Esplodono le bollette di gas e luce
27 Gennaio 2022Kazakhstan: le radici della rivolta
31 Gennaio 2022Queste tesi sono state approvate dal Congresso mondiale della Tendenza marxista internazionale, tenutosi nel 2014. Le riproponiamo all’attenzione dei nostri lettori perché le riteniamo utilissime a comprendere la situazione attuale, nonché a fornire gli strumenti necessari per un’analisi di classe della crisi tra Ucraina, Russia e l’Occidente.
L’origine più profonda della crisi ucraina è da ricercarsi nelle conseguenze disastrose della restaurazione del capitalismo. La distruzione dell’economia pianificata è stata un colpo durissimo non solo da un punto di vista economico, ma anche da un punto di vista sociale.
Dalle ceneri dell’economia pianificata è sorto un regime capitalistico brutale, basato sulla razzia a man bassa dei beni dello stato da parte di varie cricche di ladri e mafiosi, gli oligarchi, che sono arrivati ad ottenere il potere economico e quindi quello politico.
Il Capitalismo mafioso ha condotto a un’instabilità endemica e l’imperialismo occidentale ha approfittato della crisi russa per esercitare la propria influenza sull’Ucraina, minando l’equilibrio di forze nella zona e creando così le condizioni per la crisi attuale.
Alcuni oligarchi hanno pensato che i propri interessi sarebbero stati meglio tutelati da un’alleanza con l’Occidente, altri sono rimasti allineati con la Russia, ma la loro motivazione comune e prioritaria era comunque la massimizzazione del profitto ad ogni costo, con mezzi legali o, più frequentemente, illegali. Su queste basi era impossibile costruire anche solo il simulacro di una democrazia borghese che potesse funzionare. Così un regime borghese autoritario e corrotto seguiva l’altro.
Alla fine del 2013 l’allora presidente Yanukovich decise di sospendere, all’ultimo minuto, la firma di un accordo di associazione con l’Unione Europea e di firmare invece un accordo con la Russia. Fino ad allora però aveva governato nell’interesse degli oligarchi e portato avanti un programma di austerità, in linea con le richieste dell’FMI, di privatizzazioni e tagli sempre più pesanti, alienandosi così il sostegno anche della popolazione nel Sud-Est, suo principale bacino elettorale.
La sola ragione per cui Yanukovich ha rotto con l’Occidente è che ha pensato che avrebbe avuto maggiori garanzie dalla Russia. Dopo il crollo dello Stalinismo il capitalismo tedesco ha intrapreso una politica di espansione verso est ed era pronto ad investire una gran quantità di denaro per assicurarsi il controllo sulla regione. Ma nel 2013, nel bel mezzo della peggior crisi del capitalismo europeo, non era più così ben disposto a spendere la quantità di soldi che sarebbe stata necessaria per l’ingresso nell’Unione Europea dell’Ucraina (che stava affrontando una profonda recessione economica). Yanukovich ha cercato di mettere l’Occidente contro la Russia e viceversa, allo scopo di concludere l’affare migliore.
La sua decisione di non sottoscrivere il trattato con l’Unione europea è stata la scintilla che ha innescato il movimento divenuto poi noto come Euromaidan. Questo movimento ha avuto un certo supporto di massa tra quei settori della popolazione (perlopiù nell’Ovest e nel Centro del Paese) che guardavano all’Occidente con la speranza che un avvicinamento all’Unione Europea avrebbe migliorato le loro condizioni di vita e avrebbe permesso loro di sperimentare sulla propria pelle un nuovo “miracolo polacco”. Questa era solo un’illusione reazionaria, ma è stata sufficiente a mobilitare una parte della popolazione contro Yanukovich.
Sebbene riflettesse un malcontento reale e avesse, soprattutto all’inizio, un carattere di massa, il movimento Euromaidan sotto la maschera di una lotta contro la corruzione e la repressione era, in ultima analisi, un movimento reazionario da vari punti di vista: composizione di classe, obiettivi politici, forze politiche e direzione dominanti.
Era composto principalmente da intellettuali liberali piccolo-borghesi, elementi sottoproletari e ceto medio impoverito e la sua roccaforte erano le zone rurali occidentali del Paese. La sua rivendicazione principale era la sottoscrizione dell’accordo di associazione con l’Unione Europea, che si sarebbe inevitabilmente portato dietro vincoli sottoforma di un “programma di austerità”, il che significa che la classe lavoratrice avrebbe dovuto pagare la crisi del capitalismo. Infine, i partiti borghesi liberali d’opposizione avevano la maggioranza tra i manifestanti, mentre l’estrema destra e i neo-nazisti fornivano le truppe d’assalto.
Gli Usa hanno giocato un ruolo importante nel determinare l’esito del movimento Euromaidan, nello stesso modo in cui hanno strumentalizzato la “Rivoluzione Arancione” del 2004. John Mc Cain è intervenuto in un’assemblea a Kiev e il Sottosegretario di Stato americano ha ammesso l’investimento di 5 miliardi di dollari a partire dall’indipendenza dell’Ucraina al fine di attuare le proprie politiche sul territorio.
