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Giù le mani dall’Ottobre
La rivoluzione d’ottobre è uno degli eventi più mistificati della storia. La sua reale natura è stata più e più volte distorta nel corso degli anni. Gli strati di falsificazioni si sono accumulati a tal punto che oggi è un compito arduo aprire uno squarcio nella nebbia della propaganda e risalire alla verità.
Che le classi dominanti del passato e del presente abbiano cercato in ogni modo di distorcere gli avvenimenti della rivoluzione russa certamente non stupisce. Nel 1917 tutti i gruppi sociali che da secoli governavano la Russia – la vecchia aristocrazia, la ricca borghesia, la casta militare e la burocrazia zarista – furono spazzati via nel giro di qualche mese. È chiaro che agli occhi di tutte le élite al potere un simile rivolgimento è la peggiore di tutte le calamità. Convincere le classi oppresse che seguire quell’esempio sarebbe una catastrofe spaventosa diventa una questione di vita o di morte non solo per la borghesia, ma anche per tutti coloro che si sono scavati la loro nicchia al vertice del sistema: politicanti vari, presunti intellettuali, giornalisti prezzolati e via dicendo.
Le campagne di calunnie dei capitalisti contro l’Ottobre sono poi state abbondantemente riprese e arricchite dai dirigenti della socialdemocrazia, della sinistra riformista e dei sindacati, il che è naturale: esattamente come i riformisti sono subordinati alla borghesia nella loro linea politico-sindacale, lo sono anche nella lettura ideologica dei processi storici.
Un altro problema è dato dal fatto che per decenni l’eredità della rivoluzione russa è stata monopolio dei partiti stalinisti. Non abbiamo qui lo spazio per affrontare il tema della degenerazione stalinista e delle differenze abissali che esistevano tra il regime bolscevico dei primi anni e la successiva mostruosa dittatura staliniana; questi argomenti sono trattati in modo magistrale in numerose opere cui rimandiamo.1 Ci basti accennare che la frazione stalinista all’interno del Partito bolscevico a partire dalla metà degli anni ’20 portò avanti quella che a tutti gli effetti fu una controrivoluzione sul piano politico, ma lo fece utilizzando le stesse bandiere con cui era stata condotta la rivoluzione, il che ha gettato un’enorme confusione all’interno del movimento comunista mondiale. Da una parte Stalin ha giustificato il suo regime totalitario appoggiandosi abusivamente sull’autorità politica dell’Ottobre e di Lenin; dall’altra la borghesia ha potuto sfruttare comodamente i crimini stalinisti per gettare fango sull’Ottobre e sulle idee di Lenin.
Tutto questo ha arrecato un danno gravissimo alle idee rivoluzionarie e ha determinato ulteriori distorsioni nella ricostruzione della rivoluzione russa. Nella rappresentazione stalinista vengono cancellati tutti gli aspetti più vitali, dinamici e sovversivi degli eventi del 1917 – lo slancio delle masse, il dibattito vivace all’interno del Partito bolscevico, la democrazia operaia basata sui soviet – per essere sostituiti da un’iconografia priva di contenuti, dall’elogio di un apparato di partito monolitico, dal mito dell’infallibilità dei dirigenti. Per la burocrazia stalinista insediatasi a Mosca era troppo pericoloso ricordare alle masse il primo periodo rivoluzionario, quando le masse erano insorte contro l’ordine costituito, nel partito c’era un dibattito democratico con diverse posizioni, le decisioni non venivano prese dai funzionari di governo ma dai delegati eletti nei soviet e i sindacati erano ancora indipendenti.
