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21 Dicembre 2016di Pierre Broué
Nella sua prefazione ai Saggi sulla Romania firmati da Rakovsky e lui stesso, pubblicati a Mosca, Trotsky ricordava:
“Il destino storico di Rakovsky, Bulgaro di origine, Francese e Russo per la sua formazione politica generale, cittadino rumeno per il passaporto, più di una volta cacciato dalla Romania per la sua intransigente attività rivoluzionaria, fu di divenire capo del governo sovietico dell’Ucraina”.1
Rakovsky è stato comandante militare in Ucraina: il capo degli operai e dei contadini ucraini unitisi al bolscevismo, il fondatore dell’Ucraina sovietica. Ma non per questo era ucraino più che francese, bulgaro, rumeno o russo. Ed è proprio per questa precisa ragione che era stato scelto per questa delicata responsabilità. Al riguardo, Boris Souvarine scriveva:
“L’Ucraina, dopo il trattato di Brest-Litovsk, presentava un quadro indescrivibile in poche linee di complicazioni, confusione, divisioni e sotto-divisioni politiche ed etniche, un autentico pandemonio fatto di partiti antagonisti, organizzazioni rivali, raggruppamenti e sotto-correnti col coltello tra i denti che accendevano le passioni nazionali, gli odi politici, le esigenze sociali e le profonde convinzioni religiose. C’erano i bolscevichi ed i menscevichi, russi ed ucraini, i socialisti-rivoluzionari di destra e di sinistra, i borotbisti, i sionisti, i federalisti, gli anarchici appartenenti a tendenze tra loro distinte, i nazionalisti, i cadetti, le formazioni cosacche ed i Cento Neri (bisogna accorciare). Lenin dovette decidere tagliando nel vivo e, divenuto maestro nell’arte di utilizzare le competenze di ognuno, abile nel mettere the right man in the right place, disse alla sua cerchia ristretta: in Ucraina c’è bisogno di un uomo che non sia né russo né ucraino, né bolscevico né menscevico, né socialista-rivoluzionario né borotbista, massimalista o bundista, sionista o federalista. Quest’uomo esiste: è Rakovsky”.2
Da parte sua, Angelica Balabanoff, la quale arrivò in Ucraina con Rako, descrive nelle sue memorie “lo stato d’anarchia del paese”, o più precisamente del “campo bolscevico” formato da guerriglieri contadini, avventurieri, simpatizzanti di svariati paesi, al contrario di ciò che l’Armata Rossa già era altrove. La Balabanoff commenta:
“Questa responsabilità esigeva una dose maggiore che in Russia di coraggio personale, energia e diplomazia, e la scelta di Lenin dimostrava quanto sapesse mettere l’uomo giusto nel posto giusto”.3
Lenin spigò ironicamente a Rakovsky che c’era bisogno di lui per risolvere una “crisi presidenziale” in Ucraina. Rakovsky non emise obiezioni reali, fece soltanto notare a Lenin di non avere nulla di ucraino. Scoppiando a ridere, Vladimir Ilich gli assicurò che avrebbe senz’altro trovato una nonna di origine ucraina e la questione non fu più posta.4
Questa è la versione ufficiale e bonaria dell’arrivo di Rakovsky alla testa dell’Ucraina; c’è anche un’immagine ad essa legata, quella di Lenin e Rakovsky acclamati insieme il 19 gennaio al balcone del Mossoviet – in realtà una piccola messa in scena concepita da Lenin.
Filip Panaioutov non accetta la versione tradizionale seconda la quale Lenin decide mentre i dirigenti ucraini abbozzano. Ricorda i lunghi soggiorni di Rakovsky in Ucraina nel 1918, il legame stretto tra il suo ruolo ufficiale di negoziatore e quello, clandestino, di assemblatore delle forze comuniste. Tra i quadri del partito godeva, a causa di ciò, d’un prestigio effettivo e di un’autorità eccezionale, elementi che spiegherebbero l’appello rivolto a Lenin, il 10 gennaio, dal Presidium del PC(b) d’Ucraina di inviare Rakovsky per prendere la direzione.
Noi restiamo sul punto che la valutazione di Lenin si armonizzava con l’ammirazione dei suoi compagni in Ucraina e che, nell’ora del pericolo, Rakovsky era il benvenuto. Tutto è andato molto veloce, il telegramma del Presidium, il 10, è seguito dalle dimissioni di Piatakov, il 16. Il 17, Lenin parla di “situazione catastrofica in Ucraina”, Il 18 telegrafa a Rakovsky che i suoi compagni ne domandano la partenza per l’Ucraina. Il 19 Rakovsky è acclamato alla riunione di piazza al Mossoviet.5 E’ a Kharkov il 23 gennaio.
L’anima dell’Ucraina
Rakovsky non fu soltanto presidente del governo provvisorio d’Ucraina ma anche il suo commissario agli Esteri e presidente del Consiglio di Difesa, in aggiunta alla carica di membro dell’Ufficio Politico del Comitato Centrale del partito comunista d’Ucraina. Arrivò in Ucraina il 22 gennaio 1919.
Trotsky poteva ben scrivere che con tutte quelle funzioni nelle sue mani, concentrava il potere e si trovava nel cuore di tutte le questioni della vita ucraina, “l’anima ed il capo autentico dell’Ucraina”. Angelica Balabanoff, per un periodo commissaria del popolo al suo fianco, trovava l’ambiente ucraino ben diverso da quello moscovita e scrive al proposito:
“Siamo rimasti amici finché ho criticato apertamente e combattuto la tattica dei bolscevichi. Lui cercava di convincermi che avevo torto, anche quando sapeva che avevo ragione. Come molti rivoluzionari onesti, pensava probabilmente che le cose sarebbero cambiate dopo la guerra civile e che gli eccessi del “comunismo di guerra” sarebbero scomparsi. Lavorare con lui costituì un cambiamento positivo dopo Mosca. Qui, il nostro lavoro era tanto reale quanto logorante materialmente e spiritualmente. C’erano meno persone di esperienza e degne di fiducia e meno tempo per manifestazioni teatrali e parate. A Mosca, ero stata tratta come prima donna, mi era permesso di parlare e presenziare soltanto in circostanze importanti. Ero diventata una figura di riferimento. A causa dell’intensità della questione militare e della disorganizzazione generale, R era travolto dal lavoro. (…) In qualità di propagandista del governo, in mezzo ad un popolo così confuso e diviso nei suoi convincimenti politici e malgrado ciò ciò così desideroso di imparare, parlavo notte e giorno in riunioni pubbliche”.6
Bisogna precisare che appena giunto a Kharkov Rakovsky telegrafò a Trotsky che in Ucraina regnavano disorganizzazione e caos e che contava sul suo appoggio per la riorganizzazione dell’esercito e l’instaurazione di un’autentica disciplina?7 Con un occhio sulla Romania, inviò appena possibile a Odessa una missione dell’ispezione militare che aveva appena creato – sotto il comando del vecchio presidente del Comitato Militare Rivoluzionario di Odessa e del Roumcherod, il bolscevico V.G. Iudovsky8. Il 26 gennaio 1919 decretò la “socializzazione della produzione e del lavoro”.
Notiamo comunque che quest’uomo sovraccarico di compiti riuscì a mantenere in tali condizioni dei contatti col suo amico Korolenko, divento ostile ai bolscevichi, che sperava però di riportare ad una visione più equa. Lo scrittore l’ha ritrovato poco dopo la sua liberazione dalla prigione di Iasi e l’ha ferocemente difeso contro le calunnie.
Korolenko era evidentemente inquieto per le azioni della Ceka nella repressione. Rakovsky si sforzava di rassicurarlo. Il suo punto: conosciamo il male e lo combattiamo al nostro meglio; scomparirà assieme alla violenza dei Bianchi di cui è la contropartita inevitabile. 35 lettere e telegrammi di Rakovsky a Korolenko nel periodo 1919-1921 sono conservati alla biblioteca Lenin di Mosca9.
La specificità ucraina
Bisogna in questo caso tenersi lontani da semplificazioni e generalizzazioni. Quest’Ucraina in piena guerra civile, di cui era padrone incontrastato l’uomo del governo bolscevico di Mosca, era allo stesso tempo un paese praticamente indipendente ed i bolscevichi si auguravano che lo restasse il più a lungo possibile. Trotsky scrive in modo molto netto su questo tema:
“Noi non ci affrettavamo verso la centralizzazione perché ignoravamo come sarebbero evoluti i rapporti internazionali e se non valesse la pena per l’Ucraina di legare ancora formalmente il suo destino a quello della Grande Russia. Questa prudenza era necessaria al tempo stesso in relazione al giovane nazionalismo ucraino che doveva convincersi della necessità di una federazione con la Russia sulla base della propria esperienza”.10
Le condizioni prevalenti in Ucraina non erano molto favorevoli ai bolscevichi. L’industria ed il proletariato erano concentrati nell’Est, Kharkov ed il Donbass, l’unica regione dove avevano organizzazioni di massa. I contadini erano in maggioranza ucraini e i più avanzati tra loro avevano aderito ai socialisti rivoluzionari di sinistra, anch’essi indipendentisti che sarebbero poi diventati il Partito comunista ucraino “borotbista” (di lotta), diffondendosi all’est ed opponendosi al PC russo.
