivoluzione mondiale e non ci siamo mai posti l’obiettivo di raggiungere la vittoria solo con i nostri mezzi.”53
Fine febbraio 1922:
“Ma non abbiamo finito di costruire anche solo le fondamenta dell’economia socialista e le potenze ostili del capitalismo moribondo ci possono ancora privare di ciò. Questo lo dobbiamo riconoscere chiaramente ed ammettere con franchezza, poiché non vi è nulla di più pericoloso delle illusioni (…). E non c’è assolutamente nulla di terribile (…) nell’ammettere questa terribile verità; poiché abbiamo sempre sottolineato e ribadito la verità elementare del marxismo: che per la vittoria del socialismo occorrono gli sforzi uniti dei lavoratori di diversi paesi avanzati.”54
L’internazionalismo intransigente di Lenin non era il prodotto di un utopismo sentimentale, ma, al contrario, di una valutazione realistica della situazione. Lenin era ben consapevole che le condizioni materiali del socialismo non esistevano in Russia, ma esistevano a livello mondiale. Sarebbe stata la rivoluzione socialista mondiale ad impedire la ripresa di tutti quegli elementi barbari della società divisa in classi, che Marx definiva “tutto il vecchio ciarpame”, garantendo fin dall’inizio uno sviluppo superiore a quello della società capitalista. Fu per questo che Lenin diede un’enfasi così forte alla prospettiva della rivoluzione internazionale e dedicò così tanto tempo ed energia alla costruzione dell’Internazionale Comunista.
Assai rapidamente in base ad una pianificazione mondiale della produzione e ad una divisione mondiale del lavoro, questo avrebbe dato un forte impulso alle forze produttive. La scienza e la tecnica moderna sarebbero state impiegate per imbrigliare la natura e trasformare i deserti in pianure fertili. Sarebbe stato possibile porre fine a tutto lo sviluppo distruttivo del pianeta e all’orrendo spreco del capitalismo. Nell’arco di una generazione o due si sarebbero gettate le basi del socialismo. Col tempo la crescita straordinaria della produzione avrebbe eliminato tutta la disuguaglianza materiale creando una sovrabbondanza delle cose, che avrebbe innalzato universalmente la qualità della vita a livelli mai visti. Tutti i bisogni umani di base sarebbero stati soddisfatti nel contesto dell’economia mondiale pianificata. Così le classi avrebbero potuto sciogliersi nella società, e con loro le ultime vestigia della società di classe: il denaro e lo Stato. Ciò avrebbe dato luogo all’autentico comunismo e alla sostituzione del dominio dell’uomo sull’uomo con “l’amministrazione delle cose”, per usare l’espressione di Engels.
Il fatto che la Russia fosse un paese arretrato non sarebbe stato un problema se la rivoluzione fosse stata il preludio di una rivoluzione socialista mondiale. Era questo l’obiettivo del Partito bolscevico sotto Lenin e Trotskij. L’internazionalismo non si doveva a ragioni sentimentali, ma al carattere internazionale del capitalismo e della lotta di classe stessa. Come ha scritto Trotskij:
“Il socialismo è l’organizzazione di una produzione sociale pianificata ed armonica per la soddisfazione dei bisogni umani. La proprietà collettiva dei mezzi di produzione non è ancora socialismo, ma ne è solo la sua premessa giuridica. Il problema di una società socialista non si può astrarre da quello delle forze produttive, che nella fase attuale dello sviluppo umano sono mondiali nella loro essenza.”55
La Rivoluzione d’Ottobre era vista come l’inizio del nuovo ordine socialista mondiale.
Il prezzo dell’isolamento
Quanto detto sopra è sufficiente per dimostrare che Lenin e il Partito bolscevico non prospettarono mai che la Rivoluzione russa fosse un atto fine a sé stesso, ma semmai l’inizio della rivoluzione socialista mondiale. La Rivoluzione russa diventò un faro per i lavoratori del mondo; in particolare essa diede un forte impeto alla Rivoluzione tedesca. Ma la codardia dei dirigenti socialdemocratici nell’Europa occidentale portò alla sconfitta della rivoluzione in Germania, in Italia e in altri paesi e all’isolamento della Rivoluzione russa in condizioni di terribile arretratezza. La degenerazione burocratica della Rivoluzione russa non scaturì da un qualche difetto del bolscevismo, in queste circostanze era inevitabile la controrivoluzione politica stalinista.