Questo discorso vale anche per l’Italia, dove lo stalinismo è stato egemone nel movimento operaio per decenni a partire dal dopoguerra. Nel “grande” Pci il patrimonio della rivoluzione d’ottobre era rigorosamente tenuto nascosto alla base del partito, seppellito dalla retorica riformista della “via italiana al socialismo”, che prevedeva di arrivare al socialismo non per via rivoluzionaria ma gradualmente, attraverso una serie di riforme, penetrando sempre più nelle istituzioni borghesi e conquistando l’egemonia nel mondo culturale. In un partito di questo tipo non si poteva certo spiegare ai militanti la lotta politica che Lenin condusse nel 1917 per orientare il partito su una linea rivoluzionaria. Nelle sezioni del Pci si appendeva al muro il quadretto con la foto di Lenin, ma i suoi libri rimanevano a prender polvere sugli scaffali: al massimo si tirava fuori ogni tanto l’Estremismo, malattia infantile del comunismo, ma giusto per brandirlo contro qualche compagno impaziente.
Questa operazione di costante occultamento ebbe pesanti conseguenze politiche. Uno dei drammi della sinistra italiana fu che anche quei militanti che criticavano la linea moderata del Pci non avevano avuto la possibilità di accedere all’autentica storia del bolscevismo. Quanti nel corso degli anni ’70 andarono ad ingrossare le fila dei gruppi dell’estrema sinistra, non avendo avuto modo di conoscere le lezioni politiche dell’Ottobre, cercarono un’alternativa al riformismo del Pci in uno stalinismo più di sinistra. In questi termini si può spiegare il successo del maoismo nella sinistra extraparlamentare italiana, ma anche il vicolo cieco in cui essa finì per morire.
Come se non bastassero le menzogne dei borghesi, dei riformisti e degli stalinisti, la rivoluzione d’ottobre è stata ripetutamente bistrattata anche da altre tendenze della sinistra cosiddetta “antagonista”, come il movimentismo e l’anarchismo, che considerano peccati imperdonabili quelli che invece sono proprio i punti di forza della rivoluzione russa: il ruolo decisivo del partito rivoluzionario e la creazione di uno Stato operaio basato sui soviet.
Se però per un momento ci lasciamo alle spalle tutte queste interpretazioni denigratorie e andiamo a guardare come si svolsero realmente i fatti concreti del 1917, allora scopriamo che a cent’anni di distanza la rivoluzione d’ottobre, alla faccia di tutti i suoi detrattori, gode ancora di ottima salute e ha molto da insegnare ancora oggi a tutti coloro che cercano un’alternativa al capitalismo.
Il bilancio dell’Ottobre
Nell’ottobre del 1917 per la prima volta nella storia le classi lavoratrici, da sempre oppresse e ai margini della società, presero il potere nelle loro mani e, attraverso istituzioni proprie, iniziarono ad utilizzarlo per costruire una nuova società.
Da questo punto di vista la rivoluzione d’ottobre rappresenta un caso unico. Dopo di essa ci sono state numerose altre rivoluzioni sia nel corso del XX secolo (la rivoluzione spagnola del 1931-1937; la Resistenza italiana tra il 1943 e il 1945; il Maggio del 1968 in Francia; etc.), sia in tempi più recenti (si pensi al processo rivoluzionario in Venezuela o alle Primavere arabe), ma nella stragrande maggioranza dei casi questi processi rivoluzionari sono stati dirottati, sono rimasti sospesi a metà o si sono conclusi con una sconfitta: ci possono essere state le giornate di Febbraio (l’azione travolgente delle masse, il crollo del vecchio regime), ma non le giornate d’Ottobre (la presa del potere da parte della classe lavoratrice).
Altre volte invece abbiamo assistito a vittorie che hanno effettivamente portato all’abbattimento del capitalismo, ma all’interno di processi sviluppatisi in forma distorta: in Cina nel 1949 o a Cuba nel 1959 la classe operaia non ha svolto un ruolo indipendente e il potere è stato preso da eserciti guerriglieri contadini, che hanno costruito Stati operai deformati, dove non erano i lavoratori ad avere il potere, ma un apparato burocratico che si ergeva al di sopra della società.