Le distinzioni sociali erano combinate con un profondo antagonismo nazionale, poiché la classe operaia era formata quasi interamente di lavoratori russi, venuti dalla Russia. Una borghesia mediocre di fronte al gendarme zarista era riuscita a darsi una configurazione nazionale per mezzo di un patrimonio culturale di qualità, altre minoranze nazionale iniziavano ad organizzarsi.
La guerra contro gli occupanti, prima tedeschi e poi francesi, aveva dato luogo a molte atrocità ed atti di barbarie. Nei feroci pogrom lanciati dai Bianchi, l’antisemitismo nella sua forma più violenta e primitiva era all’ordine del giorno. In relazione al comportamento delle truppe francesi, Trotsky parlò persino di “orrori che ricordano l’epoca più buia della conquista dell’Algeria oppure i metodi sanguinari della guerra balcanica”.11
Rakovsky e l’Ucraina nel 1919
Come gli altri dirigenti bolscevichi, Rakovsky ha atteso la rivoluzione in Occidente. In quel frangente, l’esplosione della rivoluzione in Germania, le fiamme in Austria ed in Ungheria, l’intervento generale e diretto contro la Russia rossa hanno radicalmente modificato i termini della questione senza peraltro semplificarla.
L’Ucraina è una cortina difensiva che può trasformarsi in una piattaforma d’attacco. E’ il granaio d’Europa assediato e preso per la gola. Tramite l’Ucraina si può mantenere il contatto con l’Europa attraverso l’Europa centrale ed i Balcani. Vi si può trovare ciò con cui nutrire le città affamate del Nord.
Rakovsky non aveva una conoscenza specifica dell’Ucraina e affrontò i problemi nel quadro della rivoluzione europea e della sua posizione strategica. Egli si esprime sull’essenza della questione in un articolo dedicato alle relazioni tra la Russia e l’Ucraina. Per lui l’internazionalismo è l’essenza del socialismo ed il nazionalismo la base di tutte le altre forme di Stato. Rakovsky inizia il suo articolo –“La relazione tra la Russia e le altre repubbliche” – pubblicato su L’Internazionale Comunista, ricordando che la Costituzione d’Ucraina, come quella dell’URSS, concede il diritto di voto ad ogni operaio e contadino che viva sul suo territorio.
In maniera generale, con l’esproprio del capitale, non c’è in effetti più una serie di costituzioni di Stati che si combattono tra di loro ma, soltanto, “distruzione dei privilegi nazionali”. La tendenza è dunque, ricorda Rakovsky, verso la “soppressione del particolarismo e di tutti i pregiudizi democratici e nazionali”.12
Sull’Ucraina, Rakovsky attacca il nazionalismo piccolo-borghese ucraino per aver “sistemato al primo posto la questione nazionale e sacrificato la liberazione sociale della classe operaia”. Non è dunque sorprendente che in numerosi paesi i nazionalisti si siano schierati con la contro-rivoluzione. In Ucraina, il nazionalismo, pensa Rakovsky, è stato “imposto alle masse” dagli intellettuali e prende il suo significato soltanto nel campo della contro-rivoluzione.13
Rakovsky non vede in quel momento pericoli di conflitto col nazionalismo russo ed assicura che la minaccia di “russificazione”, sotto l’autorità al potere in Ucraina, è priva di qualsiasi fondamento.14 In quel momento– lo pensa senz’altro, come il “vecchio-bolscevico” ucraino Skrypnyk – l’Ucraina occupata dai Bianchi e dagli Alleati è “l’arena delle forze internazionali, il laboratorio dell’internazionalismo”.15
In sintesi, Rakovsky pensa al pari di Trotsky di essere giunto in Ucraina come ambasciatore della rivoluzione. Sin dal suo arrivo a Kharkov, il giorno stesso, Rakovsky parla, in un’assemblea, della rivoluzione tedesca che continua e dell’assassinio a Berlino di due suoi amici, Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg.
In seguito alla rivoluzione russa, per Rakovsky è iniziata l’epoca delle “guerre e delle rivoluzioni” o anche delle “guerre rivoluzionarie”. L’epoca seguente alla rivoluzione francese, dal 1789 al 1815, fu un impulso che risvegliò alla vita attiva tutte le riserve spirituali e fisiche nascoste in ogni nazione, “un’epoca di lotte grandiose e vita intensa”.16 Il 25 gennaio 1919, due giorni dopo il suo arrivo, redige un manifesto nel quale lascia intendere che Romania, Bessarabia, Bucovina, Galizia e Polonia sono anch’esse territori di competenza del suo governo, formato il giorno precedente.
L’Ucraina del 1919-1920
L’Ucraina conta a quel tempo circa 26 milioni di abitanti, 4,6 milioni dei quali abitano nelle città: Odessa (485mila), Kiev (360mila), Kharkov (270mila), Ekaterinoslav (164mila) e Nikolaiev (100mila).
La popolazione è composta al 76% da ucraini, all’11% da russi, al 7% da ebrei, al 2% da tedeschi, all’1% da polacchi, per un totale del 24% per i non-ucraini. Esteso leggermente meno della Germania, poco più della Francia (508mila verste quadrate, 1 versta equivale a 1,067 km quadrati), la sua popolazione è un quinto di quella della RSFSR di cui l’Ucraina è membro.
La guerra e la guerra civile sono stati un periodo di sconvolgimenti inauditi: occupazione tedesca, occupazione polacca, campagne di Petliura e dei differenti ataman cosacchi, ritorno in forza degli Alleati dell’Intesa, occupazione francese, controffensiva del barone Wrangel e di Denikin. I contadini hanno risposto alla mobilitazione del 1921 contro la Polonia con un tasso oscillante tra il 90% ed il 95%, un risultato eccezionale. L’Armata Rossa ha potuto contare in Ucraina su 450mila uomini, circa il 15% del totale.
La gravità delle difficoltà dovute alla guerre civile può essere misurata dal fatto che nel 1921 esistevano ancora un centinaio di bande armate, le quali controllavano una parte del territorio della repubblica ucraina o lo percorrevano comunque impunemente, vivendo alle spalle della popolazione sulla quale esercitavano di solito violenze efferate. Secondo l’opinione di tutti, tali bande erano comunque in rapida disintegrazione.
Nel 1920, il paese non possedeva più di 12mila verste di vie ferrate funzionanti, a confronto delle 14mila esistenti prima della guerra, 1.300 locomotive e tutti i ponti sul Dniepr erano distrutti, 950 circa a luglio. Ogni giorno si spostavano circa 200 vagoni di merci contro le molte migliaia di prima della guerra civile. Infine, la raccolta era stata scarsa: si supponeva un imponibile di 117 milioni di pud per una raccolta complessiva di 850. Nei fatti, la raccolta era stata di 450 milioni di pud e l’imponibile era stato di 65, una miseria, al pari di quanto l’Ucraina si era impegnata a spedire nella Russia colpita dalla carestia.17
Malgrado ciò teoricamente, l’abbiamo visto, l’Ucraina è una cortina difensiva che può diventare una piattaforma d’attacco. Clemenceau proponeva infatti ai deputati francesi di spedire l’esercito ad occupare l’Ucraina perché, diceva, sarebbe stato equivalente a “togliere ai bolscevichi il grano ed il carbone”.18
Trotsky ha scritto che, all’arrivo di Rakovsky, la storia del paese e gli sviluppi recenti rendevano la situazione particolarmente instabile:
“Durante il primo periodo d’indipendenza dello Stato ucraino, (…) si deve osservare che non c’era la questione del controllo del partito su questi soviet o, più esattamente, della sostituzione del partito ai soviet. C’è da aggiungere che l’assenza di esperienza significava l’assenza di routine. I soviet erano pieni di vita, l’improvvisazione svolgeva un ruolo importante. Rakovsky era l’autentico ispiratore e dirigente dell’Ucraina in quegli anni. Non era un compito semplice”.19
Rakovsky svolge il suo compito con una doppia preoccupazione che si risolve in un’ossessione per la rivoluzione internazionale. Da un lato bisogna nutrire la Russia sovietica, “ottenere là il materiale umano più ricco per la nostra Armata rossa”, dice Rakovsky prima di partire, e, come riconoscerà più tardi, in ultima analisi, “sfruttarlo al massimo per alleviare la crisi”. Dall’altro lato, in questo paese “arena della rivoluzione mondiale”, spiega immediatamente al soviet di Kharkov la sua prospettiva ed il posto dell’Ucraina nella rivoluzione europea:
“Siamo venuti per fare avanzare la causa della rivoluzione in Ucraina fino al suo trionfo completo. L’Ucraina sovietica costituisce a tutti gli effetti il nodo strategico del socialismo. Creare un’Ucraina rivoluzionaria significherebbe scatenare la rivoluzione nei Balcani, offrire al proletariato tedesco la possibilità di resistere alla carestia ed all’imperialismo mondiale. La rivoluzione ucraina è il fattore decisivo nella rivoluzione mondiale”.20
Come sottolinea molto correttamente Gus Fagan:
“Estendere la rivoluzione su scala internazionale, attraverso i Balcani e l’Europa, con Rakovsky non era soltanto un’affermazione teorica ma un obiettivo immediato, materiale e pratico, che perseguì con tutte le forze a disposizione”.21
L’entourage di Rakovsky
Straniero, immigrato politico isolato, al momento della sua nomina Rakovsky non aveva attorno a sé uno stato maggiore personale come altri dirigenti bolscevichi. Possiamo supporre che avesse raggruppato ciò che trovava disponibile, quando lo vediamo reclutare dei francesi – Jacques Sadoul, per le sue conoscenze giuridiche, Lucien Deslinières, ex colono d’Algeria, per le competenze in campo agricolo. Rakovsky fece anche ricorso all’aiuto degli uomini di Trotsky.