Lenin aveva un atteggiamento onesto e realista sui problemi del proletariato russo. Nel gennaio 1919 egli spiegò in un discorso ai sindacati russi:
“Gli operai non sono mai stati separati da una muraglia cinese dalla vecchia società e hanno conservato gran parte della mentalità tradizionale della società capitalista. I lavoratori stanno costruendo una nuova società senza essere diventati loro stessi delle persone nuove o essersi ripuliti della sporcizia del vecchio mondo; sono ancora immersi fino alle ginocchia in quella sporcizia. Possiamo solo sognare di sgomberare quella sporcizia; sarebbe del tutto utopico pensare che questo si possa realizzare tutto in una volta. Sarebbe così utopico che in pratica rinvierebbe il socialismo fino all’altro mondo.”56
Come risultato della guerra civile e del sabotaggio da parte dei capitalisti russi, il governo sovietico fu costretto ad introdurre un brusco cambiamento di politica. Originariamente i bolscevichi avevano l’intenzione di lasciare la maggior parte dell’industria in mani private finché la piccola classe operaia russa non avesse imparato a gestire l’industria da sé. Per questo ci sarebbe voluto del tempo. Data l’arretratezza culturale della Russia, si pensava che, attraverso il controllo operaio, il proletariato avrebbe acquisito le conoscenze necessarie, avrebbe imparato l’arte della gestione e infine avrebbe preso completamente in mano l’amministrazione dell’industria e dello Stato. Nel frattempo lo Stato operaio era costretto a mantenere l’industria privata sotto il controllo operaio e contare in gran misura sulla vecchia burocrazia per gestire l’apparato dello Stato. Questa situazione si sarebbe potuta mantenere, si sperava, finché non fosse arrivato l’aiuto dei lavoratori occidentali. I lavoratori russi erano riusciti a prendere il potere, ma non avrebbero potuto tenerlo a tempo indeterminato; tutto dipendeva dalla rivoluzione mondiale. Anche in un paese capitalista avanzato sarebbe stato difficile allora introdurre subito il controllo e la gestione dell’industria e dello Stato da parte dei lavoratori.
La difesa militare della Rivoluzione era di capitale importanza. I milioni di uomini che si erano arruolati nell’Armata Rossa avevano bisogno di vettovaglie e abbigliamento. Fare ricorso alla pratica della requisizione era vitale se i lavoratori e i soldati dovevano sopravvivere. Tutta la società sovietica fu messa sul piede di guerra. Il cosiddetto “comunismo di guerra” rappresentò un tentativo disperato ed eroico di difendere la rivoluzione contro enormi difficoltà. Il sabotaggio da parte dei capitalisti, che speravano di essere salvati dalla controrivoluzione, la pressione dei lavoratori stessi, come pure le esigenze della guerra civile, costrinsero i bolscevichi ad effettuare la nazionalizzazione generale di settori fondamentali dell’economia prima del previsto. Fra il luglio e il dicembre del 1918, un totale di 1.208 imprese furono statalizzate: erano le industrie pesanti, la base decisiva dell’economia russa.
I primi anni del potere sovietico furono caratterizzati da acute difficoltà economiche, dovute in parte alla guerra civile, in parte alle carenze sia di materie prime che di manodopera qualificata e in parte all’opposizione dei piccoli proprietari contadini alle misure socialiste dei bolscevichi. Durante la guerra civile perirono nove milioni di persone per carestia, malattia e freddo. L’economia era in rovina e rischiava un crollo completo. Per fermare questo declino catastrofico, furono introdotte delle misure drastiche per far partire l’industria, per dar da mangiare ai lavoratori affamati e per fermare la deriva dalle città rispetto alle campagne. Per un certo periodo ciò comportò la militarizzazione del lavoro. I critici dell’Ottobre puntano un dito accusatorio contro i bolscevichi per questa politica, come se ci fosse stata un’alternativa in condizioni di carestia e di guerra. La vera responsabilità di questa situazione è dell’imperialismo, che inflisse orrori indicibili al popolo russo con il suo intervento armato contro la Rivoluzione.
Non esiste distorsione più ripugnante del tentativo di infangare la memoria di Lenin e Trotskij che associare la politica del Comunismo di guerra e il rigore necessario per la difesa della rivoluzione in guerra al mostruoso regime totalitario di Stalin. Per la verità anche il governo borghese più democratico trova necessario limitare i diritti democratici in tempo di guerra. Durante la Seconda guerra mondiale i lavoratori inglesi accettarono temporaneamente tutta una serie di limitazioni ai loro diritti, in gran parte volentieri, poiché credevano di combattere il nazismo “per difendere la democrazia”. In una misura molto maggiore i lavoratori russi accettarono la necessità di una disciplina severa per sconfiggere gli eserciti bianchi. Il potere era in mano ai soviet degli operai. Anche nelle condizioni di una terribile guerra civile c’era più democrazia che in qualsiasi altro periodo della storia. Basta sfogliare i verbali dei congressi del Partito comunista e della Terza Internazionale, che persino in queste condizioni si tennero ogni anno, per vedere la completa libertà di dibattito, di discussione e di critica. Niente potrebbe essere più lontano da un regime totalitario dell’atmosfera di libertà che caratterizzò lo Stato operaio durante i primi cinque anni della sua esistenza. Tuttavia, in ultima analisi, la possibilità di mantenere e di approfondire la democrazia sovietica dipendeva dalle condizioni materiali.