Nella Russia del 1917 invece ad essere protagonisti sono i lavoratori, che non solo conquistano una vittoria decisiva, ma la ottengono anche su basi sane. Dalla rivoluzione nasce infatti un regime di democrazia operaia, che è lontano anni luce dal totalitarismo stalinista ed è anche nettamente superiore alla democrazia parlamentare di stampo borghese. Il sistema funzionava attraverso i soviet degli operai, dei soldati e dei contadini, comitati composti dai delegati eletti direttamente dai lavoratori. Diversamente dai parlamentari borghesi, i delegati dei soviet potevano essere revocati in qualsiasi momento da chi li aveva eletti e sostituiti con altri: in questo modo i soviet potevano essere continuamente rinnovati e riflettere più fedelmente di qualsiasi altra istituzione i reali orientamenti delle masse. Nei soviet erano ammessi tutti i partiti politici ad eccezione dei fascisti delle Centurie nere, tristemente celebri per i loro violenti pogrom antisemiti.
Il governo che nacque dopo l’Ottobre, il Consiglio dei commissari del popolo, basava la sua legittimità sul congresso nazionale dei soviet. A differenza dei ministri dei governi borghesi con tutte le loro prebende e i loro privilegi, i commissari del popolo, così come tutti gli altri funzionari statali sovietici, per legge non potevano ricevere compensi che fossero superiori al salario medio di un operaio specializzato. Mai prima di allora si era vista una società così spiccatamente egualitaria, se non nei pochi mesi della Comune di Parigi.
In effetti per la prima volta nella storia si instaurava un regime politico che non si poneva il compito di tutelare gli interessi di una ristretta minoranza e di tenere asservita la maggioranza della popolazione, ma al contrario di vincere la resistenza della precedente minoranza privilegiata per rispondere finalmente alle aspirazioni della stragrande maggioranza della società.
Non si trattava di vuota retorica. I bolscevichi rispettarono tutti i punti del programma con cui avevano conquistato la maggioranza nei soviet. Non si comportarono come i candidati borghesi che fanno mille promesse in campagna elettorale e poi, appena arrivati al potere, deludono tutte le aspettative. Nei primi mesi della sua esistenza il governo bolscevico firmò la pace che pose fine alla disastrosa partecipazione della Russia alla Prima guerra mondiale, distribuì le terre dei grandi proprietari terrieri ai contadini poveri e stabilì il controllo degli operai sulla produzione nelle fabbriche. Non solo, concesse il diritto all’autodeterminazione alle minoranze nazionali da secoli oppresse nell’impero zarista e parificò le condizioni giuridiche delle donne a quelle degli uomini.
Grazie a questi risultati straordinari, la rivoluzione d’ottobre lanciò un messaggio di speranza ed emancipazione che ebbe una vasta eco a livello mondiale. Gli operai negli altri paesi europei cominciarono a seguire l’esempio della Russia: ci furono fermenti rivoluzionari in Austria nel 1918, in Ungheria nel 1919 (dove per alcuni mesi si formò una repubblica dei consigli operai), in Italia con l’occupazione delle fabbriche nel Biennio rosso 1919-1920 e in Germania a più riprese tra il 1918 e il 1923. In tutti i paesi si formarono nuovi partiti comunisti che si ispiravano al Partito bolscevico e nel 1919 si riunirono nella Terza Internazionale. Lenin e Trotskij considerarono sempre la rivoluzione russa come la prima tappa della rivoluzione mondiale.
Purtroppo alle classi lavoratrici russe venne lasciato ben poco tempo per dimostrare quello che erano in grado di costruire. Le potenze capitaliste straniere e le vecchie classi possidenti espropriate organizzarono un’aggressione armata contro la Repubblica dei soviet. Ne seguì una sanguinosa guerra civile, in cui il regime bolscevico fu costretto a trasformare la Russia in un campo militare per garantire la sopravvivenza della rivoluzione. Fu il terribile periodo del “comunismo di guerra”, in cui le poche risorse disponibili dovevano essere razionate come in una fortezza assediata e gli spazi democratici sacrificati per far fronte alle esigenze militari. La prova venne superata ma, dopo aver sconfitto i nemici interni ed esterni, le masse si trovarono stremate e soprattutto isolate a livello internazionale: i processi rivoluzionari negli altri paesi europei erano infatti tutti falliti, a causa del sabotaggio delle direzioni riformiste dei principali partiti socialisti e degli errori di inesperienza dei giovani partiti comunisti. Fu in queste condizioni che la burocrazia stalinista trovò un terreno fertile per usurpare il potere dalle mani dei lavoratori russi.