Nei fatti, Rakovsky forma una squadra internazionalista ed alla stesso tempo internazionale. E’ un tipo di squadra d’avanguardia, come dimostra anche la presenza di due donne nel suo primo governo. Conosceva Angelica Balabanoff da tempo ed erano stati insieme all’Ufficio Politico Internazionale della Seconda Internazionale. Angelica, segretaria della corrente zimmerwaldiana, fu inserita agli Esteri. Rakovsky reclutò anche la sua vecchia amica Alexandra Kollontai, figura ben conosciuta della lotta per l’emancipazione sessuale della donna e per l’amore libero22, che divenne commissaria del popolo all’Istruzione.
Angelica Balabanoff ha vissuto all’estero sin dal 1897 ma è nata in Ucraina. Nel governo c’è anche D.Z. Manuilsky, uomo del gruppo di Trotsky a Nache Slovo (Nostra Parola, NdT) durante l’emigrazione. A quel tempo fu segretario del PC ucraino dal 1921 al 1923. Il suo successore, I.E. Kviring, membro della segreteria del partito, sarebbe diventato, se non lo era già, un uomo di Stalin il quale si appoggiò su di lui a partire dal 1922.
Iury Kotsiubinsky, figlio di un grande scrittore ucraino, già membro del comitato militare rivoluzionario di Pietrogrado, è stato per un periodo, a 24 anni, comandante in capo dell’Armata rossa in Ucraina, insultato pesantemente come “traditore” e “figlio degenere” dai nazionalisti fanatici.
Tra i russi, bisogna ricordare V.A. Antonov-Ovseenko, anche lui un tempo di Nache Slovo, N.I. Podvoisky, A.S. Bubnov, anch’essi un tempo collaboratori di Trotsky. Citiamo anche il lettone V.I. Mejlauk, nato a Kharkov, collaboratore di Trotsky davanti a Kazan; troviamo anche persone il cui passato non costituisce una raccomandazione, come l’ex bundista Moisei Rafès, per un certo tempo nel gabinetto di Rakovsky.
Tra tutti questi uomini, almeno uno ha accompagnato Rakovsky fino alla fine della sua vita politica, la morte come oppositore politico: è Iury Kotsiubinsky, il solo anche che Rakovsky ritrova a Kharkov al rientro dalla Francia nel 1927. Ma Rakovsky ne ha conquistati molti, per periodi più o meno lunghi, all’Opposizione di sinistra, come J.B. Gamarnik, Ia.V. Drobnis, M.S. Boguslavsky e Rafail-Farbman.
Invece, sembra che Rakovsky abbia conquistato tra i quadri inferiori del partito devozione e attaccamento che l’accompagneranno fino alla fine: bastino qui i nomi di Lipa Wolfson e L.I. Kheifets, giovani ex studenti ucraini che saranno la sua guardia ristretta ed i suoi corrieri nella deportazione.
Non sappiamo in quali circostanze Rakovsky abbia incontrato il lettone Robert Bredis. Quest’uomo elegante, intelligente, energico, pieno di umorismo, ha una dedizione completa per chi, da parte sua, gli concede una fiducia totale. Bredis è da solo ciò che Poznansky e Sermuks sono in quel tempo per Trotsky.
Una situazione difficile
C’era una ragione supplementare per nominare Rakovsky alla testa dell’Ucraina. Nei mesi che aveva passato a Kiev nell’estate 1918 per i negoziati, infatti, aveva preso contatto coi raggruppamenti comunisti, inclusi quelli clandestini, ed era il solo uomo a conoscerne bene le origini, la composizione, i limiti e la geografia politica.
La situazione era, non abbiamo dubbi, difficile. Innanzitutto perché il PC era relativamente debole e più del 67% dei suoi effettivi erano concentrati nel Donbass ed in alcune grandi città. Inoltre, gli operai d’Ucraina era russi o ebrei, senza influenza sui contadini e soprattutto molto poco ucraini, mentre gli strati più poveri delle campagne erano stati attirati dal nazionalismo.
I bolscevichi non erano in maggioranza nei soviet, nemmeno nelle città liberate dalle armate tedesche o Bianche. Ancora più grave, i bolscevichi si vedevano contestare il programma comunista, l’appartenenza alla Terza Internazionale e tutte le altre caratteristiche propriamente comuniste dal vecchio partito socialista rivoluzionario di sinistra, che pubblicava Borotba ed era diventato partito comunista-Borotba, con grande seguito nelle campagne e molto influenzato dalle rivendicazioni nazionali. Se aggiungiamo che molti vecchi comunisti ucraini non accettavano di essere subordinati in Ucraina al PC russo e sostennero un partito comunista ucraino distinto, si capirà meglio la tragedia di questo partito comunista i cui militanti erano in clandestinità oppure in esilio ed a cui un altro partito –vicino ma non fratello– disputava la rappresentanza dei lavoratori.
Quando Rakovsky fu messo a capo dell’Ucraina, a Kiev, la situazione era pessima. Il governo bolscevico di Yuri Piatakov ed Eugenia Bosch aveva resistito un mese e mezzo a Kharkov dopo essere stato cacciato da Kiev in quindici giorni. Aveva ostinatamente rifiutato qualsiasi blocco coi borotbisti. Fu a Taganrog che il vecchio-bolscevico Skrypnyk era stato eletto alla testa del partito comunista ucraino, indipendente dal PC russo. Lenin domandò con forza a Rakovsky, appena nominato, di “ristabilire i ranghi del partito in Ucraina”.23
Fu lungo e complesso. Nella primavera del 1919, il III congresso del PCU – il primo al quale Rakovsky prese parte – si era pronunciato per una subordinazione totale al PCR (b). Dopo il temporaneo abbandono dell’Ucraina da parte dei bolscevichi, il CC del PCR (b) decise – lo vedremo – di sciogliere il CC del PCU eletto al III congresso.
Una politica di saccheggio
Come si spiega il crollo del potere sovietico in Ucraina, per la seconda volta, nell’estate del 1919? La risposta è semplice: non godeva di alcun sostegno ed era molto impopolare.
La causa non risiede, come alcuni hanno tentato di far credere, nel fatto che Rakovsky avrebbe applicato la “sua” politica d’appoggio sui comitati dei contadini poveri, i kombedy, i quali intervennero soltanto più tardi. Il crollo deriva dalla politica di Lenin, del partito bolscevico, di “sfruttamento dell’Ucraina”, richiesta a gran voce da Lenin nella sua corrispondenza, e che Rakovsky applicò con grande zelo.
La Pravda del 1° febbraio 1919 spiegava ai Russi colpiti dalla carestia che gli Ucraini gli inviavano grano, zucchero e materie prime grazie ad un “fedele combattente del proletariato internazionale, il compagno Rakovsky, amico della Russia sovietica”, il quale “dirige le operazioni”.24 La politica di socializzazione dell’agricoltura decisa nel marzo 1919 contro il nemico kulak e per l’aumento dei rendimenti provocava un malcontento effettivo anche tra i contadini poveri.
Guerra civile o conquista rivoluzionaria?
E’ il destino della rivoluzione mondiale e dell’Internazionale Comunista che si decide nei mesi seguenti, nei quali Lenin e Rakovsky si scontrano a volte duramente sugli obiettivi prioritari dell’Armata rossa d’Ucraina? E’ certamente vero, ma solo parzialmente.
Rakovsky, non c’è dubbio – e Antonov-Ovseenko l’ha confermato 25 – aveva un piano d’attacco verso quella Romania della quale aveva testato la debolezza nel 1917-1918 nei suoi combattimenti contro le truppe del generale Averescu, e non per “vendicarsi dei boiardi” come scrive uno sciocco. Rakovsky aveva espresso apertamente le sue speranze nel congresso di fondazione dell’Internazionale.
E’ il 21 marzo 1919 che comunisti e socialisti ungheresi unificati in un solo partito arrivarono al potere a Budapest per mezzo dei consigli degli operai e dei soldati e stabilirono il governo presieduto da Bela Kun. Ciò accadeva all’indomani della fondazione dell’Internazionale Comunista. Pochi giorni dopo i Consigli operai presero il potere in Baviera. Non era forse l’inizio dell’auspicata rivoluzione europea? Si cominciò proprio a crederlo quando l’Armata rossa iniziò a prendervi parte: il 9 aprile, le truppe di Antonov-Ovseenko e la divisione di un ex ufficiale zarista aggregatosi, l’avventuriero Nikifor Grigoriev (Hryhorijev), entravano ad Odessa con le truppe francesi in fuga.
Nel telegramma spedito da un Rakovsky entusiasta ad Antonov-Ovseenko risuonano gli echi del 1793:
“A nome del governo operaio e contadino, trasmettete i saluti più calorosi ai reggimenti, ai battaglioni ed alle batterie di tutte le unità dell’Armata rossa in occasione della liberazione di Odessa. Tra tutte le gloriose vittorie di cui si è coperta l’Armata rossa, e che ha fatto entrare di diritto nella storia della rivoluzione mondiale in Ucraina, la presa di Odessa ha il significato mondiale più profondo. Il bastione del rapace imperialismo internazionale era nell’Ucraina meridionale. Lo stesso giorno, il telefono ci porta la lieta notizia della proclamazione della repubblica dei Soviet di Baviera e l’ingresso delle nostre truppe nella penisola di Crimea.