Non appena Yanukovich si è reso conto di non potere mantenere a lungo il controllo della situazione solo per mezzo della repressione e di non essere in grado di mobilitare forze significative contro il movimento Euromaidan, ha deciso di firmare un accordo che implicava la sua uscita di scena. Peccato fosse un po’ troppo tardi. Le forze che si erano scatenate non erano più interessate ad un accordo ma volevano la rottura totale. A questo punto sono stati messi in campo i cecchini per uccidere manifestanti e ufficiali di polizia. Non è ben chiaro chi abbia ordinato il fuoco, ma il risultato è stato la fuga di Yanukovich dal Paese e un nuovo governo “provvisorio” a Kiev. Per coloro a cui piace parlare della legittimità di questo governo: è stato votato dalla Rada (il parlamento ucraino) circondata e “protetta” da milizie armate paramilitari fasciste e neo-naziste.
Non potevamo in alcun modo sostenere il deposto governo Yanukovich, ma il nuovo governo insediatosi è, se possibile, ancora più reazionario. È il governo dei partiti borghesi filo-occidentali e comprende ministri provenienti dal partito di estrema destra Svoboda (a cui è andato anche il Procuratore nazionale) e ha invitato a farne parte anche esponenti neo-nazisti di Pravij Sektor, che hanno declinato l’invito.
Il governo provvisorio del presidente Turchynov e del Primo Ministro Yatseniuk era completamente allineato agli interessi di Washington e impegnato a portare l’Ucraina nella NATO e nell’Unione Europea. Yatseniuk stesso lo ha descritto come un governo kamikaze, predestinato alla rapida attuazione di una serie di misure drastiche richieste dal FMI in cambio dell’attribuzione a questo governo di una parvenza di legittimità sulla scena internazionale. Tra queste misure c’erano la riduzione dei sussidi sul gas per il riscaldamento, licenziamenti di massa di impiegati statali, congelamento dei salari e delle pensioni, ecc.
Questa svolta a 180 gradi dell’orientamento dell’Ucraina è stata una chiara provocazione per la cricca dominante russa, che non aveva nessuna intenzione di permettere che un altro Stato dell’ex blocco Sovietico entrasse a far parte della NATO, soprattutto non uno che ospita una base navale strategica della Marina russa a Sebastopoli e un’ampia minoranza linguistica russofona.
A partire dalla guerra del 2008 in Georgia, la Russia ha tentato di affermarsi sulla scena internazionale. Anche se non si avvicina nemmeno alla potenza imperialista statunitense, la Russia è uno stato capitalista guidato da un’oligarchia rapace e parassitaria, alla ricerca del maggior controllo possibile sulle risorse naturali e di aree di influenza. Sebbene non abbia realmente la forza economica e militare per sfidare direttamente gli USA sulla scena internazionale, cerca di mantenere una propria politica estera indipendente e vuole negoziare con gli USA da una posizione di forza.
La guerra con la Georgia nell’Ossezia meridionale ha segnato un punto di svolta: alla fine la Russia è stata capace di sfruttare a proprio vantaggio gli errori dell’imperialismo USA nel logorare le proprie forze e la superiorità di quelle della Russia in una battaglia di terra a livello regionale. L’esercito e la classe dirigente russi hanno visto, accumulando un forte sentimento di umiliazione nazionale, come i Paesi dell’Est Europa, compresi alcuni di quelli che facevano parte dell’Unione Sovietica, siano finiti uno dopo l’altro nella sfera d’influenza occidentale dopo il crollo dell’URSS. La disgregazione della Jugoslavia e il bombardamento della Serbia hanno contribuito a far sentire l’esercito russo accerchiato e sotto assedio.
Il relativo indebolimento dell’imperialismo USA, soprattutto nell’ultimo decennio, dovuto al prosciugamento di risorse da parte delle avventure in Afghanistan e in Iraq, si è palesato apertamente nell’impotenza dimostrata dagli USA nella guerra in Georgia nel 2008. Anche in Siria, sebbene Mosca si stesse preparando a scaricare Assad nel momento in cui sembrava che stesse per essere sconfitto, alla fine la Russia ha assunto una posizione che l’ha messa in aperto contrasto con gli Stati Uniti e ha avuto un ruolo chiave nel determinare il fallimento di Obama, quando gli USA hanno minacciato di bombardare la Siria accusandola dell’uso di armi chimiche nell’agosto 2013. Tutto questo è stato confermato dai recenti sviluppi in Iraq, che hanno dimostrato ancora una volta l’impotenza della amministrazione americana.
