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Un vecchio rancoroso, un Ucraino squilibrato e la Terza guerra mondiale

di Alan Woods

Sì, avete letto bene il titolo. Un vecchio uomo rancoroso a Washington e un presidente psicologicamente instabile a Kiev si sono dati da fare per tramare insieme un piano che potrebbe, potenzialmente, spingere il mondo nell’abisso.

Se tutto ciò assomiglia alla trama di un filmaccio di serie B, hai indovinato ancora. Ma ciò conferma soltanto il vecchio detto che la realtà spesso supera la fantasia. Persino la più bizzarra delle fantasie E ciò che sta davvero accadendo sull’arena diplomatica mondiale è certamente molto bizzarro.

È vero, i personaggi principali di questo strano film dell’orrore non si chiamano Ming lo Spietato oppure Dracula il Principe delle Tenebre, ma soltanto Joseph Robinette Biden (sebbene immagino che Robinette sia un nome abbastanza peculiare da dare a qualcuno) e Volodymyr Oleksandrovych Zelenskyy, un nome già molto più adatto ad un eventuale Conte sanguinario, che complotta per conquistare il mondo da un sinistro castello dalle montagne della Transilvania.

Tuttavia, a questo punto, l’avvincente parallelismo tra la noiosa realtà e il magnifico mondo dei vecchi film horror tanto rimpianti della Hammer comincia a venire meno. Al posto di due personaggi dell’orrore di statura romanzesca, ci ritroviamo in presenza di due uomini piuttosto piccoli, insignificanti e non molto interessanti (intelligenti ancor meno).

Per quanto riguarda l’aspetto fisico, l’ex-comico, che è presidente dell’Ucraina dal 2019, è alto appena 167 centimetri, sebbene il suo maestoso portamento, con il quale si muove nei corridoi del potere a Washington, Berlino e Londra, chiedendo grandi quantità di denaro sotto minaccia, lo fa apparire più alto di quanto non sia in realtà.

Per fare un paragone che alcuni potrebbero ritenere significativo, l’altezza del leader della Nord Corea, Kim Jong Un, è spesso indicata attorno ai 173 cm, ma non è chiaro da dove provenga questa informazione. In ogni caso, quello che gli manca in centimetri, quest’ultimo lo compensa con la detenzione di armi nucleari, che nelle relazioni mondiali tendono a trasformare i nani in giganti e viceversa.

Ma ho divagato troppo dalla narrazione principale, alla quale tornerò immediatamente. Quando dico piccoli, non intendo solo in termini di statura. Essi sono ancora più ridotti nelle loro qualità morali e intellettuali.

Com’è disgraziatamente tipico dei leader politici dell’epoca moderna (o meglio, postmoderna), entrambi questi uomini sono ugualmente privi di qualunque traccia di visione più ampia o di alcunché che assomigli da lontano a una visione filosofica coerente. Al contrario, le loro azioni vengono interamente dettate da considerazioni pratiche immediate e, in ultima analisi, dal gretto interesse e dalle esigenze della propria sopravvivenza politica (e nel caso di Zelensky, anche di quella fisica), alla quale tutto il resto deve essere sacrificato.

Mi affretto a precisare che non mi sto necessariamente riferendo alla minaccia rappresentata dalla sua nemesi personale, Vladimir Putin. Sebbene non corra buon sangue tra i due, non c’è assolutamente alcuna prova che i russi abbiano tentato di assassinare l’uomo di Kiev, nonostante abbiano avuto molte occasioni per farlo.