Un problema fondamentale era il rapporto fra l’industria e l’agricoltura. Questo è solo un altro modo in cui si evidenzia il rapporto fra il proletariato e i contadini. La massa dei contadini aveva appoggiato la presa del potere da parte dei bolscevichi come mezzo per ottenere la terra. Ma dopo la rivoluzione l’atteggiamento dei contadini verso il regime sovietico veniva determinato sempre di più dalla capacità dello Stato operaio di fornire ai villaggi beni a buon mercato in cambio di prodotti agricoli. In condizioni normali le eccedenze di cibo e di grano dei contadini sarebbero state scambiate con i prodotti dell’industria. Ma con il crollo della produzione non c’era merce da dare in cambio per i prodotti dei contadini. Distaccamenti armati requisirono una parte del grano ai contadini per far andare avanti le industrie belliche e per allontanare la fame dalle città; non c’era altra alternativa. Era questo il significato essenziale del Comunismo di Guerra e, nonostante queste misure, fu un periodo di disgregazione economica e di caduta della produzione. I rapporti con i contadini venivano tesi fino al limite. Questo sistema di irregimentazione, basato su una rigida centralizzazione e sull’introduzione di misure quasi di militarizzazione in tutti i campi della vita, nasceva dalle difficoltà di una rivoluzione isolata in un paese arretrato e devastato dalla guerra, in mezzo alla guerra civile e invaso dagli eserciti stranieri.
Le conseguenze della guerra civile, insieme all’alta inflazione del periodo, ridussero quasi a zero lo scambio commerciale fra città e campagna. Ciò significava che i lavoratori delle città erano quasi arrivati all’inedia e la carestia era diffusa. Queste condizioni orrende portarono ad un esodo di massa dei lavoratori dalle città verso le campagne alla ricerca di cibo. Nel 1919 il numero di operai industriali si era ridotto al 76 per cento del livello del 1917, quello degli operai edili al 66 per cento e quello dei ferrovieri al 63 per cento. Il numero degli operai industriali calò a meno della metà, da tre milioni nel 1917 a 1.240.000 nel 1920. La popolazione della sola Pietrogrado si ridusse da 2.400.000 persone del 1917 a 574.000 dell’agosto 1920.
Un crollo senza precedenti
Nel 1920 la produzione di minerale ferroso e di ghisa era rispettivamente l’1,6 per cento e il 2,4 per cento dei livelli del 1913. La situazione migliore era quella del petrolio, che era del 41 per cento rispetto al 1913. Il carbone raggiunse appena il 13 per cento. La produzione di manufatti finiti nel 1920 era al 12,9 per cento. Nei due anni dal 1917 al 1919 la produzione agricola crollò del 16 per cento; le perdite più pesanti interessavano i prodotti esportati dai villaggi alle città: la canapa calò del 26 per cento, il lino del 32 per cento, i mangimi del 40 per cento. Lenin definì il periodo del Comunismo di Guerra come “comunismo in una fortezza assediata”. L’inflazione sfuggiva ad ogni controllo. Il 1921 segnò un anno di ulteriore declino economico. La raccolta raggiunse appena 37,6 milioni di tonnellate, solo il 43 per cento della media dell’anteguerra. Di conseguenza altri milioni di persone perirono come risultato della malnutrizione e delle malattie. Secondo Pierre Sorlin:
“(…) le epidemie si diffusero facilmente. Le malattie contagiose, che non erano state debellate all’inizio del ventesimo secolo, ripresero a diffondersi. Dal 1917 al 1922 circa 22 milioni di persone contrassero il tifo; nel 1918-19 i morti per questa malattia furono ufficialmente 1,5 milioni e il censimento fu probabilmente incompleto. Il colera e la scarlattina provocarono meno morti, ma colpirono fra 7 e 8 milioni di russi. La mortalità raggiunse cifre astronomiche (…) e, globalmente nel paese (…), raddoppiò. La natalità invece declinò considerevolmente, raggiungendo appena 13 per mille nelle città importanti e 22 per mille nelle campagne. Fra la fine del 1918 e la fine del 1920, le epidemie, la fame e il freddo uccisero 7,5 milioni di russi; nella guerra mondiale ne erano morti 4 milioni.”57
Nel luglio 1918, Lenin disse:
“Il popolo è nelle condizioni di un uomo che è stato fustigato quasi a morte”.