Impotenza ulteriormente confermata dagli sviluppi della crisi ucraina e dall’annessione della Crimea, che ha dimostrato la debolezza dell’imperialismo USA in Ucraina. Il governo statunitense ha fatto fuoco e fiamme, ha parlato di “linee rosse” da non valicare, del principio inviolabile dei confini nazionali e altre simili ipocrisie insensate, ma alla fine ha dovuto accettare il fatto compiuto dell’annessione della Crimea alla Federazione Russa.
Vale la pena ricordare il discorso in cui Putin ha denunciato l’ipocrisia dell’imperialismo USA che 15 anni fa aveva sostenuto l’indipendenza del Kosovo persino col bombardamento della Serbia(tradizionale alleato della Russia). L’attuale conflitto ha spinto la Russia verso una più stretta alleanza con la Cina e ha tirato ancora di più la corda nel rapporto con gli USA.
Dal punto di vista della cricca del Cremlino, l’annessione della Crimea non ha niente a che vedere con la volontà della popolazione della Crimea, ma piuttosto con la difesa dei propri interessi strategici. In ogni caso, aldilà delle condizioni in cui si è svolto il referendum, l’annessione è effettivamente stata il riflesso della volontà della maggioranza della popolazione della Crimea, che rifiutava il nuovo governo di Kiev e guardava alla Russia con speranza.
Sin dall’inizio il nuovo governo Maidan di Kiev ha messo in atto una serie di provvedimenti che non potevano che essere interpretati come provocazioni dalla popolazione russofona delle regioni sud-orientali. La Rada ha votato per l’abrogazione di una legge voluta da Yanukovich che concedeva alle minoranze linguistiche lo status di lingua ufficiale a livello locale (tuttavia a causa dell’indignazione scatenata questo provvedimento non è mai stato convertito effettivamente in legge da Turchynov); odiati oligarchi emissari di Kiev sono stati nominati governatori regionali di Donetsk, Kharkov, Dnepropetrovsk, ecc. I lavoratori delle regioni industriali dell’Est e del Sud hanno capito che qualsiasi accordo con il FMI o con l’Unione Europea e la rottura delle relazioni con la Russia sarebbe stata a proprio svantaggio.
Così nel Sud e nell’Est del’Ucraina ha preso piede un movimento anti-Maidan a difesa dei diritti nazionali, democratici e sociali. Non ci sono dubbi riguardo al fatto che esponenti del Partito delle Regioni e probabilmente anche agenti russi abbiano avuto un ruolo nel fomentare le proteste per interessi propri. Tuttavia questo movimento era profondamente radicato nella società e rifletteva il diffuso malcontento della popolazione verso il “governo provvisorio” di Kiev, visto giustamente come il governo degli oligarchi che stavano calpestando i loro diritti nazionali, democratici e sociali.
Per settimane ci sono state dimostrazioni anti-governative a Kharkov, Odessa, Luhansk, Donetsk,ecc. Questa mobilitazione ha coinvolto diversi elementi. C’era un elemento di nazionalismo russo e durante le manifestazioni si vedevano sventolare parecchie bandiere russe. Anche questo aspetto però non deve essere interpretato solo da un punto di vista nazionalista. Un sondaggio d’opinione mostra come la cosa che attira di più la popolazione di queste zone verso la Russia è che lì i lavoratori dell’industria hanno un salario più alto.
C’era anche un elemento di nostalgia verso l’epoca sovietica, il ricordo di un’epoca in cui c’erano piena occupazione, istruzione e assistenza sanitaria per tutti e in cui milioni di persone non erano costrette ad emigrare per vivere e in cui droga, alcolismo e disperazione non erano endemici.
Anche l’anti-fascismo ha giocato un ruolo importante. Milioni di ucraini facevano parte dell’Armata Rossa ai tempi della guerra contro la Germania nazista. Di conseguenza, molti erano naturalmente inorriditi dalla destra nazionalista ucraina che rivendicava l’eredità dei collaborazionisti filo-nazisti della Seconda Guerra Mondiale e dei combattenti anti-comunisti come Stephan Bandera, la divisione delle SS Galizia, ecc.
Anche in questo la questione nazionale ha giocato un ruolo importante. Le purghe staliniane, le collettivizzazioni forzate, le deportazioni di massa, ecc. hanno finito per legare parte del nazionalismo ucraino ad un rabbioso anti-comunismo e a idee reazionarie, soprattutto nell’Ovest del paese.
Inoltre anche nel movimento anti-Maidan c’erano elementi filo-russi e addirittura filo-monarchici reazionari. Nelle zone dove le organizzazioni di sinistra avevano una certa forza, gli elementi reazionari sono diventati via via più marginalizzati e le idee e i simboli della sinistra hanno preso l’egemonia del movimento (come ad Odessa e a Kharkov).
Comunque, aldilà di tutto, il movimento anti-Maidan aveva profonde radici economiche e sociali nella classe operaia delle regioni del Sud e dell’Est dell’Ucraina, e non può essere spiegato soltanto come l’opera di agenti russi, agitatori e mercenari prezzolati.
