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I bolscevichi e la pace di Brest-Litovsk

di Ion Udroiu

 

Un avvenimento storico che ha creato divisioni, polemiche e fraintendimenti è sicuramente la pace di Brest-Litovsk, atto con cui la Russia esce dalla Prima guerra mondiale. Quest’anno, centenario della Rivoluzione d’Ottobre, la borghesia sta sguinzagliando i suoi pennivendoli per denigrare, infamare e svilire uno dei più grandi avvenimenti della storia umana. L’Ottobre come colpo di stato (anche se la data dell’insurrezione era pubblica già un mese prima), i bolscevichi al soldo dei tedeschi, la manipolazione delle masse… manca solo il complotto giudaico-massonico (almeno per ora). A questi si aggiunge la pace di Brest-Litovsk: alcuni giornalisti e “storici” non hanno trovato di meglio che ripescare un vecchio argomento (di cento anni fa) inventato dalla propaganda di guerra anglo-francese: Lenin era andato al potere coi soldi del Kaiser (l’imperatore tedesco) e ricambiava il favore firmando la pace con la Germania.
Oltre a questa calunnia, la pace di Brest-Litovsk è stata oggetto, da parte della storiografia stalinista, di un’interpretazione caricaturale che contrappone un Lenin “responsabile” ad un Trotskij estremista e irresponsabile che non voleva firmare la pace.

I bolscevichi e la guerra

Uno dei motivi (anche se non l’unico) del successo dei bolscevichi nel 1917 era stata la loro politica nei confronti della guerra. Sin dallo scoppio del conflitto, prendendo una posizione controcorrente, si erano opposti sia al patriottismo che al pacifismo. Contro i patrioti spiegavano che non c’era un “interesse nazionale” da difendere, ma che la guerra aveva lo scopo di rapinare nuove terre per i latifondisti e nuovi capitali per i padroni. Contro i pacifisti spiegavano invece che solo la rivoluzione poteva porre fine alla guerra, e che spargere illusioni nella diplomazia, nelle conferenze internazionali ecc. non faceva altro che addomesticare le masse rivoluzionarie.
Dopo la Rivoluzione di febbraio, la Russia era guidata dal Governo provvisorio, sostenuto da una coalizione fra i partiti borghesi, i socialisti-rivoluzionari ed i menscevichi. Questo governo (che all’inizio aveva un largo appoggio) prometteva di risolvere la questione agraria e di migliorare le condizioni di vita del popolo, ma col passare dei mesi diventava sempre più chiaro che queste rimanevano solo promesse. Per quanto riguardava la guerra – invece – il governo aveva subito dichiarato la sua fedeltà all’Intesa (Francia e Inghilterra) e la volontà di voler andare avanti con la guerra. Questi “socialisti” di diverse sfumature avevano tradito la causa della classe operaia internazionale (così come la maggioranza della II Internazionale) e mandavano proletari russi ad ammazzare proletari tedeschi. Nel teatrino patriottico ognuno dava le proprie motivazioni sul perché bisognava continuare la guerra: per difendere la Russia democratica, per combattere l’autoritarismo del Kaiser, ecc. Queste chiacchiere coprivano il fatto che la Russia combatteva per prendersi Costantinopoli e la Galizia. Nessuna politica di pace era possibile da parte dei menscevichi: la loro politica era quella di sostenere la borghesia per “rafforzare la democrazia in Russia”, ma la borghesia russa era legata a doppio filo alla borghesia dell’Intesa (che partecipava al capitale della maggior parte delle industrie russe). Inoltre, i comandi dell’esercito a tutti i livelli, erano rimasti gli stessi di prima della Rivoluzione, composti da una casta di ufficiali monarchici e reazionari plasmata lungo secoli di zarismo.
Oltre a spiegare i veri interessi dietro la guerra e a smascherare la politica del Governo provvisorio, i bolscevichi propagandavano una parola d’ordine semplice, chiara e rivoluzionaria: “Per una pace democratica, senza annessioni o risarcimenti”.
Con un lavoro paziente, passando per la crisi di aprile1, le giornate di luglio2, l’affaire Kornilov3, i bolscevichi conquistarono la maggioranza in tutti i soviet più importanti e la loro parola d’ordine di togliere il potere al Governo provvisorio e darlo ai soviet divenne egemone fra le masse. Quindi da settembre Lenin si trovò a polemizzare con i dirigenti bolscevichi che non stavano organizzando l’insurrezione: alcuni si dicevano d’accordo con lui, ma comunque temporeggiavano; altri invece erano contrari, dicendo che le condizioni non erano mature. Due settimane prima dell’insurrezione, Kamenev e Zinoviev avevano mandato una lettera “Sulla Situazione Corrente” a tutte le sezioni bolsceviche, che – fra le altre cose – cercava di spaventare il Partito con la prospettiva dello scoppio di una guerra rivoluzionaria:

Le masse dei soldati ci sostengono non perché avanziamo uno slogan di guerra, ma uno slogan di pace … Se prendiamo il potere da soli ora e se ci troviamo costretti da tutta la situazione mondiale ad impegnarci in una guerra rivoluzionaria, le masse dei soldati ci abbandoneranno”.

In realtà, l’eventualità del coinvolgimento in una guerra rivoluzionaria era stata già affrontata da Lenin. Nel 1915, nell’articolo “Alcune Tesi” spiegava:

Alla domanda che cosa farà il partito del proletariato se la rivoluzione lo metterà al potere durante l’attuale guerra, rispondiamo: dobbiamo proporre la pace a tutti i belligeranti a condizione della liberazione delle colonie e di tutti i popoli soggetti e oppressi che non hanno diritti. Né la Germania, né l’Inghilterra, né la Francia, con gli attuali governi, accetterebbero queste condizioni. Allora dovremmo prepararci a fare una guerra rivoluzionaria, cioè non solo dovremmo attuare pienamente le misure più decise del nostro programma minimo, ma dovremmo sistematicamente incitare all’insurrezione tutti i popoli ora oppressi dai grandi-russi, tutte le colonie e i paesi assoggettati dell’Asia (India, Cina, Persia, ecc.) ed anche – e innanzitutto – incitare il proletariato dell’Europa all’insurrezione contro i suoi governi ed i suoi social-sciovinisti”.

E di nuovo, a fine settembre 1917:

Se il caso meno probabile dovesse avvenire, cioè se nessuno stato belligerante accettasse neanche un armistizio, allora la guerra da parte nostra diventerà una guerra realmente necessaria, davvero giusta e difensiva. Il semplice fatto che il proletariato e i contadini più poveri saranno consapevoli di questo renderà la Russia militarmente molto più forte, soprattutto dopo una completa rottura con i capitalisti che rapinano il popolo, per non parlare del fatto che allora la guerra da parte nostra sarà, non a parole, ma nei fatti, una guerra in alleanza con i popoli oppressi di tutto il mondo”.

Lenin convinse alla fine il Comitato Centrale (CC) dei bolscevichi (esclusi Kamenev e Zinoviev) ad organizzare concretamente l’insurrezione. Il 7 novembre (25 ottobre del calendario giuliano4 – c.g.) il Comitato Militare Rivoluzionario guidò con successo l’insurrezione e consegnò il potere al Secondo Congresso Pan-Russo dei Soviet. Il giorno dopo il Congresso approvò tre decreti: sulla pace, sulla terra e sul governo operaio e contadino (quest’ultimo chiudeva il congresso ed instaurava lo stato sovietico). Ecco alcuni passi del Decreto sulla Pace:

Il governo operaio e contadino, creato dalla rivoluzione il 24-25 ottobre e forte dell’appoggio dei soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini, propone a tutti i popoli belligeranti e ai loro governi l’immediato inizio di trattative per una pace giusta e democratica.
Il governo considera come pace giusta e democratica, […] una pace immediata senza annessioni (cioè senza la conquista di terre straniere, senza l’annessione forzata di altri popoli) e senza risarcimenti.
Il governo russo propone a tutti i popoli in guerra di concludere immediatamente questo tipo di pace”.

Come si vede, la proposta di pace non era rivolta solo agli Imperi Centrali che erano in guerra contro la Russia, ma a tutti i paesi in guerra.

