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Un primo bilancio del movimento “Blocchiamo tutto”

di Alessio Marconi

A un mese dalle esplosive mobilitazioni del 3-4 ottobre, è necessario fare un primo bilancio.

La prima considerazione è che dal 4 ottobre non c’è stato un allargamento, ma un ripiegamento delle mobilitazioni. Esiste certamente un elemento oggettivo in questo. Il cessate il fuoco a Gaza, pur condannando all’oppressione la popolazione palestinese e pur essendo già stato violato da Israele, ha per il momento tolto l’elemento esplosivo della mobilitazione contro il genocidio.

Detto questo, se si guarda il quadro di insieme, la tregua è a dir poco fragile e il quadro internazionale è più instabile che mai: a giorni si aspetta un attacco USA sul Venezuela ed esplosioni insurrezionali si susseguono in un paese dopo l’altro. I fattori potenzialmente esplosivi aumenteranno e non diminuiranno nei mesi a venire.

Ma c’è un elemento più profondo: nelle mobilitazioni per la Palestina si è espressa una esasperazione accumulata in anni e anni di crisi, che ha trovato un punto di sfogo e non si può certo cancellare con una tregua rattoppata. Continua a esistere e cercherà altri punti di rottura.

Il problema della direzione

Se ci fosse stata una direzione all’altezza, il movimento di inizio autunno avrebbe potuto già generalizzarsi in un’offensiva aperta contro il governo Meloni e il padronato, per riconquistare tutto ciò che per decenni è stato tolto alla classe lavoratrice e ai suoi figli.

È mancata però la chiamata a questo scontro. In particolare la direzione della CGIL, che è stata trascinata dalla mobilitazione spontanea a convocare lo sciopero del 3 ottobre, ha usato il suo ruolo non per rilanciare il movimento su un livello più alto, ma per ridurlo alle dimensioni del suo più modesto orizzonte politico.

La manifestazione nazionale del 25 ottobre è stata espressione di questo. Da un lato ha mostrato sì la consistenza di un settore organizzato della classe operaia, con più di 100mila persone. Sono scesi in piazza anche settori che erano stati poco toccati dalle mobilitazioni dei mesi precedenti, soprattutto nel privato e nell’industria. Questa forza organizzata non può non preoccupare il governo, che infatti ha tradito un certo nervosismo attaccando apertamente Landini e la CGIL.
Dall’altro, però, si è visto ben poco del carattere spontaneo e dirompente delle date precedenti, che hanno reso questo autunno un punto di svolta nel quadro politico.
Parallelamente, l’opposizione parlamentare ha dismesso gli abiti di piazza e torna a rassicurare che tutto verrà risolto nelle urne, oggi quelle regionali e poi quelle nazionali… a patto di avere la pazienza di attendere il 2027.

Non si torna indietro

Un osservatore superficiale potrebbe pensare che si torni semplicemente a prima del movimento per la Palestina. Ma sarebbe una conclusione molto sbagliata. Milioni di persone hanno verificato la possibilità concreta di una lotta di massa e la forza che essa può dispiegare. Questo avrà conseguenze permanenti sulla coscienza e sugli eventi a venire. L’assenza di una direzione adeguata può mutare i tempi del processo e renderlo meno lineare, ma non può arrestarlo. A un dato momento nuove esplosioni anche a un livello superiore sono inevitabili. In questo senso, quello che abbiamo visto è solo una anticipazione delle lotte future.

Il punto quindi è lavorare per costruire ciò che è mancato. Oggi non serve esaurirsi in una maratona di piccole mobilitazioni di piazza, ma piuttosto discutere e organizzarsi per costruire una direzione all’altezza dello scontro che si profila davanti a noi, perché si impongano man mano un programma e dei metodi corretti.

Un terreno su cui questo è evidente è lo scontro con il governo e il padronato. Negli ultimi 6 anni i lavoratori italiani hanno perso il 10% del potere d’acquisto. A questo impoverimento si somma il taglio di servizi fondamentali. Si chiudono contratti con aumenti che coprono a malapena un terzo dell’inflazione, come avvenuto nella sanità, e la manovra del governo insiste su questa linea.

Mentre CISL e UIL si accodano al governo, l’Assemblea Generale della CGIL con ogni probabilità convocherà uno sciopero generale. Qui si pone un punto: questo sciopero deve avere le caratteristiche rituali di quelli degli anni scorsi o deve invece assumere lo slancio del 3 ottobre? Ma questo è possibile solo sulla base di un programma all’altezza, che dimostri la volontà di aprire un vero scontro e di portarlo fino in fondo: un aumento salariale generale che recuperi immediatamente il potere d’acquisto perso con l’inflazione; la reintroduzione della Scala Mobile dei salari; il taglio alla spesa militare e il raddoppio dei fondi a scuola e sanità; la messa sotto il controllo dei lavoratori dell’industria bellica e la sua riconversione a fini di utilità sociale; la nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori delle aziende in crisi; il rifiuto del pagamento del debito pubblico e la nazionalizzazione del sistema bancario con indennizzo solo ai piccoli risparmiatori. Punti come questi, e i metodi con cui condurre la lotta nel modo più efficace, devono essere discussi e decisi dai lavoratori nei posti di lavoro. È necessario farla finita con l’impostazione burocratica per cui i lavoratori non possono decidere nulla. Solo il protagonismo dei lavoratori può generare la forza necessaria a sconfiggere la controparte.

Il secondo terreno, decisivo, è il processo di politicizzazione giovanile. Il movimento autunnale ha portato con sé una ripresa generale del dibattito e delle mobilitazioni giovanili, in particolare nelle scuole. Un’ondata di occupazioni e mobilitazioni nelle scuole, brevi ma largamente partecipate, è stato la superficie visibile di un processo molecolare più ampio, che si esprimerà nella mobilitazione del 14 novembre. Anche qui siamo solo agli inizi.

La cosa fondamentale è armarsi politicamente, discutere di come si può portare avanti questa battaglia generale, a partire dagli esempi internazionali, dalle lezioni dei movimenti del passato e da un bilancio del movimento di questo autunno, perché si affermi un programma genuinamente rivoluzionario.

L’orizzonte è quello che vediamo in tutto il mondo, dove sono i giovani a vedere nel modo più cristallino la natura marcia del sistema e a trarre più rapidamente la conclusione che è necessario lottare per rovesciarlo. L’argine si è rotto, altri ancora dovranno essere abbattuti. Le settimane che abbiamo alle spalle sono un concentrato di lezioni che devono essere studiate per armarci per le battaglie davanti a noi.

 

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