Dopo un po’, siccome il movimento non aveva una prospettiva chiara, un settore ha diretto la propria attenzione verso quella che sembrava la via d’uscita più rapida: l’occupazione armata degli edifici pubblici, la proclamazione di repubbliche e la richiesta di intervento rivolta alla Russia. In parte si trattava di una copia dei metodi del movimento Euromaidan che sembravano aver funzionato. D’altro canto, non è così che era andata in Crimea?
Tuttavia, dal punto di vista di Putin la Crimea rappresentava una questione strategica, Donetsk e Lugansk no. L’occupazione e l’annessione di queste regioni avrebbe potuto incontrare la resistenza dell’esercito ucraino, cosa che avrebbe messo la Russia in una posizione scomoda a livello internazionale e compromesso i suoi rapporti con l’Unione Europea, e tutto per cosa? L’annessione da parte della Russia di queste aree industriali avrebbe costretto il Cremlino ad allentare i cordoni della borsa per “ristrutturare” queste industrie, cosa necessaria da un punto di vista capitalistico, e ad integrare una comunità di cittadini insoddisfatta che sarebbe stata difficile da gestire.
L’obiettivo dell’oligarchia russa in Ucraina non è mai stato quello di occupare queste regioni, ma piuttosto quello di usare il proprio potere (dovuto principalmente all’erogazione delle forniture di gas) per costringere qualsiasi governo di Kiev a cercare un modus vivendi che accontentasse sia la Russia che l’Unione Europea (impedendo, ad esempio, l’ingresso dell’Ucraina nella NATO).
In questo gli interessi del Cremlino coincidono con quelli del Capitalismo tedesco. Le aziende tedesche hanno importanti investimenti ed interessi in Russia e soprattutto la Germania dipende dalle forniture di gas russo che passano per l’Ucraina. Qualsiasi idea di sanzioni rivolte contro la Russia rischierebbe di danneggiare il Capitalismo tedesco. Su questo gli interessi di Berlino e di Washington divergono. La Casa Bianca sa che il commercio statunitense con la Russia è tutto sommato trascurabile e per tutta la durata di questo conflitto ha spinto per riaffermare i suoi interessi nell’Europa dell’Est e a provocare il Cremlino.
L’elezione di Poroshenko, un furbo oligarca che fin dalla restaurazione del capitalismo ha sempre sostenuto allo stesso tempo tutti i governi e tutti i movimenti d’opposizione in Ucraina, riflette chiaramente l’interesse di Mosca e Berlino a trovare un accordo che sia soddisfacente per entrambi.
Probabilmente la dichiarazione delle Repubbliche di Donetsk e Luhansk è stata accelerata dalla convinzione che la Russia le avrebbe riconosciute rapidamente. La dichiarazione di indipendenza originale della Repubblica Popolare di Donetsk conteneva una serie di punti estremamente progressisti. Parlava del primato della proprietà collettiva su quella privata, denunciava lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e si dichiarava a favore di una Repubblica multinazionale e multietnica. Ma il carattere di classe del movimento è rimasto in generale indistinto. Sono stati usati simboli dell’Unione sovietica, ritratti di Lenin (e di Stalin!), riferimenti alla Repubblica sovietica del sud est del 1918, una fraseologia antifascista, ecc, ma allo stesso tempo simboli nazionalisti e religiosi.
Si trattava comunque di un movimento che comprendeva aspetti di elementi progressivi e di sinistra ma che rifletteva anche le idee inevitabilmente confuse che prevalgono in assenza di una direzione chiara e dopo 25 anni di controffensiva ideologica seguita alla restaurazione del capitalismo.
Kiev ha risposto all’occupazione armata degli edifici governativi e alla defezione di interi settori della polizia e dei servizi di sicurezza che sono passati dalla parte della popolazione in rivolta lanciando un’ “operazione anti-terrorismo” (ATO). Ciononostante, tre successive missioni dell’ATO sono naufragate nel momento in cui i soldati ucraini si sono rifiutati di aprire il fuoco contro i civili disarmati che li hanno circondati a Kramatorsk, Sloviansk, ecc. e hanno addirittura fraternizzato con loro. Questa è la riprova che il movimento nel Donbas non è semplicemente una questione di “agenti russi e mercenari separatisti”, ma ha il sostegno attivo o passivo della maggioranza della popolazione di queste regioni (come si è visto anche nei referendum).
Oltre agli episodi di fraternizzazione dei soldati con gli insorti ci sono stati ammutinamenti e proteste dei familiari dei soldati di leva e di riserva che in alcuni casi sono riusciti a impedire fisicamente che i soldati venissero mandati al fronte. Dobbiamo ricordare anche che questi soldati che vengono mandati al macello dal “governo provvisorio” di Kiev nella maggior parte dei casi non sono adeguatamente equipaggiati (il 40% non ha protezioni per il corpo), nutriti o pagati.