Nel gennaio 1919:
“Le masse affamate sono esauste e a volte il loro logoramento supera quanto possa sopportare la forza umana”. Nel dicembre 1919: “Soffriamo una crisi disperata”: “ci assale una piaga [ulteriore], i pidocchi, e il tifo che sta falcidiando le nostre truppe (…). O i pidocchi sconfiggeranno il socialismo o sarà il socialismo a sconfiggere i pidocchi!”
Nel dicembre 1920 egli parlò di “condizioni spaventose (…)”; nell’aprile 1921 di “situazione disperata”.
Nel giugno 1921 disse: “Nessun paese è mai stato devastato come il nostro”.58
La guerra, la fame e le malattie sterminarono milioni di persone. Nel 1920 furono segnalati casi di cannibalismo.”Il proletariato industriale – scrisse Lenin – a causa della guerra, della povertà disperata e della rovina, ha perso la sua identità di classe, ovvero è stato sloggiato dal suo solco di classe ed ha cessato di esistere come proletariato. Il proletariato è quella classe che è occupata nella produzione di valori materiali nell’industria capitalista di grande scala. Visto che quest’ultima è stata distrutta, visto che le fabbriche sono ferme, il proletariato è scomparso. A volte figura nei dati statistici, ma non è stato tenuto insieme economicamente.”59
Questa situazione senza paragone, in cui la classe operaia come classe aveva quasi “cessato di esistere”, ebbe conseguenze estremamente gravi sulle possibilità di stabilire un regime vitale di democrazia operaia. Lo Stato operaio poggiava su una classe operaia atomizzata. Numerosi lavoratori politicizzati, il fondamento della rivoluzione, erano morti al fronte durante la guerra civile e nelle condizioni di carestia. Molti operai affamati furono costretti a cercare cibo nelle campagne, il che comportò un problema politico cronico: le strutture sovietiche semplicemente smisero di funzionare. I soviet, come organismi di potere operaio, caddero in disuso. Come poteva essere diversamente, date le condizioni economiche e sociali che prevalevano?
Il congresso panrusso dei soviet, autorità suprema della repubblica, si riunì solo una volta all’anno dal novembre 1918 al dicembre 1922. Anche il Comitato Esecutivo si riuniva meno regolarmente di prima e il potere passò al suo piccolo presidium. Il controllo operaio svanì quando le fabbriche si fermarono. In misura crescente il potere si concentrò e si centralizzò nelle mani dell’apparato governativo e del partito, che a sua volta si intrecciò sempre di più con l’apparato statale. Le condizioni del proletariato non gli permettevano di manovrare le leve del potere. Nessun decreto del governo poteva cambiare questa realtà. Lenin riconobbe questi pericoli e prese misure per alleviare almeno in parte questa situazione. Ma non c’era soluzione al di fuori della rivoluzione mondiale.
“Il paese, e con esso il governo, si trovava sull’orlo dell’abisso”, dice Trotskij. Il destino della rivoluzione era di nuovo in bilico. Insurrezioni contadine a Tambov e altrove portarono la situazione ad un punto critico; le cose non potevano continuare in questo modo. Con la fine della guerra civile era sempre più evidente la necessità di un cambiamento drastico di politica. La cosa essenziale per i bolscevichi era sopravvivere il più a lungo possibile finché non fosse arrivato un aiuto dall’Occidente.
Quando si ammutinò la guarnigione navale di Kronstadt la situazione diventò gravissima. Molte falsificazioni sono state scritte su questo episodio, che è stato praticamente trasformato in una leggenda. Lo scopo, come sempre, è screditare Lenin e Trotskij e dimostrare che bolscevismo e stalinismo sono la stessa cosa. È interessante notare che il clamore per Kronstadt unisce gli avversari borghesi e socialdemocratici agli anarchici ed agli estremisti, ma queste accuse non hanno niente a che vedere con la verità. La prima menzogna è quella di identificare gli ammutinati di Kronstadt del 1921 con gli eroici marinai rossi del 1917. Non avevano nulla in comune. Nel 1917 i marinai di Kronstadt erano operai e bolscevichi. Giocarono un ruolo vitale nella Rivoluzione d’Ottobre, insieme agli operai della vicina Pietrogrado. Ma nella guerra civile quasi tutti i marinai di Kronstadt partirono per combattere come volontari nell’Armata Rossa. Furono disseminati nei diversi fronti, dai quali la maggior parte non tornò più. La guarnigione di Kronstadt nel 1921 era composta invece per la maggior parte di reclute contadine inesperte provenienti dalla Flotta del Mar Nero. Basta uno sguardo ai cognomi degli ammutinati per vedere che erano quasi tutti ucraini, a differenza di prima.