Dopo tutto, la rimozione dei propri nemici per mezzo di un banale assassinio – un tempo considerata come una pratica ripugnante degna soltanto delle nazioni più barbare – è diventata ormai abbastanza alla moda. Viene praticata regolarmente da Bibi Netanyahu, insieme a crimini di guerra troppo numerosi per essere qui menzionati. Tuttavia, strano a dirsi, il leader israeliano non ha subito nessuna conseguenza spiacevole per le proprie azioni. In effetti, è proprio il contrario.
Se i russi non hanno eliminato Zelensky con tali metodi (almeno finora), non è per ragioni etiche, ma semplicemente perché non trovano alcuna utilità nel farlo. Se elimini un leader nemico, quest’ultimo verrà semplicemente sostituito da qualcun altro, possibilmente da un individuo ancor meno di tuo gradimento.

Agli israeliani piace vantarsi del numero di nemici che hanno mandato all’altro mondo. Ma dimenticano di menzionare che tali azioni non sono servite a distruggere – o almeno a indebolire seriamente – né Hamas né Hezbollah. Le loro vanterie sono pertanto totalmente prive di contenuto.

La minaccia nei confronti di Zelensky è molto concreta. Ma essa proviene molto più da vicino di quanto non sia il Cremlino. Sebbene sia teoricamente il presidente dell’Ucraina, Zelensky è circondato da nemici ben più pericolosi. Gli elementi neo-nazisti (chiamati pudicamente dai media occidentali “ultra-nazionalisti”) osservano ogni sua mossa come avvoltoi affamati.

Questi individui hanno occupato posizioni solide nello Stato e nelle forze armate in particolare. Forniscono le truppe d’assalto più fanatiche (ed efficaci) al fronte. Ma il fronte sta rapidamente crollando. L’avanzata russa, che fino a poco tempo fa era lenta e progressiva, ha visto un’enorme accelerata. E gli “ultrà” non ne sono felici.

L’intera storia della guerra in Ucraina nel corso dell’ultimo anno è stata una storia di disastri per il regime di Kiev. L’avanzata russa è ormai irreversibile e il crollo delle difese ucraine è ora solo una questione di tempo.

Si sta preparando una sconfitta umiliante per gli Stati Uniti e per la Nato. In queste circostanze, le voci di negoziati con la Russia stanno diventando sempre più forti e insistenti. Ciò è abbastanza naturale. Quando il tuo esercito viene sconfitto su tutti i fronti ed è a corto di soldati, armi e munizioni, la cosa più logica da fare è aprire negoziati con la controparte.

Sfortunatamente, ciò che è naturale e razionale non è sempre ciò che viene fatto. Alla fine del 1944, era abbastanza chiaro che la Germania avrebbe perso la guerra. L’esercito di Hitler era stato distrutto dai russi, prima a Stalingrado, e poi nella battaglia di Kursk. L’Armata Rossa si stava dirigendo verso Berlino in quella che divenne l’avanzata più veloce nella storia militare.

Molti dei generali di Hitler avrebbero preferito negoziare con gli inglesi e gli americani, per evitare una vittoria sovietica schiacciante. Ma Hitler, reclusosi dal mondo nel suo bunker sotterraneo di cemento, era sordo a qualsiasi suggerimento di pace.

Ormai totalmente alienato dalla realtà, rifiutò di ascoltare i rapporti riguardanti le sconfitte. Al contempo, ai suoi generali venivano regolarmente impartite lezioni sull’inevitabilità di una vittoria tedesca, anche quando già si udiva il tuono dell’artiglieria sovietica nel centro di Berlino.

Hitler passava tutto il tempo a spostare divisioni inesistenti su fronti che erano già collassati. Solo quando i russi si trovarono letteralmente a pochi metri dal suo bunker, comprese finalmente la realtà e si suicidò. Il risultato inevitabile di ciò fu che l’intera Germania orientale, inclusa Berlino, cadde nelle mani dell’Armata Rossa vittoriosa.

Anche se ci sono palesi differenze tra la situazione di allora e quella in Ucraina oggi, ci sono anche chiare somiglianze. In particolare, Zelensky sta mostrando esattamente gli stessi sintomi psicologici che Hitler manifestava negli ultimi giorni del Reich tedesco.