Ciò nonostante quei pochi anni di democrazia sovietica sana hanno un valore inestimabile, perché costituiscono il miglior esempio di un’alternativa concreta al capitalismo e rappresentano l’anticipazione di tutte le potenzialità che potrebbero sprigionarsi da una rivoluzione vittoriosa.
Il ruolo del Partito bolscevico
L’elemento più importante che distingue la rivoluzione russa da tutte le altre rivoluzioni mancate è il ruolo decisivo del Partito bolscevico. Basta infatti osservare i principali passaggi del 1917 per capire che senza di esso l’esito della rivoluzione sarebbe stato completamente diverso.
L’azione spontanea delle masse, che nelle giornate di febbraio avevano provocato la caduta dello zarismo e la creazione dei soviet, erano state fondamentali, ma non erano bastate da sole ad assicurare la vittoria. Inizialmente nei soviet la maggioranza l’avevano i partiti della piccola borghesia democratica, menscevichi e socialisti rivoluzionari, che trasferirono il potere a un governo provvisorio che era una diretta emanazione dei partiti della borghesia liberale. Il governo provvisorio non risolse nessuno dei problemi delle masse: proseguì la guerra al fianco dell’Intesa, non fece la riforma agraria, non concesse il diritto all’autodeterminazione alle minoranze nazionali e rimase impotente di fronte alla crisi economica. Su questa strada gli operai e i contadini ben presto sarebbero rimasti delusi dalla rivoluzione e probabilmente la demoralizzazione delle masse avrebbe aperto la strada alla controrivoluzione vittoriosa. Per evitare questo triste epilogo fu necessaria l’azione cosciente del Partito bolscevico, che condusse vittoriosamente una battaglia politica per prendere la maggioranza nei soviet e rove-sciare il governo provvisorio.
In effetti l’exploit dei bolscevichi nel 1917 fu davvero impressionante: all’inizio della rivoluzione il partito contava poche migliaia di militanti ed era una sparuta minoranza all’interno dei soviet; solo otto mesi dopo aveva raggiunto 245mila iscritti, conquistato la maggioranza nei soviet delle principali città, guidato un’insurrezione armata vittoriosa e assunto il governo del paese. Vale quindi la pena soffermarsi su quali furono la linea politica, i metodi e le tattiche che consentirono al partito di raggiungere un successo così sbalorditivo.
Innanzitutto va detto che quella dei bolscevichi non fu una cavalcata trionfale. Il partito passò attraverso delle crisi e la prima si verificò proprio all’inizio del processo rivoluzionario. Immediatamente dopo le giornate di febbraio, mentre Lenin si trovava ancora in esilio, la direzione del partito si trovava nelle mani di Stalin e Kamenev che portarono avanti una linea opportunista. Stalin in particolare, che negli anni successivi sarebbe stato idolatrato dai suoi lacchè come uno dei grandi protagonisti dell’Ottobre, a quel tempo riteneva non bisognasse affrettare una rottura con la borghesia, parlava di un sostegno critico al governo provvisorio e promuoveva la riunificazione con i menscevichi. È chiaro che se la politica bolscevica fosse rimasta questa, oggi parleremmo del 1917 come dell’ennesima rivoluzione fallita a causa di una direzione non all’altezza.
La svolta ci fu con il ritorno di Lenin in Russia ai primi di aprile. Lenin attaccò immediatamente la deriva presa dal partito con le sue famose “Tesi d’aprile”, che ribaltavano completamente l’orientamento di Kamenev e Stalin: nessun appoggio al governo provvisorio, tutto il potere ai soviet e lotta intransigente contro i partiti conciliazionisti che avevano ingannato le masse e si erano alleati con la borghesia.