Iniziano le trattative

Il 20 novembre (7 novembre c.g.) Trotskij, commissario del popolo per gli Affari Esteri, mandò un appello alla radio ai paesi dell’Intesa e degli Imperi Centrali, invitandoli a concludere una pace generale. Attraverso i loro rappresentanti, i governi dell’Intesa fecero sapere al generale Dukhonin, capo dello Stato Maggiore russo, che qualsiasi ulteriore passo in direzione di negoziati di pace avrebbe comportato “le più gravi conseguenze”. Trotskij rispose a questa minaccia con un appello a tutti i lavoratori, soldati e contadini. Era un appello categorico: “quando abbiamo rovesciato la nostra borghesia, non era per spargere il sangue del nostro esercito agli ordini di una borghesia estera”. Inoltre, il generale Dukhonin contestò la legittimità del governo sovietico e si rifiutò di sospendere i combattimenti: venne destituito e sostituito da Krylenko, che il 5 dicembre (22 novembre c.g.) firmò un cessate-il-fuoco su tutto il fronte. I bolscevichi provarono ancora a fare appello all’Intesa per una pace generale: non ottennero risposte, ma neanche nuove minacce. Così, l’unico passo che rimaneva ai bolscevichi era di intavolare trattative per una pace separata con gli Imperi Centrali.
Il 15 dicembre (2 dicembre c.g.) la Russia sovietica firmò un armistizio con gli Imperi Centrali (Germania, Austria-Ungheria, Bulgaria e Impero Ottomano). Questo comprendeva due clausole, uniche in tutta la storia militare: la prima prevedeva il permesso alla fraternizzazione con le truppe nemiche e alla circolazione della propaganda bolscevica; la seconda impegnava i generali tedeschi e austriaci a non spostare truppe dal fronte russo al fronte francese. Lo scopo della prima clausola è abbastanza ovvio e la Germania la accettò perché in realtà sanciva ciò che già stava accadendo. La seconda clausola, suicida da un punto di vista meramente militare, serviva a combattere le menzogne che venivano propagandate fra gli operai e i soldati francesi e inglesi, cioè che i bolscevichi, andati al potere “con l’oro del Kaiser”, stavano contraccambiando e aiutavano la Germania permettendole di concentrare tutte le armate sul fronte occidentale. In questo modo, era chiaro a tutti che i bolscevichi non stavano aiutando la Germania in nessun modo, né diretto né indiretto.

Il 22 dicembre (9 dicembre c.g.) iniziarono a Brest-Litovsk i negoziati di pace. La Germania era rappresentata dal segretario agli Esteri barone Richard von Kühlmann e dal generale Max Hoffmann, l’Austria-Ungheria dal ministro agli Esteri conte Ottokar Czernin e gli ottomani da Talat Pasha. La delegazione bolscevica, guidata da Adolph Joffe, comprendeva Lev Kamenev, la socialista-rivoluzionaria Anastasia Bizenko (che nel 1905 aveva assassinato il generale zarista Sakharov), l’ammiraglio Vassilij Altfater, un operaio, un marinaio e un contadino. La delegazione russa fece le sue proposte per una pace democratica e la controparte si ritirò per valutarle. Il 10 gennaio (28 dicembre c.g.) a Pietrogrado si tenne un’enorme manifestazione di operai e soldati a favore della pace e lo stesso giorno, Kühlmann presentava la risposta degli Imperi centrali: loro accettavano formalmente la pace senza annessioni ma pretendevano in nome del “diritto all’autodeterminazione” che la Polonia e la Lituania fossero “indipendenti” sotto tutela tedesca. Nei fatti, stavano chiedendo l’annessione alla Germania di 18 provincie dello Stato russo.
Quando cominciò il secondo giro di trattative, Trotskij aveva sostituito Joffe come capo delegazione. Impose un cambio di stile e la fine delle relazioni amichevoli fra le due delegazioni (che i più navigati emissari tedeschi avevano usato per rabbonire quelli russi e carpire da loro informazioni). La sua intenzione era quella di prendere tempo, allungare le trattative e usarle come una tribuna pubblica per propagandare al mondo le idee del bolscevismo. Questa tattica partiva dall’idea che la rivoluzione stava per scoppiare anche in Germania e in Austria e che ciò avrebbe salvato la Russia sovietica. Un’idea diffusa fra tutti i rivoluzionari, che vedeva l’Ottobre come il primo passo della Rivoluzione mondiale. In maniera chiara, il soviet di Pietrogrado aveva dichiarato “la questione della pace verrà decisa nelle strade di Berlino e Vienna”. Nel frattempo, però, i capi delle organizzazioni operaie tedesche e austriache non facevano niente contro i propri governi, anzi… L’Arbeiter-Zeitung (“Il Giornale Operaio”) di Vienna descriveva la lotta internazionale fra proletariato e capitale come il duello fra Trotskij e… Buchanan (l’ambasciatore inglese in Russia), nascondendo completamente la politica ricattatoria e annessionistica che il governo austriaco stava portando avanti. Dall’altra parte, invece, i bolscevichi diffondevano fra i soldati tedeschi volantini sui rivoluzionari tedeschi Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg.
Malgrado il ruolo della socialdemocrazia, il malcontento delle masse tedesche e austriache esplose: il 14 gennaio iniziò lo sciopero generale a Vienna, che si allargherà presto a tutta l’Austria; poco dopo seguì il gigantesco ammutinamento dei marinai della flotta austriaca a Cattaro (nell’attuale Montenegro) e lo sciopero generale in Germania, che a fine mese conterà 4 milioni di scioperanti. Ricevute queste notizie, la Pravda pubblicava entusiasta in prima pagina “Ci siamo! La testa dell’imperialismo tedesco è sul patibolo! Il pugno di ferro della rivoluzione proletaria si è alzato!”.
Se da parte bolscevica c’era tutto l’interesse a prendere tempo (aspettando la crescita del movimento rivoluzionario in Occidente), da parte degli Imperi centrali c’erano due interessi contrapposti: quello di firmare la pace subito per disinnescare lo sciopero (e poter acquistare grano dalla Russia) e quello di rapinare il più possibile la Russia. Delle due forze principali degli Imperi, l’Austria-Ungheria era l’anello debole, piegata sul piano economico (tutto il popolo sapeva che le provviste bastavano solo fino a marzo) e minacciata dallo sciopero generale. Il conte Czernin, che voleva assolutamente la pace, disse ai tedeschi che se le trattative fallivano, avrebbe condotto trattative separate con la Russia. A ciò, il generale Hoffmann rispose che in quel caso la Germania avrebbe richiamato le sue 25 divisioni dai fronti austriaci… e Czernin si piegò alla linea tedesca.
Alla fine, stanco delle trattative Hoffmann il 18 gennaio (5 gennaio c.g.) diede un ultimatum: accettare le condizioni tedesche o continuare la guerra.