Un’altra menzogna riguarda il ruolo di Trotskij nei fatti di Kronstadt. Per la verità egli non ebbe un ruolo diretto, sebbene in quanto Commissario della Guerra e membro del governo sovietico accettasse pienamente la responsabilità politica di questa e di tutte le altre azioni del governo. La presa della fortezza da parte degli ammutinati mise lo Stato sovietico in estremo pericolo, essendosi appena conclusa una guerra civile sanguinosa. È vero che le trattative con la guarnigione furono gestite in modo maldestro dalla delegazione bolscevica capeggiata da Kalinin, che infiammò una situazione già grave, ma una volta che gli insorti si furono impossessati della base navale più importante della Russia, non c’era margine per un compromesso.
Il timore principale era che la Gran Bretagna e la Francia mandassero le loro flotte ad occupare Kronstadt, utilizzando l’ammutinamento come pretesto. Questo avrebbe messo Pietrogrado alla loro mercé, dato che chi avesse comandato a Kronstadt avrebbe controllato anche Pietrogrado. L’unico esito possibile era la controrivoluzione capitalista. Che ci fossero elementi controrivoluzionari era dimostrato dallo slogan “Soviet senza bolscevichi”. Ai bolscevichi rimase una sola opzione: riprendere la fortezza con la forza. Questi avvenimenti si verificarono durante il X Congresso del Partito, che sospese i suoi lavori per consentire ai delegati di partecipare all’attacco. Va notato che all’attacco si unirono anche i membri dell’Opposizione Operaia, una tendenza semi anarcosindacalista presente al congresso. Questo smaschera ancora un’altra bugia, quella che tenta di stabilire una qualche identità fra Kronstadt, l’anarchismo e l’Opposizione Operaia, tre cose che non hanno assolutamente nulla in comune.
Victor Serge, che aveva molte simpatie per l’anarchismo, si opponeva implacabilmente agli ammutinati di Kronstadt, come dimostra questo passaggio:
“La controrivoluzione popolare tradusse la richiesta di soviet liberamente eletti in una di “soviet senza i comunisti”. Se fosse caduta la dittatura bolscevica, sarebbe bastato un nulla per arrivare al caos e, attraverso il caos, ad un’insurrezione contadina, al massacro dei comunisti, al ritorno della borghesia riparata all’estero e, infine, per la forza degli avvenimenti, ad un’altra dittatura, questa volta antiproletaria. Dispacci da Stoccolma e Tallin testimoniavano che gli emigrati avevano in mente proprio questa prospettiva; dispacci che, a proposito, rafforzarono la determinazione dei dirigenti bolscevichi di sottomettere Kronstadt rapidamente ed a qualunque costo. Non ragionavamo in astratto; sapevamo che solo nella Russia europea c’erano almeno cinquanta centri di insurrezione contadina. A sud di Mosca, nella regione di Tambov, l’insegnante socialrivoluzionario di destra Antonov, che proclamava l’abolizione del sistema sovietico e il ripristino dell’Assemblea Costituente, comandava un esercito contadino ottimamente organizzato, che contava diverse decine di migliaia di soldati. Egli aveva condotto trattative coi Bianchi (Tuchacevskij sconfisse questa Vandea intorno alla metà del 1921).”60
La Nuova Politica Economica (NEP)
Lontano dal rappresentare gli interessi della classe operaia, gli insorti di Kronstadt riflettevano le pressioni dei contadini, che erano sempre più scontenti per le continue requisizioni e le confische di grano, in cambio delle quali non ricevevano prodotti industriali. Questo si può dimostrare facilmente: dopo la repressione dell’ammutinamento, Lenin trasse la conclusione appropriata e annunciò una ritirata. Di fronte all’opposizione implacabile dei contadini – ormai esausti dopo anni di guerra civile e di requisizioni – Lenin e Trotskij spiegarono la necessità di finire col Comunismo di Guerra e ripristinare il mercato per rimarginare il distacco fra città e campagna. In pratica ciò significava sviluppare il più possibile un rapporto stabile coi contadini, che costituivano l’80 per cento della popolazione. Con l’introduzione della Nuova Politica Economica (NEP) fu permesso ai contadini di vendere il loro grano sul mercato e in cambio di pagare un’imposta allo Stato. Dopo questa misura, non ci furono altre Kronstadt o Tambov; i contadini avevano ottenuto quello che volevano. La NEP fu un passo in avanti per la classe operaia e la rivoluzione? Niente affatto. I bolscevichi erano costretti a indietreggiare a causa della situazione potenzialmente pericolosa che nasceva dall’opposizione dei contadini. Tambov e Kronstadt – e altre sollevazioni nelle campagne – erano solo una parte del problema. In pratica la NEP servì a rafforzare i contadini benestanti (i kulaki) e gli speculatori capitalisti (nepmen) a detrimento del proletariato. Non c’era alternativa, dato il ritardo della rivoluzione europea, ma fu un grande passo indietro. Insieme alla sconfitta della Rivoluzione tedesca del 1923, la NEP fu in realtà la base della degenerazione della Rivoluzione Russa. Stalin, Zinoviev e Kamenev si sarebbero appoggiati sui kulaki e sui nepmen per colpire Trotskij e l’Opposizione di Sinistra. Tuttavia la NEP, riducendo le tensioni coi contadini, diede respiro alla rivoluzione.