Kiev ha reagito ripristinando la Guardia Nazionale e istituendo vari Battaglioni al comando del Ministero degli Interni, battaglioni formati da “patrioti volontari” provenienti da organizzazioni fasciste e neo-naziste (Patrioti d’Ucraina, Fratellanza, Svoboda, Auto-difesa Maidan, ecc) molti di loro parte del Pravy sektor. Il coinvolgimento di queste squadracce paramilitari nell’ATO è funzionale a due obiettivi: fornisce al governo soldati fanatici pronti a portare avanti azioni legali e illegali contro i “terroristi russi”, e al contempo li distrae dall’opporsi al governo stesso (non dimentichiamo che la polizia ha ucciso uno dei leader di Pravy sektor, che ha reagito minacciando di rovesciare il governo).
Condurre una guerra contro il proprio stesso popolo su basi nazionaliste ha spinto il governo ancora più a destra, tanto che ormai chiunque vi si opponga viene considerato un agente straniero e un separatista. Abbiamo visto attacchi fascisti alle organizzazioni di sinistra, la chiusura delle sedi del Partito Comunista a Kiev e in altre città, tentativi di mettere al bando il partito, blitz nelle sedi di Borotba in varie città che alla fine hanno costretto l’organizzazione alla clandestinità, un’ondata di arresti, un giro di vite sui social media e un attacco generalizzato ai diritti democratici.
Sarebbe impreciso descrivere il governo di Kiev come una “giunta fascista”. È un governo di oligarchi che sta portando avanti i tagli brutali della politica d’austerità. Sono gli stessi personaggi che erano al potere anche prima del movimento Euromaidan. Cionondimeno, la classe dominante si è bruscamente spostata a destra. Non si tratta solo di usare elementi fascisti come truppe d’assalto. Slogan che prima erano appalto dei Banderisti di estrema destra ora vengono usati dalla stampa e dai media, e anche dai politici come Poroshenko. I cortei del Primo Maggio, le conferenze sindacali e altri eventi vengono attaccati da elementi di estrema destra, compresi quelli che fanno parte degli apparati dello Stato. Alcuni oligarchi come la Tymoshenko hanno ringraziato pubblicamente gli artefici del massacro di Odessa. Come se non bastasse, i media sorvolano sul fatto che Pravy sektor abbia rivendicato l’incendio dell’edificio.
L’operazione ATO incapace di ottenere vittorie significative (ad eccezione forse di Mariupol) negli scontri diretti coi ribelli, ha ripiegato sempre di più sull’artiglieria pesante, i bombardamenti aerei e altri strumenti di guerra che non fanno distinzione tra civili e combattenti. Tutto questo però è servito solo ad esacerbare l’opposizione al governo e a rafforzare la resistenza armata. A questo dobbiamo aggiungere l’impatto che ha avuto il massacro di Odessa avvenuto il 2 maggio, lo stesso giorno in cui è stata lanciata la ATO.
Allo stesso tempo però quando il controllo del movimento del Donbas è stato preso dagli elementi militari sono emerse le forze reazionarie. Qualunque conflitto militare è una calamita per avventurieri, criminali e simili. Ne è un esempio il capo della resistenza armata a Sloviansk, Strelkov, un monarchico russo che ha combattuto come volontario prezzolato in Cecenia e in Serbia.
La Costituzione della Repubblica di Donetsk (DPR), che è stata pubblicata senza prima essere democraticamente discussa, rappresenta un grosso passo indietro in senso reazionario rispetto alla Dichiarazione di Indipendenza. Parla infatti della “fede ortodossa” come principio guida per la Repubblica, mette sullo stesso piano proprietà pubblica e privata, ecc.
Ma questa è solo una parte dell’equazione. Non appena è stato chiaro che la Russia non avrebbe appoggiato attivamente queste Repubbliche, che i lavoratori avrebbero giocato un ruolo sempre più diretto e combattivo e per la minaccia di nazionalizzazioni proveniente dai leaders della Dpr, gli oligarchi del Donbas, che all’inizio sostenevano tacitamente o tatticamente le proteste, si sono schierati apertamente con Kiev. L’uomo più ricco del Paese, Rinat Akhmetov, le cui aziende impiegano circa 300mila persone nella regione, si è spinto fino a tentare di organizzare i propri dipendenti contro la DPR, ma ha fallito miseramente.
Questo è servito soltanto a rafforzare il sentimento di ostilità verso gli oligarchi. Prima la DPR ha annunciato che siccome Akhmetov si era rifiutato di versare le tasse alla Repubblica i suoi beni sarebbero stati espropriati. Poi però un altro esponente della DPR ha dichiarato che Akhmetov non sarebbe stato colpito dall’espropriazione qualora si fosse dichiarato disponibile a trattare. Più tardi una dichiarazione della Repubblica di Lugansk parlava dell’espropriazione delle proprietà illegalmente privatizzate e finite nelle mani degli oligarchi. Questo riflette chiaramente una divisione tra i vari leader della DPR sulla questione delle espropriazioni. Il sindaco del popolo di Sloviansk ha annunciato persino la nazionalizzazione di tutte le imprese della città.