I bolscevichi di fronte all’ultimatum

Due giorni dopo Trotskij arriva a Pietrogrado per consultarsi con il gruppo dirigente del partito sul da farsi. La prima riunione del CC del Partito bolscevico, si tiene in un momento in cui il movimento di scioperi in Austria e Germania era in piena ascesa. Durante il dibattito si delineano tre posizioni. I cosiddetti “comunisti di sinistra” guidati da Bukharin propongono di respingere il diktat tedesco e di iniziare una guerra rivoluzionaria contro la Germania. Lenin è risolutamente contrario a questa ipotesi: è consapevole che in quel momento l’esercito russo si è completamente disintegrato e non è ancora stato ricostruito un nuovo esercito rivoluzionario; la rivoluzione russa correrebbe quindi il rischio di essere schiacciata dalle baionette tedesche e dal punto di vista di Lenin firmare la pace alle condizioni della Germania è l’unico modo per salvare la rivoluzione. Trotskij, pur condividendo la contrarietà di Lenin sulla guerra rivoluzionaria, non ritiene opportuno cedere di fronte ad un ultimatum verbale e avanza una proposta differente, quella di dichiarare la fine della guerra senza però firmare la pace. Si tratta soprattutto di un atto dimostrativo nei confronti del proletariato europeo, per dimostrare che non esiste nessun accordo segreto tra l’imperialismo tedesco e i bolscevichi: se lo Stato Maggiore tedesco non fosse stato in grado di attaccare, a causa delle lotte operaie sul fronte interno, sarebbe stato uno straordinario successo propagandistico per la rivoluzione russa; se invece l’offensiva tedesca si fosse effettivamente concretizzata, i bolscevichi sarebbero ancora stati in tempo a capitolare ma a quel punto la classe operaia di tutta Europa avrebbe auto un quadro chiaro della situazione.
Nel comitato centrale Bukharin raccoglie 32 voti, Lenin 15 e Trotskij 16. Come si vede, inizialmente la posizione della guerra rivoluzionaria aveva la maggioranza assoluta.

