L’aggressione alla Jugoslavia – Un nuovo crimine dell’imperialismo (1999)
24 Marzo 2022Gkn – Dopo l’accordo vietato smobilitare!
26 Marzo 2022Il conflitto in Ucraina sta assumendo anche i contorni di una guerra energetica. In un sol colpo i governi occidentali hanno accantonato le loro belle promesse su un futuro libero dall’inquinamento e i progetti, sulla carta faraonici, come il Green New Deal sono stati fortemente ridimensionati a vantaggio di nuovi investimenti nei combustibili fossili.
Il prolungamento della guerra implica che i paesi dipendenti dal gas e dal petrolio russo saranno costretti a trovare delle alternative e poco importa quanto saranno inquinanti. Il problema si pone in particolare per l’Unione Europea, dove la discussione verte sull’individuazione di un nuovo mix energetico atto a ridurre dell’80% la dipendenza dagli idrocarburi russi, mentre gli Stati Uniti, affannati come sono a voler difendere la loro egemonia globale, hanno imposto l’embargo in solitaria alle importazioni di petrolio dalla Russia. La crisi del capitalismo si è manifestata attraverso la barbarie della guerra e la distruzione dell’ambiente.
La transizione energetica è stata seppellita
Il ritorno all’utilizzo di fonti energetiche altamente climalteranti è all’ordine del giorno anche in Italia, paese che, insieme alla Germania, è tra quelli che importano più gas russo. In Italia il fabbisogno di gas viene soddisfatto per il 40% dalla Russia, che esporta anche materiale essenziale per la transizione ecologica, come il nichel e il palladio (utilizzati per la produzione di batterie impiegate nei veicoli elettrici). Con lo scoppio della guerra il governo ha accelerato sul progetto di “indipendenza energetica” che, come ha dichiarato lo stesso Draghi, sarà perseguito anche attraverso la “riapertura delle centrali a carbone, per colmare eventuali mancanze nell’immediato”. Il carbone è una fonte energetica ad alti tassi di emissioni e in Italia si sta valutando la riapertura di due delle sette centrali di carbone, quelle di La Spezia e Civitavecchia. Inoltre il suo utilizzo rallenterebbe i già timidi accordi sul clima che prevedono la decarbonizzazione entro il 2050.
Ma non basta: per acquisire l’indipendenza energetica da Mosca, si progetta di costruire nuovi rigassificatori, allo scopo di convertire e immettere nelle tubature il GPL trasportato via nave. In questo modo alle emissioni di gas fossile si aggiungono quelle delle navi da trasporto e l’impatto ambientale dei rigassificatori stessi. L’ipocrisia del governo è palese se si pensa che, mentre si adottano misure economiche per colpire la Russia, si siglano nuovi accordi per forniture energetiche con regimi sanguinari come quelli in Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Egitto e Libia.
La strategia perseguita dal governo è quella di incrementare i flussi da gasdotti non a pieno carico come il Tap, riprendere le trivellazioni e aumentare l’estrazione dai pozzi esistenti in Italia. L’utilizzo delle riserve nazionali approfondirebbe solo i problemi ambientali connessi allo sfruttamento del suolo, ma non colmerebbe le necessità di approvvigionamento energetico perché, anche nell’ipotesi irrealistica di poter estrarre tutti gli idrocarburi stipati nel sottosuolo italiano, questi coprirebbero solo qualche mese di domanda di gas nazionale. La transizione ecologica non è fallita solo a causa dello scoppio della guerra, la verità è che al gran parlare di sostenibilità ambientale non sono seguiti reali piani governativi di riconversione industriale ed energetica. Complessivamente tra il 2020 e il 2021 i paesi del G20 hanno impiegato solo il 6% dei 14mila miliardi di dollari mobilitati per la ripresa economica in attività ed investimenti utili a contrastare il cambiamento climatico, come fonti rinnovabili, la mobilità elettrica e la riqualificazione industriale. Di questi solo il 27% hanno riguardato la riduzione diretta delle emissioni. Nello stesso arco temporale sono cresciute ovunque le spese militari.
Serve una rivoluzione
La catastrofe ambientale che è stata generata dal capitalismo è ancora davanti a noi e questa prospettiva viene confermata anche dal recente rapporto dell’IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change) pubblicato a fine febbraio. Gli eventi climatici estremi come le ondate di calore, la siccità e le inondazioni riguardano il presente, così come l’aumento globale della temperatura, già oggi molto vicino al raggiungimento del famoso tetto di 1,5°C in più rispetto ai livelli pre-industriali. Non c’è più tempo!
Le manifestazioni dei FFF negli scorsi anni hanno avuto il merito di esigere che si discutesse della tutela dell’ambiente, è da queste piazze che bisogna ripartire. I nostri interlocutori non sono i governi, che hanno già dimostrato di non voler fare nulla e di essere completamente piegati agli interessi delle grandi aziende e ai profitti dei pochi.
Esiste un immenso potenziale anti-sistema nei Fridays che deve diventare palese esprimendosi in una lotta anticapitalista che individua nella rivoluzione l’unica strada per farla finita con la guerra, con le diseguaglianze e con la distruzione dell’ambiente. Il 25 marzo siamo in piazza per queste ragioni.