Inizialmente Lenin fu completamente isolato all’interno del gruppo dirigente. Nessun altro esponente di spicco del bolscevismo appose la sua firma alle Tesi d’aprile che, quando vennero pubblicate sulla Pravda, vennero accompagnate da una nota della direzione del giornale che ne prendeva le distanze. Ma Lenin non si lasciò scoraggiare. La priorità era quella di orientare il partito sulla linea corretta e a questa priorità doveva essere subordinato tutto il resto. Lenin era pronto a rimanere in minoranza, a rompere con i suoi vecchi compagni di partito e anche a provocare una scissione pur di raggiungere lo scopo. Questa intransigenza diede i suoi frutti. In meno di un mese Lenin riportò una vittoria completa all’interno del partito. Già alla conferenza bolscevica di fine aprile le sue tesi venivano in gran parte approvate.
La discussione sulle Tesi d’aprile ci dice molto su che tipo di partito fosse quello bolscevico. Niente a vedere con i successivi partiti stalinisti totalmente burocratizzati, in cui non era ammessa la minima critica e i dirigenti erano infallibili per statuto. Il Partito bolscevico si era formato in lunghi anni non solo di lotta implacabile contro il riformismo, ma anche di abitudine alla discussione democratica interna. Il ruolo personale di Lenin fu indiscutibile, ma sarebbe sbagliato darne l’immagine del “grande leader” che con uno schiocco di dita rimette in riga un partito che pende dalle sue labbra. Se riuscì a riportare un successo tanto completo e rapido fu perché ottenne l’appoggio della base operaia del partito, di quegli elementi che erano stati protagonisti durante le giornate di febbraio, organizzando scioperi, raccogliendo armi, rivolgendo appelli ai soldati. Questi militanti bolscevichi erano rimasti spiazzati dalle prese di posizione così a destra di Stalin e Kamenev, ma non avevano trovato gli strumenti politici per contrastarle. Con le Tesi d’aprile Lenin fornì il programma politico che consentì ai settori più freschi e audaci di riportare il partito su una linea rivoluzionaria.
Riorientare il partito fu solo il primo passo. Adottare una linea politica corretta non era sufficiente per ottenere la vittoria, ci voleva anche un tattica adeguata. Dal momento che i bolscevichi erano ancora una piccola minoranza nei soviet, Lenin sconsigliò di intraprendere un’azione armata che sarebbe stata prematura e sarebbe andata incontro a una sconfitta. La sua parola d’ordine era “spiegare pazientemente”: i bolscevichi dovevano cioè condurre un lavoro di propaganda per sottrarre i lavoratori all’influenza dei partiti conciliazionisti e conquistare la maggioranza della classe operaia.
Grazie a questo lavoro già nel mese di giugno i bolscevichi erano diventati la forza maggioritaria tra gli operai e i soldati di Pietrogrado, gli stessi che erano stati protagonisti delle giornate di febbraio. Si trattava dell’avanguardia della rivoluzione. Ma a quel punto il partito dovette affrontare il problema di collegare l’avanguardia al resto delle masse. La situazione nelle province non era così favorevole come nella capitale, la lotta dei contadini nelle campagne era solo all’inizio e anche tra le truppe al fronte l’influenza dei bolscevichi era limitata.
Per tutto un periodo quindi il partito dovette spingere sul freno, trattenendo gli operai più combattivi per impedire che la lotta per il potere si sviluppasse in modo disorganizzato e frammentario. Il timore era che l’avanguardia potesse logorarsi in una serie di scaramucce, prima che il resto delle masse fosse pronto a seguirla. I bolscevichi quindi invitavano i lavoratori a stringere i denti, a conservare le forze e a prepararsi per un’azione generale quando fosse venuto il momento propizio.
La situazione era però talmente drammatica – nelle città si faceva la fame, le fabbriche venivano chiuse, i reparti rivoluzionari della guarnigione di Pietrogrado venivano spediti al fronte – che gli operai e i soldati della capitale, oramai esasperati, non riuscirono più a trattenersi. Ai primi di luglio scoppiò un movimento spontaneo, che sfociò in una manifestazione armata con centinaia di migliaia di persone che chiedevano ai soviet di prendere il potere.