La discussione comunque si aggiorna e riprende nel CC del 24 gennaio (11 gennaio c.g.). La polemica fu molto accesa. Kossior, a nome delle sezioni del Partito di Pietrogrado, rifiutò la posizione di Lenin e disse che per loro solo la guerra rivoluzionaria era accettabile. Dzeržinskij dichiarò che firmare la pace equivaleva a capitolare e che Lenin stava facendo ora quello che Zinoviev e Kamenev fecero durante l’Ottobre. Trotskij, invece, bolla come irrealistica la possibilità di cominciare in quelle condizioni la guerra rivoluzionaria. Rifiutando di firmare la pace e smobilitando l’esercito, si vedrà chiaramente che è l’esercito tedesco ad attaccare, mostrando la verità alle masse tedesche e smascherando le menzogne della socialdemocrazia.
Zinoviev e Stalin, invece, dissero che non c’era alcun movimento in Occidente e che bisognava firmare la pace. Zinoviev aggiunse che “anche se la pace rafforzerà lo sciovinismo in Germania, questo è meglio della rovina della Russia”. Di fronte a queste ultime argomentazioni, Lenin si dissociò dai suoi “sostenitori” Stalin e Zinoviev. Lui vedeva la firma della pace come un bisogno temporaneo (“una svolta a destra, che ci costringerà a passare per una stalla molto sporca”); ma, appunto, temporaneo, nell’attesa dello sviluppo della rivoluzione in Germania. Una visione opposta – quindi – rispetto a quella di Stalin e Zinoviev (che invece caratterizzerà poi la “coesistenza pacifica” fra l’Urss stalinista e i paesi imperialisti).
Questo era peraltro uno dei motivi che rinforzava Trotskij sulle sue posizioni: temeva che accettare l’ultimatum tedesco avrebbe provocato una scissione dei comunisti di sinistra, spingendo il partito verso destra. Da parte sua Lenin riteneva invece la tattica di Trotskij troppo rischiosa: il movimento rivoluzionario in Germania non era ancora abbastanza forte da impedire ai generali tedeschi di attaccare; la priorità era quella di salvare la rivoluzione russa, a ricomporre la frattura nel partito si sarebbe pensato in un secondo momento.
Come vediamo c’erano varie posizioni, separate fra di loro da divisioni profonde (sulla strategia) e meno profonde (sulla tattica). Alla fine Trotskij propone di votare contro la guerra rivoluzionaria (passa, con 2 soli voti contrari) e Lenin propone al voto di cercare di ritardare in tutti i modi la firma della pace (12 favorevoli, 1 contrario). La proposta di “finire la guerra, senza firmare la pace” passa di misura (9 a 7).
Trotskij il 28 gennaio (15 gennaio c.g.) riparte per Brest-Litovsk, dove due giorni dopo ricominceranno le trattative. La mediazione raggiunta nel CC, però, non aveva ricomposto le divisioni. Nella riunione successiva del 3 febbraio (21 gennaio c.g.), la maggioranza (9 contro 5) è contraria a firmare la pace in quel momento. Fra questi 9, solo 2 (Osinskij e Stukov) mantengono le posizioni estremiste che avevano all’inizio del primo dibattito: non si possono firmare mai né trattati di pace né accordi economici con gli stati imperialisti. Anche se Lenin e altri 4 avrebbero firmato subito, nuovamente si trovano tutti d’accordo (tranne Osinskij e Stukov) a tirare le trattative di pace per le lunghe.