È estremamente importante lo sciopero dei minatori di Donetsk, in grado di unire lavoratori del pubblico e del privato contro la ATO e per il ritiro delle truppe ucraine. I lavoratori sono critici anche verso i tentennamenti e le timide prese di posizione delle autorità della DPR sulle questioni sociali ed economiche. Durante la loro ultima manifestazione non si è vista una sola bandiera russa, il che è significativo. Ci sono state anche riunioni e discussioni per istituire nuovamente il Partito Comunista a Donetsk, coinvolgendo non solo il CPU ma anche altri elementi esterni, compresa Borotba.
Per quanto riguarda il conflitto tra Kiev e le repubbliche, una dichiarazione di Strelkov ci da una valutazione piuttosto accurata della situazione militare: “l’esercito ucraino ci ha circondato e ha bloccato il confine” ha detto “davanti alla sua superiore forza e potenza di fuoco possiamo solo resistere, ma non contrattaccare. È una questione di settimane, forse mesi, ma senza l’aiuto della Russia non possiamo resistere” ha spiegato. Poi è andato avanti dicendo di essere cosciente che l’aiuto da parte della Russia sia ben aldilà da venire, cosa che lui considera un tradimento, e di essere convinto che il movimento avrebbe potuto rialzare la testa solo dopo “una Maidan a Mosca”.
Dal suo limitato punto di vista nazionalista russo e prettamente militarista ha naturalmente ragione. Tuttavia una guerra civile non è mai fondamentalmente una questione militare, quanto piuttosto una questione politica. Se la DPR prendesse in modo deciso la strada delle espropriazioni degli oligarchi e su queste basi facesse un appello al resto della classe lavoratrice ucraina, inclusa quella delle regioni del Centro e dell’Ovest, questo avrebbe un’eco enorme.
Intanto Poroshenko, Putin e la Merkel sono riusciti a soffocare il Donbas e a mettere i ribelli in una situazione impossibile. Non è ancora escluso che la situazione possa risolversi a loro favore, ma queste tre grandi potenze hanno uno scopo ben preciso: trovare un accordo che escluda i ribelli. Kiev ha bisogno di recuperare il controllo sull’intera regione (ad esclusione della Crimea che ormai è data per persa), la Russia cerca una soluzione che le permetta di mantenere tanto la possibilità di intervenire nella politica ucraina quanto i contatti con l’Unione Europea e infine la Germania vuole difendere i propri interessi in Russia e garantirsi le forniture di gas.
Deve essere letto in quest’ottica il “piano di pace” e il “cessate il fuoco” di Poroshenko, che comprende il rispetto dei diritti linguistici della minoranza russofona, l’elezione diretta dei governatori e il passaggio ad uno stato federale. Per quanto riguarda i ribelli, viene loro offerta una parziale amnistia e un salvacondotto verso la Russia qualora desiderassero lasciare il Paese, ma devono abbandonare completamente l’idea delle Repubbliche. Dal punto di vista del Donbass accettare significherebbe svendersi, e cosa ancor più grave la Russia sembra sostenere questa soluzione. Tuttavia non hanno molte altre scelte.
Naturalmente ci sono altri elementi oltre alle grandi potenze in gioco. I fascisti dei Battaglioni e della Guardia Nazionale rifiutano qualsiasi proposta di compromesso o anche solo di dialogo con i “terroristi”. La Repubblica del Donbass si sente tradita da Mosca e non ha intenzione di cedere.
Il ruolo degli Usa nel conflitto ucraino può essere compreso solo a partire dalla posizione mondiale dell’imperialismo americano. Gli Usa non hanno interessi economici chiave in Ucraina, né di altro genere. Tuttavia fin dal principio del movimento di Euromajdan il Dipartimento di Stato, la Cia e l’amministrazione di Washington hanno gettato tutto il loro peso contribuendo in misura importante a esacerbare il conflitto, in primo luogo dando ai settori più oltranzisti a Kiev la certezza di essere spalleggiati da un alleato potente.
Per oltre vent’anni gli Usa hanno umiliato e provocato la Russia promuovendo l’espansione della Nato nell’Europa centro-orientale, fino a includere tutti i paesi che in precedenza erano stati parte del Patto di Varsavia nonché alcune delle ex repubbliche sovietiche. L’ultima espansione della Nato (2004) e la tesi di Rumsfeld sulla “Nuova Europa”, alleata degli Usa, contrapposta alla “Vecchia Europa” (ossia a Francia e Germania, riluttanti all’epoca a unirsi all’avventura Usa in Iraq) dimostravano come tale politica aveva due obiettivi: intimidire la Russia e mantenere le potenze europee nella condizione di gregari degli Usa.