Davanti ai vincitori di Odessa si aprono prospettive grandiose. Gli operai in rivolta in Bessarabia, Bucovina e Galizia ci chiedono aiuto. Verso di loro, passando per i Carpazi, si tendono le mani dell’Armata rossa della repubblica socialista sovietica ungherese. Gli operai ed i contadini d’Ucraina sanno che la loro avanguardia –l’Armata rossa d’Ucraina–porterà fino in fondo la parola d’ordine: ‘Avanti, avanti, sempre in avanti’.
Propongo oggi che siano premiati i comandanti e le unità che si sono particolarmente distinti e anche quelli che hanno condotto l’operazione su Odessa. Allo stesso tempo, propongo di premiare per meriti di servizio le unità rosse ed i comandanti di Mariupol.
Viva l’Armata rossa in Ucraina!
Viva l’Armata rossa della repubblica socialista mondiale!
Viva la rivoluzione mondiale!
Viva la rossa Odessa!”26
La prospettiva è chiara, senz’altro quella a lungo termine ma anche quella a breve. Lenin, inizialmente d’accordo, diventa però velocemente preoccupato per la minaccia, che considera maggiore, che le truppe di Denikin fanno pesare sul Donbass, “un pericolo immenso” scrive Lenin, che obbliga a riconoscere la priorità del fronte ucraino e persino a prendere in considerazione un alleggerimento temporaneo nell’ovest dell’Ucraina, limitandosi ad assicurare il corridoio con l’Ungheria sovietica per mezzo dell’occupazione della Bucovina.
Ma i capi dell’Armata rossa resistono – senza dubbio non da soli, poiché Rakovsky si permette di inviare un ultimatum al governo romeno27. N.A. Khoudiakov, vecchio bolscevico, capo della terza armata, parla il 24 aprile di “liberare la Bessarabia”, congiungersi con “gli insorti della Dobrugia” per “instaurare in Romania il potere del proletariato”.28 Antonov-Ovseenko, da parte sua, prende misure per “mettere in agitazione la Bulgaria” e reclama da Lenin la libertà di manovra del fronte sud da da quello ucraino. Khoudiakov saluta il 25 aprile la nascita dei soviet in Galizia e predice il collegamento tra le Armate rosse d’Ucraina e di Ungheria grazie all’aiuto degli operai e dei contadini di Galizia.29
Nel contempo, sul fronte meridionale la minaccia dell’offensiva di Denikin si accentua e non trova resistenza. Lenin si infuria e minaccia una crisi di autorità, esigendo – con un tono che sembra non poter sopportare repliche – la marcia su Taganrog, giudicata “obbligatoria, immediata e senza condizioni”: bisogna subordinare l’azione non all’attacco ma alla difesa dell’Ucraina e non spalancare la via di Mosca a Denikin.
Malgrado ciò Rakovsky continua sulla sua linea: il 1° maggio, esige dai Rumeni l’evacuazione immediata della Bessarabia e, il 2, “il diritto alla libera autodeterminazione nazionale per gli operai ed i contadini di Bucovina”.
Così, quando il 16 aprile 1919 i rumeni, agli ordini del generale francese Franchet d’Esperey, attaccano, per l’esercito ungherese è la débacle, minuziosamente preparata dai suoi ufficiali. Bela Kun denuncia davanti al consiglio dei delegati operai e soldati – i “500” – ciò che chiama “mancanza di coscienza del proletariato” (sic!). Sin dal 25 la situazione si aggrava rapidamente.30
Oltre a ciò, Lenin e Trotsky attaccano Antonov-Ovseenko e la sua “tolleranza” verso le bande partigiane, all’autonomia delle unità entrate già costituite nell’Armata rossa, ed esigono delle misure repressive in un documento al quale Antonov-Ovseenko risponde che non le può applicare, ci rinuncino oppure lo revochino dalla sua funzione. Le relazioni s’avvelenano.
Crollo ungherese
Rakovsky sembra essersi fatto ingannare da Bela Kun e dalla fiducia in se stessi dei comunisti ungheresi che hanno eppure debolezze manifeste. L’ostilità delle masse contadine ungheresi contro la quale nulla fu tentato, l’attività di spionaggio degli ufficiali ungheresi “affiliatisi” al governo comunista i quali disertarono nelle prime ore dell’offensiva ed il sabotaggio di numerosi “socialisti” presenti nel Partito portarono al crollo dell’esercito ungherese proprio mentre passava all’offensiva, nel momento in cui si poteva ragionevolmente sperare in una congiunzione con le armate ucraine.31
Il proclama di Rakovsky ai soldati rossi d’Ungheria aveva accenti da battaglia di Valmy:
“Ci complimentiamo con l’Ungheria sovietica per le vittorie della sua Armata rossa ed incarichiamo il Consiglio dei commissari del popolo d’Ucraina ed il comando militare di fornire un aiuto totale all’Ungheria sovietica ferita, la nostra sorella. Nell’ora attuale portare aiuto al proletariato ungherese significa correre in soccorso al proletariato tedesco al quale l’imperialismo internazionale promette la schiavitù politica ed economica più completa. Il consiglio dei commissari del popolo d’Ucraina dichiara di aderire convintamente alla politica di fronte rivoluzionario comune con l’Ungheria rossa che noi aiutiamo coi nostri ultimatum alla Romania e tramite la nostra offensiva”.32
Alcune dichiarazioni ed iniziative di Bela Kun non sono minimamente d’aiuto. Bela Kun è, sembra, geloso del suo potere. Due ufficiali di Rako, Efimov e Junkelson, sono fucilati: Bela Kun li accusa di aver finanziato “un gruppo anarchico” e preparato una sollevazione33. Non smette di lanciare contro Rako accuse senza fondamento che Lenin, pazientemente, s’impegna a confutare34. Il crollo del fronte ungherese è effettivamente un crollo completo.
Bisogna ben presto evacuare totalmente l’Ucraina, anch’essa minata dalla politica di requisizioni forzate inflitte ai contadini e dal disprezzo per le rivendicazioni nazionali, parte integrante della politica bolscevica, entrambe applicate da Rako con una sfumatura oltranzista. E’ Trotsky, in fin dei conti, a riconoscere che il suo amico durante questo periodo “effettuava nei corridoi un lavoro diplomatico col quale riuscì più volte e spingere Mosca in avanti”.35
Tibor Szamuely, il capo della sinistra del partito, il solo uomo veramente capace del governo Kun, vola a Kharkov, da Rakovsky, e da lì raggiunge Mosca in treno per avere una serie di discussioni36. In ogni caso nessuno possiede formule miracolistiche. La Ungheria rossa affonda tanto sotto il peso dei suoi errori che sotto i colpi dei Rumeni che rappresentano il mondo capitalista. E l’Ungheria trascina con sé l’Ucraina.
Crollo dell’Ucraina rossa
Rakovsky non è molto assecondato da capi militari, interamente presi dalle loro liti intestine. L’ufficio politico gli dà persino mandato di obbligare Voroshilov e Dybenko a restituire le armi e le munizioni che hanno preso dopo la vittoria su Grigoriev ed hanno tenuto per le loro truppe soltanto.37 Rako si dimena tra innumerevoli difficoltà: disastri dell’alcolismo nell’esercito e nella popolazione; afflusso di disertori da tutti i paesi contigui che inondano la Repubblica ucraina; sollevazioni contadine – se ne contano 93 tra il 1° aprile ed il 1° maggio 1919 38.
Preso in una morsa tra la minaccia permanente delle truppe indipendenti di un ex ufficiale, l’ataman Grigoriev, ed i partigiani dell’anarchico Makhno, il 1° febbraio Rako accetta di formare un blocco col primo senza per questo intimidire il secondo39. Secondo Adams si tratta di una decisione “terribilmente pericolosa ma necessaria”.40
Infine, il 7 maggio, si solleva l’ataman Grigoriev, che N.A. Khoudiakov sospetta si stia preparando a tradire e contro il quale non ha cessato di accumulare prove. Personaggio folkloristico, Cosacco battagliero, alcolizzato e megalomane, vuole essere trattato come un grande condottiero e fornisce un’idea della sua capacità politica quando telegrafa a Makhno: “Batko, Quale effetto fanno, a lei, i comunisti? Uccideteli tutti! – Ataman Grigoriev”.41
Trotsky è inquieto, il 22 maggio scrive a Lenin che “a causa della dolcezza di carattere (pri miagkosti kharaktera) di Rakovsky, si sta preparando il dispotismo”.42 Lenin rimprovera a Rakovsky, soprattutto, di non aver obbedito alle sue istruzioni e di aver lasciato sguarnito il fronte interno e sottostimato la minaccia “Cosacca”. Egli invia Ioffe in Ucraina per rafforzare il gruppo dirigente.
In effetti, Rakovsky rimane se stesso. Punisce ferocemente un comandante di divisione dell’Armata rossa che ha bruciato un villaggio, Germanovka (Hermanivka), per punire gli abitanti del loro appoggio ai “banditi”43. Infine, l’Armata rossa schiaccia Grigoriev che si rifugia presso Makhno dove è abbattuto sul campo il 26 maggio 44 per mano dello stesso Batko, secondo alcune fonti.