I suoi cambiamenti di umore sono sempre più repentini. I suoi ordini sono così assurdi da non avere alcuna relazione con la realtà. Questo non ci sorprende, visto che ha da tempo chiuso i propri occhi e le proprie orecchie alla realtà.

Alcuni mesi fa, i media occidentali raccontavano che il presidente ucraino era diventato isterico e che urlava ai propri generali, accusandoli di raccontargli menzogne. In realtà, è più probabile che stessero tentando in qualche modo di raccontargli la verità sulla situazione disastrosa del fronte. Ma Zelensky si rifiuta di ascoltare le cattive notizie. Vuole solo buone notizie. E se non ce ne sono, allora bisogna inventarle.

Alla fine, avendo compreso che gli sforzi sono vani, i generali ormai gli riferiscono quello che vuole sentirsi dire: che gli ucraini stanno vincendo e i russi perdono. I media ucraini sono pieni di notizie assurde su offensive inventate da parte delle loro eroiche forze armate, proprio nel momento in cui queste ultime si danno ad una ritirata disordinata su tutti fronti.

La demoralizzazione si sta diffondendo velocemente nei ranghi dell’esercito. Persino la stampa addomesticata in Ucraina ha pubblicato alcuni articoli su soldati che si rifiutano di combattere, sul numero crescente delle diserzioni e sul fenomeno sempre più frequente di soldati che abbandonano le armi e si arrendono ai russi.

Qualche settimana fa, è stato riportato sulla stampa il caso di un ufficiale ucraino che si è rifiutato di ordinare ai propri uomini di lanciare un attacco scriteriato, che riteneva essere una missione suicida. L’ufficiale è stato rimosso all’istante, ma ci sono state proteste tra i soldati che chiedevano la sua reintegrazione.

L’offensiva nella regione di Kursk è stata un’avventura stupida e insensata, un tentativo disperato da parte di Zelensky di mostrare al mondo che l’Ucraina era ancora in grado di condurre un’offensiva vittoriosa contro la Russia sul suo territorio. Si è conclusa, inevitabilmente, con una sconfitta umiliante, dopo aver perso numerose vite e armi preziose.

Allo stesso tempo, il fronte centrale della guerra – che rimane il Donbass – è sottoposto ad un rapido sfondamento da parte delle superiori forze russe. Eppure, Zelensky persiste nella politica folle di inviare sempre più uomini a morte sicura nel Kursk – unicamente per il proprio prestigio personale – mentre priva sistematicamente il fronte del Donbass di forze, armi e munizioni essenziali.

La portata raccapricciante delle perdite ucraine è stata deliberatamente nascosta. Ma essa ha raggiunto un livello che non può essere più occultato, mentre la Russia gode di una schiacciante superiorità nei numeri e negli armamenti e sta rinnovando costantemente le proprie forze con nuove reclute.

Al contrario, il piano di mobilitazione di Zelensky non è riuscito a reclutare neanche lontanamente i numeri attesi e le autorità sono costrette ad impiegare metodi brutali per raccogliere le reclute recalcitranti fuori da bar e discoteche, inviandole immediatamente al massacro del fronte.

La disperazione di Zelensky

Potreste chiedervi perché Zelensky si ostini a rifiutarsi di negoziare con i Russi. In effetti, qualche tempo fa, ha fatto approvare una legge, che non ha sicuramente alcun precedente nella storia della giurisprudenza, che proibisce all’Ucraina di negoziare con Mosca finché Putin è al potere.

La verità è che è ormai un uomo disperato. Sa molto bene che se facesse una qualche mossa che possa essere interpretata come un tentativo di ottenere la pace, al prezzo di sacrificare anche solo una piccola parte del territorio ucraino, ciò provocherebbe una reazione feroce da parte degli elementi neo-nazisti nell’esercito e nell’apparato statale.

Il suo governo verrebbe quasi certamente rovesciato e la sua stessa vita sarebbe a rischio. Non proprio una bella situazione in cui ritrovarsi. A peggiorare il tutto, arriva l’elezione di Donald Trump.