Si aggiunga che nonostante il grande arsenale atomico tutt’ora in mano alla Russia, la possibilità di dispiegare armi antimissile a ridosso dei suoi confini fa prefigurare la possibilità di neutralizzare in gran parte tale arsenale, restituendo agli Usa il potere di iniziativa nell’uso dell’arma atomica, un potere che avevano perso a partire dai primi anni ’50 del secolo scorso. Al di là della effettiva praticabilità di questi progetti è indubbio che questa minaccia giochi un ruolo centrale nello spiegare la reazione di Putin sia in Georgia che ora in Ucraina.
Ma l’ingerenza Usa in Ucraina ha anche un altro obiettivo, seppure meno palese, ed è la Germania e l’Unione europea. Rompere il legame fra Ue e Russia significa colpire le basi del capitalismo tedesco, le zone dove ha maggiormente allargato la propria sfera di influenza esportando merci e fabbriche, nonché colpirla nel punto debole degli approvvigionamenti energetici (particolarmente critico per paesi come Germania e Italia, meno per la Francia).
La Merkel ha tentato in tutti questi mesi di opporre una resistenza passiva alla pressione di Washington, provando a prendere tempo e a ridurre l’ampiezza delle sanzioni imposte alla Russia, a cercare una mediazione che salvaguardasse i propri interessi e i rapporti con la Russia. Tuttavia alla fine si è dovuta ogni volta adeguare alla pressione del più forte “alleato”, seguendolo sulla strada dell’escalation, sia pure con riluttanza. La realtà è che di fronte a un serio scontro fra Russia e Usa non esiste lo spazio per una politica indipendente da parte della Germania 1) per la sua debolezza militare 2) per le divisioni nell’Unione europea.
In Siria l’imperialismo Usa si è scontrato con una opposizione frontale della Russia e della Cina, quale da decenni non aveva più incontrato. Ne è derivato uno scacco umiliante per Obama (e per Cameron), costretto a fare marcia indietro e a coprirsi di ridicolo. Una seconda e più grave sconfitta diplomatica in Ucraina sarebbe un colpo durissimo non solo agli interessi, ma anche al prestigio di Washington. E il prestigio (o se si preferisce, la credibilità delle proprie minacce) è parte non secondaria di qualsiasi politica estera.
Un vero accordo sarebbe possibile solo col pieno coinvolgimento di Usa e Russia, ma ad oggi questo potrebbe materializzarsi solo con una resa di fatto di Putin, che non appare affatto disposto a ripercorrere i passi di Eltsin negli anni ’90.
Ne deriva uno sbilanciamento senza precedenti della politica Usa, che spiega perché nonostante molti interessi teoricamente dovrebbero convergere a favore di un qualche compromesso (che sarebbe sempre a spese degli interessi del popolo ucraino), questo accordo non si materializzi e, al contrario, la crisi si avvolga in un circolo vizioso. Gli avvenimenti successivi all’abbattimento del volo malese hanno dato una drammatica accelerazione alla crisi.
Il governo di Kiev non è forte. Non solo si trova a dover affrontare un movimento di protesta contro la ATO che sta crescendo tra le forze armate e tra i familiari dei soldati, ma nel medio periodo le misure che, da un punto di vista capitalista, sarà costretto a prendere (privatizzazioni, licenziamenti di massa, congelamento di pensioni e stipendi, riduzione dei sussidi sul gas per il riscaldamento, svalutazione, ecc) avranno un impatto sulla popolazione dell’intero Paese. Ad un certo punto queste questioni economiche e sociali riusciranno a tagliare la nebbia dell’isteria nazionalista anche nelle regioni del Centro e dell’Ovest. La diffusione del movimento dei familiari dei soldati è solo un indizio del vero stato d’animo che cova sotto la superficie.
È significativo anche il fatto che alle presidenziali farsa che si sono tenute la maggioranza della popolazione abbia votato per il candidato che era fuori dalla coalizione di governo, sembrava essere il meno nazionalista e si dichiarava a favore di una rapida conclusione della ATO. In queste elezioni Pravy sektor, apertamente neo-nazista, e il partito di estrema destra Svoboda hanno messo insieme nel complesso appena il 2% dei voti (anche se il Partito Radicale di Lyashko, che ora collabora da vicino con Pravy sektor – SNUA e ha passato la campagna elettorale in divisa militare nera nel fronte della ATO, ha superato l’8%).
I compiti dei marxisti in questa complicata situazione sono chiari. Prima di tutto ci opponiamo al governo di Kiev, un governo reazionario, che comprende elementi di estrema destra, che si serve di criminali fascisti nell’apparato di stato e che attacca i diritti democratici; esprimiamo solidarietà al movimento dei lavoratori e alle organizzazioni di sinistra che stanno combattendo contro tutto questo e stanno subendo tutti i tipi di repressione, pogrom, assassini, attacchi della ATO e altre barbarie. Questo non significa che dobbiamo fornire un qualsiasi sostegno ai nazionalisti russi reazionari e a tutti quegli elementi confusi che per un motivo o per l’altro si sono trovati ai vertici delle repubbliche del Donbas. Al contrario è nostro dovere sottolineare come solo una politica internazionalista su basi di classe, saldamente basata sull’espropriazione degli oligarchi, possa loro garantire la vittoria contro Kiev.
