La militanza rivoluzionaria di Engels, a 200 anni dalla nascita
28 Novembre 2020Roma – La Sapienza ai tempi del Covid
1 Dicembre 2020Un enorme movimento di protesta sta scuotendo la società thailandese dalle fondamenta, costringendo il regime a fare dei passi indietro. I giovani, in prima linea in questo movimento, devono rivolgersi alla classe operaia e lottare per porre fine al regime della giunta militare, la monarchia e il marcio sistema capitalista che entrambe rappresentano.
Negli ultimi cinque mesi, la Thailandia è stata scossa da proteste di massa. Il governo thailandese sta affrontando contemporaneamente una serie di crisi interconnesse. L’economia è in pessimo stato. Come ha sottolineato l’Economist ad aprile, anche prima dell’impatto del coronavirus, la crescita nel 2019 è stata la più lenta degli ultimi cinque anni. Di recente abbiamo sottolineato che la Thailandia è stata colpita dalla trappola del “reddito medio”, dove non è più in grado di attrarre tanti investimenti a causa dell’aumento dei salari, ma non è nemmeno abbastanza produttiva per competere con i suoi vicini, come Cina e Corea del Sud. Ciò ha portato aziende come Mazda e GM a spostare la produzione fuori dal paese. Il coronavirus ha solo aggravato i problemi. Il paese fa molto affidamento sul turismo, che rappresenta il 20% del suo PIL. La Banca centrale ora prevede che l’economia si contrarrà dell’8% nel 2020 e milioni di persone stanno già diventando disoccupati.
Inoltre, la povertà è aumentata. Circa un decimo della popolazione vive con 2,85 dollari al giorno, mentre il debito delle famiglie si attesta a circa l’80% del PIL: uno dei rapporti più alti in Asia. Circa il 40% della popolazione thailandese lotta per sbarcare il lunario. Pertanto, molti thailandesi, e soprattutto i giovani, non vedono alcuna speranza nel futuro.
Ottobre
Il 14 ottobre, un corteo di decine di migliaia di manifestanti è arrivato fino al Palazzo del Governo. Hanno sfondato le linee di polizia e hanno circondato la sede del governo thailandese, chiedendo le dimissioni del primo ministro Prayuth Chan-Ocha.
Lo stesso giorno, la regina Suditha, la moglie del re, è stata portata vicino ai manifestanti in una lussuosa limousine. Non ha ricevuto il benvenuto che i reali normalmente si aspettano nel paese. I manifestanti hanno alzato con aria di sfida il saluto a tre dita, un azione ispirata alla serie The Hunger Games, che è diventato un simbolo di ribellione nel paese. Ci sono stati cori di “dove sono i miei soldi?” e alcuni hanno persino alzato il dito medio. La regina, scioccata di essere in presenza di così tanti rozzi popolani, è stata notata sbirciare fuori dall’auto, con la bocca aperta e gli occhi pieni di lacrime.
Questa reazione scioccata è comprensibile in Thailandia, dove fino a tempi recenti le critiche aperte alla monarchia erano del tutto inaudite. La stampa borghese lo chiama “tabù”. Ma questo “tabù” deriva dal fatto che ogni critica alla monarchia è brutalmente repressa dal governo. La Thailandia ha forti leggi sulla lesa maestà, la cui messa in discussione può portare a una reclusione fino a 15 anni. Dal colpo di stato del 2014 nove esuli thailandesi che hanno criticato la monarchia o l’esercito sono scomparsi e, come abbiamo scritto in un articolo precedente, nel 2018, i corpi di due attivisti sono stati trovati nel fiume Mekong. erano stati ammanettati, sventrati e riempiti di cemento.
Il governo ha agito rapidamente per difendere la regina. In risposta a questa “azione che ha avuto un impatto sul corteo reale”, la mattina successiva Prayuth ha dichiarato lo stato di emergenza. Le riunioni di cinque o più persone sono state bandite e riportare notizie che potrebbero “danneggiare la sicurezza nazionale” o “causare panico” è stato proibito. Tre persone sono state anche accusate di “Vilipendio alla Regina”.
Per molti thailandesi, tuttavia, la vecchia paura che li riduceva al silenzio è scomparsa. Titipol Phakdeewanich, un professore universitario, ha spiegato che i manifestanti “non hanno paura … Sono determinati a sfidare il potere dello stato subito”. Quindi, ignorando le nuove disposizioni, il giorno successivo 2.000 manifestanti si sono riuniti a Bangkok, gridando “liberate i nostri amici” e bloccando le strade.