Zelensky comprende che l’elezione di Trump rappresenta una svolta fondamentale della situazione. E gli uomini disperati fanno cose disperate.

Egli sta finalmente venendo a patti, suo malgrado, con l’idea che la guerra è persa ed in maniera irreversibile. E non c’è assolutamente nulla che l’Occidente possa fare per evitare una vittoria russa. Nulla, cioè, tranne forse scatenare uno scontro militare diretto tra Stati Uniti e Russia.

Il che equivarrebbe – chiamiamo le cose con il loro nome – alla Terza Guerra Mondiale.

Questo è il motivo per cui Zelensky chiede di avere mano libera per utilizzare missili a lungo raggio contro obiettivi in profondità all’interno della Federazione Russa.

Putin ha risposto immediatamente in maniera inequivocabile che ciò costituirebbe un atto di guerra da parte degli Stati Uniti, dal momento che i missili americani necessari per una tale operazione potrebbero essere utilizzati solo con la diretta partecipazione di personale militare americano.

Ciò comporterebbe che la Russia e l’America si ritroverebbero in uno stato di guerra. Questo non significa necessariamente una guerra immediatamente guerreggiata, nella quale partirebbero missili in ogni direzione. Ci sono molti modi con cui le ostilità possono manifestarsi.

Bisogna sottolineare che la Russia non è soltanto un paese con un esercito di grandi dimensioni, ben addestrato e ben equipaggiato, che ha provato il proprio valore sul campo di battaglia ucraino. L’esercito russo è al momento ben superiore a tutti gli eserciti della Nato in Europa messi assieme.

Inoltre, la Russia è lo Stato nucleare più potente al mondo, con un vasto arsenale di missili balistici intercontinentali, in grado di colpire qualsiasi obiettivo al mondo.

Si potrebbe pensare che questo fatto avrebbe dovuto suscitare un serio dibattito pubblico riguardo all’opportunità di prolungare in Ucraina quella che è chiaramente una battaglia persa e di correre il rischio di uno scontro diretto tra le due principali potenze nucleari al mondo.

Eppure, per quanto incredibile sia, nessun dibattito simile ha mai avuto luogo. Invece, l’opinione pubblica da entrambi i lati dell’Atlantico è stata rimpinzata con una dieta a base di menzogne e disinformazione, che la rende incapace di comprendere cosa stia realmente accadendo.

La crisi del Progetto Ucraina

In ogni guerra, c’è sempre una geometria nella propaganda, che viene congegnata per ingannare la popolazione e distrarre la sua attenzione dalla realtà di situazioni pericolose e minacciose. Questo è ancora più vero per la guerra in Ucraina di quanto non lo sia per ogni altra guerra che io ricordi.

Non molto tempo fa, l’opinione pubblica veniva inondata da una valanga incessante di propaganda rassicurante, che creava l’impressione che una vittoria ucraina contro la Russia fosse praticamente scontata.

Ma adesso sentiamo un adagio ben diverso. Tutti – o quasi tutti – hanno compreso che l’Ucraina ha perso la guerra e ad essere scontata adesso è una vittoria russa.

C’è una presa di coscienza crescente persino nei circoli dominanti in America – e sempre di più in almeno alcuni dei governi in Europa – del fatto che la guerra in Ucraina è persa in maniera irrecuperabile.

La vittoria di Trump ha posto un dilemma alla borghesia europea. Trump non fa segreto del suo desiderio di porre fine alla guerra in Ucraina, o almeno al coinvolgimento americano. È improbabile che i piagnucolii di Zelensky possano fargli cambiare idea.

Una volta che l’America avrà ritirato, o ridotto in maniera consistente, i propri aiuti finanziari e militari, il governo di Kiev si troverà in una situazione insostenibile. E con esso, tutti i governi in Europa che appoggiano il cosiddetto Progetto Ucraina.

