Saeco: “Resistere un minuto in più della Philips”
14 Gennaio 2016Populismo e guerriglia: particolarità storiche della rivoluzione latinoamericana
18 Gennaio 2016“Missione compiuta!” così George Bush figlio celebrò, il Primo maggio 2003, la “liberazione” dell’Iraq e il rovesciamento di Saddam Hussein. Mai parole furono così improvvide, osservando anche solo in maniera superficiale la situazione attuale non solo dell’Iraq, ma di tutto il Medio oriente.
L’intervento degli Usa in Medio oriente iniziò esattamente 25 anni fa. Era infatti, il 16 gennaio 1991, una coalizione guidata dall’esercito degli Stati uniti interveniva militarmente in Kuwait, una piccola monarchia (ma con enormi riserve di petrolio) del Golfo Persico, invasa dalle truppe di Saddam nell’agosto precedente. L’attacco, appoggiato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, compresa l’allora Unione Sovietica, con l’utilizzo di aviazione, marina e truppe di terra, portò alla “liberazione” della petromonarchia, alleata storica dell’Occidente nella regione. Il prezzo fu 30mila morti. Davanti a un‘insurrezione popolare scoppiata nel sud dell’Iraq, la coalizione fermò la sua avanzata, lasciando che l’esercito iracheno massacrasse i rivoltosi. Bush senior temeva più la rivoluzione di Saddam.
Alle potenze occidentali non interessava affatto il destino delle masse kuwaitiane, ma la stabilità della regione, e il mantenimento dei confini stabiliti sulla carta, con riga e squadra, negli accordi di Sikes-Pycot del 1916, quando Francia e Gran Bretagna si spartirono il medio oriente sulle rovine dell’Impero ottomano.
Saddam Hussein era stato un alleato prezioso della Casa bianca nella guerra contro l’Iran. Improvvisamente era diventato il principe del male nel momento in cui i suoi intreressi iniziarono a confliggere con quelli dell’imperialismo.
Se Bush padre voleva infliggere una lezione al regime di Baghdad, la necessità del suo rovesciamento divenne impellente durante la presidenza del figlio. La motivazione addotta era quelle delle “armi di distruzione di massa” che Saddam avrebbe nascosto a tonnellate nei suoi arsenali.
Tali armi non furono mai trovate, ma l’invasione lanciata nel marzo del 2003 ha provocato la devastazione di uno dei paesi più floridi della regione, culla di una cultura millenaria. Solo tra il 2003 e il 2007 ci sono stati almeno 150mila morti (tra militari e civili, secondo stime dell’Onu). Nel 2011 le truppe della “Coalizione dei volonterosi” lasciavano il paese senza avelo pacifivcato. La politica del “divide et impera” attuata coscientemente da Washington, vale a dire quella di creare un Iraq “federale”, dove al nord i curdi avrebbero goduto di una larga autonomia, mentre i sunniti sarebbero stati esclusi dal governo a vantaggio dell’elite sciita, ha condotto alla disgregazione di fatto dell’Iraq.
Il fondamentalismo sunnita, prima di Al qaeda e poi di una sua scissione, lo Stato islamico , ha potuto trovare consensi e reclutare miliziani proprio grazie a questa discriminazione. Settori dell’apparato statale e delle forze armate sono passati armi e bagagli all’Is.
L’imperialismo Usa ha cercato di usare la sua forza militare, assolutamente superiore a quella di tutti gli altri paesi, per recuperare terreno rispetto all’egemonia perduta dal punto di vista economico. Tale politica aggressiva non si è limitata solo all’ Iraq, ma si è estesa anche ad Afghanistan, Somalia, Sudan, Libia … La strategia si è rivelata un totale fallimento, ed ha inoltre aperto nuovi conflitti. Ha scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora. L’intervento in Afghanistan, ad esempio, ha destabilizzato totalmente il Pakistan. La sostanziale sconfitta dell’imperialismo Usa ha fornito l’occasione ad alleati storici come l’Arabia Saudita e la Turchia di poter giocare una propria partita in Medio oriente, spesso e volentieri in disaccordo con gli Usa.
Anche quando Washington non è intervenuta direttamente come in Siria, a causa dell’isolamento internazionale, le conseguenze per le masse siriane non sono state meno dolorose.
Oggi in tutta la regione non c’è un paese stabile, la guerra civile da Siria, Iraq e Yemen minaccia di trasferirsi ad altri paesi. Le alleanze e i rapporti di forza possono cambiare: come disse un alto diplomatico Statunitenze dopo la caduta del Muro di Berlino, “Non ci sono alleati permanenti, solo interessi permanenti“. I crimini delle borghesie imperialiste nei confronti dell’umanità non termineranno tuttavia da soli e ogni accordo di “pace” avrà un carattere effimero e temporaneo. Il capitalismo infatti è guerra e, data la sua attuale agonia, ogni conflittoacquisterà un carattere sempere più aggressivo. Organizzamoci per rovesciarlo!