L’”esercito di volontari” del generale Denikin, forte dell’appoggio degli Alleati, procede in una marcia trionfale seminata di incendi, saccheggi ed assassinii. Denikin massacra lungo la strada tutto ciò che è bolscevico, e la concezione che ne ha è molto ampia. E’ un esercito grondante di sangue di operai e di contadini che “riconquista” l’Ucraina, mentre quello dell’ataman Petliura, aiutato dai polacchi, marcia su Kiev.
Ben presto, i Bianchi sono alle porte delle città ucraine. Rakovsky ed i suoi non possono che predisporre gli elementi necessari alla lotta clandestina che li attende. I commissariati del popolo sono chiusi, gli organismi di direzione del partito e dello Stato dissolti. Si crea una troika per la lotta a oltranza, il comitato per la difesa della Repubblica, composto dallo stesso Rakovsky, da A.A. Ioffe e da G.I. Petrovsky. Il PC crea una nuova direzione, l’organismo clandestino “Transfront” che lavora dietro le linee nemiche. Mosca invia a Kiev due dei suoi migliori cekisti, Peters e Latsis, assieme a Vladimir Ianucevsky delle “squadre speciali”. Niente, però, può fermare l’Armata bianca, almeno per il momento.
In un primo tempo, la nuova direzione abbandona Kiev e si stabilisce a Chernigov per preparare la lotta clandestina da sviluppare sotto l’occupazione dei Bianchi. Bisognerà poi evacuare anche Chernigov.
Gli eventi di questa estate del 1919 sono decisivi. Visti in retrospettiva, non sono altro che un periodo di terribili disfatte dalle quali il potere sovietico si risolleverà. Ma queste disfatte hanno delle conseguenze di lunga durata. Lo storico Arthur E. Adams le commenta così:
“Una conseguenza immediata dell’offensiva di Denikin fu che, perdendo l’Ucraina, i bolscevichi videro il crollo dei loro sogni di provocare una rivoluzione comunista nell’Europa dell’Est. La ribellione di Grigoriev aveva fermato l’offensiva contro la Romania ed impedì un appoggio efficace a Bela Kun in Ungheria. I massacri di Denikin annientarono tutte le speranze dei bolscevichi di avanzare verso Occidente”.45
In un documento peraltro molto denigrato e di solito poco compreso, la sua lettera del 5 agosto 1919 al CC, Trotsky non diceva nulla di diverso, formulava la medesima constatazione e, prevedendo una “pausa della rivoluzione” suscettibile di durare per molti anni, proponeva un cambio nell’orientamento.46
Ritorno a Mosca
L’accoglienza a Mosca è piuttosto fredda. La Balabanoff racconta:
“Quando l’offensiva dei Polacchi ci obbligò ad abbandonare Kiev e tornare a Mosca (…), fui sorpresa di scoprire che l’atteggiamento nei confronti di Rakovsky era cambiato. Malgrado fosse rimasto a Kiev fino all’ultimo istante, finché era possibile difendere anche un solo centimetro quadrato di territorio sovietico, invece di accoglierlo e di acclamarlo per il suo coraggio e le per le doti di cui aveva dato prova, fu posto nella condizione di doversi difendere”.
Lenin trattò a suo modo la questione cercando di non offendere nessuno perché, in primis, non voleva dei capri espiatori. Abbiamo già visto che pensava che non si dovesse toccare Rakovsky perché era una “grande figura politica (bolchaia polititcheskaia figura)“47. Spettava a Rakovsky l’onore ed il fardello del ritorno in Ucraina.
La Balabanoff crede che Rakovsky scherzasse su di lei quando scrive che lui, tra lo spensierato ed il disinvolto, “per prendermi in giro, esagerava gli aneddoti buffi sul modo col quale in Ucraina provavo ad aprire tutte le prigioni e come ero colpevole di rovinare le finanze pubbliche cercando di nutrire tutti coloro che chiedevano aiuto”.48
In realtà, Rakovsky scherzava su se stesso. Lenin e Trotsky sapevano bene quanto volte Lenin gli aveva indirizzato rimproveri di questo tipo.
Korolenko ovvero la coscienza?
Si comprende facilmente che in questo periodo di lotta selvaggia i rapporti tra Rakovsky e Korolenko non siano stati sereni. Quest’ultimo rifiutava già nel 1918 un intervento che gli era stato chiesto, dicendo che le sue relazioni con Rakovsky si erano molto allentate.
Eppure, è a Korolenko che Rako fece una delle prime visite, il 9 febbraio 1919, Il loro dialogo fu teso. Il vecchio scrittore, il 21 aprile 1919, annotava nel suo diario personale:
“Le prigioni sono sovra-popolate, la Comune è detestata ovunque ed i soldati ne hanno abbastanza di battersi. Ma Rakovsky dice che l’Ucraina dovrebbe dichiarare guerra alla Romania per aiutare l’Ungheria bolscevica e rafforzare la rivoluzione mondiale. I soldati, loro, dicono che gli basta difendere il loro paese”.49
Korolenko menziona anche un articolo di Rakovsky, “Insurrezione dei kulaki”, e lo commenta così:
“Il bolscevismo ha proclamato la dittatura di una classe che mette ai suoi piedi le nozioni di libertà e di giustizia. Gli interessi di una classe sono messi al di sopra dell’umanità. Col bolscevismo, la nostra rivoluzione è entrata in un vicolo cieco”.50
Tutti questi argomenti, Rakovsky li ascoltava. Ed era per uscire da questo impasse che lottava.
Il ritorno
Cacciati dall’Ucraina a metà 1919 i bolscevichi, come l’avevano annunciato per bocca di Rakovsky sin dal mese di novembre 51, vi ritornarono all’inizio del 1920 in seguito ad un rovesciamento completo della situazione generale, del quale fu un aspetto il crollo di Denikin, incapace di lottare allo stesso tempo contro l’Armata rossa al fronte e la resistenza popolare nelle retroguardie.
Il capovolgimento
Le cause prime di questo ribaltamento risiedono nelle condizioni venutesi a creare. Perfino laddove la dominazione bolscevica era stata detestata, essa apparve velocemente – se non come un paradiso perduto – almeno come il male minore in confronto con gli assassini di Denikin e la sua corte di revanscisti. Numerose formazioni irregolari e bande partigiane si orientarono ai bolscevichi e, elemento importante, lo fece anche la massa della popolazione urbana e rurale.
Entrarono in gioco anche cause soggettive ed innanzitutto il bilancio che avevano già iniziato a formulare, alcuni durante la ritirata col fucile in spalla, i bolscevichi al corrente dei fatti e non accecati dai loro pregiudizi teorici, a cominciare da Lenin, Trotsky e Rakovsky.
I Rossi hanno abbandonato l’Ucraina. Non c’è alcun dubbio su questo punto. Hanno dovuto abbandonare l’Ucraina non per la superiorità militare decisiva dei loro avversari ma perché non avevano l’appoggio delle masse popolari. La loro politica era mal vista in Ucraina, in primis poiché sembrava la politica di una nazione straniera, ostile alla nazione ucraina, in secondo luogo poiché aveva l’andamento troppo simile ad un saccheggio sistematico, ad un meccanismo regolato dai bisogni dell’esercito e della “metropoli”.
Era, si badi bene, precisamente la politica raccomandata in un contesto storico determinato da Lenin stesso a Rakovsky. Rakovsky lo dice chiaramente all’ottava conferenza del PC russo: “Siamo andati in Ucraina mentre la Russia sovietica era immersa in una crisi di produzione estremamente grave: il nostro orientamento all’Ucraina si sintetizzava nel massimo sfruttamento al fine di attenuare la crisi”.52 Egli spiega che la popolazione ucraina non ha mai accordato la sua fiducia: “I contadini poveri non si avvicinavano nemmeno a quelle terre che noi davamo loro. Avevano paura”. Ed indica ciò che gli sembra capitale: “Esiste una pre-condizione di ogni possibile costruzione di un potere in Ucraina: la liquidazione del contadino ricco [kulako, NdT] armato, la liquidazione delle sue bande partigiane”.53
Dopo la sconfitta, Lenin e Rakovsky sembrano trarne un bilancio simile. Alla conferenza del PC (b) in ottobre, Rakovsky attacca la stampa russa che considera tutto ciò che è ucraino come “nostro” e afferma che “è indispensabile mettere in conto il fattore nazionale fino al ‘formarsi di nuove condizioni’, in un futuro al momento indefinito“.54
E’ evidente che a Mosca, ai vertici, dopo la sconfitta di Denikin si è formata una corrente d’opinione. E’ con evidenza Lenin ad esprimerla con più chiarezza quando parla di un necessario “passo indietro strategico” davanti al contadino ucraino ridotto dalla guerra civile in uno “stato tra il partigiano ed il bandito, al fine di garantire la sua stessa sopravvivenza”.55 Lo testimoniano persone come Manuilsky: “Noi non siamo stati sconfitti sul piano militare e strategico: ci hanno battuti perché il fronte dei mugiki, in quell’estate, ha diretto tutta la sua forza contro di noi”.56
Lenin e Rakovsky sono d’accordo sul fondo della questione: il primo chiede allora al secondo di preparare una risoluzione sul lavoro in Ucraina che rifletta il loro punto di vista e la loro politica comune su quel terreno.