A Brest-Litovsk il 10 febbraio (28 gennaio c.g.) la delegazione sovietica rifiutò le dure condizioni tedesche; Trotskij dichiara che la Russia considera finito lo stato di guerra con gli Imperi centrali e abbandona le trattative. Nel frattempo in Austria e Germania gli scioperi erano finiti, soprattutto grazie al ruolo della socialdemocrazia. Sentendosi nuovamente in una posizione di forza, il 17 febbraio lo Stato Maggiore tedesco lanciò un ultimatum e annunciò che il giorno dopo avrebbe ripreso le ostilità. Quella sera il CC si riunì nuovamente: la proposta di Lenin di richiedere immediatamente di intavolare trattative di pace venne bocciata. Passò invece quella di Trotskij di aspettare a richiedere trattative finché l’offensiva tedesca non si fosse manifestata. Trotskij disse a Lenin che c’era bisogno che gli operai tedeschi, francesi e inglesi vedessero che l’esercito tedesco attaccava per davvero, entrando in territorio sovietico. A fine riunione Lenin riformulò la sua proposta e la mise ai voti: “Se ci troveremo di fronte a un’offensiva tedesca e non si manifesterà un movimento rivoluzionario in Germania e in Austria, firmeremo la pace?”. Su questa mozione (che passò) anche Trotskij votò a favore, mentre la Sinistra di Bukharin si astenne e l’unico a votare contro fu Joffe.
La sera del giorno dopo, il Cc si riunva di nuovo: Trotskij riferì che i tedeschi avevano occupato Dvinsk (l’attuale Daugavpils) e che giravano voci di un’offensiva in Ucraina. L’avanzata tedesca non incontrò resistenza e non si registrarono nuovi scioperi in Austria e Germania. Lenin e Trotskij nuovamente votarono insieme, e la proposta di chiedere la pace ai tedeschi passò per soli 7 voti a 6 (contro votano Bukharin, Uritskij, Joffe, Lomov, Krestinskij e Dzeržinskij). Vennero incaricati Lenin e Trotskij di scrivere il testo da inviare e che quest’ultimo lo avrebbe poi mandato per radio ai tedeschi.
Nel frattempo, si confermava nel Partito bolscevico una larga opposizione alla politica adottata dal Cc. Nei giorni successivi venne chiesto ai Soviet delle varie città cosa ne pensassero: degli oltre 200 che risposero, solo 2 erano a favore della pace (Pietrogrado e Sebastopoli). Il 22 febbraio il CC si riunì di nuovo (Lenin era assente) per discutere la proposta che francesi ed inglesi avevano fatto di aiutare la Russia contro i tedeschi. Bukharin e la Sinistra si opposero duramente, dichiarando che era inammissibile l’aiuto di qualsiasi imperialismo. Trotskij, che durante la riunione annuncia anche le sue dimissioni da commissario del popolo per gli Affari Esteri, spiegò che lo Stato sovietico avrebbe dovuto accettare tutti i mezzi per poter armare il proprio esercito rivoluzionario, anche se provenienti dai capitalisti; tuttavia i bolscevichi avrebbero mantenuto la piena indipendenza politica e non avrebbero preso alcun impegno politico verso i governi capitalisti. Questa proposta viene accettata con 6 voti contro 5. Anche Lenin la sostenne mandando un telegramma. “Prego di unire anche il mio voto per l’accettazione di patate e armi dai banditi dell’imperialismo anglo-francese”.
Il 23 febbraio i tedeschi mandarono le loro condizioni, ancora più dure di quelle di Brest Litovsk, che includevano, oltre all’annessione della Polonia e dei Paesi baltici anche l’evacuazione sovietica dall’Ucraina e la “non ingerenza” in quel paese (dove i tedeschi stavano installando un loro governo fantoccio).
La pace venne firmata il 3 marzo 1918 da una delegazione sovietica che non comprendeva più Trotskij, che nel frattempo aveva rassegnato la dimissioni da Commissario del popolo per gli Affari Esteri per facilitare la conclusione dell’accordo: rispetto al 1914, la Russia perdeva un quarto della popolazione e dell’industria e 9 decimi delle miniere di carbone. La polemica nel Partito bolscevico continuò ancora per qualche settimana.
A Novembre, però, la Rivoluzione tedesca iniziò e portò in brevissimo tempo, oltre che alla fine della Prima Guerra mondiale, anche all’annullamento del trattato di Brest-Litovsk.