Piuttosto che scoraggiare le proteste, le nuove leggi hanno cambiato il metodo di organizzazione. Ispirati dal movimento di Hong Kong, i manifestanti sono passati dalle manifestazioni che erano state pianificate in anticipo all’organizzazione dei luoghi con solo 30-60 minuti di preavviso per evitare i blocchi della polizia. I leader della protesta hanno anche creato un proprio linguaggio in codice per ingannare la polizia, utilizzando la parola “broccoli” per indicare i soldati o “cappuccino” per indicare la polizia.
In risposta alle manifestazioni, le autorità hanno tentato la via delle repressione. La polizia ha iniziato a sparare cannoni ad acqua pieni di una sostanza chimica irritante e colorante blu sui manifestanti in modo che potessero essere identificati in seguito. I manifestanti, alcuni dei quali studenti adolescenti nelle proprie uniformi scolastiche, hanno iniziato a indossare elmetti e utilizzare ombrelli per proteggersi. Si è verificata una situazione in cui, 12 ore dopo che Prayuth aveva annunciato lo stato di emergenza, i manifestanti stavano spingendo la polizia fuori dall’incrocio Ratchaprasong, che si trova proprio nel centro di Bangkok. La polizia ha tentato di sgomberare la zona, leggendo alla folla il decreto di emergenza. Sono stati accolti con scherno e una distesa di saluti a tre dita.
Piuttosto che intimidire i manifestanti, la repressione ha solo spinto altre persone a scendere in piazza. La “frusta della controrivoluzione”, come l’ha chiamava Marx, ha portato a manifestazioni ancora più grandi nel fine settimana successivo. Anche il movimento si stava radicalizzando, con i manifestanti che gridavano: “Di chi è il paese? Del popolo!”
Il governo in ritirata
In questa fase, il governo era chiaramente preoccupato. Hanno tentato di mobilitare le “Camicie Gialle”, il movimento pro-monarchia coinvolto nel colpo di stato che ha deposto il governo di Thaksin Shinawatra nel 2006. Tuttavia, sembra che un gran numero di camicie gialle mobilitate dal governo fossero in realtà dipendenti e soldati statali. Non avendo alcuno strumento per difendersi, hanno dovuto pagare delle guardie private. Ci sono rapporti che indicano che questi dipendenti statali sono stati trattati male, trasportati in camion della spazzatura che erano stati svuotati. Alcuni di loro hanno persino espresso apertamente la loro sfiducia nei confronti del regime e sono stati visti fare il saluto a tre dita.
La classe dominante manca chiaramente di un’ampia base sociale di sostegno. Molti dei leader della protesta oggi provengono effettivamente da famiglie di Camicie Gialle. Il disgusto verso il regime in decadenza può essere visto anche nello slang usato dai giovani thailandesi. I membri delle Camicie Gialle più anziani sono chiamati “Salims”, un insulto che si riferisce a un dolce a base di noodles, che assomiglia ad un cervello. L’idea è che questi anziani sostenitori della monarchia abbiano il cervello che gocciola fuori dalle orecchie. Abbiamo anche visto il cosiddetto movimento “Bad Student”, in cui i bambini delle scuole – alcuni di appena 10 anni – si definiscono ironicamente cattivi studenti perché rifiutano di essere sottomessi di fronte agli abusi perpetrati nelle classi da parte degli insegnanti. Anche quest’anno, è diventato così comune per i bambini in età scolare alzare il saluto con tre dita durante l’inno nazionale che il governo ha dovuto interromperne temporaneamente la riproduzione prima dell’inizio delle lezioni. Come per altri molti movimenti in tutto il mondo, vediamo una nuova generazione rivoluzionaria, indifferente alla repressione e non disposta ad aspettare un cambiamento.
Questi segni preoccupanti hanno costretto Prayuth a comportarsi in modo abbastanza conciliante. Di fronte a un movimento di massa, la dittatura militare precedentemente intoccabile sembrava impotente. Prayuth ha implorato i manifestanti di usare la loro “libertà di espressione politica all’interno del quadro giuridico” e che, poiché “i manifestanti [avevano] fatto sentire le loro voci e le loro opinioni … [era] ora tempo per loro permettere una riconciliazione delle proprie opinioni con quelle di altri segmenti della società thailandese attraverso i loro rappresentanti nel governo”.