Questa semi-insurrezione si concluse con una sconfitta. La guarnigione di Pietrogrado non era così compatta e alcuni reggimenti si schierarono con il governo. Dal fronte arrivarono alcuni reparti fedeli al governo. Nelle province non si mosse nulla e anche a Mosca una manifestazione di sostegno si risolse in un fiasco.
Nonostante i bolscevichi fossero stati contrari a far partire la manifestazione, assunsero la direzione della lotta. Non tanto per portarla alla vittoria, quanto per evitare che le manifestazioni degenerassero in scontri armati sanguinosi. Alla prima occasione suonarono la ritirata e il loro intervento fu assolutamente decisivo perché evitò un massacro e consentì di contenere le perdite, rendendo possibile riprendere la lotta in un secondo momento più favorevole.
Dopo la sconfitta delle masse a luglio, i rapporti di forza si spostarono a favore della borghesia. La controrivoluzione alzò la testa e nel mese di agosto Kornilov, il comandante in capo dell’esercito, preparò un colpo di Stato per occupare militarmente Pietrogrado. I partiti conciliatori dei soviet in risposta organizzarono comitati di difesa e chiesero l’aiuto dei bolscevichi, gli unici ad avere l’autorità necessaria per mobilitare le masse.
In quel periodo i bolscevichi si trovavano sottoposti a una forte repressione e a una campagna di calunnie, tanto da trovarsi in semiclandestinità. Trotskij era stato arrestato, Lenin fu costretto a darsi alla macchia, la stampa bolscevica era praticamente fuori legge.
Sarebbe stato facile in una fase simile cadere nel settarismo, rifiutarsi di collaborare con i conciliazionisti che avevano appoggiato la repressione antibolscevica e considerare Kornilov e Kerenskij due facce della stessa medaglia, entrambi controrivoluzionari. I bolscevichi invece non caddero in questo errore e applicarono correttamente la politica del fronte unico. Non solo entrarono nei comitati di difesa, ma accettarono di collaborare militarmente anche con le forze governative, con lo scopo di sconfiggere la controrivoluzione. Allo stesso tempo non fecero sconti politici a nessuno, mantenendo la loro critica politica intransigente nei confronti dei menscevichi e dei socialisti rivoluzionari.
Il golpe venne sventato senza che fosse necessario versare una sola goccia di sangue e i rapporti di forza mutarono nuovamente. La borghesia controrivoluzionaria era stata sconfitta e i bolscevichi ne erano usciti enormemente rafforzati: agli occhi delle masse la loro linea si era dimostrata corretta, mentre quella dei conciliatori aveva quasi portato a un disastro. Dopo il fallimento del golpe i bolscevichi iniziarono a crescere ovunque. A settembre conquistarono la maggioranza nei soviet di Mosca, Pietrogrado e di altre importanti città.
Ora che avevano conquistato la maggioranza nella classe lavoratrice, per i bolscevichi era finalmente arrivato il momento di agire, di organizzare concretamente l’insurrezione per rovesciare il governo provvisorio e trasferire il potere ai soviet. A questo punto però una parte del partito, guidata da Kamenev e Zinovev, si oppose all’insurrezione armata e il comitato centrale cominciò a vacillare. Prima di poter giungere alla presa del potere Lenin dovette sostenere un’ultima battaglia all’interno del partito. Temendo che l’occasione propizia per prendere il potere stesse sfuggendo dalle mani del partito, Lenin non guardò in faccia a nessuno e sferrò attacchi spietati senza badare alle formalità. Rassegnò le dimissioni dal comitato centrale per essere più libero di criticarlo, mandò lettere agli organismi locali del partito per sobillarli contro il gruppo dirigente e arrivò a rivolgersi al soviet dei marinai del Baltico perché fossero loro a rovesciare il governo provvisorio se il partito a Pietrogrado non si fosse deciso a muoversi.
Sotto la pressione incalzante di Lenin, finalmente il 10 ottobre il Comitato centrale bolscevico si espresse a favore dell’insurrezione. In realtà la risoluzione del Comitato centrale non risolse tutte le perplessità nel gruppo dirigente, tanto che Kamenev e Zinovev votarono contro, ma fu comunque decisiva perché diede legittimità a quei settori più audaci del partito per passare all’azione nonostante i tentennamenti dei vertici. Ancora una volta il ruolo di Lenin servì soprattutto a mettere la base operaia nelle condizioni di indirizzare il partito sulla strada giusta.
