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La caduta della donna – La proprietà, l’oppressione e la famiglia
27 Febbraio 2025
Ennesimo incidente in alternanza scuola-lavoro, il PCTO va abolito!
1 Marzo 2025di Franco Bavila
Si possono muovere molte accuse a Trump, ma bisogna riconoscergli un merito: sta mostrando a tutto il mondo il vero volto della classe dominante americana. Lui, Musk e gli altri miliardari di cui si circondano stanno facendo rapidamente cadere tutta l’apparenza di rispettabilità, tutta la retorica sui presunti valori occidentali, dietro le quali fino a poco tempo fa si cercava di nascondere la natura rapace e feroce dell’imperialismo a stelle e strisce.
America First
Prendiamo ad esempio tutte le dichiarazioni shock sull’annessione della Groenlandia, del Canada e di Panama. Non si tratta di semplici sparate e il messaggio di Trump è chiaro: agli USA non interessa più svolgere il ruolo di gendarme mondiale, che interviene militarmente ai quattro angoli del pianeta per difendere un certo ordine internazionale (spesso con effetti catastrofici, come in Iraq e Afghanistan); vogliono piuttosto concentrarsi esclusivamente sulla propria sfera di influenza. Questo vuol dire sbarazzarsi senza troppi complimenti di una serie di impegni onerosi in paesi ritenuti di secondaria importanza e nella sfera di influenza di altre potenze (come l’Ucraina e Taiwan), ma allo stesso tempo rivendicare un dominio incontrastato nelle aree strategiche per gli interessi americani e cioè il continente americano (a partire da Canada e Messico), i flussi commerciali tra Pacifico e Atlantico (attraverso il Canale di Panama) e le nuove rotte artiche (rispetto alle quali la Groenlandia è fondamentale). In queste zone Trump vuole essere il padrone in un modo o nell’altro e per ottenere questo scopo è pronto a mettere i piedi in testa ad “alleati storici” della NATO come Canada e Danimarca.
Questa nuova politica estera mette fine a una grande finzione: gli USA non pretendono più di agire per difendere la democrazia e i diritti umani, ma riconoscono sfacciatamente di agire esclusivamente in base ai loro interessi imperialisti di grande potenza. Trump non parla più di difendere la libertà dell’Ucraina e di Taiwan, ma è ben intenzionato a mettere le mani sulle terre rare nel sottosuolo ucraino e sui microchip prodotti dalle aziende taiwanesi. Trump vuole tenere i cinesi fuori dal Canale di Panama e non sarà certo il rispetto della “sovranità nazionale” di un piccolo Stato centroamericano a impedirglielo.
Anche nelle relazioni tra USA e Unione Europea il linguaggio è decisamente cambiato, come ha dimostrato il discorso pronunciato a Monaco di Baviera dal vice-presidente Vance, che ha lasciato di sasso i suoi “alleati” europei. Se in passato la subordinazione delle borghesie europee all’egemonia americana veniva addolcita da tanta retorica sulla fratellanza in nome dei comuni ideali liberali, oggi la Casa Bianca pretende la sottomissione incondizionata della UE con la massima arroganza possibile e Vance accusa il liberalismo – non Putin o la Cina – di essere la minaccia numero uno alla democrazia in Europa.
La stampa “libera”
La nuova amministrazione Trump sta impartendo a tutti anche un’interessante lezione sulla libertà di stampa sotto il capitalismo, lanciando un attacco feroce allo USAID, l’Agenzia per lo sviluppo internazionale. Lo USAID fornisce cospicui finanziamenti ad associazioni, mezzi di informazione e ONG in tutto il mondo, allo scopo di promuovere – sotto il paravento degli aiuti umanitari – un orientamento filo-americano nell’opinione pubblica di una quantità di paesi.
Da una parte Trump vuole sbarazzarsi del personale “liberale” ai vertici dello USAID legato alla precedente amministrazione, dall’altra non ne vuole sapere di sprecare denaro in paesi che non considera decisivi per gli interessi USA. Come ha dichiarato il Segretario di Stato Marco Rubio: “Ogni dollaro che spendiamo, ogni programma che finanziamo, e ogni politica che promuoviamo deve essere giustificata in base alla risposta a tre semplici domande. Rende l’America più sicura? Rende l’America più forte? Rende l’America più prospera?”
Il bello è che in questo scontro interno tra settori diversi dell’apparato statale, è venuto fuori che lo USAID finanziava 6.200 giornalisti, 707 giornali e 279 media in giro per il mondo! Si è quindi scoperto che il 90% dei mezzi di informazione ucraini sopravvive solo grazie ai fondi dello USAID. Stesso discorso per i media dell’opposizione liberale russa anti-Putin, per la stampa cubana anti-castrista a Miami e per numerosi altri giornali in Europa orientale, in America Latina, ecc.
È dunque sotto gli occhi di tutti che una bella fetta della “libera stampa indipendente” a livello internazionale è in realtà dipendente dai finanziamenti dello Zio Sam e non è altro che uno strumento di propaganda filo-americana.
Politiche green e inclusive
L’avvento di Trump ha rappresentato un bagno di realtà anche per quanto riguarda le politiche “green”. Il tanto strombazzato Green New Deal di Biden in realtà è stato poco più di fumo negli occhi per quanto riguarda la tutela dell’ambiente, basti pensare che sotto la sua presidenza gli USA hanno raggiunto un record nella produzione di petrolio. Ora però il “drill, baby, drill” di Trump ha demolito questa finzione: la borghesia americana grida a tutto il mondo che continuerà a fare profitti con l’estrazione di gas e petrolio, infischiandosene del riscaldamento globale. Viene così meno una volta per tutte l’illusione che sotto il capitalismo sia possibile una “transizione ecologica”, senza mettere in discussione l’intero sistema di produzione basato sulla massimizzazione del profitto.
Allo stesso modo Zuckerberg e gli altri magnati della Silicon Valley sono stati rapidissimi nel voltare le spalle alle politiche “inclusive”, che pure avevano cavalcato per anni, per salire sul carro di Trump. Anche in questo caso è andata in pezzi l’illusione che la soluzione alle diverse forme di oppressione potesse arrivare tramite la battaglia culturale patrocinata da un settore di borghesia illuminata, invece che dalla mobilitazione di massa per i diritti e le condizioni materiali delle donne, dei neri e delle persone LGBT.
Se con Trump la classe dominante getta la maschera e mostra senza vergogna la sua natura ultra-reazionaria, la soluzione non può certo essere quella di tornare ad agghindare gli orrori del capitalismo e dell’imperialismo con gli orpelli liberal-democratici, di ristabilire i vecchi inganni del “politicamente corretto”, di rimettere il guanto di velluto sul pugno di ferro. La lotta contro Trump non può che essere una lotta rivoluzionaria contro il sistema marcio che l’ha generato.