Ha ammesso che la risposta dura al movimento non stava funzionando. Possiamo così osservare un fenomeno che si vede spesso in una situazione rivoluzionaria o prerivoluzionaria. Da una parte, c’è il timore che brutali repressioni possano avere l’effetto di radicalizzare il movimento. Dall’altra, c’è il timore che le concessioni lo incoraggino. In un certo senso, entrambe le cose sono vere. E mentre Prayuth pronunciava il suo discorso, centinaia di manifestanti hanno nuovamente sfondato le linee di polizia per circondare il Palazzo del Governo.
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Alla fine, la forza del movimento di massa ha costretto Prayuth a ritirare il decreto di emergenza, ammettendo che la Thailandia non poteva diventare “una società migliore attraverso l’uso dei cannoni ad acqua”.
Il problema che Prayuth deve affrontare è che questi appelli al popolo thailandese a rispettare la democrazia puzzano di ipocrisia. Dopotutto, lo stesso Prayuth ha guidato il colpo di stato nel 2014. Inoltre, le ultime elezioni si sono svolte mentre Prayuth era a capo della giunta militare, che ha redato la legge elettorale. Il secondo più grande partito di opposizione è stato sciolto durante le elezioni e, nonostante ciò, i partiti anti-giunta hanno vinto quasi il doppio del voto popolare, ma la giunta rimane al potere. Oltre a questo, i militari nominano tutti i 250 membri del Senato, la camera alta del parlamento thailandese, che può porre il veto alla politica del governo e rimuovere i governi eletti.
Voci di un colpo di Stato?
Dato l’apparente stallo tra i manifestanti e il governo, non sorprende che si sia parlato di un colpo di stato. I giornali thailandesi e le forze realiste hanno affermato che sarebbe un “peccato” se si ripetesse il massacro della Thammasat University nel 1976. Sondhi Limthongkul, che il New York Times descrive come un “prominente sostenitore della monarchia”, ha affermato che un colpo di stato “non è un male”, e alla fine di ottobre ha chiesto un intervento militare per ripristinare la stabilità e proteggere la monarchia. Il generale Narongpan Jittkaewtae, nel frattempo, ha affermato che “la possibilità di fare un colpo di stato è nulla fintanto che non ci sono gruppi che creano una situazione o un conflitto violento”.
La Thailandia ha una storia di colpi di stato e questi di solito sono giustificati con l’obiettivo di proteggere la monarchia. Il Lowy Institute, un thinktank borghese, afferma che il ruolo dell’esercito thailandese è di “guardia contro l’instabilità”, intervenendo quando “gli interessi nazionali chiave sono minacciati, come durante i periodi di conflitti interni prolungati o quando la monarchia è in pericolo”. Per interessi nazionali si intendono gli interessi del settore della classe dominante che è attualmente al potere. Data la mancanza di una base sociale nella società, muoversi nella direzione di un colpo di stato sarebbe molto rischioso per i militari. Quest’anno, ogni passo verso la repressione ha solo radicalizzato il movimento. Dirigersi troppo presto verso un colpo di stato rischia quindi di radicalizzare i manifestanti e di provocare una guerra civile, che non sarebbero sicuri di vincere.
Il re
Come abbiamo sottolineato, la questione della monarchia è una questione vitale. È sicuramente osceno che, mentre un’enorme percentuale di thailandesi fatica ad arrivare alla fine del mese, il Re viva in un’incredibile opulenza. È uno dei monarchi più ricchi del mondo con una ricchezza stimata in 40 miliardi di dollari. Non solo, ma per l’anno fiscale 2021, il bilancio del governo stanzia 37 miliardi di baht (oltre 1,1 miliardi di dollari) alla monarchia. Il Royal Office riceve direttamente 9 di questi miliardi di baht. Mentre molti thailandesi saltano i pasti, il re ottiene una ricchezza ancora maggiore.