Quello che colpisce analizzando queste vicende è la ricchezza della tattica dei bolscevichi, che a seconda dei momenti sapevano ricorrere alla propaganda o all’azione armata, trattenere le masse o spingerle all’attacco, attuare una rottura politica o applicare il fronte unico. Anche da questo punto di vista era fondamentale il regime democratico interno, che permetteva di affinare continuamente la tattica del partito.
La tradizione democratica bolscevica peraltro non venne meno neppure dopo la presa del potere. Nonostante la guerra civile, il partito celebrò regolarmente il suo congresso ogni anno e al suo interno si svilupparono nuove discussioni interne con posizioni diverse – con Lenin che spesso partiva in minoranza – su tutte le questioni più importanti, dalla pace al ruolo dei sindacati, fino all’economia.
Questa tradizione venne anche estesa all’Internazionale comunista, i cui primi quattro congressi prima della degenerazione stalinista rappresentano un modello di discussione democratica tra rivoluzionari a livello internazionale.
La necessità storica dell’Ottobre
Una delle concezioni più diffuse nel campo borghese e riformista a proposito del 1917 è quella che tende a esaltare la rivoluzione di febbraio come un movimento spontaneo e pacifico che diede vita ad una repubblica democratica e parlamentare sul modello occidentale; questo esemplare processo democratico sarebbe poi stato completamente rovinato dall’imposizione violenta della dittatura bolscevica nell’Ottobre. Anche nel campo della sinistra si è spesso sostenuto che le condizioni per una rivoluzione socialista in Russia nel 1917 non fossero mature e che pertanto l’insurrezione di ottobre sarebbe stata una “forzatura”; sarebbe stato molto meglio aspettare, consolidare la democrazia parlamentare e solo in un secondo momento parlare del socialismo.
Questa ricostruzione dei fatti, all’apparenza molto saggia, alla prova dei fatti non contiene neanche un briciolo di verità. Gli eventi storici dimostrano invece molto chiaramente come nella Russia del 1917 non ci fosse lo spazio per una democrazia parlamentare. Se i bolscevichi non avessero preso il potere, al loro posto ci sarebbe stata una spietata dittatura controrivoluzionaria.
La prima mossa compiuta dal governo provvisorio fu un tentativo di restaurare la monarchia, affidando la corona ad uno dei fratelli dello zar deposto! Dal punto di vista della borghesia liberale infatti la ricostruzione del vecchio apparato repressivo dello zarismo era l’unico modo per veder tutelata la proprietà e ripristinato l’ordine. Una volta fallito il tentativo di resuscitare lo zarismo, la borghesia si pose risolutamente su una strada golpista. Già nel mese di aprile Miljukov, ministro degli esteri e principale esponente del partito cadetto, tentò un colpo di Stato, che fallì solo perché i soldati della guarnigione di Pietrogrado si rifiutarono di obbedire a ordini che non provenissero dal Soviet. Nel mese di agosto non fu solo il generale Kornilov a tentare un golpe. Contemporaneamente anche il capo del governo provvisorio, Kerenskij, che formalmente apparteneva al Partito socialista rivoluzionario, stava organizzando una congiura militare per liquidare con la forza i bolscevichi e i soviet.
L’illusione della democrazia era tenuta in vita soltanto dai partiti conciliazionisti che avevano la maggioranza nei soviet, che però con il passare del tempo dimostrarono sempre di più una debolezza patetica. Quando durante le giornate di luglio centinaia di migliaia di operai e soldati chiesero loro di prendere il potere, i menscevichi e socialisti rivoluzionari pensarono bene di scatenargli contro i cosacchi e gli junker! Questi socialisti “moderati” per portare avanti la loro politica “progressista” non potevano appoggiarsi che sui settori più reazionari dell’esercito, che avevano rappresentato il baluardo dello zarismo.