I leader europei si sono recentemente incontrati nella capitale ungherese, Budapest, per discutere la questione ucraina alla luce della vittoria elettorale di Donald Trump. Zampettavano come tacchini di fronte a una macelleria alla vigilia di Natale, lamentandosi ad alta voce del loro destino.

Nonostante tutte le loro promesse, non c’è alcuna possibilità che gli europei saranno in grado di tappare il buco lasciato dalla ritirata americana. L’opinione pubblica da entrambi i lati dell’Atlantico sta diventando sempre più impaziente riguardo all’intera faccenda.

Questo è apparso molto chiaramente con il risultato delle elezioni presidenziali del 5 novembre. Eppure, l’opposizione alla politica di Trump è rimasta e ha preso una direzione disastrosa negli ultimi giorni.

Il voltafaccia di Biden

Da un giorno all’altro, l’uomo che rimane ancora testardamente attaccato alla propria poltrona alla Casa Bianca ha annunciato la propria decisione di cambiare la linea ufficiale americana di opposizione alla concessione agli ucraini del permesso di utilizzare missili a lungo raggio americani, al fine di colpire in profondità la Russia.

Questo è stato a dir poco uno shock. Solo qualche giorno prima, il presidente eletto Donald Trump si era intrattenuto per un’ora e mezza in quella che è stata descritta come una “amichevole” conversazione con Joe Biden alla Casa Bianca. Il colloquio ha affrontato molti temi diversi. Eppure, sembra che il tema dell’Ucraina abbia occupato soltanto cinque minuti.

In tutto questo tempo, sembra che Biden non abbia fatto alcuna menzione dei propri piani di cambiare la posizione dell’America e di permettere a Zelensky di utilizzare missili a lungo raggio americani al fine di colpire in profondità nel territorio russo.

Questa mossa non ha precedenti. Il periodo di transizione tra un’elezione presidenziale e l’effettiva assunzione del ruolo da parte del nuovo presidente era considerato come un periodo di calma, durante il quale il presidente uscente aiuta a preparare il terreno al proprio successore.

Invece che fare così, Biden ha a tutti gli effetti lanciato una bomba sul cammino di Donald Trump, che è stato chiaramente tenuto all’oscuro dell’intera faccenda, con una violazione spudorata di qualsiasi protocollo.

La spiegazione ufficiale per questo cambiamento di politica repentino è stata che i missili a lungo raggio erano necessari in risposta alla presunta decisione della Nord Corea di inviare truppe in appoggio alle forze russe nel Kursk. Ma fino ad oggi, non è stata prodotta la benché minima prova a sostegno di queste affermazioni.

È chiaro che tutta la storia delle truppe nordcoreane proviene da fonti ucraine ed è parte di una campagna di disinformazione sistematica, rivolta precisamente a fare pressioni sugli Stati Uniti affinché soddisfino le richieste di Zelensky.

In altre parole, è un esempio spudorato di fake news, l’ennesima di innumerevoli notizie false che sono state costantemente inventate da questa stessa fonte fin dall’inizio della guerra e che sono state riportate acriticamente dai media occidentali.

La verità è che il tragico voltafaccia di Biden non è diretto contro un immaginario esercito nordcoreano nel Kursk. Il suo primo obiettivo non è neanche la Russia. Esso è diretto contro il suo principale e peggior nemico: Donald Trump.

Joe Biden è un vecchio uomo, arrabbiato e pieno di rancore che non ha digerito di essere stato sostituito come candidato dal suo stesso partito, che ha poi subito una devastante sconfitta per mano di Donald Trump. Egli ribolle di rabbia e si consuma nella sete di vendetta per l’umiliazione ricevuta.