Tuttavia, la ragione per cui socialisti e marxisti devono essere contrari all’istituzione della monarchia non ha solo a che fare con questa ingiustizia. Il motivo principale è che può svolgere il ruolo di giustificare colpi di stato e violenza contro la classe operaia. Per mantenere questa arma di riserva, le monarchie di tutto il mondo vivono nello sfarzo e in cerimonie costose. La Thailandia non fa eccezione. Il primo ministro e altri funzionari governativi sono tenuti a prostrarsi a terra davanti al re. La famiglia reale usa un’arcana forma reale della lingua thailandese e lo stato ha promosso per anni storie che dipingevano la monarchia come semidei o “futuri Buddha”. Tutto ciò ha lo scopo di dipingere la monarchia come un’istituzione benevola e gentile che sta al di sopra degli interessi meschini della società thailandese e rappresenta il popolo nel suo insieme. Finché questo è intatto, fornisce una base per i militari per giustificare colpi di stato contro i leader che minacciano la loro posizione.
Mentre può sembrare che il re detenga tutto il potere, in realtà sono i militari e, in definitiva, una parte della classe capitalista che governano la Thailandia. L’istituzione della monarchia è stata utile per garantire un certo grado di legittimità al sistema. Tuttavia, tutto questo sta diventando sempre più insostenibile. Mentre il precedente re aveva un certo supporto, il re Maha Vajiralongkorn rappresenta un problema. Se ciò di cui la classe dirigente ha bisogno è una personalità dal carattere maestoso e nobile, capace di unire tutti i thailandesi, questo Re è l’opposto di ciò. Vive in un harem in Germania, lo si vede spesso in pubblico con indosso top corti e tatuaggi temporanei. Apparentemente disinteressato a qualcosa al di fuori di se stesso, l’Economist del 14 ottobre ha riferito che un addetto ai lavori ha detto: “va in moto, fa sesso, mangia. Fa solo queste tre cose.” Quando interviene in politica, le cose non vanno molto meglio; un atto degno di nota è la promozione del suo cane Foo Foo al grado di maresciallo dell’Aeronautica.
A causa della mancanza di una base sociale nella società thailandese, i militari e la monarchia hanno formato quello che la politica estera chiama un “patto di mutua sopravvivenza”. Proprio per questo, come sottolinea il Lowy Institute, nonostante le preoccupazioni per il carattere del nuovo re, i militari furono costretti a seguirlo perché non avevano alternative. Sostengono che: “Il re non è […] per molti aspetti il padrone del proprio destino” perché, dal punto di vista dei militari e, aggiungeremmo, del settore della classe dirigente che beneficia dello status quo, “la sicurezza della famiglia reale è indivisibile dalla sicurezza nazionale”. Questo spiega perché le critiche alla monarchia sono così pericolose in Thailandia. Criticare la monarchia significa criticare lo status quo, l’intero sistema. È per questo motivo che è considerata intoccabile da parte dell’attuale élite al potere.
La costituzione
Martedì 17 novembre, Arnon Nampa, uno dei leader del movimento, ha invitato i sostenitori a riunirsi fuori dal parlamento per rivendicare l’approvazione di un emendamento alla costituzione. Ha esortato i manifestanti a venire con cappelli e occhiali da sole e per mezzo di imbarcazioni se ne possedevano, perché l’edificio del governo si trova proprio accanto a un fiume. Ai manifestanti sono state date enormi papere di gomma per avvicinarsi in “barca”.
I manifestanti sono stati accolti con alcune delle peggiori violenze dall’inizio del movimento. I monarchici delle Camicie Gialle sono stati autorizzati ad affrontare i manifestanti e tre sono stati uccisi, anche se non è chiaro se ciò sia stato fatto dalla polizia o dalle Camicie Gialle. Alla fine, 55 persone sono state portate in ospedale.
I parlamentari stavano discutendo sette diversi punti da modificare nella costituzione, inclusi alcuni di parlamentari filogovernativi. La “bozza del popolo” di iLaw, sostenuta da 100.000 firme, nonostante gli organizzatori se ne aspettassero solo 50.000, avrebbe consentito la restrizione dei poteri del re. Avrebbe anche sostituito i 250 senatori con funzionari eletti. Due emendamenti, proposti dall’opposizione e dai partiti filogovernativi, sono stati votati ma l’emendamento iLaw è caduto nel vuoto.
In un parlamento dominato dalla giunta militare, una riforma come questa non avrebbe mai potuto essere consentita. Come ha detto il leader monarchico Warong Dechgitvigrom: “La modifica della costituzione porterà all’abolizione della monarchia”. Chiaramente, la giunta ha detto “fin qui e non oltre”.