Conclusioni

Le trattative di Brest-Litovsk furono un momento cruciale per il neonato Stato sovietico. La propaganda dell’Intesa e dei loro lacchè menscevichi (oggi ripescata da giornalisti e “storici” anticomunisti) sui bolscevichi “al soldo del Kaiser” si dimostra chiaramente falsa alla prova dei fatti (le clausole dell’armistizio, lo scontro fra Hoffmann e Czernin, l’invasione tedesca, l’accettazione dei rifornimenti dall’Intesa).
Altrettanto falsa è la favola imbastita a posteriori dallo stalinismo sullo scontro fra Lenin e Trotskij: questa dipinge il primo come un fautore della “sicurezza nazionale” (utile alla teoria del Socialismo in un solo paese) e il secondo come un chiacchierone pseudo-rivoluzionario. Questa ricostruzione nasconde completamente la posizione di Bukharin e della Sinistra interna (rifiutare qualsiasi pace e fare la guerra rivoluzionaria), che all’inizio era maggioritaria nel Partito bolscevico. Infatti, quasi tutti gli interventi di Lenin nel CC erano contro le posizioni di Bukharin. La realtà è che, sul fatto che la Russia non fosse pronta per una guerra rivoluzionaria, Lenin e Trotskij erano d’accordo (come erano d’accordo sull’eventualità di accettare armi dagli anglo-francesi). Le divergenze fra di loro erano sulla tattica da adottare. La tattica dipende anche dai processi sociali in atto ed il loro esito non può essere previsto con esattezza, come in una sfera di cristallo. Come è stato spiegato prima, sia Lenin che Trotskij, ma anche Bukharin e la Sinistra, aspettavano la Rivoluzione in Germania (mentre Stalin, Kamenev e Zinoviev non ci credevano). Mentre le trattative erano in corso, erano scoppiati gli scioperi in Germania e in Austria: quanto ci avrebbero messo a trasformarsi in rivoluzione e a rovesciare gli imperatori? Nessuno poteva saperlo e questa incertezza portò Lenin e Trotskij a fare valutazioni diverse sulla tattica da adottare. Quando fu chiaro che gli scioperi si erano fermati (per il momento), Trotskij appoggiò la proposta di Lenin.
Alla prova dei fatti è innegabile che fu Lenin ad avere ragione, mentre la tattica di Trotskij si era dimostrata troppo rischiosa. Tuttavia va rimarcato che i calcoli di Trotskij non erano stati del tutto peregrini. Dopotutto la Rivoluzione in Germania non si fece aspettare che qualche mese, mentre l’atto dimostrativo della delegazione sovietica a Brest Litovsk andò vicino ad avere successo creando una spaccatura tra i rappresentanti degli Imperi Centrali: i politici Kühlmann e Czernin, preoccupati delle mobilitazioni operaie sul fronte interno, erano infatti contrari a riprendere l’offensiva, che venne realizzata solo dietro le insistenze dei militari guidati da Hoffmann.
Lenin era un realista ed ha sempre basato le proprie azioni su un esame minuzioso di tutti gli elementi che componevano l’equilibrio internazionale delle forze di classe. Tuttavia non ci sono garanzie di successo durante una rivoluzione. Credere il contrario significa unirsi a quelli che hanno sempre ragione… col senno di poi. Le ragioni per cui Lenin era a favore della firma della pace non avevano niente in comune né con le calunnie anglo-francesi, né con l’idea stalinista della “coesistenza pacifica” con gli imperialisti e del Socialismo in un solo paese. L’idea di Lenin era quella di una pausa “per riprendere fiato” e riarmarsi per la Rivoluzione mondiale.

 

Note

1. La crisi scoppiò quando i bolscevichi intercettarono e resero pubblico un telegramma del ministro degli esteri Miljukov che rassicurava l’Intesa che la Russia proseguiva la guerra “fino alla sua gloriosa conclusione”. Le grandi manifestazioni di operai e soldati che seguirono portarono alle dimissioni di Miljukov e del ministro della guerra e all’entrata di sei socialisti nel governo.

2. Nelle “giornate di luglio”, operai e soldati di Pietrogrado insorsero contro il governo. I bolscevichi tentarono di spiegare che l’insurrezione era prematura, tuttavia – invece di rimanerne fuori – vi parteciparono. La vittoria del governo (con 700 vittime) portò a una temporanea ondata di repressione e alla messa fuorilegge dei bolscevichi.

3. Il generale Kornilov tentò un colpo di stato reazionario nell’agosto 1917. I bolscevichi, mantenendo la loro opposizione politica al governo dell’allora Kerenskij, gli proposero di combattere insieme contro Kornilov. Il tentativo di colpo di stato venne reso impotente dalla mobilitazione delle masse, inclusi i ferrovieri che bloccarono i treni con le truppe di Kornilov. Questo venne arrestato dalla Guardia Rossa, mostrando alle masse che i Soviet avevano salvato il paese dalla dittatura militare.

4. Era il vecchio calendario, indietro di 13 giorni rispetto al moderno calendario gregoriano. Rimase in vigore in Russia fino all’8 febbraio 1918.

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