In secondo luogo dobbiamo mettere in guardia dall’illusione per cui Putin rappresenti le istanze democratiche, nazionali o sociali della classe lavoratrice del Sud-Est dell’Ucraina. Di questo ne abbiamo già avuto la prova pratica.
Infine dobbiamo opporci ai nostri governi occidentali che sono pienamente complici del governo reazionario di Kiev nella sua guerra contro il proprio stesso popolo.
I marxisti in Russia hanno il difficile compito di costruire una rete di solidarietà con la resistenza anti-fascista in Ucraina e al contempo combattere senza sosta contro il proprio avido, ipocrita e reazionario governo borghese, posizione che hanno mantenuto durante tutto il conflitto.
L’idea per cui la causa principale del conflitto sia l’aggressione dell’imperialismo russo a un’Ucraina semi-coloniale è un ribaltamento della realtà e porta automaticamente a sostenere Kiev, l’ATO assassina e le squadracce fasciste che ne fanno parte, il suo attacco ai diritti democratici e il suo nazionalismo reazionario. Questa posizione, sostenuta dai cosiddetti “socialisti” in Ucraina o ancora peggio a Londra e a Washington, è doppiamente pericolosa.
È ironico che proprio quei gruppi di “sinistra” che urlano sempre istericamente al fascismo non appena qualsiasi gruppetto di destra reazionario e populista registra un aumento del proprio consenso elettorale non siano in grado di riconoscere l’esistenza di vere bande naziste e fasciste che tutti i giorni uccidono militanti di sinistra, assaltano le loro sedi e vengono reclutate da un governo reazionario come forze ausiliarie nella guerra contro il proprio stesso popolo.
Dobbiamo combattere il fascismo. Ma la lotta contro il fascismo può essere vittoriosa solo se va di pari passo con la lotta contro il capitalismo, che fornisce terreno fertile su cui i semi velenosi del fascismo possono germogliare e fiorire.
Il socialismo è internazionalista o non è. Soprattutto in Ucraina, non può essere trovata alcuna soluzione su basi nazionaliste. I cosiddetti nazionalisti ucraini di Kiev, che rappresentano il più rabbioso tipo di sciovinismo che fa da maschera per il fascismo, hanno trascinato il Paese sull’orlo di un terribile abisso che ha già portato alla guerra civile e che potrebbe portare alla completa distruzione dell’Ucraina come nazione.
La disgregazione dell’Ucraina nelle sue varie componenti nazionali sarebbe uno sviluppo reazionario della crisi. Non farebbe che esacerbare l’odio e gli antagonismi nazionalisti. Potrebbe portarsi dietro solo pulizia etnica, pogrom e spargimento di sangue su vasta scala. Rafforzerebbe da entrambe le parti la presa del fascismo e le tendenze scioviniste, alimentando revanscismo e sanguinosi attacchi terroristici. Quello che è successo in Jugoslavia è un terribile avvertimento per la classe lavoratrice ucraina.
Quello di cui c’è bisogno è una politica in grado di unire la classe lavoratrice ucraina per rovesciare l’oligarchia. L’unica vera soluzione alla questione ucraina è il rovesciamento degli oligarchi- sia ucraini che russi- e l’introduzione di un piano socialista e democratico di produzione che ponga finalmente fine al cancro della disoccupazione e dell’emigrazione forzata e coinvolga l’intera popolazione nella realizzazione dell’immenso potenziale dell’industria e dell’agricoltura ucraine.
Storicamente il popolo ucraino è sempre stato fortemente legato alla Russia. Il popolo ucraino non è anti-russo, ma non vuole essere sottomesso a Mosca. Una rivoluzione socialista in Ucraina porterebbe rapidamente al rovesciamento di Putin e degli oligarchi russi. Questo aprirebbe la strada ad una vera federazione socialista della Russia e dell’Ucraina su basi di assoluta eguaglianza, democrazia e fratellanza. È la sola strada da percorrere per i popoli di questi due grandi Paesi.
Contro il fascismo!
Basta con l’oligarchia!
Per un’Ucraina unita indipendente e socialista come primo passo verso una federazione democratica e socialista della Russia e dell’Ucraina con la piena indipendenza della Crimea e delle altre regioni che lo desiderano.
Viva l’internazionalismo socialista!
Lavoratori di tutto il mondo unitevi!
Approvate all’unanimità dal Congresso mondiale della Tendenza marxista internazionale.
Atene, 29 luglio – 3 agosto 2014