Essa riconferma il “riconoscimento della ‘indipendenza della Repubblica socialista sovietica d’Ucraina’, afferma il diritto all’utilizzo ed allo sviluppo in condizioni di libertà della cultura ucraina e condanna ogni forma di russificazione. La risoluzione si concentra in seguito sulla questione contadina, chiave per il superamento delle difficoltà. Si deve alleggerire il fardello sulle spalle dei contadini piccoli e medi, dare lor più spazio negli organismi dirigenti e limitare il numero di ‘fattorie collettive’. Bisogna infine riportare la pace mediante la confisca di tutte le armi che sono in giro. In merito alla necessaria ‘unione’ contro l’imperialismo“, la risoluzione si conclude così: “Il PCR considera che gli operai ed i contadini lavoratori ucraini decideranno definitivamente loro stessi le forme che rivestirà tale unione”.57
Durante quella stessa conferenza, Lenin fa guerriglia, criticando Rakovsky per la costituzione di numerose fattorie collettive in Ucraina. Bisogna decidersi a suddividerle, afferma, se si vuole veramente portare i contadini medi dalla propria parte, punto ormai non in discussione.
Il 21 dicembre, il comitato rivoluzionario pan-ucraino diretto da Rakovsky si rivolge agli operai ed ai contadini: “La repubblica sovietica libera ed indipendente d’Ucraina si alza nuovamente per uscire dal regno dei morti”.58
Infine, il 1° gennaio 1920, la Pravda pubblica una lettera di Lenin agli operai e contadini d’Ucraina, scritta tre giorni prima. Lenin enuncia chiaramente la nuova politica, distensiva su tutta la linea:
“Va da sé che soltanto gli operai ed i contadini d’Ucraina possono decidere e decideranno – nel loro congresso nazionale dei soviet – se la nazione ucraina deve fondersi con la Russia o costituire una repubblica autonoma, indipendente, e, in tale caso, con quale legame federativo dovrà associarsi alla Russia. (…) Noi vogliamo un’alleanza liberamente scelta tra le nazioni, un’alleanza che non tolleri alcuna violenza esercitata da una nazione su un’altra, un’alleanza fondata su una fiducia assoluta, su una coscienza netta dell’unità fraterna, un consenso totalmente libero. (…) Inoltre, noi comunisti della nazione ‘grande russa’ dobbiamo essere concilianti, mentre dobbiamo combattere in modo rigoroso, tra noi, le minime manifestazioni di nazionalismo ‘grande-russo’, poiché queste sono, in generale, un autentico tradimento del comunismo. (..) Ancora, noi dobbiamo, noi comunisti della nazione ‘grande-russa’, essere concilianti in caso di divergenze tra i comunisti/bolscevichi d’Ucraina ed i ‘borotbisti’ quando tali divergenze vertono sull’indipendenza dell’Ucraina e sulle forme della sua alleanza con la Russia”.59
Rakovsky stava preparando una nuova legge agraria assieme a Manuilsky e negoziava coi borotbisti. In questo nuovo quadro d’intervento avrebbe dispiegato, se possibile, ancor più talento di quello sin allora messo in evidenza. Perché Francis Conte deve chiedersi se per caso Rakovsky non stesse applicando questa nuova politica con tanto ardore soltanto per ragioni legate ad “ambizioni personali”?60 Si rimane a volte basiti davanti a questo genere di ragionamenti all’interno di un lavoro storico.
L’ultimo sussulto della setta
Malgrado tutto, una sgradevole sorpresa è alle porte: una crisi profonda nel Partito ucraino. Nel corso della sua conferenza del 17-23 marzo 1920 si esprime infatti una dura opposizione contro la direzione del Partito russo e contro Rakovsky in particolare.
Chi sono i suoi avversari? Alla loro guida c’è T.V. Sapronov, militante operaio del quale non è in causa la convinzione ma le cui posizioni non sempre sono coerenti: partigiano del comunismo di guerra ma avversario dei suoi metodi, sostenitore del “centralismo democratico”– è del gruppo “decista”– di cui critica i metodi “autoritari”, il comando unico, la militarizzazione del lavoro della quale Rakovsky si è dimostrato partigiano sostenendo la creazione di un “esercito del lavoro”, il reclutamento di ufficiali di mestiere nell’Armata rossa ecc.
Le posizioni di Sapronov e dei suoi compagni, per lo più arrivati di recente da Mosca, come il grande giornalista L.S. Sosnovsky, avevano molti tratti “estremisti”. Erano in una certa misura gli eredi dei “comunisti di sinistra”, contrari alla firma della pace di Brest-Litovsk. Non avevano molto interesse per la questione nazionale, nessuna preoccupazione per i contadini, pensavano che la Repubblica operaia russa, la “dittatura del proletariato”, avrebbe dovuto dirigere d’autorità l’Ucraina piccolo-borghese.
Nel congresso, Rakovsky non fece loro alcuna concessione. A lungo aveva tollerato che uomini con la loro visione ostacolassero una politica criticabile ed era in quel momento certo che fossero riuniti tutti gli elementi per raddrizzare il corso con metodo e nell’ordine. Questa offensiva di frazione era ai suoi occhi irresponsabile. Replicò duramente a coloro i quali reclamavano i diritti del Partito: “Noi non abbiamo in Ucraina un partito proletario. Abbiamo un partito di intellettuali borghesi, gente che ha paura di andare al fronte”.61
La risoluzione politica generale dell’ottava conferenza del PCR (b), presentata da Stalin in qualità di segretario generale del partito e membro del PCU sin dal 1918, fu respinta di fronte a quella di Sapronov.
Era già quello un evento carico di conseguenze. I vincitori di giornata, nel loro slancio, aggiunsero un colpo che fu percepito a Mosca come un’aggressione intollerabile ed un autentico atto di banditismo politico. L’indignazione, a sua volta, aprì la strada ad una epurazione legittimata dalle circostanze che costituì un precedente.
Al momento dell’elezione del comitato centrale, senza fare appello ad un voto da esprimersi sulla base di piattaforme di tendenza che avrebbe potuto giustificare che prendessero la direzione, questi manovrarono per eliminare i loro tre principali avversari e lasciare fuori dal CC Rakovsky, Manuilsky e Kossior. I tre erano in tutta evidenza dei capri espiatori di Mosca ma la loro rimozione si fece al di fuori di ogni regola democratica. Stalin, presidente della seduta dedicata al voto, ne fiatò nemmeno, non formulò alcuna riserva.
Immaginiamo la violenza della reazione di Lenin il quale fece annullare la decisione di questo congresso che avrebbe vietato a Rakovsky anche di tornare nel CC del PCR (b). Lenin fu, pare, particolarmente avvelenato che i critici della sua politica avessero preso Rakovsky come vittima: non voleva che questi divenisse il capro espiatorio. Il CC annullò a Mosca l’insieme dei lavori del congresso. Il 5 aprile il CC del PCR (b), senza Rakovsky ma alla presenza di Stalin, decise l’allontanamento dall’Ucraina di Sapronov, Rafail, Ivanov e Kossior.62
Beninteso, dopo questo, Rakovsky fu rieletto in tutti quegli organismi dai quali era stato cacciato per mezzo del “complotto”. E Stalin operò personalmente alla realizzazione della purga del PCU, portata avanti mediante una re-iscrizione individuale di tutti i membri.
Il risanamento
All’indomani di questo piccolo colpo di Stato – presto dimenticato e molti protagonisti del quale hanno in seguito condiviso l’attività d’opposizione di Rakovsky –, l’opera di risanamento era già in corso con l’entrata nel Partito d’un’importante frazione borotbista, che ebbe due membri nel nuovo CC. Tutto era stato discusso in precedenza da Rakovsky su mandato di Lenin e dell’Ufficio Politico. Il 30 marzo Lenin esclamava, davanti al IX° congresso:
“Grazie alla politica giusta del comitato centrale, applicata splendidamente dal compagno Rakovsky, siamo stati testimoni, in luogo di una sollevazione dei borotbisti diventato quasi inevitabile, dell’adesione al nostro partito dei migliori elementi borotbisti col nostro pieno sostegno”.63
Rakovsky raccoglieva i benefici derivanti da mesi di negoziati in Ucraina, dalla conoscenza acquisita sul campo dell’eterogeneità borotbista e soprattutto dalla scoperta dell’importanza della questione nazionale ucraina, della quale a lungo aveva negato persino l’esistenza.
Per qualche settimana aveva contato anche sull’appoggio dei socialdemocratici raggruppati attorno all’ex capo di governo nazionalista, Vinnichenko. Questi, però, alla fine si allontanò ma tutta l’operazione mostra che l’iniziativa politica era ora nelle mani dei bolscevichi.
Il risanamento militare
Si aspettava di giudicare Rakovsky in base alla sua capacità di ristabilire l’ordine e ridurre i gruppi di “banditi” in condizione di non nuocere. In altre parole, in base alla capacità di formare un’autentica Armata rossa. Ne applicò i principi in circostanze e condizioni differenti dalla Russia sovietica.
In assenza di unità regolari, contò innanzitutto e soprattutto sulla mobilitazione degli operai e dei contadini che dovevano fare dell’Armata rossa l’avanguardia cosciente del proletariato in lotta. L’inquadramento fu fornito, come altrove, da ex ufficiali di mestiere. Stavolta, Mosca non saccheggiò l’Ucraina ma anzi l’aiutò. Era una necessità: i soldati rossi non avevano armi corte e a volte nemmeno scarpe.