“Durante il 1920 e il 1921 è diventato evidente ai nostri occhi – spiegò Trotskij al XII Congresso del Partito – con assoluta chiarezza, che l’Unione delle Repubbliche Sovietiche avrebbe dovuto continuare a vivere, forse per molto tempo, in mezzo all’accerchiamento capitalista. Domani non riceveremo aiuti diretti e immediati da un proletariato organizzato come Stato, uno Stato di un tipo molto superiore e di una maggior potenza economica rispetto al nostro. È quello che ci siamo detti nel 1920. Non sapevamo se sarebbe stata una questione di uno, due, tre o dieci anni, ma sapevamo di essere all’inizio di un’epoca di preparazione seria e prolungata.
La conclusione di fondo era che, mentre aspettavamo un mutamento del rapporto di forze in Occidente, dovevamo guardare molto più attentamente e dettagliatamente il rapporto di forze nel nostro paese, nell’Unione Sovietica.”61 Nacque così la Nuova Politica Economica. Essa servì per reintrodurre rapporti di mercato fra città, campagna e Stato. La requisizione del grano fu abolita e sostituita da un’imposta in natura. Fu permesso poi ai contadini di disporre loro stessi di eventuali eccedenze. La NEP favorì gli elementi più ricchi delle campagne e consentì la compravendita sul mercato e una certa accumulazione di capitale. Il mercato fu restaurato per incoraggiare fino ad un certo punto il commercio privato e per promuovere la produzione. Ciò nonostante i settori chiave dell’economia rimasero in mano allo Stato. Il commercio avrebbe stabilito il legame fra la massa dei contadini e le industrie statalizzate.
Lenin caratterizzò questa situazione come una ritirata di fronte alle crescenti difficoltà. Tuttavia questa ritirata, che era stata imposta al regime sovietico, fu sempre descritta da Lenin come una situazione temporanea, come uno “guadagno di tempo”, in attesa dei grandi avvenimenti che si aspettavano della rivoluzione socialista internazionale. Allo stesso tempo però era fortemente consapevole dei pericoli che esistevano lungo quella strada, particolarmente quelli della ripresa di elementi borghesi e piccolo borghesi che avrebbero potuto costituire la base della controrivoluzione.
Al IX Congresso dei Soviet tenutosi nel dicembre 1921, Lenin osservò:
“Scusatemi, ma cos’è che voi definite proletariato? Quella classe di operai che è impiegata dall’industria di grande scala. Ma dov’è una tale industria? Che genere di proletariato è questo? Dov’è la vostra industria? Perché è ferma?”62
Nel marzo 1922, in un discorso all’XI Congresso del Partito, Lenin fece presente che la natura di classe di molti di coloro che lavoravano nelle fabbriche in quel periodo non era proletaria; molti evitavano il servizio militare, c’erano contadini ed elementi declassati:
“Durante la guerra, elementi che non erano affatto proletari sono entrati nelle fabbriche; ci sono andati per evitare la guerra. Le condizioni sociali ed economiche esistenti nel nostro paese sono tali da indurre i veri proletari ad entrare nelle fabbriche? No. Sarebbe vero secondo Marx; ma Marx non scrisse della Russia; scrisse del capitalismo in generale, a partire dal XV secolo. Fu vero per un periodo di seicento anni, ma non è vero per la Russia odierna. Molto spesso quelli che entrano nelle fabbriche non sono proletari; sono elementi di ogni genere.”63
È impossibile capire la politica seguita da Lenin e Trotskij in quel periodo se non si tiene in considerazione la situazione reale della Russia come descritta sopra. Data la catastrofe economica, il livello culturale estremamente basso delle masse, l’atomizzazione del proletariato e la decadenza dei soviet – tutte conseguenze del ritardo della rivoluzione internazionale – come si poteva conservare lo Stato operaio? Le pressioni del capitalismo mondiale, espresse attraverso le masse piccolo-borghesi, si raddoppiarono nel periodo della NEP. Al tempo di Kronstadt i rapporti fra lo Stato sovietico e le masse contadine avevano raggiunto il loro punto più basso. Lo Stato operaio non esisteva nel vuoto e subiva le pressioni di forze di classe nemiche che si esprimevano attraverso gruppi all’interno del partito. Fu questo pericolo, intensificato dal monopolio politico del Partito bolscevico, a portare il X Congresso del Partito, all’inizio del 1921, a vietare temporaneamente le frazioni all’interno del partito stesso. Fu una misura temporanea introdotta per far fronte ad una situazione eccezionale, come precisò Lenin:
“Il divieto all’opposizione nel Partito è risultato della logica politica del momento attuale (…). Proprio ora possiamo fare a meno di un’opposizione, compagni, non è il momento per essa! (…) Questo è imposto dal momento obiettivo, è inutile lamentarsi (…). Il momento attuale è tale per cui la massa senza partito subisce quel tipo di vacillazione piccolo-borghese che nella situazione economica attuale della Russia è inevitabile. Dobbiamo ricordarci che il pericolo interno è sotto certi aspetti maggiore di quello costituito da Denikin e Judenich e dobbiamo esprimere l’unità non solo di tipo nominale ma anche profonda ed estesa. Per creare una tale unità non possiamo fare a meno di una risoluzione come questa.”64
Tuttavia Lenin favoriva un’interpretazione flessibile di questa regola e respinse ogni tentativo di applicarla in modo asfissiante. Quando Rjazanov propose di vietare le elezioni al congresso del Partito in base alle frazioni, Lenin si oppose:
“Credo che la proposta del compagno Rjazanov, per quanto possa dispiacere, sia inattuabile (…) Il congresso attuale non può prendere decisioni vincolanti che incidano in qualche modo sul congresso successivo. Se le circostanze provocano divergenze fondamentali, come si può vietare che queste vengano sottoposte al giudizio dell’insieme del partito? Non possiamo!”65
Di fatto, nonostante il divieto formale delle frazioni, queste continuarono ad operare nel Partito dopo il X Congresso. Lo stesso Lenin trasgredì alle regole, come racconta A.I. Mikojan nelle sue memorie; egli ricorda un episodio in occasione del X Congresso, dove Lenin organizzò una riunione prettamente cospiratoria della sua frazione, per la quale furono stampati di nascosto biglietti d’invito. Ironicamente fu Stalin ad esprimere il timore che l’Opposizione lo venisse a sapere e lanciasse l’accusa di frazionismo. A questo Lenin replicò, con il solito buon umore: “Cos’è che mi tocca sentire da un vecchio frazionista incallito?”66
Lenin temeva che, in una situazione in cui c’era un solo partito, il Partito comunista iniziasse a riflettere le pressioni di classe estranee, che avrebbero potuto esprimersi in frazioni e, prima o poi, in una scissione su linee di classe. Ciò avrebbe significato la sconfitta della rivoluzione poiché, data la parziale atomizzazione della classe operaia, era solo il Partito comunista che garantiva l’esistenza dello Stato operaio. Tuttavia, nelle circostanze date, questa misura d’emergenza che circoscriveva i diritti democratici dei membri del partito aumentò le malsane tendenze burocratiche esistenti nel partito. Era vista come un “male necessario” imposto al partito dalla dura necessità. Non appena le condizioni fossero migliorate, sarebbero stati ripristinati i pieni diritti democratici. Ma in realtà, dopo la morte di Lenin, una misura che era intesa come temporanea fu resa permanente attraverso le manovre del triumvirato di Stalin, Kamenev e Zinoviev che ne fece uno strumento di lotta contro Trotskij. Ciò rappresentò una palese violazione di tutta la tradizione storica del bolscevismo.
In un breve periodo l’industria iniziò a riprendersi. La produzione raddoppiò tra il 1922 e il 1923, anche se partiva da una base molto bassa e, entro il 1926, aveva raggiunto il livello dell’anteguerra. In una misura più modesta anche i raccolti aumentavano; la NEP aveva permesso alle campagne di respirare. Tuttavia il mercato aveva portato con sé una differenziazione sociale crescente. La ritirata era stata completamente giustificata in quanto aveva prodotto come risultato un aumento della produzione, ma diede luogo anche a pericoli restaurazionisti con l’arricchimento di quelli che erano ostili al socialismo. La crescita degli elementi borghesi nascenti – i nepmen e i kulaki – era un sottoprodotto di questa nuova politica. Insieme al riemergere delle divisioni di classe, la crescente burocrazia dello Stato e del Partito iniziò a flettere i suoi muscoli nella speranza di consolidare la propria posizione e influenza. In queste condizioni la crescita di elementi di classi ostili e della burocrazia rappresentava un pericolo mortale per la rivoluzione.