Adesso, potreste pensare che fattori come una rabbia incontrollabile e una sete di vendetta, per quanto siano caratteristiche ben note del comportamento umano, non dovrebbero avere alcun ruolo quando si tratta di prendere importanti decisioni politiche ai livelli più elevati del governo della nazione più potente sulla Terra. Questo dà per scontato che abbiamo a che fare con uomini e donne di una certa caratura politica, dotati di principi etici e di acume. Allora, il Presidente degli Stati Uniti d’America non dovrebbe rientrare in questa descrizione? Eppure, una tale supposizione non è sempre scontata.

Abbiamo già detto che Joe Biden è un piccolo uomo. Questo viene ampiamente dimostrato dal suo comportamento in quest’ultima ignobile faccenda. Una tale condotta non solo è indegna di un uomo che detiene la più alta carica negli Stati Uniti d’America. È a malapena degna di un politico di provincia di quartultima categoria di una piccola città del Midwest.

Il paragone più accurato è quello con i capricci di un ragazzino viziato che è stato privato del suo giocattolo preferito e, per vendetta, mette meticolosamente a soqquadro la propria stanzetta. Solo che qui, quello che ha fatto Biden non è stato sfasciare una stanza, bensì far correre un pericolo mortale all’intera popolazione degli Stati Uniti e, forse, del mondo intero.

Biden è ben consapevole, come lo sono tutti i componenti del suo governo di guerrafondai usciti dalla Guerra Fredda, che questa azione supera una linea rossa che era stata chiaramente tracciata da Vladimir Putin molti mesi fa.

La minaccia di lanciare missili da crociera contro Mosca e altre città russe assume un aspetto ancora più sinistro alla luce delle recenti minacce di Zelensky per cui, se gli Stati Uniti dovessero tagliare gli aiuti all’Ucraina, il regime di Kiev procederebbe immediatamente a sviluppare le proprie armi nucleari.

La notizia di questo sviluppo allarmante non è stata resa pubblica dalla Casa Bianca. La prima menzione di essa la si trova in un articolo del New York Times. Mentre scrivo queste righe, lo stesso Biden non ha ancora rilasciato alcuna dichiarazione, sebbene sembri che ufficiali di alto grado nella sua amministrazione abbiano in realtà confermato la cosa.

È inutile dire che tale sviluppo sia stato accolto da un’ondata di critiche negli Stati Uniti. Trump non ha ancora commentato il fatto di persona e potrebbe non farlo. Ma il suo figlio maggiore, Donald Trump Junior, ha denunciato la cosa, così come Elon Musk e altri noti esponenti trumpiani, che sicuramente conoscono molto bene l’opinione di Trump al riguardo.

Non è difficile immaginare che Trump abbia accolto la notizia con una rabbia prevedibile. Il fatto che Biden gli abbia parlato per un’ora e mezza e non abbia fatto alcuna menzione di una cosa che aveva sicuramente già deciso molto prima può solo essere interpretata come un’offesa calcolata e come una spudorata provocazione.

Non dimentichiamoci che Trump ha ottenuto una clamorosa vittoria elettorale dopo aver fatto una campagna con la promessa di porre fine al coinvolgimento americano nelle guerre ed utilizzare piuttosto il denaro dei contribuenti per migliorare il tenore di vita degli americani. Egli ha detto che avrebbe posto fine alla guerra russo-ucraina nel giro di 24 ore.

Finora, come abbiamo detto, Trump non ha fatto alcun commento su questi ultimi sviluppi. Questa è probabilmente la cosa giusta da fare, dal momento che i suoi nemici politici nei media gli volano intorno come avvoltoi, in attesa di piombargli addosso al primo errore commesso.

Se si esprimesse pubblicamente contro la decisione di Biden, verrebbe immediatamente accusato di slealtà nei confronti degli Stati Uniti, di appoggiare Putin, di tradire l’Ucraina e così via. Meglio, dunque, lasciare che altri parlino al posto suo e restare a guardare per qualche settimana. Poi, una volta che si sarà saldamente insediato alla Casa Bianca, potrà facilmente ordinare ai propri funzionari di ignorare le decisioni irresponsabili del predecessore.