E ora?
Il blocco degli emendamenti alla Costituzione ha solo provocato ancora una volta rabbia nelle strade. Arnon Nampa, in piedi su un camion, disse: “Un giorno, se non ci saranno riforme, ci ribelleremo”. In una successiva intervista ha anche sottolineato che: “Se la casa è troppo rovinata, non dovremmo aggiustarla … Non abbiamo assolutamente alcuna speranza di riformare la monarchia attraverso il Parlamento”. Si potrebbe dire che questa è certamente l’unica via da seguire. Il regime thailandese ha dimostrato più volte che è impossibile ottenere riforme, l’unica via da seguire è una trasformazione radicale, una rivoluzione.
La domanda che rimane è come farlo. Il movimento ha mostrato un incredibile coraggio e resilienza. È durato cinque mesi nonostante la brutale repressione e l’arresto di molti leader. Tuttavia, c’è un limite a tutto. Le persone non risponderanno agli appelli dei leader alla mobilitazione all’infinito, se non sembra che si ottengano risultati reali. Il guaio è che, mentre le manifestazioni sono state enormi, manca la partecipazione attiva della classe operaia. I lavoratori sono l’unica classe progressista nella società perché detengono tutto il potere della società nelle loro mani, anche se nella maggior parte dei casi non ne sono consapevoli. Se mobilitati attorno a un programma rivoluzionario, potrebbero bloccare la Thailandia.
C’è stata una certa partecipazione da parte dei lavoratori. A Chonburi, ad esempio, ci sono state notizie di migliaia di operai che si sono uniti al movimento. Come abbiamo riferito in precedenza, i manifestanti hanno anche chiesto uno sciopero generale il 14 ottobre. Sfortunatamente, questo non è stato preparato e quindi non si è svolto.
Se questi passi per coinvolgere la classe operaia non vengono fatti, ci sono tutte le possibilità che il movimento possa essere sconfitto. Foreign Policy delinea la prospettiva. Dicono che le autorità, se percepiscono che gli studenti non sono in grado di espandere il proprio movimento, potrebbero semplicemente cercare di prendere tempo, sperando che le proteste alla fine rifluiscano. Se, per sfinimento, il movimento si esaurisce, possiamo aspettarci una brutale repressione. Nei giorni scorsi Prayuth ha già minacciato di usare “tutte le leggi, tutti gli articoli” contro i manifestanti.
Le proteste del 18 novembre sono state indette con lo slogan “Se bruciamo, bruciate con noi”. Tuttavia, non è necessario che il movimento bruci. Le masse in Thailandia chiedono un cambiamento radicale. Se i manifestanti conducessero una campagna politica per fare entrare in scena la classe operaia, potrebbero facilmente spazzare via questo regime reazionario insieme alla monarchia.
Nessun ritorno alla normalità
In un certo senso, qualunque cosa accada a questo movimento, non si fare ritorno alla normalità. C’è stato un profondo cambiamento nella coscienza, con un ampio settore di thailandesi, specialmente giovani, che ne hanno tratto delle lezioni. Perakarn Tangsamritkul, 23 anni, ha dichiarato: “Non sono sempre stato politicamente attivo […] Avreste dovuto vedermi tre mesi fa. Adesso capisco perché dobbiamo essere qui. Dobbiamo farci sentire.” Il Guardian ha intervistato Thanisorn, un manifestante di 22 anni, che ha detto: “Non abbiamo armi, non abbiamo l’esercito […] ho sentito di dover scendere in piazza per dire loro che non ho paura di loro. Siamo più forti di loro. La gente si è già svegliata. Non è più l’era della propaganda”. C’è una nuova generazione che ha affrontato la potenza dello stato thailandese e ha imparato quanto potere detengono i giovani. Questo non può essere annullato.
La Thailandia è uno dei tanti paesi in cui sta emergendo una generazione rivoluzionaria del genere, pronta a sfidare il vecchio ordine. In effetti, gli attivisti di tutto il mondo, comprese la Nigeria e la Bielorussia, hanno inviato i migliori auguri al movimento. Ciò che manca non è la determinazione a combattere, ma una direzione disposta ad andare fino in fondo e lanciare una lotta rivoluzionaria per rovesciare il decrepito sistema capitalista, insieme alle istituzioni marce che si reggono su di esso.