Note
1. L. Trotskij, La rivoluzione tradita, pag. 21
2. Alec Nove, An economic history of the USSR, pag. 292
3. Financial Times, 14/11/85
4. L. Trotskij, La rivoluzione tradita, pag. 10
5. Lenin, Collected Works, Vol. 36, pag. 439
6. Lenin, Collected Works, Vol. 26, pag. 22
7. Lenin, Collected Works, Vol. 24 pag. 364
8. Citato da M. Liebman, Leninism under Lenin, pag. 200
9. M. Liebman, op. cit., pag. 200
10. M. Liebman, op. cit., pag. 201
11. M. Liebman, op. cit., pag. 201
12. N. Krupskaja, Memories of Lenin, pagg. 351-2
13. John Reed, Dieci giorni che sconvolsero il mondo, pagg. 52-3, enfasi nell’originale.
14. Ibid, pag. 53
15. N. Krupskaja, op. cit., pagg. 369-70
16. Liebman, op. cit., pag. 206
17. Ibid, pag. 207, enfasi nell’originale.
18. Citato da John Reed, op. cit., pag. 348, enfasi mia.
19. V. Serge, Year one of the Russian Revolution, pag. 87.
20. Trotskij, Storia della rivoluzione russa, pag. 26
21. Lenin, Collected Works, Vol. 26, pag. 297
22. Lenin, Collected Works, Vol. 26, pag. 409
23. Citato da Liebman, op. cit., pag. 218
24. E.H. Carr, The Bolshevik Revolution, 1917-1923, Vol. 1, pagg. 121-2
25. A. Kerenskij, The Kerensky memoirs—Russia and history’s turning-point, pag. 470
26. O. Figes, A people’s tragedy—the Russian Revolution, 1891-1924, pagg. 518-9
27. Ibid, pag. 519
28. Sir Charles Firth, Oliver Cromwell, pag. 319
29. Lenin, Collected Works, Vol. 26, pag. 468
30. Lenin, Collected Works, Vol. 27, pag. 135
31. Trotskij, La mia vita, pag. 372
32. E.H. Carr, The Bolshevik Revolution, 1917-1923, Vol. 3, pagg. 121 (nota 1 a piè di pagina)
33. Citato da John Reed, op. cit., pag. 22
34. John Reed, op. cit., pagg. 47-48
35. V. Serge, Memoirs of a Revolutionary, 1901-1941, pag. 80
36. Ibid. pag. 83
37. E.H. Carr, The Bolshevik Revolution, 1917-1923, Vol. 3, pag. 134
38. Ibid., Vol. 3, pag. 326
39. Ibid., Vol. 3, pagg. 135-6
40. Lenin, Collected Works, Vol. 27, pag. 95
41. Ibid., pag. 98
42. Ibid. pag. 232
43. Trotskij, Problems of everyday life, pag. 20
44. Lenin, Collected Works
45. Lenin, Collected Works, da Resolution on War and Peace, Vol. 27, pag. 119
46. Lenin, Collected Works, Vol. 27, pag. 231
47. Lenin, Collected Works, Vol. 27, pagg. 372-3
48. Lenin, Collected Works, Vol. 28, pagg. 24-5
49. Lenin, Collected Works, Vol. 28, pagg. 151-64
50. Lenin, Collected Works, Vol. 28, pag. 188
51. Lenin, Collected Works, Vol. 29, pagg. 151-64
52. Lenin, Collected Works, Vol. 30, pagg. 207-8
53. Lenin, Collected Works, Vol. 31, pag. 431
54. Lenin, Collected Works, Vol. 28, pag. 206
55. Trotskij, Storia della Rivoluzione Russa, pag. 1.237
56. Lenin, Collected Works, Vol. 25, pagg. 424-5
57. Citato da M. Liebman, Leninism under Lenin, pag. 346
58. Ibid., pag. 214, enfasi nell’originale
59. Lenin, Collected Works, Vol. 33, pag. 65
60. V. Serge, Memoirs of a Revolutionary, 1901-1941, pagg. 128-9
61. Trotskij, Leon Trotsky speaks, pag. 137
62. Lenin, Collected Works, Vol. 33, pag. 174
63. Lenin, Collected Works, Vol. 33, pag. 299
64. Citato da R. Medvedev, On socialist democracy, pagg. 62-3, enfasi nell’originale
65. Ibid., pag. 63, enfasi nell’originale
66. Ibid., nota 16 della pag. 351