Agendo come ha fatto, Biden ha mostrato un disprezzo assoluto non solo per il presidente eletto, ma per tutto il popolo americano, il cui verdetto sui democratici – incluso Joe il Genocida – non potrebbe essere più chiaro. E questo uomo ha persino l’insolenza e la sfrontatezza di accusare Trump di mettere a rischio la democrazia americana!

E adesso?

Zelensky non ha perso tempo a trarre pieno vantaggio dal semaforo verde concessogli dal vecchio rancoroso alla Casa Bianca. Nel giro di poche ore, è stato lanciato un attacco su obiettivi all’interno della Russia con sei missili ATACMS.

I russi affermano di aver abbattuto cinque missili su sei e di aver danneggiato l’altro. Nessuna vittima è stata segnalata.

A dire il vero, questi missili sono nelle mani degli ucraini già da più di dodici mesi. L’idea era di utilizzarli per colpire la Crimea e, nello specifico, per distruggere il ponte che connette la Crimea con la Russia continentale.

In queste nuove armi sono state riposte grandi speranze, come grandi speranze erano state riposte in tutte le altre cosiddette “armi straordinarie” che si prevedeva sarebbero state dei “punti di svolta”. Ma tutte si sono rivelate deludenti.

Al momento, il ponte di Crimea è ancora in piedi. I russi hanno sviluppato le tecniche necessarie per fronteggiare i missili ATACMS e ne hanno abbattuti molti, oltre a distruggere le basi dalle quali venivano lanciati.

Sembra che gli ucraini ormai si siano dati per vinti in Crimea. Si stanno, invece, concentrando sul Kursk, dove, tra l’altro, hanno subito gravi perdite e sono stati costretti sulla difensiva.

Adesso si spera che l’utilizzo dei missili ATACMS sarà – udite, udite! – un punto di svolta nel Kursk. Non è un caso che l’ultimo attacco ucraino sia stato rivolto contro un grosso arsenale nella città di Karachev, nella regione di Brjansk, che dista solo 210 chilometri dalla città di Kursk.

L’idea che i successi russi siano dovuti all’intervento delle truppe nordcoreane è talmente assurda da non resistere all’analisi più superficiale. L’esercito russo dispone adesso probabilmente di più di un milione di truppe, che possono essere dispiegate nel Kursk o in qualsiasi altra parte dell’Ucraina, a propria scelta.

Perché dovrebbero aver bisogno dell’aiuto dei soldati nordcoreani, che dovrebbero essere addestrati ai metodi russi e anche apprendere a parlare almeno quel tanto di russo per comprendere gli ordini, è difficile da immaginare.

Con ciò non voglio dire che non ci siano soldati nordcoreani in Russia, dal momento che la Nord Corea e la Russia hanno ora un’alleanza militare molto stretta. Tuttavia, non è stata avanzata alcuna prova finora che dimostri che soldati nordcoreani siano stati impiegati con un qualche ruolo attivo sui campi di battaglia veri e propri di Kursk o altrove.

Lo ripeto, l’unica “prova” di queste affermazioni ripetute fino alla nausea proviene dagli ucraini, e simili affermazioni nel passato si sono spesso rivelate semplice propaganda, progettata per confondere e disorientare l’opinione pubblica mondiale.

La ragione per cui l’Ucraina sta perdendo la guerra non ha nulla a che vedere con la presenza o meno di qualche migliaio di soldati nordcoreani. Si spiega, bensì, con il semplice fatto che la Russia dispone di una schiacciante superiorità di truppe, armi, munizioni, missili, droni e anche di una superiorità per quanto riguarda il morale e la tattica.

Il Pentagono era – ed è ancora – fortemente contrario alla misura adottata da Biden, non per considerazioni umanitarie, ma per ragioni puramente pratiche.