L’Ucraina, occupata a più riprese, aveva visto la moltiplicazione di gruppi partigiani fuori controllo che costituivano potenzialmente un pericolo. Lenin insisteva sulla soppressione, in caso di bisogno con la forza, dei gruppi che restavano attivi. Per Rakovsky, che possedeva una sviluppata arte della persuasione, ciò non fu necessario. Il suo commento a posteriori non manca di interesse:
“Non è semplice arruolare dei partigiani ma bisogna saper improvvisare e fare affidamento fino ad un certo punto sulla spontaneità del movimento insurrezionale che esplode all’avvicinarsi del nostro esercito, in territori che ancora noi non occupiamo”.64
La ritirata dell’Armata bianca lasciò gli uomini di Makhno praticamente soli davanti al potere sovietico ed all’Armata rossa. Le operazioni guidate da Frunze avrebbero finito di eliminarli a piccoli passi. Passando da progetti d’intesa ad offensive brutali, Makhno fu a poco a poco ricacciato indietro, le sue truppe si disfecero e lui stesso, alla fine, si rifugiò all’estero.
Contro Rakovsky, alle accuse di atrocità ed esecuzioni sommarie, s’aggiunge quella di slealtà nei confronti di Makhno e dei suoi uomini, avanzata in particolare da David Footman65. Volin sarebbe dunque stato arrestato il 21 novembre 1920 poco dopo aver incontrato Rako, averne ricevuto un salvacondotto e l’assicurazione che le persecuzioni poliziesche contro il giornale anarchico Nabatsarebbero cessate. Inoltre, dei negoziatori makhnovisti andati a Kharkov sarebbero stati passati per le armi e Nabat messo al bando.
Tutte queste accuse non sono però in nessun caso supportate, salvo alcune fragili testimonianze. In aggiunta, tali accuse prendono di mira un responsabile politico in Ucraina dove molti cekisti agiscono al di fuori di ogni controllo o sotto quello dei loro capi a Mosca e ne hanno il diritto, giustificato dal carattere “straordinario” della loro missione.
In fin dei conti, la riconquista fu rapida. I Bianchi avevano dilapidato il loro credito e l’aiuto materiale dell’Occidente. I rossi disponevano di uno stratega d’eccezione: Iona Emanuelovich Iakir, giovane ebreo di Bessarabia, dirigente dei soviet nel suo paese, affiancato da tre militanti di spessore, J.B. Gamarnik, V.P. Zatonsky ed un bolscevico georgiano di Kiev, Kartelichvili. Questa campagna valse a Iakir, allora solo 26enne, l’ordine della Bandiera rossa. La campagna mise fine alla carriera di Denikin. Il resto fu assicurato da Frunze.
Quest’ultimo arrivò arrivò in Ucraina il 25 novembre 1920 col rango di Commissario del popolo. Mikhail Vassilievich Frunze, figlio di contadini, ex metalmeccanico, era uno dei capi militari più dotati emersi dai ranghi dell’Armata rossa. Associati nel prendere decisioni nei momenti di maggior pericolo e tensione, Rako e Frunze avrebbero intessuto relazioni personali di stima reciproca e poi di amicizia. Il figlio del contadino povero e quello del grande proprietario terriero, il capo militare e quello politico, giocavano così, senza saperlo, anche il loro destino personale.
La questione agraria
Questa volta la politica di Rakovsky, ovvero la mobilitazione autonoma per gli obiettivi di potere dei contadini per mezzo dei loro comitati, i kombedy, e quella di Lenin, che credeva che si dovesse soddisfare subito la fame di terra del contadino, coincidevano.
La nuova legge agraria fu promulgata il 5 febbraio 1920 e per i contadini costituiva un netto alleggerimento della precedente.
Le terre della Corona, dei grandi proprietari fondiari e dei monasteri erano date ai contadini per essere suddivise. I proprietari che non lavoravano essi stessi la terra, i kulaki, se le vedevano confiscare. La riforma corrispondeva alle aspirazioni generali e fu un successo. L’eccellente idea di Rakovsky di acclimatare in Ucraina il mais, che conosceva in ragione delle sue origini, fu un indubitabile fattore di ripresa ed anche di propaganda. Il suo opuscolo Il mais e la carestia ebbe grande successo, come il suo articolo del 14 dicembre 1921 sulla Pravda.
Per pacificare le campagne, infine, bisognava estirpare il banditismo. Ciò era fattibile a causa del desiderio di pace nella popolazione, del loro odio per Wrangel e Denikin che rappresentavano al medesimo tempo i grandi proprietari e la sottomissione ai Russi. Per la maggioranza della popolazione, il potere rosso era in fin dei conti il male minore. Utilizzando avvedutamente condanne e amnistie, usando partigiani aggregatisi all’Armata rossa contro i banditi, istituendo grandi processi, Rakovsky riportò la pace e la sicurezza nelle campagne nel giro di un anno.
Il grande attacco di Pilsudsky
A metà del 1920 Rakovsky credeva senza dubbio, con un raddrizzamento così ben in marcia ed un’Ucraina tranquilla, che non avrebbe dovuto indossare di nuovo l’uniforme così presto. Ed in ciò si sbagliava. In realtà, vi fu obbligato dalla guerra russo-polacca del 1920, uno degli ultimi fuochi degli Stati capitalisti contro lo Stato sovietico.
All’epoca dell’offensiva di Pilsudsky la quale, come sappiamo, si trasformò in un disastro con una vittoriosa controffensiva della Quinta Armata di Tukhacevsky fino alle porte di Varsavia, Rakovsky aveva raggiunto il suo collega Smilga, poiché entrambi erano stati nominati commissari politici di quell’armata. Il 28 aprile riconosceva l’importanza della ritirata delle truppe ma aggiungeva che ben presto sarebbe stato inferto un colpo decisivo che “avrebbe respinto l’esercito delle guardie bianche fino a Varsavia”.66
Sappiamo che la guerra contro la Polonia ha provocato tra molti dirigenti bolscevichi, a partire da Lenin, gli stessi retro-pensieri che “l’aiuto all’Ungheria”, ovvero l’idea che l’avanzata dell’Armata rossa potesse scatenare dei sollevamenti tra i lavoratori polacchi o persino tra quelli tedeschi. Tale non era, sappiamo anche questo, il punto di vista di Trotsky che lottò vivacemente contro Lenin sulla questione di queste speranze. Cosa ne pensava Rakovsky? Francis Conte lo colloca erroneamente dalla parte di Lenin a causa di una frase del suo famoso articolo del 26 gennaio 1919: “Creare un’Ucraina rivoluzionaria significa scatenare la rivoluzione nella penisola balcanica e dare al proletariato tedesco la possibilità di non soccombere davanti alla morte, alla fame ed all’imperialismo tedesco”.67
Non è decisivo neanche il fatto che, assieme all’Ufficio Politico del PCU, abbia preparato l’azione rivoluzionaria clandestina in Bucovina ed in Galizia. Trotsky, ostile ad un’offensiva ed a riporvi speranze esagerate, non è forse stato colui il quale insistette maggiormente nel 1919 sulla necessità di un lavoro rivoluzionario in Polonia?
Rako fu tra i primi a realizzare e riconoscere l’importanza dei rovesci durante l’offensiva iniziale di Pilsudsky. Non credeva più di Trotsky e di Radek all’ipotesi dell’insurrezione dei lavoratori tedeschi all’avvicinarsi dell’Armata rossa.
La fine del dialogo con Korolenko
Non ci possono essere dubbi. Rakovsky, appena è stato possibile dopo il suo ritorno, è andato a Taganrog con Adina per visitare Korolenko il 31 marzo 1920.
Il vecchio scrittore dice al capo di governo che il bolscevismo è impopolare, ma Rako gli ribatte che è in ritardo sull’evoluzione reale degli eventi. La rivoluzione è sul punto di trionfare in Germania 68 e tutto si modificherà. In aprile, il vecchio scrittore annota sul suo diario che Rakovsky si sbaglia su tutto. La dittatura del proletariato è la dittatura delle baionette. I due terzi delle terre sono incolte. I contadini seminano soltanto quel che basta per i loro bisogni. Rakovsky, per parte sua, spiega che le nuove misure determinano già un sensibile recupero.69
A luglio Korolenko si ammala gravemente. Rakovsky gli propone di andare all’estero per curarsi. Korolenko gli ribatte che gli chiede soltanto di accordare più attenzione alla vita umana. Rakovsky ritorna, accompagnato da collaboratori di primo piano, e afferma, davanti a loro, che la presa e l’esecuzione di ostaggi sono una pratica inaccettabile.
Korolenko annota tristemente che, rientrato a Kharkov, Rakovsky scoprì nuovamente che non c’era modo di vincere la guerra senza essere crudeli. Eppure, aggiunge Korolenko, “Rakovsky prestò attenzione alle mie richieste di usare compassione”.
Nell’aprile 1921 le condizioni di salute di Korolenko peggiorano, Rakovsky gli propone di organizzare il suo trasferimento in un buon ospedale all’estero. Il vecchio uomo rifiuta perché “non accetterà mai nulla da nessun governo”. A luglio Rakovsky ha un nuovo pensiero gentile: gli invia dei giornali dell’emigrazione (Rul’ e Sovremenii Zapiski, oltre ad un libro di Wells in bulgaro).70
Korolenko muore il giorno di Natale del 1921. Senz’altro Rakovsky ha protratto interiormente il loro doloroso dialogo fino alla sua morte nel 1941.