Il governo provvisorio fu paralizzato per gran parte della sua esistenza, incapace di prendere misure significative. Tutte le riforme importanti venivano rinviate alla prossima Assemblea costituente, ma a loro volta le elezioni per l’Assemblea costituente venivano continuamente rinviate. È oltremodo significativo che le elezioni per l’Assemblea costituente si svolsero solo dopo che i bolscevichi avevano preso il potere.
Proprio l’effimera vicenda dell’Assemblea costituente dimostra l’inconsistenza delle illusioni democratico-borghesi nella rivoluzione russa. Quando l’Assemblea costituente cercò di ergersi come un contropotere rispetto ai soviet, i bolscevichi non persero tempo a decretarne lo scioglimento. I deputati vennero dispersi in modo pacifico, senza sparare un solo colpo, perché nessuno alzò un dito in loro difesa. Nelle province i socialisti rivoluzionari si diedero da fare per costituire dei governi antibolscevichi che si richiamavano all’Assemblea costituente, che però nel giro di poche settimane vennero tutti rovesciati con estrema facilità dai generali bianchi e rimpiazzati da dittature militari.
Il destino della rivoluzione russa non si sarebbe deciso con i discorsi nelle aule parlamentari, ma con le armi sui campi di battaglia della guerra civile e i liberal-democratici non avevano truppe pronte a seguirli. Lo scontro era tra le milizie operaie dell’Armata rossa che difendevano il nuovo potere sovietico e la casta dei vecchi ufficiali monarchici che volevano ripristinare il vecchio regime: in mezzo non c’era spazio per nient’altro.
La rivoluzione aveva messo alla prova tutte le classi sociali in Russia. La borghesia e la piccola borghesia avevano dimostrato tutta la loro inconsistenza, tutta la loro inadeguatezza. La classe operaia invece, grazie alla direzione bolscevica, riuscì a superare la prova. La triste parabola della piccola borghesia democratica trovò un degno epilogo quando molti menscevichi e socialisti rivoluzionari confluirono nel Partito bolscevico, ma solo dopo la sua vittoria, quando era diventato un partito di governo. Quasi senza eccezioni questi “democratici” avreb-bero sostenuto l’ascesa di Stalin – è risaputo che il pubblico ministero dei Processi di Mosca, Vysinskij, era un ex menscevico – mentre molti dei dirigenti bolscevichi che più si erano distinti nelle giornate d’Ottobre sarebbero andati a riempire i ranghi dell’opposizione al nuovo corso staliniano.
L’eredità dell’Ottobre oggi
Il mondo è oggi molto cambiato rispetto a cento anni fa. Non è in corso una guerra mondiale e il peso dei contadini nella società si è molto ridotto. Tuttavia nella nostra società capitalista le diseguaglianze sociali sono sempre più scandalose e le condizioni di vita di milioni di persone continuano a peggiorare, mentre le élite dominanti sono sempre più isolate e odiate dalle masse, proprio come lo era la corte dello zar nel 1917. La necessità di una rivoluzione è forte anche oggi, a partire dai paesi europei, attanagliati dalle politiche di austerità, dalla disoccupazione di massa e dalla xenofobia.
Se agli occhi di molti è chiaro quello che non va nella nostra società, c’è invece maggiore incertezza su quale possa essere l’alternativa e sui mezzi con cui poter ottenere un cambiamento. La rivoluzione d’ottobre può darci delle indicazioni utili su quello per cui dobbiamo lottare, così come i metodi dei bolscevichi possono aiutarci a capire come ottenerlo.
In questo senso la lotta ideologica di oggi sulla lettura dell’Ottobre non è altro che il primo passo della lotta concreta di domani per rovesciare questa classe dominante e iniziare a costruire un mondo nuovo su basi più avanzate.
Nota
1. Si vedano Stalinismo e bolscevismo di Lev Trotskij (1937), la Rivoluzione tradita di Lev Trotskij (1937), Russia dalla rivoluzione alla controrivoluzione di Ted Grant (1997) e Comunisti contro Stalin di Pierre Broué (2016) tutti pubblicati da AC Editoriale.