Prima di tutto, essi sanno che la guerra in Ucraina è perduta e capiscono che inviarvi altre armi ed equipaggiamento è uno spreco inutile di risorse preziose. Gli arsenali di armi detenuti dagli USA non sono inesauribili e sono stati significativamente svuotati dalla guerra in Ucraina.

Rispetto a quest’ultima folle avventura, il Pentagono sottolinea – di nuovo, a ragion veduta – che l’invio di missili a lungo raggio all’Ucraina al fine di attaccare obiettivi in profondità in Russia non avrà assolutamente alcun effetto sugli esiti della guerra.

La gittata massima dei missili ATACMS è di 300 chilometri. Essi non sono pertanto in grado di colpire obiettivi “in profondità all’interno del territorio della Federazione Russa”. Infatti, possono essere utilizzati con efficacia solo nelle zone di confine, quali sono precisamente Kursk e Brjansk.

Ciò non può ribaltare l’andamento della guerra e non lo farà. Quello che otterrà sarà far infuriare i russi e spingerli a prendere contromisure che non saranno di gradimento degli Stati Uniti. Ed essi hanno molte opzioni per infliggere gravi danni agli interessi americani in tutto il mondo.

Lasciamo da parte il fatto che Vladimir Putin ha appena annunciato la decisione di abbassare la soglia critica per l’utilizzo delle armi nucleari in risposta ad un attacco nemico, così da includere attacchi contro il territorio russo per mezzo di armi convenzionali, qualora questo attacco venga condotto in collaborazione con una nazione che detiene armi nucleari.

Mosca ha molti altri mezzi che può utilizzare prima di fare ricorso all’arma definitiva. I russi possono indubbiamente aumentare i propri aiuti all’Iran, ad Hezbollah, agli Houthi e a molti altri gruppi ed individui che sarebbero semplicemente troppo felici di partecipare ad azioni contro gli Stati Uniti.

Immaginate se i russi fornissero agli Houthi missili sofisticati per affondare le navi da guerra americane. Le possenti portaerei che navigano intorno al Medio Oriente sarebbero facili bersagli di quello che si rivelerebbe un attacco catastrofico.

Ma questo è esattamente quello che gli americani hanno intenzione di fare in relazione ai propri alleati ucraini. E, logicamente, ciò che è giusto per una parte deve esserlo anche per l’altra.

Tutti questi fatti sono perfettamente chiari agli strateghi militari di Washington, cioè agli esperti militari più competenti i quali, a differenza dei generali della domenica della Casa Bianca, che le battaglie le combattono solo sulla tastiera dei propri computer, hanno un’esperienza vera delle guerre reali.

Il Pentagono pone la domanda ovvia: perché dovremmo gettare denaro nel buco nero di una guerra che non possiamo vincere? Abbiamo già speso quantità colossali di denaro, perché dovremmo spenderne ancora senza alcun motivo?

Dal punto di vista dei reali interessi dell’imperialismo americano, queste domande si basano su una logica impeccabile. Ma Biden non è interessato alla logica, la sua unica ossessione è quella di infliggere il massimo danno a Donald Trump e alla Russia nelle poche settimane che gli rimangono.

Vorrebbe che la guerra in Ucraina continuasse almeno finché non sarà tranquillamente andato in pensione. Non gli importa quanti ucraini dovranno ancora morire per soddisfare la sua vanità personale e proteggere quella che considera la sua immagine consegnata alla Storia.

In realtà, l’immagine lasciata dall’amministrazione Biden sarà quella dei fallimenti costanti, delle sconfitte, delle guerre, dei morti e dei deficit di bilancio. Si tratta di un’amministrazione fallita guidata da una combriccola di mediocri senza cervello.

E fino alla fine, questa stessa cricca di politici falliti e di avventurieri criminali, rifiutandosi di ammettere i propri errori, insiste nel prolungare l’agonia il più a lungo possibile. Naturalmente, le vittime di questa agonia non sono loro, bensì lo sciagurato popolo dell’Ucraina.

 

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