Congresso del Partito laburista: crescono la sinistra e le posizioni radicali
25 Settembre 2019Rivoluzione n° 61
2 Ottobre 2019I fatti sono noti ma li riepiloghiamo: ad ottobre del 2018 la Whirlpool firma con il governo e i sindacati un accordo che prevede investimenti in Italia per 250 milioni di euro nel triennio 2019-2021, con cui si impegna a tenere aperti i diversi stabilimenti in Italia. Non mancano gli incentivi (dal 2014 la multinazionale americana ha intascato 50 milioni di euro dello Stato) ma pochi mesi dopo, il 31 maggio, l’azienda comunica la volontà di vendere il sito napoletano, in cui lavorano 412 persone, perché non profittevole, nonostante il piano di pochi mesi prima prevedesse per questo stabilimento lo stanziamento di 17 milioni di euro.
Da quel momento parte una trattativa in cui i vertici aziendali intervengono con dichiarazioni fumose e contraddittorie, finché non si arriva a metà settembre all’avvio della procedura per la cessione di ramo d’azienda, cioè la vendita del sito napoletano, ad una società sconosciuta, la PRS (Passive Refrigeration Solutions SA), con sede a Lugano.
I potenziali acquirenti sembrano usciti da una barzelletta; il presidente, tale Schmid, in un’intervista al Corriere del Mezzogiorno del 20 settembre ammette in ordine sparso che la società non ha capitali sufficienti (200mila franchi svizzeri di capitale sociale), non ha dipendenti, non potrà tenere l’attuale organico e dovrà pensarci seriamente se chiudere l’affare perché i lavoratori e i sindacati stanno facendo troppo casino. Ha però un brevetto eccezionale per fare container frigo, che gli ha fatto guadagnare una joint venture con una società cinese, dopo che il tentativo di produzione in Italia con la società Nomos è fallito nel 2017!
Come dicono gli operai napoletani: è un pacco (una truffa)! La Whirlpool sta avanzando una chiusura camuffata e il licenziamento di più di quattrocento persone, a cui come al solito si aggiungono quelle dell’indotto! Con ogni probabilità l’azienda mentre stava ai tavoli e fingeva di cercare soluzioni alternative aveva già deciso, e molti già sapevano. A niente sono servite le intimidazioni di Di Maio che ha minacciato di chiudere i rubinetti sempre aperti degli incentivi statali ai padroni. Di fronte alla richiesta di restituire parte di quelli già intascati la multinazionale americana ha fatto sapere di averli già spesi!
L’indignazione del passato così come dell’attuale governo non serve assolutamente a niente, stiamo parlando di una multinazionale che fattura 21 miliardi di dollari in un anno che non cambierà certo idea perché qualche ministro la considera irrispettosa. Questa sceneggiata è servita solo ad alimentare l’illusione che il ministro potesse risolvere il problema. Oggi, mentre gli operai protestano hanno un nuovo slogan: “Di Maio dove sei?” Ad ora però il capo 5 stelle non è ancora pervenuto.
Sui lavoratori napoletani cade il peso delle scelte di Whirlpool che derivano dalla situazione economica mondiale: la guerra dei dazi e il crollo del mercato europeo dei prodotti di alta gamma. Nel decreto sulle crisi industriali Di Maio aveva disposto per Whirlpool 16,9 milioni di euro, cifra che l’azienda ha considerato insufficiente per tenere in piedi il sito di Napoli e traghettarlo verso una riconversione sotto il proprio marchio. Secondo l’ amministratore delegato, La Morgia, il sito di Napoli non è economicamente sostenibile: in 10 anni si è passati dalla produzione di 700000 a 250000 pezzi annui. Con il calo nel primo semestre del 2019 del 36% per l’export internazionale e del 19% solo nell’area EMEA ( Europa, medio oriente e Africa). Oggi tocca a Napoli ma qualcuno già intravede un disimpegno dalla multinazionale dall’Italia e dall’area EMEA, con volumi in calo anche negli altri siti e funzioni che vengono delocalizzate. Ad ogni modo è chiaro che la crisi del settore è strutturale.
Di fronte a questa situazione non c’è alternativa ad una lotta serrata che coinvolga tutti i lavoratori del gruppo. Negli ultimi giorni i lavoratori napoletani hanno dato un nuovo impulso alla mobilitazione, con proteste quotidiane che hanno visto l’occupazione dell’autostrada e cortei cittadini. Nelle prossime settimane ci sarà un percorso di lotta che prevede scioperi e una manifestazione nazionale a Roma. Piegare la multinazionale americana attraverso una mobilitazione massiccia e colpendola nei profitti è l’unica strada per rifiutare non solo la cessione del ramo d’azienda ma anche l’idea della riconversione, affinché continui la produzione di lavatrici di alta gamma. Basta citare i casi della Whirlpool di Amiens, in Francia, di Carinaro, in provincia di Caserta e dell’ex Embraco, che sarà presente alla manifestazione del 4 ottobre a Roma, per verificare che dietro la promessa della riconversione si nasconde un binario morto e la chiusura.
La vertenza Whirlpool deve porre all’ordine del giorno una risposta allo strapotere padronale che coinvolga l’intero movimento operaio affinché la lotta della Whirlpool sia la lotta di tutti. Per porre fine al fatto che lor signori possano fare il bello e il cattivo tempo bisogna avanzare la parola d’ordine della nazionalizzazione e del controllo operaio. La salvaguardia dei posti di lavoro è prioritaria sui profitti di pochi, se la Whirlpool non è in grado di garantirli spetta ai lavoratori imporre una soluzione diversa dall’esito visto più volte in questi anni.