Qualche anno dopo, Rakovsky avrebbe detto ad un giornalista francese:
“Che tragedia la storia dell’Ucraina! Kiev quattordici volte occupata dalle truppe di regimi differenti, polacche o russe, oppure quelle di Denikin. In tre anni l’Ucraina cambiò governo dieci volte, dieci eserciti sono passati su di lei”.71
Vinta la guerra, si doveva costruire.
Prima di voltare pagina, Rakovsky saluta i guerrieri in un telegramma spedito a Frunze che dirigeva le armate ucraine:
“Comincia ora per noi un periodo di ricostruzione pacifica ma, come prima, l’Armata rossa resta al centro dell’attenzione del governo sovietico. In futuro, dovremo continuare a difendere le frontiere della federazione sovietica contro gli sforzi permanenti dell’imperialismo internazionale che cerca di annientarci: il nostro esercito parteciperà al tempo stesso all’organizzazione dell’economia su basi socialiste.
L’Armata rossa ha svolto brillantemente il suo compito e, nell’avvenire, mano nella mano con operai e contadini, continuerà a far avanzare la causa della liberazione degli operai del mondo intero”.72
Era terminato il periodo che aveva battezzato delle “guerre rivoluzionarie”. Le sue foto mostrano tratti nuovi, tempie imbiancate, una certa tristezza nello sguardo. Non si passano anni terribili senza portarne con sé la traccia.
(tratto da Pierre Broué, Rakovsky ou la révolution dans tous les pays, pp. 142-170)
Note
1 Otcherki pokititchskoi Roumyniii, p. 7.
2 B. Souvarine, “Panait Istrati et le communisme”, Le Débat, 9 febbraio 1981, p. 121. Qui Souvarine cita se stesso.
3 A. Balabanova, Ma vie de rebelle, p. 226.
4 Rakovsky, Ilyitch y Ukraina, p. 25.
5 F. Panaioutov, Doktor Krystiou Rakovsky, Sofia, 1988, pp. 37-39.
6 A. Balabanova, op. cit., p. 227.
7 Archivi dell’esercito, citati da G.I. Tcherniavsky e M.G. Stanchev, Kh.G. Rakovskij i bor’be oprtiv samovlasti, Kharkov, 1193, p. 33.
8 Ibid., p. 34.
9 G.I. Tcherniavsky, introduzione a “Lettere di Korolenko a Kh.G. Rakovsky”, in Voprosy Istorii, n° 10, ottobre 1990, pp. 3-43, qui p. 5.
10 Trotsky, Trotsky Papers
11 Ibidem.
12 “Les relations entre républiques soviétiques: Russie et Ukraine”, L’Internationale Communiste, 12 luglio 1920, pp.2221-2224.
13 Rakovsky in Izvestia VTsIK, n° 2, 3 giugno 1918.
14 Izvestia, 26 gennaio 1919.
15 Ibid., 4 agosto 1919.
16 Rakovsky, Knyaz Metternich, 1905, p. 60.
17 Tutte queste cifre sono tratte da uno studio di Rakovsky pubblicato sull’Humanité del 18 febbraio 1922.
18 Rakovsky, 1923, citato da F. Conte, Un révolutionnaire diplomate, Christian Racovski, L?Union Soviétique et l’Europe (1922-1941), 1978, p. 214.
19 Trotsky, Trotsky papers.
20 Izvestia, 26 gennaio 1919.
21 G. Fagan (a cura di), Christian Rakovsky. Selected writings, p. 24.
22 Nel 1919 la Kollontai era a Odessa con suo marito Dybenko e svolgeva la funzione di commissaria all’Istruzione della flotta. A Kharkov per un congresso sindacale, vi restò e fu nominata commissario del popolo all’Istruzione pubblica. Fu, assieme a Rakovsky, tra gli ultimi ad abbandonare Kiev.
23 Rakovsky, Ilyitch y Ukraina.
24 Pravda, 1° febbraio 1919, editoriale intitolato “Del carbone e del pane”.
25 Antonov-Ovseenko, Zapiski o grajdanskoi voine, IV, pp. 29-30, Istituto Marx/Engels, 1924-1933.
26 Ibid., pp. 249-250. Lo storico E. Adams non sa se si tratti, da parte di Rakovsky, di finzione e di atteggiamento naif. Si ripete molto che Grigoriev fu il vero vincitore di Odessa che i francesi avevano abbandonato sotto la pressione di una popolazione ostile, secondo il generale Franchet d’Esperey, circa all’80%, gli altri essendo persone che volevano recuperare potere e privilegi.
27 Testo in Dokumenty Vnechnej politiki SSSR, tomo II, p. 152.
28 Antonov-Ovseenko, op. cit., p. 35.
29 Grajdanska voina, p. 381.
30 B. Kovrig, Communism in Hungary, 1979, p. 54.
31 In un primo momento, Bela Kun ha avuto tendenza a rifiutarsi di riconoscere le sue responsabilità nella sconfitta ed ha accusato Rakovsky di aver “sabotato” e “tradito”. Sono accuse prive di fondamento. Ancora oggi un emigrato accusa Rakovsky d’aver formato un gruppo “anarchico” contro Kun. Volin avrebbe ricevuto da Rakovsky un salvacondotto poco prima del suo arresto da parte della Ceka ma, nel suo libro, non ne parla.
32 Telegramma del 26 maggio 1919, ora in Dokumenty, tomo II, p. 169. Il 28 luglio, Bela Kun telegrafa a Rudnianszky che bisogna dire a Lenin che Kun “ha superato tutti i limiti della sua pazienza in merito alla presunta cooperazione armoniosa tra Rakovsky ed il CC del Partito e che sarebbe un errore irreparabile continuare ad imporre Rakovsky ai rumeni contro la loro volontà”. Tokes, Bela Kun and the Hungarian Soviet Republic, p. 202, n. 63.
33 Ibid., p. 198.
34 Ibid., p. 203. Lenin incarica Rudnianszky di dire a Bela Kun che “Rakovsky è stato nominato dal CC all’unanimità e quest’ultimo ne è molto soddisfatto”.
35 Trotsky, Trotsky Papers.
36 Bennett Kovrig, Communism in Hungary, p. 57.
37 Cf. seduta dell’Ufficio Politico allargato del 2 giugno 1919, Trotsky Papers, I, p. 274.
38 Rakovsky, Borba za osvobodjenie d erevni, 1920.
39 Borys, The Russian Communist Party and the Sovietization of Ukraine, Stoccolma, 1960.
40 Arthur E. Adams, Bolsheviks in the Ukraine, p. 159.
41 Ibid.
42 Trotsky, HLHA, T 222, Trotsky Papers.
43 Antonov-Ovseenko, op. cit., vol. IV, p. 310.
44 Ibid., p. 264.
45 Arthur E. Adams, op. cit., p. 159.
46 Lettera del 5 agosto 1919, Trotsky Papers, I, pp. 621-627.
47 Lettera dell’Ufficio Politico del 26 luglio 1919, Trotsky Papers, I, pp. 604-605.
48 A. Balabanoff, op. cit., p. 228.
49 “Korolenko v godii revoliutsii i grajdanskoi voinii 1917-1921”, sintetizzato in Bulgarian Review, XXIX, dicembre 1989, p. 64.
50 Ibid.
51 “Ritorneremo”, Izvestia, 9 novembre 1919.
52 Protocolli dell’ottava conferenza del PCR (b), p. 95.
53 Ibid., p. 96.
54 Ibid., p. 99.
55 Ibid.
56 Ibid., p. 117.
57 Lenin, “Bozza di risoluzione”, Oeuvres, XXX, pp. 162-165.
58 Citato in I. Borys, op. cit., p. 245.
59 Ibid., pp. 301-307.
60 F. Conte, op. cit., p. 295.
61 Citato in R. Sullivant, Soviet Politics and the Ukraine (1917-1957), Columbia, 1962 , p. 57. In realtà, le fonti sono poco precise, due storici del PCU hanno su questo punti di vista divergenti. E’ Ravich-Tcherkassy, op. cit., p. 152, che parla di “andare al fronte”, mentre Popov dice che “hanno paura dei compiti dei comunisti”, Narys istorii kommunistychnoi partii (bil’shovykiv), Kharkov, 1928, p. 218.
62 Verbali delle decisioni del CC, seduta del 5 aprile 1920, Izvestia KPPS, n° 10, 1990, p. 165.
63 Lenin, Oeuvres, XXX, p. 485.
64 Izvestia, 11 febbraio 1919.
65 David Footman, “Nestor Makhno”, St Antony’s Papers, The Civil War, pp. 75-127, qui pp. 123-124.
66 Izvestia, 1° maggio 1920.
67 Ibid., 26 gennaio 1919.
68 In seguito al tentativo di colpo di Stato di Kapp e von Luttwitz, la controffensiva operaia, armata, specialmente nella Ruhr, aveva creato una situazione rivoluzionaria che il KPD (partito comunista di Germania) lasciò passare per settarismo.
69 Korolenko, Journal, p. 64.
70 Ibid., p. 65.
71 Intervista realizzata da Politicus, L’Europe Nouvelle, 8 novembre 1921, pp. 1483-1484.
72 Grajdanskaia voina, III, p. 207.