La rivoluzione russa
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22 Febbraio 2017Travolta dalle inchieste, alle prese con il quarto cambio nella compagine degli assessori in poco più di sei mesi, senza lo straccio di un’idea, quale che sia, per governare una città allo sbando di tre milioni di abitanti, Virginia Raggi con il M5S a Roma va avanti, soprattutto per la plateale assenza di avversari minimamente all’altezza.
L’unica cosa che riesce a fare sono gli sgomberi dei centri sociali storici della città: siamo già a quota tre, il Corto Circuito, il Brancaleone e il Rialto.
Il progetto dello stadio
Superato per il rotto della cuffia l’esame del bilancio, la Raggi è ora paralizzata di fronte alla questione nuovo stadio della Roma, aspettando che qualche illustre parere inattaccabile, della Soprintendenza, dell’Unesco o dell’Onu, dicano forte e chiaro che lo stadio non si può fare, togliendo a lei l’insostenibile peso dell’incombenza di imboccare una strada conseguente ad una decisione chiara.
La precedente giunta Marino ha passato il testimone con le spine: una delibera in cui si sanciva l’interesse pubblico in un’opera di monumentale speculazione edilizia, la più clamorosa in Europa di questi tempi, la più grande a Roma dalle olimpiadi degli anni sessanta.
Una colata pari a oltre un milione di metri cubi di cemento – in cambio di qualche opera pubblica da parte dei privati – con il più inguardabile stravolgimento di un piano regolatore in una zona destinata alla creazione di un parco fluviale. Tre torri enormi, centinaia di palazzi con uffici a costituire un business Park da mettere attorno allo stadio che finirebbe per essere nemmeno il 20% di tutto il progetto.
Si chiama edilizia contrattata, a Roma ha fatto più danni della malaria, tirando su in maniera sciagurata interi quartieri dove sono state attirate centinaia di migliaia di persone, trovatesi a vivere in deserti di palazzi su palazzi circondati da centri commerciali alti come la torre di Pisa e slot machine. I costruttori hanno comprato terreni agricoli a due lire, si sono fatti cambiare la destinazione d’uso e ottenuto l’interesse pubblico in cambio di opere per la collettività che, nella maggior parte dei casi, rimangono solo sulla carta. Intanto hanno incassato lauti profitti.
Ad oggi il M5S è ancora diviso e confuso di fronte alla proposta dello stadio a Tor di Valle ed è impossibile dar conto delle mille giravolte della giunta, accelerate e frenate, dichiarazioni l’una di segno contrario all’altra, che hanno costellato il dibattito apertosi a Roma negli ultimi mesi.
Eppure, vi era una possibilità se non si voleva fare lo stadio: votare in consiglio comunale, dove la Raggi ha una schiacciante maggioranza, una delibera che annullasse quella con la quale Marino aveva accordato la pubblica utilità al progetto presentato dalla Roma.
Era una decisione troppo drastica? Quella delibera stabilisce che nel caso dovesse saltare anche solo una delle opere pubbliche previste, la pubblica utilità verrebbe automaticamente a cadere, quale assist migliore per trovare un pretesto?
La verità è che a Roma il M5S non si è ancora completamente piegato alla logica della classe dominante, cosa che potrebbe avvenire presto proprio a partire dallo Stadio, ma non è in grado di contrapporvisi con decisione.
Questa confusione lo sta dilaniando: ci sono una decina di consiglieri comunali pronti a votare contro la Raggi se dovesse dare semaforo verde allo stadio, coperti da Roberta Lombardi, un’influente parlamentare romana, che ha tuonato violentemente contro l’opera di Parnasi (il costruttore a cui si è affidata Unicredit, che controlla ancora un pacchetto della As Roma).
L’esperienza di un indipendente di sinistra nella giunta Raggi
La vicenda dello stadio ha contribuito a fare a pezzi l’esperienza come assessore ai lavori pubblici dello storico urbanista indipendente di sinistra, Paolo Berdini.
Berdini, nell’ordine:
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in un primo momento ha provato a fare semplicemente da passacarte del progetto alla Regione senza esprimere un suo parere
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successivamente, prima degli arresti che hanno travolto il “cerchio magico” affaristico-malavitoso che gestiva il comune insieme alla Raggi, si è adeguato alla linea di chiedere soltanto una diminuzione delle cubature, chiedendo in particolare di togliere una delle tre torri del business Park
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quando ad inizio 2017 la giunta Raggi è stata travolta dagli arresti, si è fatto usare per rilanciarne l’operato, mettendoci la faccia con tanto d’intervista a tutta pagina nell’edizione nazionale del Corriere della sera con la promessa di diecimila alloggi popolari entro l’anno e l’annuncio di una svolta ambientalista che metteva nel cassetto lo stadio
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alla fine, di fronte all’ennesima giravolta della Raggi, è stato definitivamente fatto fuori
E sì che Berdini voleva dimettersi dal settembre del 2016, dopo la cacciata da parte della Raggi, degli assessori legati al vecchio commissario di Roma, il prefetto Tronca (la “notte dei lunghi coltelli” con cui la sindaca si è legata al malaffare di Romeo e Marra poi finiti, rispettivamente, sotto inchiesta e in carcere).
È rimasto in giunta per tener fede agli impegni presi con il movimento e per tenere in piedi le tragiche illusioni coltivate da un settore dei movimenti, e in particolare modo dall’USB, sul fatto che il M5S potesse essere condizionabile da sinistra.
Logorato dalla speranza che i grillini potessero venire sulle sue posizioni, senza mai chiamare realmente ad una mobilitazione contro lo stadio che potesse sostenere le sue posizioni, Berdini, che aveva avuto tante occasioni per sbattere la porta, si è fatto cacciare nel modo peggiore. L’idea di non aprire una battaglia aperta in consiglio comunale e magari attraverso una assemblea di massa in piazza del Campidoglio ma di usare le interviste e il gossip anomino dice molto su questa figura osannata da un settore dei movimenti e da quel che resta della sinistra riformista romana, Rifondazione Comunista in primis.
Se il futuro dello stadio della Roma rimane ancora tutto da scrivere come il destino di Beppe Grillo, quello del tentativo di condizionare da sinistra e fare la sponda al Movimento Cinque Stelle è già scritto. A lettere belle grosse.